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Il sistema dei parchi in Val di Cornia: un modello di riconversione locale.

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Academic year: 2021

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Sommario

INTRODUZIONE ... 3

PARTE PRIMA: AMBIENTE, PARCHI E TERRITORIO IN ITALIA ... 5

1. LA TUTELA AMBIENTALE IN ITALIA ... 6

1.1 Due parole per iniziare ... 6

1.2 Evoluzione normativa ... 8

1.3 Forme odierne del territorio ... 13

2. AMBIENTE E TURISMO ... 17

2.1 Ecoturismo e sostenibilità ... 17

2.2 Promuovere il territorio ... 23

2.3 Turismo sostenibile e turisti insostenibili ... 26

2.4 Un caso particolare: i gatti di Su Pallosu ... 30

PARTE SECONDA: IL SISTEMA DEI PARCHI IN VAL DI CORNIA ... 33

3. UNO SGUARDO SUL TERRITORIO ... 34

3.1 La Valle del fiume Cornia ... 34

3.2 Tracce storiche ... 34 3.3 Il tramonto dell'acciaio ... 46 3.4 Il Circondario ... 49 3.5 I parchi ... 50 3.6 Tutelare e valorizzare ... 58 4.FARE RETE ... 61

4.1 Una rete turistica sostenibile ... 61

4.2 L'iniziativa privata ... 63

4.3 L'impegno istituzionale ... 65

4.4 Il terzo settore ... 67

5. “SCHIACCIA E RISO FREDDO, LA DOMENICA A PERELLI” ... 70

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5.2 La bella vita ... 73

5.3 Consapevolezza del territorio ... 76

5.4 Ma, in fondo, noi, chi siamo? ... 81

CONCLUSIONI ... 83

BIBLIOGRAFIA ... 86

SITOGRAFIA ... 90

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Introduzione

La crisi del paradigma industriale, iniziata alcuni decenni fa ed il successivo ingresso del mondo nell’era post-industriale, prima e della globalizzazione, poi, ha messo sempre più in evidenza la necessità di ristrutturare, a tutti i livelli, da quello sovranazionale a quello strettamente zonale, i modelli di riferimento ed iniziare a riflettere sulle possibili alternative.

Con riferimento al nostro paese, la dimensione locale offre, senza dubbio, un punto di vista privilegiato per l’osservazione delle conseguenze, demografiche, economiche e sociali, del tramonto dell’industrialismo - e dell’idea di benessere e crescita illimitata in esso insite - e per la valutazione del grado di consapevolezza della crisi in atto e dell’efficacia delle contromisure adottate. La trasformazione sopra descritta ha colpito, infatti, duramente tutti quei territori che, facendo della produzione industriale il fulcro della propria economia ed offrendo, così, occupazione, erano riusciti a trasformarsi da aree periferiche della penisola in veri e propri poli di attrazione, crescendo, sotto la spinta dell’immigrazione, fino a diventare realtà urbanizzate consistenti e significative. Queste zone, riplasmate in funzione della produzione industriale, snaturate dalla presenza massiccia e pervasiva di edifici ed infrastrutture che alterano irrimediabilmente sia gli equilibri ecologici che la morfologia geografica e sociale preesistenti, vanno incontro, in conseguenza del rallentamento e, spesso, della cessazione delle attività produttive, ad un progressivo impoverimento, ad un inevitabile calo demografico ed all’urgenza di gettare le basi per una riconversione economica.

Il presente lavoro ha l’intento di illustrare un esempio di riconversione in atto, fino dagli anni ’90, nella Provincia di Livorno ed in particolare in Val di Cornia, una realtà territorialmente articolata e per molti versi emblematica, in quanto caratterizzata, fino dall’antichità, dalla compresenza, a livello produttivo, di industria ed agricoltura. L’area di riferimento comprende un centro urbano

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maggiore, la città di Piombino, cresciuto, nel corso del secolo passato, intorno ad un importante indotto siderurgico ormai da anni in grave crisi, alcuni centri minori, che conservano quasi intatta la struttura urbanistica e demografica originaria, vaste aree agricole ed un comune, San Vincenzo, la cui economia ruota quasi esclusivamente intorno al turismo balneare.

L’idea di partire dal sistema dei parchi, mio luogo di lavoro da ormai 12 anni, per ipotizzare una via plausibile di riconversione socio economica della zona, deriva, in gran parte, dalla mia esperienza professionale, che mi ha permesso di acquisire la diretta conoscenza sia dell’indotto turistico che delle relazioni economiche e sociali createsi sul territorio. Tale esperienza va a consolidare le mie idee ed i miei personali auspici su quale possa essere un modello di sviluppo percorribile e necessario per il territorio in oggetto.

La tesi si divide in due parti. Nella prima, si introducono concetti e tematiche fondamentali, quali la tutela ambientale, i parchi, le aree naturali e l’ecoturismo, con riferimento, in generale, all’esperienza italiana. Si illustra lo sviluppo nel tempo dell’attenzione all’ambiente ed al patrimonio storico-culturale, fornendone inquadramento teorico ed evoluzione normativa.

Nella seconda, si descrive, invece, nel dettaglio, il territorio della Val di Cornia, entrando nel merito delle sue caratteristiche geografiche ed identitarie specifiche. Si presentano, quindi, gli attori che, nel contesto dell’esperienza di riconversione economica in esame, interagiscono e cooperano per il raggiungimento dei comuni obiettivi - tutela, valorizzazione e promozione del territorio - nel tentativo, non semplice, di porsi, sempre di più, come valido rimpiazzo per un industrialismo non ancora del tutto scomparso, ma ormai chiaramente insufficiente a far fronte in modo adeguato alle emergenze economiche ed occupazionali locali.

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PARTE PRIMA: ambiente, parchi e

territorio in Italia

Figura 1: "Allegoria ed effetti del buono e del cattivo governo in città e nel contado" (particolare), Ambrogio Lorenzetti, 1338-39. (Fonte: pinterest.com)

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1. La tutela ambientale in Italia

1.1 Due parole per iniziare

Durante gli anni '90 l'Italia ha compiuto grossi passi in avanti nella tutela di ambiente e territorio, sia legislativamente che con la creazione di aree protette a vario titolo e livello - raggiungendo il 10,8% della superficie complessiva dello Stato (Atlante Geografico De Agostini, Novara 2008) - ed ha avviato percorsi condivisi con gli stati confinanti, come Francia, Austria e Slovenia, recuperando alcuni dei numerosi ritardi accumulati rispetto al resto dell'Europa occidentale. Gran parte del merito va attribuito all'impegno delle amministrazioni regionali e locali in genere; al contempo la sensibilità verso certi temi da parte della collettività è aumentata rapidamente, partendo dal pressoché totale disinteresse manifestato dagli italiani fino ai tardi anni '80 (Beato, 2004).

Tale interesse è osservabile e misurabile attraverso un'ampia e crescente varietà di comportamenti, dal rapporto fra i cittadini e l'associazionismo di settore - donazioni, tesseramenti, attività di volontariato - alla domanda commerciale di libri, periodici e pubblicazioni di ogni tipo, aventi ad oggetto temi ambientali e connessi.

La fruizione turistica di parchi ed aree naturali in genere, cui vanno affiancati necessariamente l'agriturismo, il turismo enogastronomico e la frequentazione di siti storici ed archeologici, è non soltanto esempio ma addirittura antonomasia del mutato atteggiamento di gran parte della società civile verso la cultura del territorio e delle sue componenti; questa considerazione nasce dall'idea che dietro ad un certo tipo di turismo vi sia la ricerca di un rapporto più diretto, più “fisico” con un luogo, attraverso l'individuazione di caratteri intimi e “radicali” dello stesso, come la storia, il paesaggio, gli aspetti vivi della quotidianità e quelli passati ed esposti nella vetrina delle tradizioni (Montanari, 2009). Inoltre è un

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dato di fatto l'incremento agrituristico avvenuto in Italia nell'ultimo decennio - mentre il restante turismo interno subiva una progressiva flessione - passando da 143.846 posti letto nel 2001 a 167.081 nel 2006, da 36.196 posti letto a 46.585 solo in Toscana (ISTAT, 2009).

