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3. UNO SGUARDO SUL TERRITORIO

5.1 Uso, abuso e fruizione

Barry Commoner, biologo ed ecologo statunitense, nonché uno dei padri e maestri dell’ecologismo mondiale, nel 1971 con grande capacità di sintesi descrisse in 4 punti (le 4 leggi fondamentali dell’ecologia) i pilastri epistemologici del rapporto tra natura e cultura. 1) Ogni cosa è connessa con qualsiasi altra. "L’ambiente costituisce una macchina vivente, immensa ed estremamente complessa, che forma un sottile strato dinamico sulla superficie terrestre. Ogni specie vivente è collegata con molte altre. Questi legami stupiscono per la loro varietà e per le loro sottili interrelazioni." Questa legge indica l’interconnessione tra tutte le specie viventi e descrive l’essenza del concetto di ecosistema. 2) Ogni cosa deve finire da qualche parte. "In ogni sistema naturale, ciò che viene eliminato da un organismo, come rifiuto, viene utilizzato da un altro come cibo." Niente scompare. Si ha semplicemente un trasferimento della sostanza da un luogo all’altro, una variazione di forma molecolare che agisce sui processi vitali dell’organismo del quale viene a fare parte per un certo tempo. 3) La natura è l'unica a sapere il fatto suo. “Sono quasi sicuro che questo principio incontrerà notevole resistenza, poiché sembra contraddire la fede universale nella competenza assoluta del genere umano." Un invito esplicito a non disporre delle risorse naturali a proprio uso e consumo esclusivo. Se la natura si ribella l'Uomo crolla. 4) Non si distribuiscono pasti gratuiti. “In ecologia, come in

71 economia, non c’è guadagno che possa essere ottenuto senza un certo costo. In pratica, questa quarta legge non fa che sintetizzare le tre precedenti. Non si può evitare il pagamento di questo prezzo, lo si può solo rimandare nel tempo. Ogni cosa che l’uomo sottrae a questo sistema deve essere restituita. L’attuale crisi ambientale ci ammonisce che abbiamo rimandato troppo a lungo.”21

Riportando questi argomenti alla dimensione locale, appare in maniera oltremodo evidente l’interconnessione strettissima tra un territorio e la comunità che lo popola, tanto da risultare banale (almeno sulla carta).

Un territorio è il prodotto dell’interazione storica, di lunghi processi coevolutivi tra l’ambiente fisico - biologico e minerale - e l’umanità risiedente, ovvero tra natura e cultura. Pertanto, l’idea di territorio che ci interessa in quanto suoi abitanti, è un prodotto antropico, inesistente in origine perché distante (anche temporalmente) da quella verginità naturale che non conosceva toponimi e confini ma solo biotopi; un prodotto quindi composto di sedimenti storici carichi di identità e di simboli (Magnaghi, 1998).

Tra il territorio e la comunità che lo popola è sempre esistita una stretta e quotidiana relazione dialettica, indispensabile all’organizzazione (materiale e simbolica) dell’ambiente circostante ed alla tessitura di quella trama di memorie collettive e significati condivisi che permette di controllare il territorio stesso e di orientarvisi (La Cecla, 1988).

Questa conoscenza del proprio ambiente, questa relazione dialettica, questi simboli, memorie, identità, significati sono ciò che ha sempre permesso l’uso del territorio e delle risorse in esso contenute, per lo sviluppo delle economie e delle culture umane. L’uso del territorio e delle sue risorse, però, è mutato nel corso della storia, assumendo varie forme e dimensioni, a seconda della forma economica e della dimensione demografica della cultura presente. Potremmo collocare i differenti stili d’uso su di una scala di forte caratterizzazione cronologica, avente come estremi due modelli idealtipici di società: una “primitiva”, attenta alla gestione delle risorse, i cui membri - fortemente identificati

72 come membri della collettività - verificano continuamente lo stato dell’ambiente circostante e delle risorse disponibili ed una “evoluta”, attenta alle esigenze di consumo ovvero alla domanda di un esteso corpo di consumatori - identificati principalmente dalla propria individualità - privi di controllo sulle risorse consumate, tantomeno su quelle disponibili (Paolella, 2004).

Da semplice uso delle risorse si passa all’abuso, all’asservimento della natura permesso (ed alimentato esponenzialmente) dalla trasformazione ipertecnologica, la quale permette di alterare l’ambiente e la biologia a piacimento e senza fatica, perseguendo scopi individuali e giustificandosi con il principio valoriale del progresso tecnico-scientifico (Boni, 2014). Più l’ipertecnologia ci abitua alle comodità, alla materia trasformata, alla facile reperibilità commerciale, più il consumo diventa acritico ed incentrato sul semplice scambio tra prodotto e denaro. Alla conseguente perdita di saperi circa l’ambiente naturale circostante, si accompagna una minore conoscenza del proprio territorio e l’oblio di numerosi toponimi, rimpiazzati con la toponomastica ufficiale delegata alle istituzioni e, talvolta, con i nomi di esercizi pubblici o commerciali presenti nei vari luoghi. Lo sconfinato comfort della propria domesticità e la comodità e rapidità degli spostamenti meccanizzati spingono il moderno ed evoluto abitante a passare la maggior parte del tempo in luoghi chiusi, riducendo la propria permanenza nell’esterno condiviso alla scarna rete dei percorsi connettenti i luoghi d’interesse, con scarso impulso all’esplorazione del territorio22.

Il moderno ed evoluto abitante, consumatore ed utente, diventa fruitore di un territorio, ricevente passivo e finale di un bene o servizio: che tali beni e servizi siano frutto dell’abuso del territorio o che siano destinati alla salvaguardia del medesimo, il loro utente/consumatore avrà raramente le competenze per essere

22 Nell’Estate 2012, lavorando alla riduzione degli accessi alla spiaggia nel parco della Sterpaia, per

contenere l’erosione della duna, una bagnante reagì con sgomento vedendoci erigere uno steccato. Al mio invito all’utilizzo del sentiero attiguo (distante appena 15-20 metri), la signora mi rispose con voce affranta che loro (includendo il marito) erano sempre passati di lì.

73 un utilizzatore agente, rimanendo più facile il ruolo di mero fruitore di un prodotto finito da scartare e consumare.

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