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Arthur J. Penty: un ritorno all'organizzazione medievale

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA Dipartimento di Scienze Politiche

Corso di Laurea in

Comunicazione d’Impresa e Politiche delle Risorse Umane

Tesi di laurea

Arthur J. Penty:

un ritorno all’organizzazione medievale

Relatore: Candidata: Chiar.mo Prof. Claudio Palazzolo Roberta Errico

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2

Ai miei genitori

per avermi sempre sostenuta

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3

Indice

Introduzione……….4

CAPITOLO I

ARTHUR PENTY: VITA DI UN ARCHITETTO E TEORICO MEDIEVALE 1.1 Formazione, arte ed estetica………...…………8 1.2 Influenze ideologiche………..……….18 1.3 Ripristinare le gilde per migliorare la società………...…24

CAPITOLO II

TRA MONDO ANTICO E MONDO MODERNO

2.1 Conoscere il passato per salvare il futuro………..………38 2.2 Antiche civiltà e primi problemi economici……….…42 2.3 Il Medioevo al di là dei pregiudizi………47 2.4 Fine delle corporazioni medievali e avvento del capitalismo…………...…………54 2.5 Migliorare il destino della civiltà moderna………...….60

CAPITOLO III

NUOVE PROSPETTIVE

3.1 Come far rivivere il sistema delle gilde………63 3.2 Critica alle grandi organizzazioni……….77 3.3 Critica cattolica al capitalismo e liberismo………...………85

CONCLUSIONI

Perché fallì il Guild Socialism? ………99

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4

INTRODUZIONE

«Shall we perish in the dark by our own hand, or in the light, killed by our

own enemies?»1. Era l’agosto del 1911 quando Lord Selborne, di ritorno dal suo incarico di alto commissario in Sud Africa, inquadrava con queste angosciate parole durante un dibattito nella Camera dei Lord, la difficile situazione di un vecchio mondo in declino. Quattro anni dopo, in piena guerra, Thomas E. Hulme affermava: «the future is being created now»2. In questo contesto di crisi economica, politica, culturale, di lotte e trasformazioni sul piano sociale della prima metà del Novecento, si inserisce il presente lavoro, che ha come oggetto di analisi il pensiero di Arthur J. Penty, architetto, ma soprattutto teorico e primo interprete della dottrina del Guild Socialism. Fin dalla giovane età, Penty fu influenzato dagli ideali dei grandi teorici del passato, tra una forte nostalgia per la Old Merry England e una venerazione ossessiva per il Medioevo, che lasciò non delebile impronta di incarnazione della perfezione, bellezza, benessere e coesione sociale.

La sua insofferenza nei confronti della logica della modernità inglese, divenne sempre più marcata appena trasferitosi a Londra nel 1900, dove iniziò a muovere i primi passi nel campo culturale-politico, aderendo alla Fabian Society3. Proprio durante questa

1 G. Guazzaloca, Storia della Gran Bretagna(1832-2014), Mondadori, Milano, 2018, p. 213. 2 T.E. Hulme, War Notes, in «The New Age», vol. 18, n. 2, 1915, p. 30.

3 La Fabian Society nacque nel 1884 nella casa di Edward Pearse con un atto di fondazione del gruppo,

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5 primissima esperienza si svilupparono la polemica e la sensibilità sociale di Penty nei confronti del socialismo ridotto a mero collettivismo, come delineato nello statuto del fabianesimo: una polemica che aveva come bersaglio privilegiato la strategia politica e il modello organizzativo dei coniugi Webb.

Nel 1906 Penty pubblicò la sua prima opera, The Restoration of the Gild System, sviluppata su l’opposizione all’individualismo liberista che si ancorava alla necessità di un ritorno ad una stabilità che solo il recupero dei perduti legami sociali d’età medievale poteva garantire. Pochi anni dopo, sull’ onda di questi presupposti teorici, un piccolo gruppo di pensatori e filosofi, non più membri della società fabiana, diedero vita al

Guild Socialism, ottenendo un forte successo nella classe operaia4.

Il neonato movimento del Guild Socialism poneva rimedio agli aspetti negativi del capitalismo, facendo leva sull’imprescindibile ruolo svolto dai corpi intermedi della società, costituiti su base professionale, al fine di garantire l’unità della società stessa, in modo da realizzare pienamente le funzioni vitali degli uomini. I quali infatti, avrebbero potuto raggiungere la perfezione solamente attraverso un maieutico relazionarsi con i

fabiana non era interessata a divenire un partito. Era un gruppo composto da intellettuali borghesi e raccoglieva indistintamente credenti, laici, ecclesiastici, radicali, liberali, conservatori, uomini, donne. L’obiettivo della società fu quello di porre al centro del dibattito politico il socialismo, considerato l’esito inevitabile dell’evoluzione storica in corso. La pubblicazione dei “Fatti per i socialisti” nel 1887, da parte di Sidney Webb, fu un veicolo importante di diffusione del fabianesimo. Proprio i coniugi Beatrice e Sidney Webb, contribuirono a sviluppare e far conoscere le idee di questo movimento, che mantenne la sua influenza anche oggi. I fabiani usarono molti strumenti per propagandare le loro idee, tra cui la partecipazione elettorale e la forza delle realizzazioni ottenute attraverso l’impegno municipale, ritenuto una forma collettivistica flessibile rispetto alle nazionalizzazioni. Ma la tappa fondamentale dello sviluppo della loro ideologia furono i Fabian Essays del 1889, una raccolta di conferenze che sintetizza il punto di vista del fabianesimo in tema di socialismo e di riforme sull’impronta evoluzionistica e gradualistica del fabianesimo si veda E. Grendi, L’avvento del laburismo. Il movimento operaio inglese

dal 1880 al 1920, Feltrinelli Editori, Milano, 1964, pp.154-158.

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6 propri simili, sul piano economico, politico e sociale, così da giungere al recupero di un’organica e naturale coesione, traducibile in benessere comune. Tale coesione poteva essere recuperata solamente applicando al mondo moderno il modello organizzativo socio-economico delle corporazioni e delle gilde di mestiere d’età medievale. In particolare, le critiche di Penty erano mirate a colpire le visioni contrastanti dei fabiani collettivisti, sostenitori di un commercialismo di Stato che sosteneva la nazionalizzazione delle terre, del capitale e dei mezzi di produzione: in altri termini «la

gilda è nata per combattere le tendenze burocratiche del collettivismo5».

Difatti, fin dalla loro costituzione, i fabiani volevano attuare una riforma improntata all’organizzazione pianificata della produzione e della distribuzione, necessaria per assicurare un miglioramento delle capacità produttive della società tramite un più efficiente sistema di gestione collettivistico dei beni economici. L’obiezione dei gildisti e dello stesso Penty in primis fu che, in realtà, il problema non era riducibile alla quantità di ricchezza prodotta, ma semmai alla produzione su larga scala, all’utilizzo delle macchine e al principio dell’organizzazione gerarchica all’interno dell’impresa. Proprio quest’ultimo principio, al contrario, era fondamentale per i fabiani, secondo cui all’interno dell’impresa il comando doveva essere nelle mani di coloro che avevano competenza tecnica, e quindi la capacità di produrre sempre più ricchezza proprio grazie all’introduzione dei macchinari.6

Per i coniugi Webb il difetto principale dell’impostazione gildista era il non porre come punto focale delle riforme la questione della riorganizzazione industriale per l’ottenimento della piena efficienza economica. Contro ogni "assurdità" di primitiva

5A.J.Penty, Guild, Trade and Agriculture, George Allen&Unwin LTD., London, 1921, p. 6. 6 Penty, Post-Industrialism, cit., p.31.