Se da un lato, per usare le parole di Enzo Tiezzi, “cadono i miti della società tecnologica, della crescita materiale senza limiti, della fiducia cieca nella scienza e nella capacità illimitata della natura” (Tiezzi, 1992, pag. 15) almeno per una parte della popolazione, dall'altro sussistono forti resistenze retrive alle medesime istanze, frutto di dogmi economicistici coincidenti con interessi privati e particolarismi e dotati di immediate ed ineluttabili ricadute sull'informazione di massa e sulle scelte politiche degli stati nazionali. Un esempio fra i molti: il 2011 fu eletto dall’Onu come anno internazionale delle foreste (Federparchi, 2011); in Italia non lo ha saputo quasi nessuno, al di fuori della cerchia ristretta degli addetti ai lavori. Alla gente questa notizia non è giunta, non è stata trasmessa. Sarebbe stata invece una buona occasione per avviare una riflessione pubblica di rilevanza nazionale circa le strategie più opportune da adottare, nonché sul valore percepito del nostro patrimonio forestale ed ambientale in genere.

L'odierno marketing commerciale si è adattato sviluppando forme dialettiche, categorie d'immagini, parole d'ordine (eco, bio, verde, natura, vecchio/a, antico/a, tradizionale) che richiamano la paura per una perdita, il bisogno di conservare qualcosa di finibile e minacciato (Beato, 2004).

Secondo un'indagine GFK-Eurisko del 2009 gli italiani, complessivamente sensibili alle questioni ambientali ed ecologiche ed in apprensione per le stesse, si considerano poco o affatto informati e circondati da una giungla di messaggi confusi e spesso fuorvianti; la maggioranza asserisce di sentirsi in dovere di fare di più ma di non sapere esattamente come, di provare simpatia per aziende impegnate in campo ambientale, marchi ecologici e prodotti “verdi” ma temere green wash e comunicazioni non trasparenti, aspettandosi soprattutto un maggiore impegno delle istituzioni giudicate distanti da problemi prioritari come l'energia, il ciclo dei rifiuti, la sicurezza alimentare, la qualità dell'aria e delle acque. Ed in effetti una buona percentuale del campione mostra scarsissima informazione su molti dei temi proposti (Marketing Journal, 2009).

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Analogamente, un rapporto pubblicato dalla Commissione Europea sulle richieste e lamentele dei cittadini europei rivela un diffuso bisogno di maggiore informazione sull'impatto della chimica sulla propria salute (40% del campione), sull'uso di OGM in agricoltura (37%), diffusione ed effetti di erbicidi, pesticidi e fertilizzanti chimici (29%), inquinamento delle acque (28%) ed estinzione di specie animali e vegetali (27%).

Ad estensione e convalida del suddetto sentimento comune, è doveroso aggiungere come spesso le istituzioni, non soltanto sottostimino certi problemi, giudicandoli marginali e prorogabili, ma diventino addirittura complici di chi violi le norme in materia, concedendo permessi indebiti ed avallando scelte arbitrarie o semplicemente chiudendo gli occhi o perfino emanando atti amministrativi essi stessi illegali e permettendo scempi ambientali e crimini contro il territorio che sono chiamate ad amministrare (Santoloci e Stefutti, 2008).

1.2 Evoluzione normativa

L'interesse del legislatore per una tutela del territorio inizia con la Legge n. 778 del 1922 “Per la tutela delle bellezze naturali e degli immobili di particolare interesse storico”, che offre una protezione molto blanda e generica, così come è esemplificato nell'articolo 1 che dice: “sono dichiarate soggette a speciale protezione le cose immobili la cui conservazione presenta un notevole interesse pubblico a causa della loro bellezza naturale o della loro particolare relazione con la storia civile e letteraria. Sono protette altresì dalla presente legge le bellezze panoramiche”. Senza però approfondire il contenuto di tale speciale protezione, limitandosi ad una concezione meramente estetica del paesaggio.

Fu comunque la base normativa su cui edificare i primi Parchi Nazionali: il Gran Paradiso lo stesso anno ed il Parco Nazionale d'Abruzzo l'anno successivo. La 778 viene abrogata con la promulgazione della Legge del 29 giugno 1939, n. 1497 “Protezione delle bellezze naturali”, la quale definisce, all'art. 1, gli oggetti della protezione - ovvero le “bellezze” da proteggere - mostrando un primario

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interesse verso gli elementi antropici dello stesso e solo secondariamente “ le bellezze panoramiche considerate come quadri naturali e così pure quei punti di vista o di belvedere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze”. Già da questo primo articolo è evidente l'esclusiva attenzione alle necessità umane, cioè economiche, culturali e patrimoniali, proseguendo col fissare diritti e doveri dei “proprietari, possessori o detentori” (artt. 7-10), criteri per il perseguimento di attività produttive (artt. 11 e segg.) e vari riferimenti ad un generico diritto di godimento a quella che definirei una evidenza paesaggistica con intenti museali.

Dopo tale atto, peraltro di scarsa efficacia e nebulosa applicabilità, l'Italia non conoscerà altre norme sull'argomento per circa mezzo secolo, cioè fino alla c.d. Legge Galasso del 1985, se non alcuni provvedimenti a vario titolo e grado riguardanti l'edilizia, i piani urbanistici e le opere idrauliche - doverosi quanto perlopiù disattesi - nonché un paio di norme volte a tutelare gli ecosistemi acquatici e gli ambienti fisici costieri, fluviali e lacustri: il D.P.R. 13 marzo 1976, n. 448 (che dà piena esecuzione nell'ordinamento italiano della Convenzione di Ramsar del 1971) ed il D.M. 21 settembre 1984 (del Ministero per i beni culturali ed ambientali) “Dichiarazione di notevole interesse pubblico dei territori costieri, dei territori contermini ai laghi, dei fiumi, dei torrenti, dei corsi d'acqua, delle montagne, dei ghiacciai, dei circhi glaciali, dei parchi delle riserve, dei boschi, delle foreste, delle aree assegnate alle università agrarie e delle zone gravate da usi civici”.

Il 2 febbraio 1971, presso la cittadina iraniana di Ramsar, l'Ufficio Internazionale per le Ricerche sulle Zone Umide e sugli Uccelli Acquatici (IWRB-International Wetlands and Waterfowl Research Bureau) organizzò una conferenza internazionale a cui parteciparono molti paesi, istituzioni scientifiche ed ONG, avente ad oggetto le “zone umide d'importanza internazionale”. L'obiettivo era di porre un freno alla rapida distruzione delle aree umide (soprattutto costiere, come le lagune salmastre maremmane) in atto su tutto il pianeta, rivolgendo particolare attenzione ai siti di nidificazione dell'avifauna limicola e marina; benché la Convenzione stipulatavi sia tutt'oggi attiva ed abbia allargato sia le proprie finalità che i paesi aderenti (nel maggio 2010, 159 stati per

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totali 1889 siti individuati, di cui 51 in Italia), la sua reale efficacia nel coordinare ed indirizzare le politiche locali rimane assai scarsa.

La Convenzione viene ratificata in Italia appunto nel 1976, successivamente alla Legge 22 luglio 1975, n. 382 che sanciva la competenza (anche “cumulativa e concorrente”) di Stato e Regioni circa la “tutela del patrimonio paesaggistico”. Da detta norma prende avvio il suddetto Decreto del 1984 che allarga gli elenchi delle “bellezze naturali” previsti dalla Legge del 1939 includendovi un'ampia tipologia di beni ambientali sia fisici (coste, laghi, montagne, ecc.) che istituzionali (parchi, riserve, ecc.).

Ma la prima norma organica per la tutela dei beni ambientali e la Legge 8 agosto 1985, n. 431 - detta “Galasso” dal nome dell'allora Ministro dell'ambiente - che converte il D.L. 312/85. La norma rivede ed amplia le tipologie dei beni soggetti a vincoli includendovi le “zone di interesse archeologico” che, per la prima volta, vengono considerate elementi propri del territorio. Divengono soggette all'approvazione ministeriale le attività edilizie, produttive ed estrattive in boschi e foreste anche non facenti parte di parchi o riserve, mentre sono garantiti tutti gli usi civici tradizionali - definiti “attività agrosilvopastorali” - purché non causino alterazioni permanenti dei sistemi ambientali. Le regioni sono tenute a redigere un Piano Paesistico del proprio territorio che includa aree individuate con precisione in cui viga la totale inedificabilità - almeno fino all'adozione di atti contrari ma motivati - con particolare riguardo per le aree alpine al di sopra dei 1600 metri, aree appenniniche al di sopra dei 1200 metri, a distanza di 300 metri dalla riva del mari e 150 metri dalle sponde di fiumi e torrenti, nonché vulcani, paludi, aree di interesse archeologico e destinate al rimboschimento; ed eventuali abusi non sono più sanabili. Nonostante il grave ritardo con cui l'Italia si dota di una norma così basilare (nel senso letterale del termine) e l'entusiasmo con cui viene accolta da parte della società civile, essa subisce la stessa incuria e disapplicazione di quasi tutti i provvedimenti del settore, venendo spesso

ignorata dalle varie amministrazioni regionali e non solo. Un'altra norma molto attesa da tempo e di enorme importanza è la 394 del 6

dicembre 1991 “Legge quadro sulle aree protette”, la cui finalità è dettare “principi fondamentali per l'istituzione e la gestione delle aree naturali protette”, scopi delle

