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Le conseguenze sociali del materialismo

1. Materia, mente e coscienza

Nella quinta lettera la discussione tolandiana della materia e dei vari modi con cui il principio di azione agisce tocca solo tangenzialmente la questione dell’origine del pensiero. Tuttavia era stata proprio questa questione a dare l’avvio agli intensi dibattiti che nel 1702 videro attivi a Lützenburg Leibniz e Toland, ricostruibile in parte attraverso le lettere che i due si scambiarono attraverso la mediazione di Sofia Carlotta. È tuttavia opportuno giustificare la ragione per la quale si è deciso di posporre la discussione sui risvolti psicologici del materialismo tolandiano rispetto alla trattazione generale di questo materialismo, ritenendola invece propedeutica al contenuto delle prime tre Letters. Infatti i testi che permettono di ricostruire la trattazione tolandiana sulla coscienza, termine più adatto di “anima” vista l’insofferenza dell’autore verso ogni forma di spiritualismo, sono cronologicamente precedenti la stesura delle Letters, essendo costituiti dalle obiezioni rivolte a Bayle e poi inserite nella seconda edizione del Dictionnaire e dallo scambio epistolare intrattenuto con Leibniz nell’autunno del 1702, quando però le due questioni, origine del pensiero e attività della materia, inizieranno a intrecciarsi. In primo luogo, Toland stesso avvisa nella prefazione che ha scritto anche altre lettere indirizzate a Sofia Carlotta, ma che non le ha inserite nella raccolta; per quanto non vi siano evidenze che tra queste ve ne fosse una dedicata alla natura del pensiero, vi è tuttavia un testo, le Remarques Critiques, che nel sottotitolo stesso afferma di essere stato scritto per ordine della regina e in cui è affrontata, nella prima parte, la questione dell’origine del pensiero1. Secondariamente, non bisogna dimenticare come, sempre nella prefazione, Toland faccia riferimento a Coward rimandando alla discussione inglese sulla thinking matter; sembrerebbe naturale allora supporre che Toland temesse, da un lato,

1 Cfr. Toland J., Letters to Serena, cit., Preface, § 14, p. 60 (tr. it. cit., p. 205); Id., Remarques Critiques sur le Système de Monsieur Leibnitz de l’harmonie préétablie, cit., p. 303.

l’accostamento alle tesi cowardiane e, dall’altro, che fosse consapevole del possibile impatto della sua opera su quel dibattito (come effettivamente avverrà pochi anni dopo nel caso della disputa Collins-Clarke2). Infine, il carattere empiristico della psicologia tolandiana tende a risolvere la disciplina all’interno di un sociologismo di fondo che si riallaccia a quello della prima delle Letters e, in una certa misura, anche alle biografie di Harrington e Milton.

Il punto di partenza della riflessione tolandiana è costituita dalla Remarque C dell’articolo “Dicéarque” della prima edizione del Dictionnaire del 1697. L’articolo “Dicéarque”, dedicato all’omonimo filosofo peripatetico, aveva dato occasione a Bayle per affrontare il problema della corporeità dell’anima; in quella nota il filosofo di Rotterdam riportava l’opinione di Dicearco circa l’immortalità dell’anima così come era stata riferita da Cicerone nelle Tusculanarum Disputationes e in base alla quale

nihil esse omnino animum, et hoc esse nomen totum inane, frustraque animalia et animantis appellari, neque in homine inesse animum vel animam nec in bestia, vimque omnem eam, qua vel agamus quid vel sentiamus, in omnibus corporibus vivis aequabiliter esse fusam nec separabilem a corpore esse, quippe quae nulla sit nec sit quicquam nisi corpus unum et simplex, ita figuratum ut temperatione naturae vigeat et sentiat3.

In questa nota Bayle aveva mostrato l’insostenibilità della tesi panpsichista per la quale se si pone l’anima indistinta dal corpo è allora necessario che sia una virtù dispersa tra tutti i corpi viventi.

Si vous posez une fois avec cet Auteur que l’ame n’est point distincte du corps, & qu’elle n’est qu’une vertu également repanduë sur toutes les choses vivantes, & qui ne fait qu’un seul & simple être avec les corps qu’on nomme vivans, on vous ne savez plus ce que vous dites, ou

2 Cfr. Toland J., Letters to Serena, cit., Preface, § 14, p. 61 (tr. it. cit., pp. 206-207). Cfr. Landucci S., Mente e corpo nel dibattito fra Collins e Clarke, in Santucci A. (a cura di), L’età dei Lumi. Saggi sulla cultura settecentesca, il Mulino, Bologna, 1998, pp. 125-142; Dagron T., Toland et Leibniz, cit., pp. 178-189; Wigelworth J. R., Deism in Enlightenment England, cit., pp. 86-95.