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7 democrazia diretta emergeva la necessità di funzionari di mestiere e di istituti rappresentativi tanto nella struttura sindacale quanto nella più complessa organizzazione sociale. Come lucidamente evidenziava lo storico e politico inglese Hilaire Belloc, si era di fronte a un inesorabile ritorno alla schiavitù antica, alla trionfante avanzata del capitalismo di inizio Novecento e all’illusoria soluzione del collettivismo socialista. Ci si allontanava sempre più dalla visione di Penty, che avrebbe voluto far riappropriare l’uomo della libertà e capacità del “saper fare” in modo autonomo, ripristinare la figura dell’artigiano che, nel Medioevo, trovava nel lavoro non soltanto uno strumento di sopravvivenza ma anche se stesso e la sua vocazione. Unire arte e lavoro per ritornare all’essenza spirituale del mestiere: «se andare avanti può solo portarci a ulteriori

disastri, dobbiamo prendere una decisione per tornare indietro7». La salvezza poteva avvenire solo con la reintroduzione del sistema gilda. Una forma di corporazione medievale in cui l’industria, fin dall’antichità, era sempre stata organizzata affinché gli uomini fossero liberi di cooperare insieme e abolire la grande industria.

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8

CAPITOLO I

ARTHUR PENTY: VITA DI UN ARCHITETTO E TEORICO

MEDIEVALE

1.1 FORMAZIONE, ARTE ED ESTETICA

Arthur Joseph Penty nacque il 17 marzo del 1875 nella parrocchia di St. Laurence in Elmwood Street 16 a York, una cittadina nella contea del Nord Yorkshire in Inghilterra: primogenito dell’architetto Walter Green Penty (1852-1902) e sua moglie Emma Seller che nel 1879 e nel 1885 diedero alla luce, rispettivamente, Frederick Thomas e George Victor.

Vissuto in una famiglia particolarmente agiata, la formazione del giovane Penty fu presso la scuola St. Peter a York, uno dei college più antichi del Regno Unito, ma si interruppe all’età di 13 anni, perché egli decise di seguire le orme del padre, divenendo così apprendista architetto presso il suo studio8. Anche Frederick, successivamente, intraprese lo stesso percorso, tuttavia non ebbe la fama e la bravura di suo fratello. Arthur si dedicò totalmente all’architettura, facendone la sua ragione di vita e in poco tempo risultò un eccellente progettista ed esperto nella sua arte di designer, tanto che, negli anni, ricevette per i suoi lavori diversi riconoscimenti pubblici9.

Già all’età di ventuno anni aveva progettato Aldersyde, a York, uno splendido sobborgo in stile neo-elisabettiano, caratterizzato da una certa pretenziosità nelle forme e ricco di

8 www.oxforddnb.com/view/10.1093/ref:odnb/9780198614128.001.0001/odnb-9780198614128-e-53509 9 A.J. Penty, The Gauntlet. A Challenge to the Myth of Progress, Norfolk, VA, 2003, p. 16

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9 decori ma quanto di più lontano dallo stile gotico su cui si attesteranno le sue preferenze di pensiero. Progettò inoltre un gran numero di edifici e ristoranti a York e nei sobborghi limitrofi in stile tudoriano, ponendo risalto esclusivamente all’architettura. Di fondamentale importanza fu la collaborazione con George Walton di Glasgow. Insieme realizzarono decorazioni d’interni floreali di ispirazione Art Nouveau, una vera novità per l’epoca.

La sua straordinaria creatività lo avvicinò all’Art and Crafts Exhibition Society e al

Northern William Morris Society10, entrambi laboratori di arti e mestieri che, con la

collaborazione delle Belle arti, organizzavano mostre decorative di estremo successo. Penty basò i suoi lavori sulle tradizioni artigiane, facendone il suo punto di forza. Utilizzò tecniche costruttive e materiali innovativi, rispettando standard

qualitativamente alti senza trascurare la perfezione dei dettagli. Qualità ed estetica, nulla era lasciato al caso.

Queste abilità fecero di lui un architetto prestigioso, che criticò tutto ciò che non corrispondeva ai propri principi o che in qualche modo lo avrebbe deviato dalle proprie convinzioni. È qui che si ritrovano le radici della sua teoria socio-politica improntata sulla formazione dell’architettura. Egli voleva costruire alloggi economici, qualitativamente buoni ed esteticamente belli11, tali da garantire dignità anche ai poveri: la loro costruzione doveva infatti ricorrere a canoni architettonici basati sulla semplicità ed essenzialità estetica in modo tale da restituire orgoglio a chi li avrebbe realizzati e a chi li avrebbe abitati.

10 www.williammorrissociety.org/

11W. L. McDonald, The Journal of the Society of Architectural Historians, vol.46, no.4, 1987, pp.

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10 A tal fine, occorreva ripristinare l’ottica organizzativa delle gilde medievali in cui ogni lavoratore sarebbe stato responsabile della formazione di altri, perché la collaborazione ad ogni livello avrebbe comportato una migliore qualità a lavoro ultimato12. Tuttavia, il principale cambiamento doveva avvenire nel modo di pensare dei cittadini:

«E’ difficile persuadere l’uomo medio di oggi che il benessere

dell’arte è legato al benessere della società. Per l’uomo il problema economico e il problema estetico sono due problemi completamente distaccati e distinti che richiedono un trattamento separato. L’idea che siano organicamente legati e che in ultima analisi la loro origine è identica, non è mai entrata nella loro testa».13

In altre parole, la popolazione britannica non comprendeva il concetto secondo cui l’arte fosse la base di ogni cosa, l’unico mezzo per arrivare alla perfezione umana.

Per Penty, l’arte e il lavoro dovevano invece andare di pari passo, radicandosi in ogni settore di impiego, in ogni singola attività, da valle a monte, come in tutte le fasi che vanno dalla progettazione alla realizzazione finale di un edificio14.

Il rispetto dell’arte era dunque vitale per assicurare l’indipendenza dell’artista e dell’artigiano, attraverso l’organizzazione in corporazioni che, rimodellate in stile medievale, potessero giocare un ruolo essenziale per un’equa distribuzione dei compiti fra gli individui e garantire una giusta quantità di lavoro per ciascuno. L’artigiano poi,

12 Ivi, p. 335

13 A. J. Penty, Art as a factor in Social Reform, in «The New Age», Vol. XIV, No. 13, 1914, p. 394 14 Penty, Old World for New, cit., p.110

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11 da parte sua, con il rispetto dei canoni estetici, avrebbe portato l’uomo medio a riscoprire la vera bellezza nelle cose15:

«Egli non ha alcuna concezione dell’idea di giusto o sbagliato delle

cose. Per lui ogni cosa è una questione di gusto. A una persona piace questo e ad un altro piace quello, e così egli non vede alcuna ragione per cui non dovrebbe essere nel giusto per quanto riguarda le proprie preferenze personali, preferenze uguali a quelle di chiunque altro».16

Il mondo contemporaneo, sfortunatamente, non aveva dato agli artisti le stesse opportunità che ebbero coloro che vissero nel Medioevo, essi si che erano immersi nell’arte e potevano naturalmente sviluppare un meraviglioso senso di bellezza che permetteva di costruire cattedrali, abbazie, chiese, in pratica ogni edificio come un opera d’arte.

Nella società contemporanea il lavoro era invece divenuto meccanico e le abilità artigiane pian piano si stavano dissolvendo17.

Per Penty, il legame con la religione rende l’arte del passato superiore a quella contemporanea e nel confronto estetico tra presente e passato, la superiorità del passato è legata al culto della religione:

«Non è un caso che la più grande letteratura è la letteratura religiosa,

la più grande pittura è la pittura religiosa, la più grande scultura è la

15 A. J. Penty, Art and Revolution, in «The New Age», Vol. XIV, No. 20, 1914, p. 617-618 16 Ivi, p. 618

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12

scultura religiosa, la più grande architettura è l’architettura religiosa. Una volta che le arti si trovano separate dalla loro base nella religione, la loro degenerazione è solo una questione di tempo».18

Penty, in quanto uomo d’arte, vede naturalmente e apprezza nel Medioevo l’epoca delle grandi costruzioni e della perfezione non solo dal punto di vista artistico e quindi estetico, ma soprattutto dal punto di vista morale ed economico, grazie all’azione di equilibrio che le vecchie gilde erano ritenute capaci di esercitare.

Così le origini del pensiero di Penty furono influenzate dagli scritti dei grandi maestri del passato, attraverso uno studio non limitato all’ambito artistico ed architettonico. Trascorse gran parte del suo tempo libero, fin dalla fine dell’Ottocento, frequentando corsi e luoghi di discussione prevalentemente in tema socio-politico, e le sue letture preferite furono le opere di Ruskin, Arnold, Carlyle e Morris.