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quali diventano non solo la conservazione, difesa e gestione, ma anche promozione e ricostruzione di oggetti con nomi forse mai sentiti prima in ambito normativo: biotopi, associazioni vegetali, equilibri idraulici, formazioni geomorfologiche e paleontologiche! L'Art. 2 fornisce una classificazione organica ed esaustiva dei vari tipi di parchi e riserve, dei relativi organi e loro funzionamento; vengono inoltre definite e ripartite le competenze istituzionali, fra Stato ed amministrazioni locali, circa l'individuazione, l'istituzione e l'organizzazione delle aree protette. Nasce il Comitato per le aree naturali protette, presieduto dal Ministro dell'ambiente e composto da altri 4 ministri (agricoltura e foreste, marina mercantile, lavori pubblici ed università e ricerca) nonché da 6 governatori regionali (di nomina triennale) e dalla Conferenza permanente per i rapporti tra Stato e regioni; compito del Comitato è dettare “le linee fondamentali dell'assetto del territorio con riferimento ai valori naturali ed ambientali”, successivamente adottate con D.P.C.M. La Consulta tecnica per le aree naturali, invece, è costituita da 9 esperti nominati dal Ministero e fornisce “pareri sui profili tecnico-scientifici”. A tali organi sono da aggiungere l'Agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente (ANPA) e le omologhe agenzie regionali (ARPA) istituite con D.L. 4 dicembre 1993, n. 496 svolgenti ruoli di vigilanza, consulenza e supporto tecnico-scientifici. Con il D.L. 29 ottobre 1999, n. 490 riguardante sia i beni ambientali che quelli culturali, si ha un Testo Unico in materia ambientale e paesaggistica.

È in attuazione della legge quadro 394 che la Regione Toscana partorisce la L.R. 11 aprile 1995, n. 49 che detta le norme per l'individuazione, istituzione ed organizzazione di Parchi regionali, Riserve naturali provinciali ed Aree naturali protette d'interesse locale (ANPIL) di cui tratteremo più avanti. Assieme alla L.R. 3/1994, che riordina il sistema venatorio ed incrementa la tutela della fauna selvatica, la Regione comincia a dotarsi di un impianto normativo aggiornato e coerente per la protezione del proprio patrimonio naturale, fino ad arrivare alla L.R. 6 aprile 2000 n. 56 “Norme per la conservazione e la tutela degli habitat naturali e seminaturali, della flora e della fauna selvatiche”, norma importantissima ed innovativa che contempla in maniera ampia e dettagliata la biodiversità regionale ed i differenti biotopi riscontrabili e che nasce in

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ottemperanza alla Direttiva Habitat 93-43-CEE e, successivamente, la L.R. 3 gennaio 2005 n. 1 “norme per il governo del territorio”.

Lo stesso anno Firenze ospita la Convenzione Europea sul Paesaggio la quale, oltre a dare una definizione univoca e condivisa di paesaggio, dispone i provvedimenti in tema di riconoscimento e tutela, che gli stati membri si impegnano ad applicare. Vengono definite politiche ed obiettivi per la salvaguardia e la gestione del patrimonio paesaggistico, nonché riconosciuta la sua importanza culturale, ambientale, sociale e storica quale componente del patrimonio europeo ed elemento fondamentale a garantire la qualità della vita delle popolazioni, fonte di “diritti e responsabilità per ciascun individuo”. Emerge la sua natura antropica, ovvero l'importanza ricoperta dall'azione umana e dei “paesaggi della vita quotidiana” indipendentemente da prestabiliti canoni di bellezza o originalità, compresi “i paesaggi degradati”.

La normativa in Toscana è attualmente riunita nel nuovo Testo Unico sulle aree protette L.R. n. 30 del 19 marzo 2015 "Norme per la conservazione e valorizzazione del patrimonio naturalistico-ambientale regionale", che abolisce la L.R. 49/95 e conseguentemente le ANPIL (oltre che Riserve e Parchi provinciali), portando ogni area protetta non nazionale in Toscana sotto la competenza della Regione ed istituendo la fattispecie della Riserva Naturale Regionale.

Per finire, la L. 15 dicembre 2004 - e seguente Decreto attuativo del 2006, constante di ben 318 articoli - disciplina in modo dettagliato le procedure per la Valutazione ambientale strategica (VAS) e la Valutazione d'impatto ambientale (VIA), gli interventi a difesa del suolo e contro la desertificazione, la tutela di acque ed aria contro l'inquinamento, la gestione delle risorse idriche, le politiche sul ciclo dei rifiuti, la bonifica di siti contaminati, la riduzione delle emissioni ed i risarcimenti per danni ambientali. Purtroppo tali prescrizioni difficilmente sono uscite dalla carta, destino comune a quasi tutte le norme sopra citate, rimanendo più come fonti di ricorsi titanici da parte di operatori coscienziosi e volenterosi, che come strumenti normativi per la costruzione di percorsi virtuosi da parte dei gestori della cosa pubblica.

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1.3 Forme odierne del territorio

Il paesaggio italiano reca i segni delle devastazioni subite dalla ricostruzione nel dopo guerra fino ad oggi, soprattutto negli anni '60 e '70; ovvero gli “anni d'oro” delle lottizzazioni e dell'abusivismo edilizio1. Furono coinvolte

principalmente località allora limitrofe ad aree urbane, ma in gran parte anche coste, argini di fiumi e fossi, montagne, boschi e zone agricole, quest'ultime già vittime del progressivo inurbamento della popolazione, tant'è che fra il 1967 ed il 1997 il calo di terreno agricolo è stato del 20%, contro il 2% medio europeo (Pratesi, 2001). Di fatto siamo il paese più edificato dell'intera Unione Europea, dieci volte di più del Regno Unito (Tozzi, 2011).

Negli ultimi decenni si sono visti proliferare grandi assembramenti di centri commerciali, le c.d. “shopville”, ovvero sterminate distese uniformi di asfalto e cemento in mezzo alla campagna che hanno mangiato quantità spaventose di suolo, modificando imprevedibilmente l'assetto geologico di altrettante località ed impermeabilizzando le superfici interessate, convogliando pioggia direttamente nelle reti di smaltimento delle acque reflue. Un problema tanto grave quanto sottovalutato, quello della perdita di suolo, che influisce pericolosamente sia sulla tenuta idrogeologica che sull'assorbimento delle acque da parte del terreno (Petrini, 2011).

Oltre al ritardo incredibile con cui tutti i comuni italiani si sono dotati di piani regolatori efficaci, c'è sempre stata una diffusa visione della copertura edilizia come strumento e prova di modernizzazione e sviluppo socioeconomico, per cui moltissime amministrazioni locali hanno favorito opere deleterie per gli equilibri biologici ed idrogeologici dei propri territori, fino ad ignorare volutamente quelle norme che ponessero vincoli allo sviluppo urbanistico, industriale e turistico (Santoloci e Stefutti, 2008).

1 Da una ricerca del Ministero dei Lavori Pubblici del 1968, sembra che più di 2.200 comuni presentassero

circa 18.000 lottizzazioni, pari a 115.000 ettari, con 18 milioni di vani per complessivi 1.754 milioni di metri cubi (Pratesi, 2001).

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Come precedentemente scritto, certi atteggiamenti e comportamenti, da parte sia pubblica che privata, sono radicati anche nel presente, ma la citata accresciuta sensibilità ecologica e/o ambientale e l'impegno assiduo dell'associazionismo, sia su scala nazionale che localissima, hanno frenato gran parte di questo processo distruttivo e spinto le amministrazioni stesse all'adozione di provvedimenti tutelativi laddove fossero assenti o carenti ed alla effettiva applicazione di norme altrimenti disattese.