3 Cicerone, Discussioni tusculane, cit., I, 10, § 21, p. 476 (tr. it. ivi, p. 477: “l’anima non esiste affatto e non è che un nome privo di senso, e così pure animale e essere animato sono termini vuoti: non c’è anima o soffio che sia né nell’uomo né nelle bestie, e tutta quella forza che ci fornisce la facoltà di fare un’azione o di provare una sensazione è distribuita in modo uniforme in tutti i corpi viventi e non è separabile dal corpo, in quanto essa non esiste di per sé e nulla esiste all’infuori del corpo, semplice e unitario, formato in modo che ha vitalità e sensazioni mediante regolazione naturale”).

vous êtes obligé de soutenir que cette vertu accompagne toûjours le corps: car ce qui n’est point distinct du corps est essentiellement le corps, & selon les premiers principes il y a contradiction qu’un être soit jamais sans son essence4.

Così facendo, tuttavia, si è costretti a sostenere che l’anima accompagni sempre il corpo e sia da questo inseparabile, e quindi che sia una proprietà essenziale della estensione; infatti il carattere essenziale del pensiero implica una sua presenza e attività costante che esclude da un lato la possibilità di un rimando a forme di attività inconsce o comunque non riconducibili a un atto dell’anima, e dall’altro la possibilità che il pensiero sia una proprietà esercitabile temporalmente o comunque discretamente. Tale posizione risulta però insostenibile nel momento in cui si considera che in accordo a essa anche i cadaveri continuerebbero a sentire, che tutte le singole parti dei corpi sarebbero dotate ognuna di una mente loro propria – e quindi solleverebbero il problema relativo a come una molteplicità di coscienze possa dare vita, aggregandosi, a un singolo atto cognitivo – e infine, dal momento che il pensiero sarebbe un attributo dell’estensione, ogni ente esteso, e quindi non solo l’uomo e gli esseri viventi, sarebbe dotato di una mente, giungendo così alla posizione panpsichista. Il filosofo di Rotterdam giunge allora a porre “Dicearco” di fronte a due soluzioni: o la sostanza che pensa è distinta dal corpo (soluzione cartesiana) o tutti i corpi sono sostanze che pensano (soluzione panpsichista), rigettando la confutazione ciceroniana, definita un “paralogisme” e per la quale non possedendo un’anima Dicearco non avrebbe dovuto sentire dolore, perché per il filosofo peripatetico sarebbe stato facile rispondere che non ha negato che l’uomo senta, ma che il

4 Bayle P., Dictionnaire Historique et Critique, vol. I, t. 2, A Rotterdam, Chez Reinier Leers, 1697, art. “Dicéarque”, Remarque C, p. 969 (“Se voi stabilite una volta con questo autore che l’anima non è affatto distinta dal corpo, e che non è che una virtù ugualmente diffusa su tutte le cose viventi, e che non è se non un solo e semplice ente con il corpo che si dice vivente, allora o non sapete più quello che dite, o siete obbligato a sostenere che questa virtù accompagna sempre il corpo: perché quello che non è affatto distinto dal corpo è essenzialmente il corpo, e secondo i primi principi vi è contraddizione se un essere non fosse sempre accompagnato dalla sua essenza”).

soggetto senziente, attraverso un atto d’introspezione, sia in grado di affermare di essere un’anima e non un corpo5.

La questione non è tuttavia chiusa. Tra la prima e la seconda edizione del Dictionnaire Toland recapita a Bayle le sue obiezioni alle obiezioni a “Dicearco”, preferendo però celarsi dietro all’anonimato. Anche senza considerare per il momento le obiezioni di Toland raccolte nella Remarque L, Bayle è tornato ad approfondire l’argomento in un’aggiunta alla Remarque C, la cui lunghezza risulta così raddoppiata rispetto alla versione originale. La questione è sempre il rapporto tra modo e attributo, considerando però questa volta il pensiero come un modo dell’attributo dell’estensione:

On me dira que le sentiment pourroit être un modification du corps: d’où il s’ensuivroit que la matiere sans rien perdre de ce qui lui est essentiel, pourroit cesser de sentir dès qu’elle ne seroit plus renfermée dans les organes d’une machine vivante6.