Ciò che univa questi autori con lo stesso Penty era il desiderio di cambiare l’assetto societario dell’Inghilterra industriale, rivolgendosi al passato e ripudiando il presente19

.

Penty nel 1900 viveva a Leeds, nello Yorkshire, dove, insieme al padre, era proprietario di una ditta di costruzione. Proprio qui, nell’autunno del 1900 stringerà amicizia con Alfred Richard Orage, 20 durante una riunione di studio su Platone: questo

18

A.J. Penty, Art as a Factor in Social Reform, in «The New Age», Vol. XIV, No. 13, 1914, p. 395

19

A. D. Sokolow, The Political Theory of Arthur J. Penty, in «The Yale Literary Magazine», 1940, p. 5-16

20 Alfred Richard Orage nacque nel 1873 a Dacre, in Inghilterra. Nel 1893 divenne insegnante a Leeds,

nello Yorkshire, in una scuola materna. La scrittura fu la sua più grande passione, in particolare scrisse libri sul pensiero di Nietzsche. Fu un attivista del Partito Laburista Internazionale e noto come editore del periodico “The New Age”. Morì nel novembre del 1934. Cfr. T. Gibbons, Rooms in the Darwin Hotel.

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13 incontro fu l’inizio di un’amicizia che durò tutta la vita. Entrambi condividevano una forte passione per temi artistici e filosofici tanto che nel 1902 fondarono insieme a Holbrook Jackson (1874-1948) la Leeds Art Club, una società di dibattito culturale21. Poi, nel 1905, Penty si trasferisce a Londra, lasciandosi alle spalle un lavoro che, a causa di un mercato speculativo e competitivo, non gli aveva fruttato nulla: pochi clienti erano infatti disposti a pagare costi maggiori per avere un’alta qualità. Per un breve periodo, si dedicò alla progettazione e realizzazione artigianale dei mobili che tuttavia abbandonò subito per riprendere la professione di architetto, la sua vera passione22. Un momento importante nella vita di Penty fu l’adesione alla Fabian Society, della quale entrò a far parte appena trasferitosi a Londra. Questa esperienza fu in realtà fin dall’inizio particolarmente contrastata, nel senso che il pensiero di Penty si orientava all’ideazione del Guild Socialism, cioè di un socialismo che intende muoversi sul terreno della democrazia industriale, sulla partecipazione dei lavoratori all’interno dell’impresa, laddove la società fabiana sosteneva una forma di socialismo di Stato. Penty rimase un associato fino al 1916, pur essendo spesso in disaccordo con la maggior parte dei membri della società, costretto perciò alla fine a prendere completamente le distanze dal gruppo e indirizzare tutte le sue pubblicazioni come un mezzo di critica proprio nei confronti dei fabiani23. Come sottolineò un compagno di strada di Penty:

Studies in Englisk literary criticism and ideas 1880-1920, University of Western Australia Press,

Nedlands, 1973, pp. 98-101

21 M. Wallas, The New Age under Orage. Chapters in english cultural History, Manchester University

press bornes e noble, inc., New York, 1967, pag. 18

22 W. L. McDonald, in «The Journal of the Society of Architectural Historians», vol.46, no.4, 1987, pp.

329-330

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14 «Fu durante il passaggio attraverso queste esperienze che l'idea della

gilda mi è venuta. Era evidente che il declino di prosperità di quella parte del pubblico che era abituato a darmi lavoro era immediatamente dovuto alla diffusione della società a responsabilità limitata e alla crescita di grandi business che li ha accompagnati. Ma la diffusione delle società a responsabilità limitate era a sua volta connessa con un ristretto uso dei macchinari, perché l'impiego di grande capitale avrebbe comportato l'uso dei macchinari coinvolti che aveva portato alla domanda delle società a responsabilità limitata. Passo dopo passo ho rintracciato l'instabilità economica dietro la scomparsa delle gilde. Così la teoria della Gilda iniziò a svilupparsi senza uno sforzo per trovare una soluzione alle mie difficoltà economiche. Era nato dalla frustrazione. Nei giorni della mia prosperità ho giocato con l'idea del restauro della Gilda come altri avevano fatto prima di me».24

Il 1906 fu un anno molto importante per Penty, in quanto mise per iscritto le sue ide con la pubblicazione della prima opera: The Restoration of the Gild System. Sostenne un ritorno al sistema industriale basato sull’organizzazione delle gilde medievali e, qualche anno dopo, alla domanda «Cosa è il sistema gilda?» egli rispose:

«E’ il sistema in cui l’industria è sempre stata organizzata, ovunque gli uomini fossero liberi di cooperare insieme. […] L’idea che ha

24 N. Carpenter, Guild Socialism: an Historical and Critical Analysis, D. Appleton and Co., New York,

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15

sottolineato il sistema delle gilde è che gli uomini dovrebbero essere organizzati in gruppi e che lo Stato esistesse per facilitare la loro cooperazione. Nella sfera dell’industria la divisione naturale era quella dei mestieri. Ogni commercio aveva una propria gilda e ogni artigiano era obbligato a farne parte. La gilda aveva un monopolio nel suo commercio; un centro di mutuo aiuto; ha dato assistenza ai malati e ai disgraziati; ha regolato i salari e le ore di lavoro; prezzi fissi e qualità del lavoro svolto; ha fissato la formazione degli apprendisti e ha limitato il numero di uomini che potrebbe svolgere ogni mestiere».25

Era questo il sogno di Penty, la restaurazione delle vecchie corporazioni in polemica tanto con gli ideali collettivisti dei fabiani quanto contro il capitalismo.

Il pensiero di Penty ebbe una forte influenza su Orage che, nello stesso anno, decise di seguire il suo amico e si trasferì a Londra, associandosi alla Fabian Society. La loro amicizia si consolidò sempre più. Incontrandosi frequentemente, discutevano sull’ambizioso progetto di modificare quell’assetto societario e industriale esistente verso il quale erano entrambi insofferenti26.

L’anno successivo, con il sostegno finanziario di Shaw, Orage acquistò il settimanale “The New Age” 27

e insieme a Penty aiutò a trasformare il periodico in una rivista

25

PENTY, Old world for new, cit., pp. 44-45

26 Gibbons, Rooms in the Darwin Hotel, cit, p. 98

27 Il “The New Age” nacque nel 1894 come giornale del socialismo cristiano. Nel 1907 venne acquistato

da Orage e Jackson con il sostegno finanziario di Shaw, perché all’epoca Orage era un membro della Fabian Society. Pochi mesi dopo ebbe subito un successo strepitoso, trattava argomenti di “politica, letteratura e arte”, e questa dicitura venne riportata anche come sottotitolo che mutò nel 1921 in “una

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16 radicale, intorno alla quale si riunirono scrittori, pensatori e intellettuali dell’epoca dedicando spazio al socialismo, alla filosofia moderna e all’estetica contemporanea28

. In entrambi cresceva sempre più un disagio per la politica delle riforme sociali e un rifiuto del collettivismo interessato esclusivamente alla distribuzione della ricchezza. Venne elaborata così a partire dal 1912, proprio nelle pagine del settimanale, una nuova teoria politica. Il Guild Socialism si distaccò dalle radici utopiche e medievali concepite inizialmente da Penty per prendere forma in un vero e proprio movimento politico il cui scopo fondamentale doveva essere la salvaguardia della società e del lavoratore. Voleva fornire un’alternativa alla Fabian Society e il settimanale divenne l’organo ufficiale del movimento29.