Oltre alle pratiche fin qui citate, sono intervenuti - ed intervengono tutt'oggi - a depauperare il patrimonio paesaggistico ed ecosistemico nazionale altri fenomeni dannosi come: i grandi vuoti aperti nella flora messicola e marginale2

ad opera di erbicidi chimici e rimozioni meccaniche, soprattutto per agevolare la manovra di macchinari agricoli sempre più ingombranti; la confluenza massiccia nelle zone umide (stagni, fossi, risaie, ecc.) di pesticidi agricoli e scarichi civili spesso provenienti dalle residenze turistiche proliferate lontano dai centri urbani, che ha devastato fauna e flora limicole (soprattutto gli anfibi); il diradamento - se non l'eliminazione - della vegetazione ripariale, che ha gravemente indebolito la tenuta degli argini di fiumi, laghi e torrenti; la distruzione della fascia dunale su oltre metà delle coste sabbiose - ad uso di un mal concepito sviluppo turistico - ed il conseguente fenomeno disastroso dell'erosione costiera; infine, l'annoso problema degli incendi che, per quanto abbia un forte impatto sull'opinione pubblica, è fra i fenomeni elencati il meno drammatico, in quanto un bosco bruciato può ripristinarsi autonomamente in pochi decenni (Pratesi, 2001). A tutto questo va aggiunto lo stato di grave abbandono in cui versano molti edifici storici, spesso antichi, lasciati colpevolmente agli assalti del tempo e della gravità.

Nonostante le reiterate ed accanite aggressioni subite soprattutto negli ultimi sessanta anni, rimane caratteristica persistente ed irrinunciabile dell'ambiente italiano la fusione armonica dei caratteri naturali, biologici e geologici, con i continui apporti antropici che testimoniano la convivenza ancestrale

2 Per flora messicola si intende quelle specie spontanee che colonizzano i campi a maggese o abbandonati

ed i pascoli (compresi i c.d. “fiori di campo”); l'ambiente marginale invece comprende la rete di siepi, filari, boschetti isolati e fossi che separa tra loro campi coltivati e fondi agricoli, habitat di numerose specie animali tipiche della campagna toscana.

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plurimillenaria fra natura e cultura, in un continuum di reciproci adattamenti. Il paesaggio quindi rappresenta un patrimonio culturale complesso e “sedimentario”, almeno dove non siano stati completamente stravolti i tratti e i simboli dell’identità geografica, un'identità costituita di ogni componente - materiale e simbolico, naturale e culturale - di un territorio. Per questo concordo con chi sostiene che l'esistenza di due distinti Ministeri (Beni Culturali ed Ambiente) “sia un atto di non cultura che non fa altro che creare confusione tra le competenze, rendendo labile e lontano il progetto di una gestione unitaria nel governo del territorio” (Re, 2010, pag. 2).

Tutt'oggi moltissimi luoghi custodiscono, in forma attuale ma coerente con la propria evoluzione economica e culturale, i segni delle relazioni fra il territorio e le comunità che vi si sono succedute, forme molteplici e genuine della stupefacente varietà del paesaggio italiano. Si è dimostrata una valente spinta in questa direzione l'istituzione dei parchi - in particolar modo nazionali e regionali - che ha compensato certe limitazioni alle varie attività produttive (ritenute incompatibili con le finalità di tutela e valorizzazione dei parchi stessi) proponendo forme di sviluppo legate ai caratteri attrattivi delle varie zone sottoposte a vincoli di tutela.

In particolare, il paesaggio toscano è fra i più celebrati nel mondo sin dai diari del “grand tour” europeo a cavallo dei tre secoli passati. Le sue caratteristiche più marcate originano in gran parte dal sistema mezzadrile, che ha scavato solchi duraturi sia nella forma materiale del territorio, coi poderi, le orciaie, le carraie, le ville con parchi e padiglioni e gli abbondanti biotopi marginali, sia nella cultura delle popolazioni rurali, comprese quelle dei piccoli borghi (Ciuffoletti, 2002).

Negli ultimi anni la pur faticosa ripresa delle attività agricole, mossa soprattutto dal rilancio di vitivinicoltura ed oleicoltura e dal diffondersi dell'agriturismo e dei sistemi di certificazione dei prodotti agroalimentari, è stata accompagnata da un nuovo interesse per il territorio e ciò che lo compone, interesse spesso ludico, accademico o campanilistico, ma comunque sintomo di una latente volontà di ricomporre qualcosa che si è perso o deteriorato.

Sintomi evidenti di tale attenzione sono sia l'impegno nella produzione agricola di qualità di un numero crescente di giovani imprenditori, sia il recupero

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ad uso abitativo di numerosi edifici rurali, recupero spesso accompagnato dal mantenimento (o addirittura il rilancio) delle attività produttive tradizionali, anche se questo lo dobbiamo in gran parte a fenomeni di gentrification abbastanza comuni in Toscana, laddove numerosi anziani hanno deciso di trasferirsi nei centri abitati, per avvicinarsi ai figli ed ai servizi pubblici essenziali, vendendo il vecchio casolare o annesso agricolo ad acquirenti facoltosi provenienti dalle città od anche dall'estero.

Ciò ha favorito - unitamente ad altri fattori - la riproposizione in molte aree di stilemi paesaggistici preindustriali o quantomeno percepiti tali dall'immaginario comune.

In conclusione possiamo affermare, permettendoci un pizzico di retorica, che la gestione del territorio è una delle grandi scommesse sul futuro, nonché terreno di scontro fra interessi particolari e collettivi, probabilmente più che in altri stati europei. Al momento attuale vi incombono scelte politiche di rilievo strategico che, una volta perfezionate, entrerebbero in contrasto lampante con i principi di tutela e valorizzazione del patrimonio ambientale, paesaggistico e culturale e con le esigenze di riequilibrio idrogeologico dell'intero paese. Le carte che sono sul tavolo sono tali da fare di questa scommessa un investimento oppure un azzardo.

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2. Ambiente e turismo

2.1 Ecoturismo e sostenibilità

Il termine ecoturismo venne coniato dall'architetto messicano Héctor Ceballos Lascuràin nel 1983 e ripreso da Michael Romeril (“eco-turism”) in un articolo del 1985 sull'International Journal of Environmental Studies, che dette notorietà al neologismo; nel 1988 lo stesso Ceballos Lascuràin ne dettò una prima definizione esaustiva (Montanari, 2009).

Sono molti anni ormai che si discute di come un tipo di turismo interessato agli aspetti naturalistici di una meta possa essere d'aiuto e stimolo per la tutela di un territorio e la conservazione del suo patrimonio naturale e culturale ed è indubbio che la riconversione turistica abbia rappresentato un obiettivo intrigante nella costituzione di grandi aree protette.

Il concetto di valorizzazione è infatti centrale per il superamento di certe conflittualità verso le esigenze di tutela da parte degli abitanti e delle amministrazioni delle aree coinvolte: forme di sviluppo turistico realizzate secondo principi di responsabilità e rispetto verso le comunità locali ed il loro patrimonio ambientale e culturale sono ampiamente accettate e riconosciute come strumenti privilegiati per un rilancio sostenibile di territori spesso in forte declino produttivo e demografico (Cannas e Solinas, 2005). Sono proprio le scelte già avvenute verso tale sostenibilità ad indicare la strada da seguire per lo sviluppo futuro di molte aree d'Italia, sedotte ed abbandonate dai miti dell'era industriale: puntare sulla qualità e l'autenticità dell'offerta turistica (anche a scapito della quantità degli afflussi) sarà indispensabile per evitare la banalizzazione del prodotto e il conseguente crollo di competitività (Montanari, 2009).

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L'offerta ecoturistica parte negli anni '70 su iniziativa di alcuni operatori privati, sia europei che nord americani, spesso ispirati dalle politiche di accoglienza praticate dall'US National Parks Service (da molti ritenuto il vero fondatore dell'ecoturismo)3. Si trattò per lo più delle medesime aziende che per prime

iniziarono a lanciare pacchetti sempre meno rigidi e massificati, avviando un processo di progressiva differenziazione dei packages che verrà più tardi battezzato, con ammirevole sforzo di fantasiosa originalità, “new tourism” (Mowforth e Munt, 1998) e che mirava alla personalizzazione - da parte del cliente - ed alla specifizzazione - relativa alle peculiarità della destinazione - dell'offerta turistica.

Un contributo determinante per lo sviluppo turistico – anche sostenibile – è dato dalla L. 28 Marzo 2001 n°135 che, all'Art. 5, istituisce i Sistemi Turistici Locali (STL), strumenti essenziali alla programmazione dello sviluppo locale, anche attraverso la trasformazione de “le risorse in prodotti” (Costa, 2008 in Montanari, 2009, pag. 98). La legge definisce STL “i contesti turistici omogenei o integrati, comprendenti ambiti territoriali appartenenti anche a regioni diverse, caratterizzati dall'offerta integrata di beni culturali, ambientali e di attrazioni turistiche, compresi i prodotti tipici dell'agricoltura e dell'artigianato locali, o dalla presenza diffusa di imprese turistiche singole o associate” (Art. 5, comma 1), da promuoversi su iniziativa di enti pubblici locali od anche soggetti privati, tramite la concertazione di tutti gli stakeholders4 del settore turistico (Art. 5, comma 2). I

singoli Sistemi Turistici Locali vengono riconosciuti dalla Regione, che si fa carico del cofinanziamento dei progetti di sviluppo (commi 3 e 4) assieme al Ministero dell'industria, commercio ed artigianato (comma 5).

