3. UNO SGUARDO SUL TERRITORIO
5.3 Consapevolezza del territorio
Come scrisse Franco La Cecla “Ci sono dei luoghi, degli ambienti, delle città che indossiamo con più agio di altri… ci sentiamo adeguati a quei luoghi ed essi a noi” (La Cecla, 2004, pag. 88).
Il rapporto tra noi e l’ambiente che ci circonda è una relazione tra elementi interdipendenti ed affini, legati da un dialogo non verbale, destinati a plasmarsi reciprocamente, nel bene e nel male, con un continuo scambio materiale ed immateriale. Un disequilibrio, un’alterazione nel rapporto tra contenitore e contenuto provoca perdita di familiarità col proprio territorio, strappi nella rete di significati condivisi che definisce l’ambiente e modella l’abitante (ibid.).
Nella nostra cultura tale rapporto non viene riconosciuto, in quanto l’equilibrio di questo è frutto di una fisicità - nella sua esperienza sensoriale, nella percorribilità del territorio e nell’atavica equazione tra presenza e possesso - il cui superamento è un tratto essenziale della modernità. Ma se la meccanizzazione degli spostamenti, la telecomunicazione dei saperi e la digitalizzazione delle relazioni causano ignoranza del territorio (quale sacrificio offerto sull’altare del comfort ipertecnologico), una nuova consapevolezza può essere ricercata attraverso la riqualificazione proprio di quelle porzioni e di quei componenti che maggiormente hanno subito l’abbandono e l’oblio (come la rocca di San Silvestro) o, peggio, l’abuso (come il bosco della Sterpaia).
Non esistono in Italia zone prive di porzioni sfruttate e poi abbandonate, estromesse dall’utilizzo e dai percorsi abituali, degradate da destinazioni d’uso improprie. Il recupero di questi luoghi, la ricostruzione (o, spesso, l’invenzione) di un ruolo utile alla comunità ed al contempo consono alla loro natura, ne permette
77 la restituzione alla comunità stessa, non come servizio di cui fruire ma come risorsa di cui far buon uso (Bimonte e Pagni, 2003).
Percorsi di riqualificazione già intrapresi comprendono sia interventi volti a migliorare le condizioni ambientali pur permettendo la prosecuzione di radicati utilizzi delle aree coinvolte, sia azioni strutturali destinate a modificarne destinazioni e produzioni, dando nuova vita a manufatti non più produttivi e concertando pratiche alternative meno impattanti, anche con la riforestazione di spazi demaniali o inutilizzati ed il ripristino di elementi della morfologia naturale (Paolella, 2004). In questa direzione si sono mossi i Comuni della Val di Cornia nella costituzione della rete dei parchi; vari fabbricati dismessi e spesso pericolanti vennero ristrutturati e destinati all’accoglienza ed alla gestione dei flussi turistici (centri visite, ostelli, punti di ristoro etc.) alla manutenzione della rete stessa ed a mansioni di rappresentanza ed aggregazione comunitaria (come il Castello di Piombino o la Torre di San Vincenzo). Venendo destinati ai suddetti scopi - ricettivi, ricreativi, divulgativi e cerimoniali - tali luoghi, un tempo non più frequentati ed ora riciclati, vedono ufficializzati e stampati su mappe e segnali stradali i propri nomi. Questo percorso di riqualificazione e riuso contribuisce a riprendere confidenza con la toponomastica del proprio territorio: l’abitante riacquista familiarità con un luogo e con il suo nome, frutto del continuo processo culturale di appropriazione dell’ambiente, che diventa paesaggio.
I toponimi hanno un’origine spesso antica ed in generale sono stati coniati in circostanze non più presenti e talvolta oggi irrealistiche, pertanto parrebbero offrire all’attuale popolazione residente solo limitati spunti per la costruzione di una identità locale attualizzata. Ma i moderni tratti distintivi e costitutivi della cultura locale - tipici di un’era industriale ormai al tramonto - non resistono alla velocità ed all’aggressività dei mutamenti socioeconomici in atto: i simboli della cultura operaia ed i loisirs portati dal benessere e dalla crescita continua (vedi paragrafo precedente), elementi apparentemente radicati ma in vero solo adagiati sul fragile sostrato della civiltà industriale, stanno consumandosi e perdendo significati, sotto i colpi violenti del post industrialismo.
78 In Val di Cornia la rete dei parchi, valorizzando e restituendo la nomenclatura originaria a numerosi siti extraurbani, ha dato la possibilità alla popolazione residente di riprendere confidenza anche con i toponimi delle località oggetto del suddetto recupero funzionale, tassello imprescindibile nella ricostruzione di una consapevolezza, quanto meno fisica, della propria terra.