In questo stesso periodo Penty fece un incontro importante per la sua vita sentimentale, conobbe Violet Leonard Pike30, che sposerà il 15 gennaio 1916 nella Chiesa di St. Stephen a Londra e con la quale rimarrà legato fino alla morte31. Ebbero tre figli: Michael Harvey (1916-2002), Richard Henry (1919-2004), e Mary Edith.

rassegna socialista di religione, scienza e arte”. Questo perché con gli anni cambiò il pensiero di Orage e arrivarono anche nuovi scrittori, fra cui lo stesso Freud. Per questa rivista scrissero molti nomi illustri: Wells, Hobson, Shaw, Belloc, Chesterton, lo stesso Penty, e così via. Alla fine del 1907 Jackson lasciò il giornale e Orage divenne l’unico editore, ma, nel 1922, si dimise dal The New Age, fondando dieci anni dopo, un nuovo periodico, intitolato “The New English Weekly”. Cfr. Gibbons, Rooms in the Darwin

Hotel, cit., pp. 98-101

28 W. L. McDonald, The Journal of the Society of Architectural Historians, cit., p. 333 29

J. Wood, The modernist Atlantic, Montfort University, Leicester, 2007, pp. 16-17

30

Violet Leonard Pike (1885-1978) collaborò a una commissione preliminare delle condizioni dei lavoratori nelle fabbriche dello stato di New York, i cui lavori divennero legge il 30 giugno 1911 con l’approvazione del governatore. Lo scopo era quello di eliminare pericoli di vita e danni per la salute degli operatori, promuovendo i migliori interessi della comunità. Violet Pike, si occupò delle donne lavoratrici nelle fabbriche di New York. Per maggiori dettagli consultare: “PRELIMINARY REPORT OF THE FACTORY INVESTIGATING COMMISSION, 1912, The argus company, Albany”

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17 Penty trascorse il resto della sua vita assorbito interamente dall’attività politica, scrisse nelle riviste e pubblicò libri. Le sue opere furono spesso ripetitive, in larga misura reiterazione di opinioni espresse precedentemente in tema di agricoltura, sociologia, problemi industriali e affari politici in generale.

Egli stava lavorando ancora attivamente su questi temi quando morì improvvisamente all’età di 62 anni a Middlesex, in Inghilterra nel Gennaio del 193732

.

Prima di esaminare l’opera principale che diede avvio al movimento del Guild

Socialism, delineare il pensiero di John Ruskin e William Morris, dai quali egli attinse

maggiormente per la propria formazione.

(18)

18

1.2 INFLUENZE IDEOLOGICHE

L’interesse di Penty nei confronti di John Ruskin33 e William Morris34 nacque dalla comune condivisione di una forte passione per l’estetica, l’arte e l’architettura.

Ruskin, esperto cantore dell’arte, aveva non a caso dedicato i suoi studi al fascino dell’architettura gotica, rivendicandole il primato della perfetta rappresentazione della natura, come capacità di esaltare i dettagli, le qualità e i materiali utilizzati.

Ad incarnare questo filone artistico vi era l’architettura italiana, ma nello specifico una città: Venezia35. La splendida cittadina lagunare fu oggetto di studio di Ruskin, fin dal 1848, quando vi arrivò con la moglie Effié36.

33 John Ruskin nacque a Londra nel 1819. Nel 1836 entrò a Oxford come studente della Christ Church.

Allevato in una famiglia borghese, evangelica, ambiziosa, agiata e possessiva, si appassionò fin da subito all’arte e al disegno. Per le sue straordinarie doti gli venne conferita una duplice laurea in lettere classiche e in matematica. Divenne un grande maestro dell’arte in particolare di quella paesaggistica, poi passò all’architettura. Sostenne fortemente che l’architettura gotica dell’Europa pre-rinascimentale rappresentasse l’apogeo della perfezione umana. Egli identificava la bellezza e la perfezione nei palazzi di Venezia e proprio qui vi vedeva il fulcro di tutta la storia. Morì nel 1900 nella sua casa inglese. Cfr. J. Ruskin, Le pietre di Venezia, introduzione di Jan Morris, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1982, pp. 21-40

34

William Morris nacque nel 1834 a Clay Hill, in Inghilterra da una famiglia borghese e puritana, la sua formazione fu anglo-cattolica. Studiò infatti in una scuola cattolica, al Marlborough College e proprio in questa biblioteca, ricca di testi sul Medioevo e sul neo-gotico, ebbe la possibilità di formarsi e di subire la forte influenza delle idee di Ruskin. Cfr. W. Morris, Opere, a cura di Mario Manieri Elia, Editori Laterza, Bari, 1985, pp. 9-10

35 E. Zolla, Uscite dal mondo, Adelphi edizioni, Milano, 1992. p. 345

36 Ruskin giunse a Venezia la prima volta da ragazzino. Al suo ritorno nel 1848 trovò la città

(19)

19 Agli occhi degli inglesi, la gloriosa Venezia aveva molte similitudini con la loro terra:

«La Repubblica veneta era stata, per così dire, la Gran Bretagna della

sua epoca, sovrana assoluta di un impero marinaro fondato sul commercio e sulla tecnologia. Al pari della Gran Bretagna, Venezia era stata una potenza unica nel suo genere, con una società di rinomata stabilità, forte della mutua fiducia tra le classi e animata da intenso ardore patriottico. Come la Gran Bretagna, si era distinta per le consuetudini bizzarre e festose; anch’essa era sita in mare argenteo che a mò di fossato la separava dai vicini della terraferma meno favorita dalla sorte». 37

Era intenzione di Ruskin servirsi dell’esempio di Venezia per istruire gli inglesi sul vero significato artistico, etico, sociale e storico dell’architettura. E lavorò così intensamente a questo progetto che nel 1851 pubblicò il primo dei tre volumi de “Le Pietre di

Venezia” (gli altri due volumi vennero pubblicati nel 1853)38 .

Mise a confronto lo stile gotico e rinascimentale, evidenziando il degrado che la svolta del Rinascimento aveva rappresentato. E al tempo stesso, divise l’opera in tre parti,

aveva distrutto la vera arte. Questa volta non trovò la perfezione di anni prima, ma nonostante ciò il suo fascino non era tramontato, pian piano la città stava tornando a risplendere. Cfr. Ruskin, Le pietre di

Venezia, cit., p. 17

37 Ivi, p. 17

38 J. Ruskin, La natura del gotico, Con un saggio introduttivo di Franco Bernabei, Jaca Book, 1981,

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20 intrecciando l’arte, la religione e la storia in un racconto minuzioso di particolari, conducendo la battaglia “fra l’arte per l’arte”39

.

La prima parte affronta l’ascesa di Venezia nell’epoca antica che si fonda sullo stile bizantino e sul paganesimo. La seconda parte, invece, contiene un capitolo centrale, su cui fa perno tutto il pensiero di Ruskin, dal titolo “La Natura del Gotico”. Qui vi è la rivendicazione della purezza del Medioevo e del cattolicesimo, a cui corrisponde il dominio del gotico destinato a diventare anche lo stile della Gran Bretagna imperiale. La terza parte, infine, descrive la decadenza della città con lo sviluppo dell’arte rinascimentale, con il conseguente crollo del modello artistico medievale. Tutte condizioni che si rispecchiano nell’Inghilterra contemporanea40.

Proprio il capitolo “La natura del gotico” fu di ispirazione per Penty che il 2 Aprile del 1914 in un articolo del The New Age scrisse:

«fino ad ora l’arte era considerata come una cosa molto superficiale,

come puramente una questione di gusto, un giocattolo per l’amante e l’imprenditore. Invece Ruskin distrusse questa idea. Ha dimostrato che l’arte era l’espressione della vita della gente. Ruskin ci ha fissato per un momento una volta e per sempre che la verità estetica, secondo cui l’artista e l’artigiano devono essere uno sol,o ha un significato profondo sociologico, non solo mette in discussione tutta la base dell’industrialismo moderno, ma ci dà chiave ai problemi di organizzazione sociale. Non ho alcuna esitazione nel dire che la

39 J. RUSKIN, La natura del gotico, cit., p. 18 40 Ivi, pp. 12-19

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21

scoperta che l’artista e l’artigiano dovrebbero essere tutt’uno è stata la più grande scoperta del diciannovesimo secolo».41

Il messaggio di Ruskin venne condiviso, tra l’altro, anche da Morris, apprendista fin dal 1856 presso lo studio di un architetto neogotico, dove divenne anche un bravo pittore e disegnatore di dettagli architettonici. Morris, che con Ruskin ebbe l’occasione di discutere sui temi più disparati durante conferenze o nei vari circoli, era pure favorevole ad un ritorno al gotico, concepito come un accostamento alle origini migliori della cultura inglese, oltre che un richiamo alle tradizioni medievali. In questa prospettiva, nel 1892, fu proprio Morris a scrivere la prefazione di “La Natura del Gotico”42.