3 “Non portar via che fotografie, ricordi ed emozioni, non lasciare che l'impronta del tuo piede” (motto

dell'US National Parks Service).

4 Il termine “stakeholder”, che indica chiunque sia portatore di qualsiasi tipo di interesse verso un'azienda,

un settore o un progetto, compare per la prima volta nel 1963 nell'omonima teoria economica elaborata presso il Research Institute dell'Università di Stanford e ripreso da Robert E. Freeman in “Strategic management: a Stakeholder approach” (1984).

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Quindi, non un semplice ente promozionale come le APT, ma uno strumento di programmazione economica, di cui appare evidente quale contributo possa dare al modello di sviluppo che stiamo trattando.

Nel 1994 la Federazione EuroParc, organizzazione internazionale per le aree protette europee, pubblicò la Carta Europea per il Turismo Sostenibile nelle Aree Protette (ECSTPA) i cui scopi strategici erano il miglioramento della conoscenza delle aree protette, il sostegno e l'indirizzo dei programmi di tutela e lo sviluppo sostenibile del turismo, il tutto nell'ottica della difesa delle risorse, pensando sia alle generazioni presenti che a quelle future. A tal fine risulta vincolante per le istituzioni pubbliche, private ed associative firmatarie, che si impegnano alla reciproca collaborazione nell'ambito della propria realtà territoriale.

In un documento specifico EuroParc detta i Princìpi della Carta, esattamente come di seguito riportati:

Lavorare in partnership

Per coinvolgere tutti coloro che sono implicati nel settore turistico dell’area protetta, per il suo sviluppo e la sua gestione.

Un forum permanente, o una struttura equivalente, dovrebbe essere istituita tra le autorità dell’area protetta, gli enti locali, le organizzazioni ed i rappresentanti dell’industria del turismo. Collegamenti con soggetti regionali e nazionali dovranno essere attivati e resi effettivi.

Elaborare e realizzare una strategia

Per predisporre e rendere effettiva una strategia per il turismo sostenibile ed un piano d’azione per l’area protetta.

La strategia dovrà basarsi su attente valutazioni ed essere approvata e condivisa dai soggetti locali coinvolti. Essa dovrà contenere:

• Un’individuazione dell’area interessata dalla strategia, che può estendersi anche all’esterno dell’area protetta;

• Una descrizione dell’area naturale, del patrimonio storico e culturale, delle infrastrutture turistiche, e delle condizioni economiche e sociali dell’area, considerando problematiche, necessità, potenzialità ed opportunità;

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• Una descrizione del turismo attuale e del potenziale mercato turistico futuro; • Un elenco di obiettivi strategici per lo sviluppo e la gestione del turismo, con

attenzione a:

 Conservazione e miglioramento dell’ambiente e del patrimonio culturale;  Sviluppo sociale ed economico;

 Tutela e miglioramento della qualità della vita delle comunità locali;  Gestione dei visitatori e miglioramento della qualità del turismo proposto. • Un piano d’azione per raggiungere questi obiettivi;

• Un’indicazione di risorse e partner per rendere effettiva la strategia; • Proposte per il monitoraggio dei risultati.

Inquadrare gli aspetti chiave

Ogni area protetta ha le sue caratteristiche peculiari. Le priorità strategiche ed i programmi di azione dovranno essere determinati localmente, tenendo conto delle indicazioni sopra descritte. In ogni caso, i seguenti nodi chiave dovranno essere attivati:

1) Tutelare e migliorare il retaggio naturale e culturale dell’area, attraverso il turismo, ma al contempo per proteggere l’area da uno sviluppo turistico sconsiderato:

• Un monitoraggio dell’impatto sulla flora e la fauna ed il controllo del turismo nelle aree sensibili;

• L’incoraggiamento di attività, includendo servizi turistici, che garantiscano il rispetto del patrimonio storico, della cultura e delle tradizioni;

• Il controllo e la riduzione delle attività, includendo quelle del turismo impattante, che: producono effetti negativi sul territorio, sull’aria, sull’acqua, utilizzano le risorse non rinnovabili; e che creano inutili rumori e sprechi; • Incoraggiando i visitatori e l’industria del turismo a contribuire alla

conservazione.

2) Garantire ai visitatori un elevato livello di qualità in tutte le fasi della loro visita: • Analizzando le aspettative ed il livello di soddisfazione dei visitatori attuali e

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• Tenendo conto delle esigenze dei visitatori portatori di handicap;

• Sostenendo iniziative di verifica e miglioramento della qualità dei servizi e delle strutture.

3) Comunicare efficacemente ai visitatori le caratteristiche proprie ed uniche dell’area:

• Assicurando che la promozione dell’area si basi su immagini autentiche, e sia sensibile alle necessità ed alle potenzialità dei diversi luoghi e nei diversi periodi;

• Garantendo prontamente informazioni accessibili e di buona qualità sull’area e le zone limitrofe; ed assistendo le imprese turistiche per questo;

• Garantendo strutture per l’educazione e servizi per l’interpretazione dell’ambiente dell’area protetta e delle risorse per i visitatori e le comunità locali, coinvolgendo anche le scuole ed i gruppi.

4) Incoraggiare un turismo legato a specifici prodotti che aiutino a conoscere e scoprire il territorio locale:

• Proponendo e sostenendo attività, eventi ed iniziative che prevedano l’interpretazione della natura e del patrimonio culturale.

5) Migliorare la conoscenza dell’area protetta e gli aspetti di sostenibilità tra tutti quelli legati al turismo:

• Proponendo o garantendo programmi di formazione per gli operatori delle aree protette, di altre organizzazioni e delle imprese turistiche, sulla base di una valutazione delle esigenze formative.

6) Assicurare che il sostegno al turismo non comporti costi per la qualità della vita delle comunità locali residenti:

• Coinvolgendo le comunità locali nella pianificazione del turismo nell’area; • Assicurando una buona comunicazione tra l’area protetta, le comunità locali e

i turisti;

• Individuando e cercando di ridurre e contenere i conflitti che possono sorgere. 7) Accrescere i benefici provenienti dal turismo in favore dell’economia locale: • Promuovendo l’acquisto di prodotti locali (alimenti, servizi locali…) da parte dei

visitatori e delle imprese turistiche;

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8) Monitorare ed influenzare il flusso di visitatori a ridurre gli impatti negativi: • Tenendo un registro del numero di visitatori diviso per tempi e luoghi,

includendo il riscontro delle imprese turistiche locali; • Creando e/o migliorando il piano di gestione dei visitatori;

• Promuovendo l’utilizzo del trasporto pubblico, della bicicletta e di percorsi a piedi come alternative all’utilizzo delle auto private;

• Controllando l’avvio e lo stile di ogni nuovo sviluppo del settore turistico (fonte: EuroParc Federation).

La Carta impegna tutti i firmatari - amministrazioni locali e gestori delle aree protette - ad “accettare e rispettare i principi dello sviluppo sostenibile enunciati nella presente Carta, adeguandoli al contesto locale” e “coinvolgere tutti gli operatori turistici locali nello sviluppo e nella gestione, sia quelli all'interno che quelli esterni all'area protetta”, nonché a pianificare strategie quinquennali (definite “a medio termine”) di sviluppo turistico sostenibile (ECSTPA, pag. 6).

Gli strumenti basilari dettati sono le valutazioni complete del patrimonio ambientale, culturale e storico dall'area interessata, una analisi dei flussi turistici attuali e storici, una verifica circa l'allocazione delle risorse esistenti e l'elaborazione di progetti aventi come obbiettivi strategici: conservazione e

valorizzazione del patrimonio suddetto, sviluppo socio-economico,

miglioramento della qualità della vita per i residenti, fissazione e valorizzazione dell'offerta turistica e gestione delle visite. Obbiettivi senza dubbio ambiziosi, specie per delle amministrazioni municipali; ed invero il riconoscimento di conformità di un progetto tiene conto della pianificazione di passaggi tattici specifici fissati dalla stessa ECSTPA.

Attualmente, i firmatari italiani sono soltanto 6: Parco Nazionale dei Monti Sibillini, Parco Regionale dell'Adamello, Parco Naturale Adamello-Brenta, Sistema Aree Protette delle Alpi Lepontine, Sistema Aree Protette dell'Oltrepò Mantovano e Parco dell'Alto Garda Bresciano. Altre realtà hanno richiesto di farne parte e sono in attesa dell'approvazione di EuroParc Federation, a testimonianza di quanto la Carta sia ambita come riconoscimento per il proprio operato e le proprie potenzialità.