Parte essenziale ed imprescindibile della funzione identitaria del territorio è la sua dimensione economica, ovvero l’insieme degli usi produttivi che vengono fatti del territorio stesso. Le produzioni artigianali ed agro-silvo-pastorali ed il commercio locale sono fortemente connesse con la realtà fisica e culturale di un luogo e ne plasmano la percezione dei residenti, la toponomastica, l’orientamento e le forme di aggregazione (Gelosi, 2013). È appunto su tali settori che può consolidarsi un nuovo necessario sviluppo economico locale.
79 I dati sui flussi turistici in Toscana (vedi figura 23) evidenziano un maggior numero di presenze, rispetto alle medie nazionali, nelle mezze stagioni: da Marzo a Giugno e da Settembre a Novembre. Le potenzialità regionali di un’offerta turistica ampiamente diversificata, unite all’andamento generale sostanzialmente positivo dei settori turistici di natura, agricoltura, arte e cultura (vedi rapporti annuali sul Turismo IRTPET), suggeriscono la reale possibilità -anche in Val di Cornia - di programmare una stagionalità integrata estesa dall’inizio della primavera al periodo della Sagra di Suvereto25.
La produzione zonale degli alimenti valorizza le diversità territoriali e culturali ed è il terreno naturale su cui edificare un’agricoltura attenta alla sostenibilità ambientale, economica e sociale e le amministrazioni locali contribuiscono alla promozione qualitativa del territorio anche aggiudicandosi riconoscimenti pubblici delle proprie vocazioni economiche: San Vincenzo ottiene da anni la Bandiera Blu (per la qualità del mare, delle spiagge e dei servizi) e la bandiera Verde (per le spiagge a misura di bambino), oltre al riconoscimento del Presidio Slow Food sulla lavorazione della Palamita (Sarda Sarda); Suvereto la bandiera Arancione del Touring Club Italia, i marchi Città del Vino, Città dell’Olio e Città Slow e l’iscrizione ne “I Borghi Più Belli d’Italia”; Piombino la Bandiera Blu per il Parco della Sterpaia.
Gli attori principali del cambiamento non sono solo istituzionali: le associazioni di categoria degli agricoltori, i gruppi autorganizzati di consumatori (come ad esempio i Gruppi di Acquisto Solidale), le cosiddette “filiere corte”26, il movimento
per il commercio equo e solidale devono esserne protagonisti.
25 La Sagra del Cinghiale a Suvereto, dal 1968, conclude gli eventi autunnali della zona e richiama ogni
anno migliaia di visitatori.
26 I principi di base per una filiera corta sono tre: 1- la distanza tra il produttore ed il consumatore (vicinanza)
dovrebbe essere minima; 2- il numero di intermediari coinvolti nella filiera dovrebbe essere ridotto al minimo; 3- la comprensione e comunicazione tra il produttore ed il consumatore dovrebbe essere favorita il più possibile (Rivista Rurale dell’UE, n° 12, Estate 2012).
80 Un nodo essenziale della nuova economia rurale (così come si va delineando anche in Val di Cornia) sta proprio nella forma della filiera agroalimentare che regge quello scambio diretto e solidale tra produzione agricola e domanda “consapevole”. Si tratta di un vero mutamento strutturale in quanto ridefinisce la struttura della domanda, dell’offerta e dello scambio mercantile che sono le basi costitutive di ogni economia, discostandosi (più o meno marcatamente) dai predominanti modelli della modernizzazione tecnologica ed efficientista (Ferraresi, 2013). Agricoltura biologica, filiera corta, recupero/valorizzazione delle produzioni tradizionali, differenziazione qualitativa, adesione a disciplinari - denominazioni d’origine, presidi Slow Food, bandiere di vari colori - trovano una vetrina importante, nonché un tavolo di confronto, nel vecchio “istituto” folcloristico della sagra che, negli ultimi anni, è andato assumendo caratteri sempre più definiti sia sul piano valoriale che nei propri scopi economici. Da semplici riti di consumo collettivo con velleità di attrarre turismo, le sagre sono divenute sempre più scenografie per la rappresentazione selettiva di una tradizione rurale e marinara, se non autentica quantomeno autenticizzata, in cui un territorio va in scena proponendo un’estetica ed una cerimonialità che, rispondendo a ben riconoscibili strategie identitarie, diventa spunto di processi sia adattativi che ricreativi, dove si mescolano l’autentico ed il falso, senza necessariamente snaturare o impoverire il messaggio che si veicola (Vitellio, 2014). Attraverso un movimento alternato di recupero del vecchio e proposizione del nuovo, un “racconto” che a partire dal presente opera una selezione del passato, si contribuisce - non sempre inconsapevolmente - alla promozione e valorizzazione del territorio, attirando un flusso turistico prettamente di natura valoriale e vocazionale (Vitellio, 2014).
81 Figura 23: Distribuzione percentuale mensile delle presenze in Toscana e in Italia, anno 2014 (Fonte: Rapporto sul Turismo 2016, Unicredit e Touring Club
Italia)