Egli odiava l’abuso della forza meccanica della civiltà moderna che aveva portato alla distruzione dell’estetica, e di conseguenza provava un senso di repulsione nei confronti del sistema commerciale e dei beni che ne erano oggetto, in quanto prodotti in serie, nei quali era racchiuso il veleno della società:

«all’arte quindi compete di stabilire il vero ideale per una vita piena e ragionevole per il lavoratore, una vita nella quale la percezione e la creazione della bellezza, il godimento del vero piacere, vengono considerati necessari per l’uomo come il suo pane quotidiano, in modo che nessun uomo, o gruppo di uomini, possa esserne privato, se non come un atto reazionario contro cui si saprà ben resistere»43.

41 A.J. Penty, Aesteticism and History, in «The New Age», Vol. XIV, No. 22, 1914, p. 683 42 Morris, Opere, cit., pp. 41-54

43 M. Manieri Elia, Introduzione a W. MORRIS, Architettura e socialismo, Sette saggi a cura di Mario

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22 Già negli anni ’70 dell’Ottocento, Morris si avvicinò per la prima volta alla politica, ma il vero impegno dato, il 1883, nel momento in cui egli aderì al Social Democratic

Federation di Henry Hyndman, un movimento socialista fondato a Londra nel 1881 con

una identità e un programma social-democratico basato sull’ortodossia marxista. Durante questa esperienza instaurò contatti con i primi fabiani e altri socialisti44.

Morris e Ruskin anticiparono Penty nella denuncia degli abusi di un sistema capitalista che aveva portato ad una massiccia concentrazione urbana e deturpato la città con i fumi delle fabbriche, rovinando la perfezione e la bellezza della società medievale, proprio esso responsabile della crisi devastante che aveva colpito non solo il sistema economico ma anche l’identità religiosa, etnica, morale e domestica del lavoratore ridotto ormai alla condizione di proletario45.

Attaccarono il sistema del laissez-faire, legato alla causa di un individualismo e materialismo sfrenati che aveva come risultato la disumanizzazione industriale e, l’alienazione operaia attraverso la divisione del lavoro46. In concreto si trattava perciò di avviare un cambiamento negli individui e nella società atto ad eliminare le disuguaglianze economiche e di classe. E in vista di tale fine era necessario tornare all’artigianato sotto il sistema delle vecchie gilde, ovvero un sistema di lavoro cooperativo, che restituisse al lavoratore il piacere nello svolgimento dei suoi compiti in modo tale che egli diventasse uomo, e l’arte e la produzione un tutt’uno47.

44 Morris, Opere, cit., pp. 48-48

45 Ruskin, La natra del gotico, cit., p. 26 46 Zolla, Uscite dal mondo, cit.,p. 346

47 M. Manieri Elia, William Morris e l’ideologia dell’architettura moderna, Editore Laterza, Bari, 1976,

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23 Morris proponeva l’attuazione dei laboratori artigiani per evitare lo sfruttamento del lavoro salariato, mettendo in risalto la bellezza e la perfezione di una produzione manuale basata sulla qualità e non sulla quantità, com’era nei fini dell’ Art and Crafts

Movement di cui egli fu fondatore nel 188848. Da parte sua, Ruskin aveva suggerito la costituzione di corporazioni artigiane in stile medievale con la relativa attuazione di un ordine sociale alla cui stregua ogni individuo avrebbe dovuto svolgere una determinata funzione all’interno delle corporazioni stesse; il sapere artigianale, ma soprattutto l’estetica, doveva essere tramandato dai maestri agli apprendisti, in modo tale che il prodotto finale del lavoro non fosse soltanto un semplice oggetto di consumo, bensì un’opera d’arte. Ma le sue idee, all’epoca, vennero accusate di “delirio medievale”49

. Di tali idee torna invece a rendersi interprete Penty, a partire da una riflessione in tema di arte e di politica contenuta nella prima opera del 1906, nella quale rende esplicito il suo debito nei confronti di Ruskin50.

48

Morris, Opere, cit., pp. 63-64

49

Zolla, Uscite dal mondo, cit., pp.350-351

50 Ruskin nell’ultima parte della sua vita aveva riacquistato la fede religiosa e infatti istituì nel 1874 la

Gilda di San Giorgio, una comunità che si fondava sulle cooperazioni. Per approfondimenti vedere: www.guildofstgeorge.org.uk/

(24)

24

1.3 RIPRISTINARE LE GILDE PER MIGLIORARE LA SOCIETA’

Il movimento Guild Socialism prese dunque avvio nel 1906 con la pubblicazione del libro di Penty: “The Restoration of the Gild System”, considerato l’atto di fondazione della dottrina.

Possiamo considerarlo un manifesto per il lancio e la propaganda di un nuovo pensiero socialista che, in quanto primo tentativo per ripristinare il concetto di gilda medievale, si pone come soluzione per risanare i mali radicati nella società moderna inglese degli inizi del Novecento, causati dall’industrialismo e dalle idee socialiste-collettiviste. L’impegno di Penti è di concretizzare sul terreno della pratica politica quegli spunti di riflessione che i critici del sistema industriale avevano invano offerto. A cominciare appunto da Ruskin, che sfortunatamente aveva fallito.

«nel formulare qualsiasi schema pratico che potesse mostrare come le

gilde avrebbero potuto essere ristabilite nella società. La proposta non è mai stata seriamente presa in considerazione dai riformatori sociali. […] E fu relegata nella regione dei sogni non praticabili»51

.

Al contrario, vennero prese in considerazione le teorie del socialismo-collettivista, perché sembrava potessero avere un impatto immediato sulle condizioni di vita del

51 A. J. Penty, The Restoration of the Gilde System, Swan sonnenschein and co., Londra, 1906, cit. pag.

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25 popolo. Esse sostenevano una concezione materialista come unica via per migliorare l’esistenza di ogni individuo e della società, ponendo dunque, l’elemento utilitaristico prima di quello spirituale. Queste ideologie, erano peraltro avversate da Penty, il quale condivideva il pensiero di Ruskin, secondo cui l’uomo non è fatto solo di carne ma anche di spirito, sì che la soddisfazione dei bisogni materiali non avrebbe comportato necessariamente l’emancipazione umana; quest’ultima poteva esser raggiunta esclusivamente dalla capacità dell’uomo di essere libero da condizionamenti esterni. Ruskin mette l’uomo al centro di tutto, nella convinzione che la salute mentale e fisica dipenda dalla capacità di saper produrre bene e in autonomia gli oggetti del lavoro. Ma con l’introduzione delle macchine l’uomo viene privato di questa capacità, in quanto è sottomesso e usato dal degradante sistema di fabbrica.

Condividendo pienamente queste idee, Penty affermò che lo sviluppo delle Unioni di mestiere, durante il XIX secolo, aveva cercato di recuperare parti delle funzioni svolte precedentemente dalle gilde medievali, attraverso la disciplina legislativa del salario e delle condizioni di lavoro. Ma molto di più poteva essere fatto con lo sviluppo del Movimento delle Arti e dei Mestieri.

Penty, così come Ruskin e Morris, condannava la divisione del lavoro e la subordinazione dell’uomo al sistema fabbrica, visto come un’appendice della macchina, esortando un ritorno al lavoro artigianale. In altre parole, egli critica il sistema presente consigliando di guardare al passato per migliorare il futuro52.