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2.2 Promuovere il territorio

La parola “promozione” richiama subito alla mente l'intenzione di vendere un prodotto commercializzabile. Difatti è di questo che si tratta: il territorio, come ogni altro item turistico, è un prodotto commercializzabile; e come tale per essere smerciato abbisogna innanzitutto dell'individuazione e della definizione del bene e/o servizio che si vuole offrire sul mercato turistico, ovvero delle caratteristiche attrattive del territorio in questione e della loro suddivisione in attrattive primarie - il nucleo (core) del prodotto - e secondarie, cioè accessorie, di contorno, quelle che mirano ad arricchire o completare il prodotto. Successivamente è necessario organizzare la distribuzione, il piazzamento del prodotto, ovvero tutte le attività necessarie a renderlo accessibile fisicamente, che trattandosi di una meta turistica significa farvi giungere la clientela. Quindi devono essere fissati i prezzi, diversificati secondo tipologia e combinazioni di beni/servizi, sia presi singolarmente che in differenti pacchetti turistici. A questo punto siamo pronti per preparare una campagna promozionale, consistente nell'insieme integrato di azioni comunicative volte a far conoscere un prodotto al mercato di riferimento.

Tutto questo costituisce, secondo Philip Kotler, il modello universale di una strategia di marketing, le 4 P del Marketing Mix: Product, Price, Placement e Promotion (Kotler, 1967), anche se l'idea fu introdotta da Jerome McCarthy nei primi anni '60.

Il core product, definito da Kotler come “il beneficio che il cliente cerca nel prodotto”, va identificato in quella che dovrebbe essere la principale attrattiva turistica di un territorio, cioè le caratteristiche naturali e/o socioculturali giudicate invitanti, appetibili durante la fase esplorativa che precede l'eventuale sviluppo turistico d'una località: mare e spiagge, paesaggi naturali, formazioni geologiche particolari, siti archeologici, bellezze architettoniche, feste e peculiarità nelle produzioni artigianali e gastronomiche, ecc.; tutti elementi che determineranno, fin da subito, un primo inquadramento merceologico.

Se le attrattive primarie sono solitamente preesistenti all'avvio del turismo, quelle secondarie vanno costruite, avviando capacità ricettiva, collegamenti,

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servizi ricreativi e commerciali e quant'altro possa agevolare la crescita dei flussi turistici, per iniziativa pubblica e/o privata; spesso si tratta di partire da zero, dato che non sempre sono presenti alberghi, uffici informativi, diving centers e collegamenti autostradali, specie in aree del mondo in cui alla popolazione residente mancano servizi ed infrastrutture elementari e la “scoperta” di una vocazione turistica è l'unica forma possibile di sviluppo.

Il Marketing Mix di un sito turistico è spesso eterodiretto: la scoperta e le fasi esplorative avvengono da parte di gruppi ristretti di persone attratte dalle caratteristiche naturali e/o socioculturali rinvenute in un luogo e non necessariamente per caso, trattandosi frequentemente di “viaggiatori per professione”, cioè di soggetti interessati in partenza a tali scoperte, per poter essere i primi ad investire in un contesto vergine. Questi personaggi, quasi come gli antichi pionieri a cui molti di essi amano compararsi, affrontano le “difficoltà” derivanti dall'esiguità delle strutture presenti in loco e molto spesso cominciano ad acquistare beni immobili e ad avviare piccole attività commerciali; tornando a casa, poi, comunicano ad un pubblico più o meno vasto le proprie “scoperte”. In questi casi, anche se il successivo sviluppo di strutture ricettive ed attrattive secondarie può essere condotto dai residenti e regolato dalle locali autorità, sono principalmente Tour Operators esterni a determinare prezzi e strategie promozionali, attraverso la compilazione di pacchetti turistici variegati ed adattati alla potenziale clientela. Sono queste condizioni, che potremmo definire di “colonialismo turistico”, che determinano un ciclo di vita del prodotto turistico breve quanto deleterio, perché destinato a passare dalle prime fasi di scoperta, esplorazione ed avviamento, ad una fase di crescita caratterizzata da un crescente aumento degli arrivi - soprattutto concentrati nei periodi di alta stagione - e dalla massiccia intrusione di imprese esterne scarsamente interessate agli equilibri ambientali e sociali della colonia. Alla successiva fase così detta di maturità - con domanda ed offerta ancora molto alte, raggiungendo o superando la massima capacità di carico del territorio, impatti significativi in ogni settore e marketing attivissimo (e spesso selvaggio) con la continua ricerca di strategie di rinnovamento dell'offerta per massimizzare una domanda ormai matura - segue una fase di declino troppo spesso caratterizzata da un'offerta sovradimensionata

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rispetto ad una domanda in calo progressivo e tentativi disperati di riposizionamento del prodotto, anche a causa di impatti gravi ed irreversibili sulle stesse attrattive primarie (Butler, 1980).

Appare ragionevole dedurre che una gestione interna ed autonoma dello sviluppo di un territorio e della sua promozione - ad onta di strumentali accuse di localismo - sia presupposto essenziale per un percorso più attento alle esigenze del territorio stesso e dei suoi abitanti. Un percorso, quindi, che risulti sostenibile a lungo termine. Considerato che la sostenibilità dipende più dal modo e dai mezzi che dall'oggetto e che, di conseguenza, possono essere identificate molteplici e differenti branche di turismo sostenibile, una località che voglia intraprendere un percorso in tal senso non è vincolata a pochi indirizzi predeterminati, magari, dalle attrattive primarie, le quali comunque dettano il segmento turistico di riferimento; potrà altresì determinare autonomamente lo sviluppo infrastrutturale, in particolare le tipologie ricettive ed i vari servizi, deliberare le norme di comportamento più coerenti con il proprio modello, intervenire sui prezzi, posizionarsi nel mercato turistico e scegliere una strategia promozionale comune, magari con un ente di promozione turistica od un marchio di area (Niccolini, 2004).

Complessivamente, quindi, è possibile che un territorio autogestisca l'intero Marketing Mix per il proprio sviluppo turistico sostenibile.

Naturalmente è indispensabile la volontà della popolazione locale di impegnarsi personalmente in un simile percorso, mentre l'occasione di delegare la gestione dell'intero processo ad enti esterni, garantendosi introiti immediati ed abbondanti e deresponsabilizzandosi, è forte e più attraente. Però i dati recenti sull’andamento nazionale dei flussi turistici dovrebbero quantomeno attenuare l’attrattività di uno sviluppo eterodiretto e delegato all’industria del turismo di massa.

In Italia il settore turistico offre un contributo totale sul PIL del 10,2% con 2.588.500 occupati nel 2015; nel dettaglio, abbiamo visto un incremento di arrivi (dal 2009 al 2014) del 32,3% nell’agriturismo e del 14,2% nel turismo culturale, mentre le presenze balneari hanno subito un calo del 3,4% (fonte: Rapporto sul

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2.3 Turismo sostenibile e turisti insostenibili

Chi è il turista sostenibile? Per riuscire a definire le caratteristiche generali di un simile target è indispensabile studiare i rapporti instauratisi ed instaurabili tra esso e l'ambiente con cui entra in contatto durante la vacanza, suddividendo tale ambiente nei tre macrosettori con cui il turista s'interfaccia.

Di radicale importanza è l'interazione tra l'utenza e l'attrazione primaria: l'utente che abbia ambizioni di sostenibilità e che si consideri responsabile (che, per semplicità, chiamerò il nostro ospite) ricerca un contatto il più diretto possibile con l'attrazione primaria, pur accettando - o addirittura richiedendo - il filtro di servizi informativi ed educativi. Il contatto è funzionale all'appagamento di desideri di natura estetica, culturale, se non addirittura spirituale, nonché il desiderio esplicito di non tornare dalla vacanza più stressato che alla partenza.

Da tale soggetto ci si aspetta un comportamento rispettoso e responsabile, sia verso l’attrattiva stessa che il territorio ospitante, nonché una grande curiosità. Tra le aspettative del nostro ospite infatti compare il desiderio di imparare il più possibile circa il secondo macrosettore dell’ambiente turistico: il contesto socioculturale locale. Cercherà a tal fine di intrecciare rapporti con i residenti, di conoscere la loro musica, il loro cibo, le loro feste, i loro ritrovi (Niccolini, 2004). Per citare una definizione adottata dall'Associazione Italiana Turismo Responsabile, "Il turismo responsabile è il turismo attuato secondo principi di giustizia sociale ed economica e nel pieno rispetto dell’ambiente e delle culture. Il turismo responsabile riconosce la centralità della comunità locale ospitante e il suo diritto ad essere protagonista nello sviluppo turistico sostenibile e socialmente responsabile del proprio territorio. Opera favorendo la positiva interazione tra industria del turismo, comunità locali e viaggiatori" (AITR, 2005).