Proprio guardando al passato, egli vedeva nel Medioevo l’incarnazione della perfezione e riusciva ad ammirare la grazia e la bellezza in ogni cosa, non solo nell’architettura, ma anche nel piccolo lavoro artigiano: «Il Medioevo era sotto ogni aspetto un’età ideale e

52 F. Hutchinson, B. Burkitt, The political economy of social credit and Guild Socialism, Routledge,

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26

dobbiamo ammettere la sua superiorità in alcune direzioni; possedeva un senso delle grandi proporzioni delle cose e inseguiva la perfezione»53. La vera radice dell’arte si

trova proprio nel lavoro artigiano, e questo è un principio imprescindibile il cui fondamento deve essere ricercato nel capitolo di Ruskin “La natura del Gotico”54. L’arte e la religione erano considerati i fini fondamentali per l’uomo, mentre la politica e il commercio erano secondari e strumentali rispetto a questi valori primari. Ogni cosa funzionava perfettamente, la società era ben strutturata su base feudale, ognuno aveva il suo ruolo e una funzione da svolgere, e il rapporto tra gli individui si basava sul principio del mutuo aiuto.

Dal punto di vista politico poi, l’individuo doveva rispettare la legge feudale e il codice universale di moralità, il tutto sotto il controllo dell’autorità della Chiesa Romana. Il giusto equilibrio della società era possibile grazie al sistema della gilda, che si costituisce nelle città attraverso la nascita di corporazioni di artigiani e di commercianti atte ad assolvere diverse funzioni: soprattutto a tutela del lavoratore, il quale veniva protetto dalle tasse eccessive, salvaguardato dalla concorrenza sregolata o dal commercio illecito, garantito da una politica di mutuo aiuto di regolamentazione delle condizioni e delle ore di lavoro.

Le gilde però fungevano anche da protezione nei confronti dei consumatori. Infatti stabilivano il giusto prezzo; controllavano la qualità del prodotto e, funzione fondamentale, facilitavano lo scambio e la distribuzione della merce55.

Le gilde, nello specifico, non furono soltanto corporazioni in quanto tali. Ogni città possedeva infatti una vera e propria “Università dei mestieri”, ossia ogni mestiere aveva

53 PENTY, The Restoration of the Gild System, cit. pag. 46 54 Ivi, pp. 87-88

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27 una sala universitaria e la gilda garantiva un vero e proprio percorso formativo e le giuste relazioni tra l’apprendista e il maestro artigiano. Tutto era regolato da una struttura gerarchica, ben organizzata e divisa in tre diverse fasi.

La prima fase era quella dell’apprendimento, del primo approccio ad un mestiere e alla pratica attraverso la figura dell’apprendista. Solo alla conclusione di questo periodo, sicuramente il più difficile, si poteva passare alla seconda fase, quella dell’operaio che lavorava affiancandosi ai maestri. Infine nella terza fase il lavoratore diveniva un laureato nel suo mestiere, scegliendo la strada dell’accademico o del maestro artigiano. Come maestro artigiano, egli avrebbe potuto svolgere nelle città anche lavori molto prestigiosi su commissione delle più alte autorità, non ultima su commissione del re. Il sistema gilda quindi era funzionale al corretto svolgimento della società e garantiva a chi ne faceva parte il godimento del tempo libero come uno spazio di vita che ciascuno poteva dedicare a se stesso e a qualunque attività, utile per il compimento di un buon lavoro.

Il sistema delle gilde medievali fungeva per Penty da modello di riferimento che avrebbe potuto funzionare perfettamente se applicato al sistema di produzione56: « ma

non alla distribuzione. La probabilità è che la distribuzione della materia prima nel futuro sarà intrapresa dallo Stato sotto qualche forma di amministrazione collettivista, come con la nazionalizzazione delle ferrovie»57.

Fatto sta il sistema delle ghilde era entrato in crisi con il Rinascimento, con il quale si apre una nuova epoca che comportò cambiamenti fondamentali per la società, a partire da una netta separazione tra l’arte e il lavoro artigiano considerati in precedenza un tutt’uno, in quanto il prodotto finale della mano e dalla creatività dell’uomo altro non

56 Ivi, pp. 65- 69 57 Ivi, p. 69

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28 era se non una forma d’arte. Inoltre la considerazione delle priorità si capovolse, divenendo l’arte e la filosofia principi subordinati agli affari, al denaro e alla politica. Se con il Rinascimento nacque un nuovo modo di pensare e di concepire la società, dichiaratamente volto a liberare l’uomo dalla chiusura mentale dall’epoca precedente, il progresso così avviato non può in realtà essere considerato come un elemento positivo in quanto comporta la distruzione degli ideali e dei principi morali radicati nella società58. E ciò rinvia alla stessa condizione contemporanea, in fondo, dice Penty, il vero male di cui oggi soffriamo è quello spirituale.

E da qui nasce la critica al collettivismo, una critica talmente marcata che è possibile ritrovarla fin dalla prefazione dell’opera e vederla estesa anche nelle successive pubblicazioni.

In primo luogo l’autore inizia con una precisazione terminologica:

«Il collettivismo è meglio conosciuto come socialismo. Preferisco usare il termine "Collettivismo" perché è soggetto a meno confusione. Il socialismo come termine generale è stato applicato, a volte, a una varietà di movimenti che mirano all’istituzione di uno stato ideale. Il collettivismo è uno schema di riforma decisamente formulato, sviluppato negli ultimi venti anni, che, grazie alla logica superiore della sua posizione, ha sconfitto tutte le teorie socialiste rivali in campo. In una parola il termine Collettivismo può essere utilizzato per

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29

indicare i mezzi generalmente accettati per arrivare al socialismo ideale»59.

Lo scopo del socialismo collettivista, era di aggiungere una centralizzazione economica a quella che era già una centralizzazione politica.

I collettivisti volevano cioè dare attuare una soluzione statalista al male supremo della società incarnato, secondo le loro idee, dalla libera concorrenza nella convinzione che il passaggio da una società competitiva ad una società basata sulla cooperazione potesse realizzarsi solo attraverso la nazionalizzazione di terra, di capitale, dei mezzi di produzione e di scambio. Alla base di quella convinzione c’è per Penty un equivoco sulle condizioni della stessa competizione:

«La competizione dei giorni nostri è differente dalla competizione del passato. La competizione esistente sotto il sistema delle Gilde si basava sulle ore, sulle condizioni di lavoro, sui prezzi etc., fissati necessariamente in materia di qualità. La competizione assumeva la forma di una rivalità rispetto alla maggiore utilità o bellezza della cosa prodotta»60.

Da queste parole è chiaro che la concorrenza non andava condannata in quanto male supremo in generale. Il vero problema era la moderna concorrenza, quella spietata, sleale, ossia la concorrenza capitalistica nella quale veniva meno il principio della qualità del lavoro e dei beni prodotti.

59 Ivi, p. 1 60 Ivi, pp. 1-2

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30 La concorrenza capitalista era basata, infatti, sul calcolo dell’interesse materiale, sul basso costo, sui materiali scadenti, sullo sfruttamento del lavoratore, perdendo quindi di vista l’obiettivo principale della produzione, il fatto che un determinato oggetto, oltre ad assolvere la funzione dell’uso, deve essere esteticamente bello: obiettivo questo destinato a venire meno con il passaggio da un lavoro di tipo artigianale a uno di tipo capitalistico, nel quale l’aspetto fondamentale non era più la produzione ma solo la distribuzione.

Il problema che la società contemporanea doveva affrontare era appunto il male del commercialismo e delle sue modalità di finanziamento della produzione, un male da cui derivava la grande dimensione d’impresa, la divisione del lavoro, l’uso e abuso dei macchinari.

L’intervento dello Stato, invocato dai collettivisti, non riguardava certamente la bellezza estetica degli oggetti, quanto l’aspetto più strettamente materiale della produzione, con l’illusione che il governo potesse e dovesse agire nell’interesse del consumatore, equilibrando i rapporti tra domanda e offerta e mettendo consumatore e produttore sullo stesso piano.

Lo Stato collettivista si ammantava di valori quali equità e giustizia, ma sul piano della pratica si manifestava illusorio e accentratore. Da qui la conclusione di Penty che: «Collettivismo significa commercialismo di Stato»61. Non è un caso allora che i

collettivisti vedano con interesse la crescita delle dimensioni dell’impresa capitalistica, la sua stessa tendenza ad organizzarsi in forma di trust a livello internazionale.

Più questo processo si consolida più si impone il fine e si semplifica l’opera della nazionalizzazione. Da qui lo stimolo allo sviluppo e all’uso delle macchine e, per loro

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31 tramite, alla produzione su larga scala, capace di moltiplicare la creazione di ricchezza a apparente vantaggio di tutta la comunità.

L’ulteriore stimolo alla divisione del lavoro e all’abbandono di tutti gli standard di qualità legati alla produzione avrebbero senso se il fine dell’uomo fosse quello di rendere ogni cosa economicamente vantaggiosa. La verità è invece che:

«l'uomo ha un'anima che desidera una certa soddisfazione e che il

progresso dell'invenzione meccanica lo degrada e lo sgomenta rendendolo sempre più schiavo della macchina. Il vero progresso sta lungo altre linee. Fino ad un certo punto è vero che l'invenzione meccanica è a vantaggio della comunità, ma queste invenzioni devono essere distinte dagli schiavi del commercialismo, testimoni dello stato malato della società. […] E quali sono le condizioni estreme che hanno determinato l'applicazione delle macchine all'industria moderna? Non la soddisfazione dei bisogni umani, ma la soddisfazione dell'istinto monetario»62.

La sostituzione del lavoro artigiano con un lavoro meccanico, basato sulla freddezza del processo seriale industriale, comporta inevitabilmente un lavoro privo di passione e sentimenti, incapace di creare pezzi unici ed esteticamente belli e armoniosi.

Una macchina può solo far risparmiare tempo e fatica, ma non può essere considerata un vantaggio in se stessa, in quanto, senza la macchina, ci sarebbe lavoro per un

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32 maggior numero di operai e per un maggiore tempo possibile63. In questo senso, l’introduzione della macchina, riducendo la domanda di lavoro, fa si che i lavoratori entrino in competizione e si dispongano ad accettare salari bassi. Inoltre il surplus ricavato non potrà essere reinvestito utilmente nella produzione, perché ciò comporterà l’aumento del costo delle materie prime, diminuzione dei salari o peggio ancora diminuzione della qualità dei prodotti.

Era effettivamente quello che stava accadendo agli inizi del Novecento, qualcosa che i capitalisti giudicavano un male necessario per lo sviluppo della crescita e le cui conseguenze negative dovevano perciò essere accettate dai lavoratori64.

A fronte della tendenza contemporanea a rimediare agli squilibri del rapporto tra produzione e distribuzione con una politica aggressiva di conquista di mercati esteri, di cui era manifestazione tipica quale imperialismo da cui gli stessi fabiani non si erano dissociati Penty suggerisce di invertire rotta, ossia puntare a ripristinare i mercati locali come via di approccio al recupero della “bellezza delle cose” e all’arte in se65

.

Il collettivismo ha si inteso combattere i mali portati dal liberismo su una regola di azione sociale basata sul laissez-faire, ma ha causato errori altrettanto gravi, sostituendo l’avarizia dei pochi con l’avarizia dei tanti66

, ponendo la propria attenzione esclusivamente su questioni materiali.

63 Ivi, pp. 2-20 64 Ivi, pp. 31-41 65

Penty propone l’esempio dell’India per affrontare il problema relativo ai paesi che, a causa di una scarsa presenza di industrie sul proprio territorio, in un primo momento puntano sull’importazione di beni dell’Inghilterra. A cui segue, però, una seconda fase caratterizzata da uno sviluppo industriale che blocca così l’importazione in quanto viene sostituita con la produzione interna. (The Restoration of the Gild

System, cit, pp. 21-24)

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33 Penty propone di attuare una svolta capace di porre fine all’imbarbarimento della società volgendo lo sguardo all’exemplum del passato:

«le vere battaglie della riforma devono essere combattute nell'industria, non nell'arena politica. Per abolire il commercialismo è necessario trasferire il controllo dell'industria dalle mani del finanziatore a quelle dell'artigiano, questo cambiamento dipende in ultima analisi dal recupero di un'onestà più scrupolosa nei confronti delle nostre relazioni commerciali»67.

Bisognava in particolare favorire il rilancio dell’agricoltura da un lato, e investire nel lavoro come “arte” al fine di rigenerare l’industria e ristabilire la bellezza e l’armonia della vita, dall’altro. Perché la via della riforma era imprescindibile, ma non necessariamente dal punto di vista politico. L’aspetto cardine è il reinvestimento del

surplus, come fine di rigenerazione dello spirito dell’uomo piuttosto che di consumo

della ricchezza68.

Che cosa fare dunque per salvare la società dai mali che l’affliggono e cosa fare per salvare l’uomo? Non resta che una risposta: ripristinare il sistema medievale delle gilde. A tal fine la forma di governo inglese doveva essere riformata, sostituendo la Camera dei Lord con un corpo rappresentativo delle gilde69.

Poi, fondamentale per la restaurazione delle gilde erano in particolare due forze. Da un lato vi era il movimento sindacale:

67 Ivi, p. 57 68 Ivi, pp. 57-62 69 Ivi, pp. 70-71

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34

«Già i sindacati con le loro organizzazioni elaborate esercitano molte delle funzioni svolte dalle gilde, come ad esempio, la regolazione dei salari e delle ore di lavoro, oltre al dovere sociale di dare un aiuto tempestivo ai malati e ai poveri. Come le Gilde, non sono creazioni politiche, ma organizzazioni volontarie che sono sorte spontaneamente per proteggere i più deboli membri della società contro l'oppressione dei più potenti»70.

I sindacati però si differenziavano dalle gilde per il fatto che non si facevano carico della “qualità” dei prodotti e per il fatto che non c’era obbligo per i lavoratori di diventarne a tutti i costi membri, in quanto i sindacati non hanno il monopolio sull’attività di produzione di questo o di quel bene71.

Dall’altro lato, come seconda forza fondamentale per la ricostruzione sociale, vi era il

Movimento delle Arti e Mestieri, ideato nel 1888 da William Morris che, da sempre,

esaltava il lavoro artigianale e qualitativo della produzione:

«Riconoscendo che la vera radice e la base di tutta l'arte si trova nell'artigianato, e che nelle condizioni moderne l'artista e l'artigiano sono diventati, a loro reciproco danno, fatalmente separati, il movimento delle arti e dei mestieri ha cercato di rimediare a questo difetto promuovendo la loro riunione»72.

70 Ivi, p. 73-74 71 Ivi, p. 73-74 72 Ivi, p. 77

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35 L’arte è l’opposto del commercialismo e il Movimento delle Arti e dei Mestieri, pur nella sua rivolta contro lo sfruttamento del lavoro meccanico, non ha potuto impedire che il commercio prendesse il sopravvento sull’arte73

.

In conclusione, Penty spiega che l’unica speranza per migliorare il futuro, per renderlo felice ed esteticamente bello, è di prendere esempio dal passato, rigenerando la vita spirituale della popolazione secondo alcune linee guida:

“ 1° La stimolazione di un pensiero sulle questioni sociali. 2° La restaurazione di uno spirito di riverenza per il passato. 3° La diffusione dei principi del gusto.

4° L’insegnamento degli elementi di moralità, soprattutto in relazione al commercio.

5°L’insistenza sulla necessità del sacrificio personale come mezzo per la salvezza sia dell’individuo che dello stato.”74

In assenza di una reazione adeguata a questi obiettivi, il materialismo avrebbe preso sempre il sopravvento sulla vocazione spirituale dell’uomo.

Penty nel 1913, pubblica sul settimanale The New Age un articolo omonimo del suo primo libro, argomentando ulteriormente le possibili vie utili per l’applicazione del sistema gilda.

73 Ivi, p. 81 74 Ivi, p. 96

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36 Se in precedenza aveva individuato tre modi diversi di avvio alla rinascita delle corporazioni (la modifica della forma di governo, l’importanza dell’organizzazione sindacale, il ruolo fondamentale del movimento delle Arti e Mestieri), propone adesso due ulteriori soluzioni, la prima:

«Coloro il cui interesse è principalmente limitato alle idee non potrebbero fare meglio che indirizzare le loro energie al recupero nella società del pensiero e dell'atmosfera del passato. Perché è indirizzata la coscienza pubblica dal futuro al passato che saranno ripristinati quei modi di pensare alle cose che sono una condizione indispensabile del successo di uno schema pratico che può essere intrapreso per restaurare le Gilde»75.