Per quanto riguarda il rapporto fra turisti ed aziende operanti nel settore, il nostro ospite deve poter scegliere tra un'offerta variegata e quanto più possibile personalizzabile, ma sempre incentrata sulla valorizzazione delle attrazioni primarie nonché su servizi d'accoglienza in equilibrio con le disponibilità e le

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esigenze del luogo, strutture ricettive di piccole dimensioni con massimo assorbimento di personale locale, magari a conduzione familiare, recuperando edifici storici e caratteristici, fornendo pasti a base di ricette ed ingredienti regionali ed abbondanti strumenti di informazione, escursioni guidate ed eventi didattici. Inoltre ricorrerà ampiamente e con fiducia a quegli enti non-profit che solitamente promuovono e gestiscono iniziative per la tutela e la valorizzazione del patrimonio naturale, paesaggistico, storico e folkloristico locale, ruolo prevalentemente affidato loro dagli amministratori pubblici; il terzo settore, espressione dell'impegno civico disinteressato della comunità, si impegna in tal modo a svolgere servizi anche di attrazione turistica - ma che non possano produrre profitti - concertatamente con gli enti pubblici, ricevendo da questi i fondi necessari ad assolvere agli impegni presi5 (Niccolini, 2004).

Dallo schema esposto il nostro ospite esce decisamente a testa alta, dimostrandosi persona curiosa e capace di mettersi in gioco ed in discussione, ma anche consapevole delle proprie esigenze, con alto senso di responsabilità, eticamente ben equipaggiata, rispettosa, socievole e solidale. Un ospite da sogno! Certamente l'attrazione di un simile target porterebbe grandi benefici allo sviluppo autonomo ed equilibrato di un territorio.

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Figura 3: Rappresentazione schematica dei rapporti tra turista sostenibile e sistema locale (Fonte: Niccolini, 2004)

Certe schematizzazioni sono però puramente teoriche; la definizione stessa di turista sostenibile è viziata dalla assoluta mancanza di criteri univoci di selezione ed indicatori universalmente riconosciuti, studi guidati da considerazioni soggettive e bagagli esperienziali personali di ricercatori ed operatori del settore6.

Il nostro ospite quindi è meramente idealtipico.

La realtà è invece molto poco idilliaca. L'alternarsi di ingenti afflussi turistici si rivela generalmente deleterio per l'equilibrio di una zona, sia in termini ecologici e paesaggistici che culturali. Qualunque tipo di sviluppo turistico si intraprenda, comporta la costruzione di strutture ricettive e l'approntamento di servizi prima assenti che vanno a modificare l'esistente e che inevitabilmente hanno un impatto. Di alcune emergenze, come ad esempio la cementificazione delle coste, abbiamo già parlato nel precedente capitolo (paragrafo 3). L'aumento delle presenze da solo può apportare danni attraverso le varie e consuete emissioni,

6 Ballantine ed Eagles (1994) suggeriscono di considerare ecoturisti coloro che motivino coscientemente la

propria scelta in funzione dello studio e dell'ammirazione della natura o che dedichino almeno un terzo delle proprie vacanze ad attività ecoturistiche.

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smog da traffico veicolare, impianti di riscaldamento, cucine, acque reflue e rifiuti da smaltire, nonché il consumo idrico - come di ogni altra risorsa - soggetto ad abusi ed a consistenti e repentine impennate stagionali, senza tralasciare il calpestio del suolo, i rumori, l'illuminazione artificiale. 7

Un aspetto che certamente non va sottovalutato è la distanza tra l'autovalutazione del nostro ospite e le sue reali -diciamo così- inclinazioni: benché, da un'inchiesta condotta da alcune riviste del settore turistico, ben il 75% delle donne ed il 67% degli uomini si definiscano genericamente favorevoli a vacanze ecologiche, nel dettaglio solo il 48% predilige strutture ricettive a basso impatto paesaggistico, il 10% si preoccupa dei materiali e delle tecniche di edificazione dei medesimi, il 22% della presenza di fonti energetiche rinnovabili, il 15% circa sceglie la ristorazione a filiera corta (Km. 0). Per quanto concerne il viaggio, il 49% non contempla l'inquinamento prodotto negli spostamenti ed il 10% considera troppo dispendioso viaggiare a basso impatto.

Se si parla di “vacanza ideale a contatto con la natura” escono proposte curiose come la crociera in barca a vela nell'Egeo (29%), il cammino verso Santiago de Compostela (15%) ed un viaggio su treni d'epoca (13%). (Fonte lastminute.com, 2011).

Gran parte di questo fraintendimento deriva da un diffuso fastidio per la propria quotidianità urbana, per il degrado in cui versano molti quartieri residenziali, lo smog respirato in città, il frastuono del traffico e la sporcizia per le strade, quotidianità da evadere raggiungendo rifugi turistici che idealmente ne rappresentino l'opposto (Montanari, 2009).

Nella realtà, però, il turista medio è sprovvisto di un bagaglio conoscitivo ed esperienziale adeguato ad apprezzare un'offerta turistica sostenibile ed in genere non è neanche in grado di pensarla. Il cittadino comune, utente modale

7 L'inquinamento luminoso è un fenomeno colpevolmente sottostimato, che causa molti gravi danni

ecosistemici (spesso imprevedibili), influendo sull'orientamento delle specie migratrici e sulle strategie riproduttive ed alimentari di molti animali. Il problema non è tanto la luce in sé, quanto la sua cattiva gestione, venendo indirizzata non soltanto verso il basso (dove serve realmente), ma anche verso l'alto, disperdendosi dove non serve ed anzi risulta invasiva (V. Klikenborg, National Geographic Magazine, Novembre 2008).

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dell'offerta turistica massificata, è diffusamente afflitto da una repulsione ecofobica verso la materialità selvatica, verso la naturalità fuori controllo; desidera la spiaggia libera con ampia pineta alle spalle, ma prova schifo (se non paura) per la microfauna residente in ambienti marini e retrodunali, rimane terrorizzato all'apparire di meduse, vespe, serpenti e piccoli roditori, disgustato dall'odore di necrosi vegetale emanato dagli stagni, infastidito ed allarmato dall'erba non rasata e dagli accumuli di biomassa, rami secchi, pigne, tronchi caduti, banchi di posidonia spiaggiata. Ciò non deriva da una banale ignoranza in biologia, bensì dalla disabitudine ad interagire con questa natura non addomesticata di noi moderni occidentali, assuefatti alle comodità dell'ipertecnologia (Boni, 2014).

Le azioni quotidiane dei turisti, spesso convinti in buona fede della propria innocuità, detengono un potenziale distruttivo inimmaginabile per chi non operi nel settore o non viva a contatto con esso, specie se le infrastrutture ad essi destinate sono pensate unicamente per il loro divertimento ed il loro sfruttamento economico.

Ogni destinazione turistica deve fare i conti con questi effetti difficilmente arginabili, per limitare i quali non sono sufficienti adeguamenti strutturali mirati, certificazioni ambientali e dispositivi per l'informazione e la sensibilizzazione dei visitatori: occorre selezionare all'origine la clientela, definendone i caratteri ed impostando una campagna promozionale mirata, dimodoché il turista, all'arrivo, sia già sufficientemente o parzialmente sensibilizzato ed informato.

2.4 Un caso particolare: i gatti di Su Pallosu

Vale la pena, a mio avviso, soffermarsi su di una esperienza alquanto peculiare ma, proprio per questo (come spesso accade), esemplare.

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Su Pallosu8 è una piccola località marittima sarda, sita ad Est di Capo Mannu

nel comune di S. Vero Milis (presso Oristano). Qui vi risiede quella che è dai più riconosciuta come la più vecchia colonia felina9 d'Italia, circa un secolo di vita,

con in più la particolarità che i circa 60 gatti scendono quotidianamente sulla riva del mare. La colonia vive su un areale lungo 300 metri che comprende anche la spiaggia, la duna costiera ed un tratto di scogli bassi. È probabile che i gatti si siano concentrati stabilmente nel sito quando venne installata la tonnara, nel 1922, attratti quindi dagli scarti ittici, per poi rimanervi anche dopo la chiusura della tonnara nel 1940 (gattisupallosu.blogspot.it/).