La seconda:

«Coloro che hanno una mentalità pratica dovrebbero occuparsi del compito di organizzare piccoli laboratori su base cooperativa, ciò che è la chiave della situazione. Da qualunque angolazione ci avviciniamo al problema industriale, questa sarà la posizione centrale che deve essere forzata»76.

75 A. J. PENTY, The Restoration of the Guild System, in «The New Age», Vol. XIII, No. 20, 1913, p. 571 76 Ibid

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37 In altre parole, se da un lato vi era una via ideologica, dall’altro vi era una via pratica; e da quest’ultima, intesa come fulcro per lo sviluppo vero e proprio del sistema gilda in particolare bisognava partire77.

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38

CAPITOLO II

TRA MONDO ANTICO E MONDO MODERNO

2.1 CONOSCERE IL PASSATO PER SALVARE IL FUTURO

Alla luce di tutto quello che era stato già proposto, spiegato e ribadito da Penty in diversi articoli sul The New Age, nel 1920, egli interpreta la storia dal punto di vista del movimento, dando così per la prima volta al socialismo delle gilde una propria identità78.

Egli fa degli eventi passati il filo conduttore per affrontare il problema sociale degli inizi del Novecento, nella convinzione che essi andranno ad influire nel futuro sia da un punto di vista positivo, sia negativo. E ancora una volta, egli enfatizza il Medioevo come epoca ideale al quale la società dovrà ispirarsi.

«E’ studiando il passato alla luce delle esperienze del presente e il presente alla luce del passato che noi possiamo ottenere una migliore comprensione tanto del presente che del passato»79. Lo studio del passato è importante affinché gli errori già verificati

78 Nel 1918 Penty aveva già pubblicato sul settimanale The New Age parte dei capitoli.

79 A. J. PENTY, A Guildsman’s Interpretation of History, George Allen & Unwin LTD, Londra, 1920,

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39 precedentemente non vengano replicati nel futuro e la conoscenza di ciò che è stato possa servire a migliorare ciò che sarà.

Non è questo il pensiero isolato di Penty. Tanti altri filosofi dell’epoca lo condividevano, ad esempio G. K. Chesterton che scrisse: « il passato è come un gigante

con i piedi rivolti verso di noi, talvolta questi piedi sono di argilla […] ritengo che la storia inglese sia travisata»80.

Chesterton, così come Penty, riteneva il Medioevo l’età dell’oro per il popolo inglese, vedeva l’epoca come il trionfo di un individuo libero, e anch’egli volle raccontare la vera storia dell’Inghilterra senza falsi o pregiudizi.

All’esperienza del passato andava perciò restituita la giusta importanza. Penty lo rivendica con questa precisazione:

«Alcuni aspetti dell'industrialismo sono nuovi al mondo, e il passato non ci offre una soluzione pronta per essi, ma per capirli è necessario conoscere i principi medievali, perché i problemi medievali come quelli del diritto e della moneta, dello Stato e delle Gilde, stanno dietro all'industrialismo e hanno determinato il suo sviluppo peculiare»81.

In questa trattazione e ricostruzione storica, risultano marcate due critiche: la prima nei confronti dei socialisti, in quanto Penty non solo non condivide la loro concezione materialista ma li accusa di ignoranza storica perché offrivano un’immagine distorta del passato. I socialisti, non essendo a conoscenza della storia Medievale, si approcciavano

80 G. K. Chesterton, A short History of England, Chatto & Windus, London,1919, p. 173 81 Penty, A Guildsman’s Interpretation of History, cit., p. 5

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40 con pregiudizi a questo periodo considerato come l’incarnazione della tirannia, della superstizione e della chiusura mentale, non a caso come “l’Età Buia”:

«Prendi in considerazione il modo in cui la parola Medioevo viene usata nella stampa quotidiana. In certi scrittori vi è l’abitudine a designare come medievale qualcosa che essi non capiscono o non approvano, indipendentemente dal fatto che sia effettivamente esistita nel Medioevo o meno»82.

Questo porta l’individuo a prendere le distanze dal passato, falsando gravemente la storia. Così Penty suggerisce un’unica soluzione per liberare l’uomo dai pregiudizi e dall’ignoranza: lo studio. Solo così l’individuo verrà a conoscenza dei veri fatti del passato e inoltre capirà che non è il Medioevo ma ciò che pone fine al Medioevo, la reintroduzione del diritto romano83, a produrre la nascita di quello che viene definito lo Stato Servile.

L’altra critica riguarda più particolarmentele teorie marxiste e coloro che le interpretano in modo errato: «le teorie sono false non a causa di ciò che dicono ma a causa di ciò

che lasciano intendere. Tali teorie, oggi, hanno credito perché il capitalismo ha minato tutte le grandi tradizioni del passato»84.

82

Ivi, cit. p. 85

83 Il diritto romano rimase in vigore fino alla caduta dell’Impero Romano a causa delle invasioni

barbariche. Venne poi ripristinato nel XVI secolo. In tutto questo tempo non scomparve del tutto ma di esso venne utilizzata solo una piccola parte. In proposito, A. Guarino, Storia del diritto romano, Editore Jovene, Napoli, 1990.

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41 L’analisi di Marx è, a parere di Penty, approssimativa per quanto riguarda i temi fondamentali. In concreto, egli comprese l’avvento di una forma di capitalismo già nell’Inghilterra del XVIII secolo ma non considerò i vari cambiamenti psicologici che gravavano sulla società conseguenti alla concorrenza sleale e spietata non solo tra industrie, ma soprattutto tra nazioni85. D’altra parte, con Marx, Penty condivideva diversi temi del lavoro: condannava l’alienazione dell’operaio all’interno della grande industria moderna; era favorevole al governo della classe del proletariato anche se, a suo parere, il fine ultimo del socialismo non doveva essere raggiunto necessariamente per via rivoluzionaria86. Non solo, ma Penty a differenza dei fabiani, riconosceva che Marx aveva avuto ragione a prevedere che il capitalismo, sotto un sistema di macchinari competitivi, avrebbe portato ad una grande e sempre più crescente massa di disoccupati, provocando la sua stessa crisi87.

Ma andiamo per gradi: Penty nella sua ricostruzione prende in esame un periodo molto vasto che va dal VII secolo a.C. fino alla situazione dell’Inghilterra contemporanea, con l’intento di dare giusto rilievo ai fatti storici utili a una interpretazione del passato coerente con il fine della restaurazione del sistema delle gilde.

85 Ivi, pp. 6-12

86 Per ulteriori approfondimenti vedere K. Marx, F. Engels, Manifesto del Partito Comunista, Einaudi,

Torino, 2005”

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42

2.2 ANTICHE CIVILTA’ E PRIMI PROBLEMI ECONOMICI

Nel mondo antico, il commercio avveniva in modo naturale tramite il baratto, e lo scambio si considerava concluso nel momento in cui entrambe le parti entravano in possesso dei beni dell’altro.

A partire dal VII secolo a.C., vi fu una svolta fondamentale per l’economia, in quanto l’individuo per l’acquisizione di una merce non doveva più cedere un proprio bene ma doveva utilizzare i metalli; vi fu quindi l’introduzione della moneta come vero e proprio sistema di pagamento e unità di conto. Da qui nacque una concezione materiale della vita legata al guadagno88.

Quest’evoluzione comportò una serie di stimoli all’acquisto e della vendita dei beni e conseguentemente lo sviluppo del commercio estero. Importante fu anche la specializzazione del lavoro artigiano e delle arti in genere, a cui per altro si accompagnarono anche aspetti negativi89:

«Insieme a indubbi vantaggi che una moneta fissa ha portato con sé, è venuto un male ignoto alla società primitiva, il problema economico. L'introduzione di una moneta ha creato una rivoluzione economica, comparabile solo a quella che ha seguito l'invenzione del motore a vapore in tempi più recenti»90.

88 Penty, A Guildsman’s Interpretation of History, cit., p. 14 89 Ivi, p. 13

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