Negli ultimi anni l’associazione che cura la colonia felina, gli Amici di Su Pallosu, ha aperto 2 blog ed un gruppo Facebook, riscontrando immediatamente un grande interesse per il luogo, il suo mare, la sua storia ed i suoi gatti; un interesse veicolato interamente tramite il passaparola telematico fra turisti, tanto che il gruppo Facebook ha superato gli 8000 iscritti: oltre 8000 persone che, su di un singolo social network, parlano di una “gattaia” ed una località con 8 residenti.

L’Associazione consta di un numero limitato di volontari che riescono a portare avanti, sul territorio, solo poche attività come la gestione della colonia felina (comprese attività veterinarie, sia in degenza che a domicilio) ed una rete di rapporti di mutuo aiuto con esercizi commerciali, campeggi e bed & breakfast locali. L’attività sul web, però, è stata improntata anche alla promozione del territorio, divulgando immagini ed informazioni sulle coste e sul paesaggio, considerando la particolarità della zona circostante (la penisola del Sinis), nonché sugli eventi culturali e tradizionali locali e sui siti d’interesse storico ed archeologico, essendovi stato rinvenuto un deposito costiero nuragico, oltre a numerosi ritrovamenti di anfore romane (per lo più esposte al Museo di Oristano).

8 Sulle origini del nome “Su Pallosu” ci sono diverse ipotesi. A San Vero Milis il sito è conosciuto anche

come Su Pazzosu (o Pozzusu) sinonimo di posto riparato, essendo protetto dal maestrale. Su Pallosu potrebbe però venire da “Sa Pazza”, la paglia, con riferimento alle palle di poseidonia oceanica. Da segnalare che in molte carte dal medioevo al 1.800 la stessa area è denominata “Il Peloso” o “Cala Peloso”.

9 Le colonie feline sono gruppi di gatti liberi stanziati abitualmente in luoghi individuati, sono previste e

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A tutto ciò, riscontrabile in qualunque altra attività di promozione territoriale, pubblica privata o associativa, si è aggiunta una proposta originale: il “catwatching”, attività che potremmo definire caratterizzante la destinazione in quanto dedicata all’attrazione primaria.

Il successo, in gran parte dovuto al passa parola via web, è stato notevole: dal registro visite della colonia - che sottostima le presenze in quanto non tutti firmano - risultano oltre 3000 visitatori nel 2012, un migliaio in più dell’anno precedente. Su Pallosu è rientrato fra i primi dieci “luoghi del cuore” del censimento FAI 2012 ed ha ospitato la Festa Internazionale del Gatto 2013.

L’esemplarità di questo caso, ad onta della propria singolarità, è data dall’intraprendenza e le capacità messe in atto dai volontari nel progettare e realizzare una strategia di qualificazione e promozione locale in totale autonomia ed ottimizzando le potenzialità del luogo, compresa una insolita attrazione su cui probabilmente nessun’altro avrebbe scommesso.

L’esperienza di Su Pallosu, a mio avviso, può far riflettere sulla possibilità, da parte di una comunità locale anche piccola, di auto organizzarsi al fine di individuare i punti di forza del proprio territorio, promuovendoli e gestendoli efficacemente, anche disponendo di scarse risorse.

Un modello costruttivo ed incoraggiante, soprattutto per chi è chiamato a gestire lo sviluppo di una realtà locale.

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PARTE SECONDA: il sistema dei

parchi in Val di Cornia

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3. Uno sguardo sul territorio

3.1 La Valle del fiume Cornia

La zona costituisce il lembo meridionale della Provincia di Livorno, comprendendo i territori di 5 Comuni: Piombino, Campiglia Marittima, San Vincenzo, Suvereto e Sassetta; assieme alla Val di Cecina (alta e bassa) compone la regione storica della Maremma Pisana, altresì detta Alta Maremma. Geograficamente è composta dalla piana alluvionale del Cornia, circondata dalle propaggini occidentali delle Colline Metallifere, con i complessi collinari di Campiglia (Monte Calvi, m.646 slm.) e di Montioni, più il Promontorio di Piombino, prettamente roccioso (Monte Massoncello, m.286 slm.), mentre le coste a nord e ad est del promontorio sono pianeggianti con tratti acquitrinosi relittuali.

Il Fiume Cornia è un modesto corso d'acqua a regime torrentizio, lungo circa 50 km, che origina dal monte Aia de' Diavoli (m. 855 slm.); prima delle bonifiche si impaludava verso la radice del promontorio, formando una laguna sfociante nel Golfo di Follonica, detta Stagno di Piombino (di cui rimangono alcune piccole zone umide). Oggi si divide in due rami in località La Sdriscia.

3.2 Tracce storiche

La presenza umana in Val di Cornia è attestata sin dal Paleolitico, con il deposito di Botro ai Marmi in cui vennero rinvenuti strumenti di pietra, in particolare armi in selce e diaspro, nonché resti scheletrici di selvaggina,

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35 compresi i grandi uri. Ritrovamenti del periodo epigravettiano italico (15.000 anni fa) sono stati effettuati nell’area del golfo di Baratti.

La vocazione mineraria della zona si manifestò nel III millennio a.C. con l’estrazione di rame e cinabro dalle colline campigliesi; è accertata la presenza di un villaggio minerario eneolitico nelle vicinanze della rocca di San Silvestro (Fedeli, 1995).

Figura 5: Antico pozzo minerario a San Silvestro

L’età del bronzo vide ampliarsi e diversificarsi le attività economiche della zona: attività agro-silvo-pastorali ed estrazione mineraria nell’interno, cerealicoltura, pesca, produzione salina e metallurgia lungo le coste.

Scavi archeologici hanno restituito villaggi a Poggio del Molino e presso Campiglia (cultura appenninica), stazioni dell’industria del bronzo sul golfo di

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36 Baratti (16° sec. a.C.) ed in località Madonna di Fucinaia (15° sec.), nonché una necropoli del 12° sec. In località Villa del Barone (Marcucci, 2003).

I primi nuclei insediativi a Populonia risalgono al 9° sec. a.C., sul finire del quale vengono edificate le prime tombe a camera d'Etruria.

Populonia sorge nell'area di origine della civiltà etrusca - la fascia costiera maremmana - e rimarrà l'unica città-stato etrusca affacciata sul mare, con il proprio porto nella città bassa sul Golfo di Baratti.

L'importanza di Populonia10, membro della c.d. Dodecapoli (la lega delle 12

capitali d'Etruria), è testimoniata dalla ricchezza dei corredi funerari già nelle grandi tombe a tumulo di stile “orientalizzante” dell'8° sec. (Cristofani, 1978). Proprio in tale secolo, infatti, si ha un incremento significativo dell'estrazione mineraria - basamento della fortuna della città - sia dalle colline attorno Campiglia che dalla prospiciente Elba (soprattutto ferro e rame). L'abbondanza di metalli indispensabili determinò lo sviluppo dell'industria metallurgica, sia a Baratti - nei quartieri industriali della città bassa - che a Madonna di Fucinaia. Lo sfruttamento delle miniere campigliesi durerà fino al 1° sec. d.C.

Nel 6° sec. a.C. Venne innalzato un sistema murario più esteso, che cinse anche i quartieri industriali e portuali.

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37 Figura 6: Necropoli delle Grotte (periodo "ellenistico", 4°-2° sec. a.C.)

Durante il 2° sec. a.C. L'Etruria venne gradualmente occupata da Roma (anche se l'autonomia delle città-stato etrusche terminerà con la Lex Iulia dell'89 a.C.). In Val di Cornia sono state rinvenuti i resti di varie fattorie latine (soprattutto di epoca imperiale), Villae (Poggio del Molino) e Mansiones (stazioni di sosta governative), la più importante delle quali a Vignale, località che - pur rimanendo sempre di dimensioni men che esigue - è stata abitata ininterrottamente dal 1° sec. a.C. ad oggi (Galgani, 1973 e DeTommaso, 2003). Le strettoie nella piana del Cornia, fra le Colline Metallifere e la costa, erano (e sono tutt'oggi) zona di transito viario lungo l'asse Nord-Sud: di qua passavano le Viae Aurelia ed Aemilia Scauri, incontrando, oltre le Mansiones, la stazione termale di Venturina (Aquae Populoniae, uno stagno sulfureo già utilizzato dagli etruschi), nelle cui vicinanze è ancora visibile un mausoleo funebre romano.

Presso lo sbocco a mare dello stagno di Piombino fu operativo, dal 4°-5° sec. d.C., il porto di Falesia, dedito soprattutto allo sbarco di minerale proveniente dall'Elba (Claudio Rutilio Namaziano, 417 d.C.); il porto di Baratti e la città di

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