Secondo questa nuova obiezione, ammettendo il carattere modale del pensiero rispetto all’estensione, il problema che affliggeva la prima tesi – il pensiero come attributo dell’estensione – non si presenterebbe più. Tuttavia anche questa opzione conduce al panpsichismo perché i modi si alternano e si modificano solo attraverso l’azione di modi dello stesso genere. Quindi un pensiero può avere inizio o fine solo con l’intervento di un altro pensiero, così come un colore o una qualità sono distrutte grazie a colori e qualità diverse o contrarie, mentre la loro distruzione totale non può che avvenire attraverso quella del soggetto sostanziale a cui questi modi ineriscono: così, anche se il pensiero non è un attributo dei corpi, continua a essere una presenza costante, dal momento che la sospensione di un fenomeno cognitivo non può essere causato che da un altro fenomeno cognitivo, ripresentando il problema, già rilevato in prima battuta, dell’animazione dei cadaveri, dal momento che anche quest’ultimo, per quanto privo di vita, è pur sempre una porzione di estensione, non essendo

5 Cfr. ibidem; Cicerone, Discussioni tusculane, cit., I, 18, § 41, pp. 492-493. Cfr. Paganini G., Analisi della fede e critica della ragione nella filosofia di Pierre Bayle, cit., pp. 391-402; Solère J.-L., Bayle and Panpsychism, «Archiv für Geschichte der Philosophie», 99 (1), 2017, pp. 72-75.

6 Bayle P., Oeuvres diverses, vol. 1, t. 1, cit., art. “Dicéarque”, Remarque C, p. 358 (“Mi si dirà che il sentimento potrebbe essere una modificazione del corpo: da ciò seguirebbe che la materia senza perdere nulla di quello che le è essenziale potrà cessare di sentire non appena non sarà più chiusa negli organi di una macchina vivente”).

stato distrutto il soggetto sostanziale. Si potrebbe però sostenere che i pensieri non siano della stessa specie e afferenti al medesimo genere, ma che siano, come il moto e la quiete, modalità che terminano senza l’azione di una modalità positiva dello stesso genere. Contro questa obiezione, Bayle si tiene fermo sulla posizione cartesiana, affermando che il moto è l’acquisizione di una nuova presenza locale, mentre la quiete è suo mantenimento nel corso del tempo, tratti accidentali e che dipendono dal rapporto che il corpo intrattiene con gli altri corpi esterni. Il carattere modale del corpo, invece, dipende dal suo attributo, cioè dall’estensione, e questo è invariante, dal momento che non è definito dal suo rapporto con gli altri corpi, ma dalla porzione di estensione che occupa e che non è intaccata dal moto o dalla quiete. L’obiezione avrebbe senso solo ammettendo che un corpo, mutando luogo, si trovasse poi in nessun luogo – o, in termini analoghi, scomparendo un sentimento, o un pensiero, senza che un altro ne prenda il posto – ma si avrebbe allora un passaggio dall’essere al non-essere che è contrario all’ordine della natura. Infine, se il pensiero è un modo del corpo, deve condividerne i tratti essenziali: la tridimensionalità, che ha come corollario la necessità che il cambiamento sia causato esclusivamente da moti locali e da interazioni/sostituzioni di enti dello stesso genere7.

L’obiezione tolandiana colpisce proprio questo punto su cui Bayle era tornato a riflettere. In questa versione dell’argomento di “Dicearco” ricompare il caso della sensibilità come modo dell’estensione, ma con l’aggiunta, rilevante, del suo carattere disposizionale evitando in questo modo l’accusa di panpsichismo:

Il prétend que Dicéarque a voulu dire que les corps vivans ne différent d’un corps non vivant, qu’en ce que leurs parties sont figurées & arrangées d’une certaine maniere. […]: nous n’avons qu’a supposer qu’il reduisoit l’homme à la condition d’un machine; d’où il résultera que l’ame

7 Cfr. op. cit., vol. 1, t. 1, art. “Dicéarque”, Remarque C, pp. 357-358. Cfr. Dagron T., Toland et Leibniz, cit., pp. 168-171; Solère J.-L., Bayle and Panpsychism, cit., pp. 75-77.

humaine n’est point distincte du corps, mais qu’elle est seulement une construction, une disposition machinale de plusieurs parties de matiere8.

Si tratta di un passaggio importante, perché Toland afferma che, in virtù dell’omogeneità della materia, la differenza tra la materia vivente e quella non vivente non è sostanziale, ma dipende unicamente dalla disposizione delle singole parti nella formazione di un insieme organizzato – come opportunamente riconosce Bayle, qui Toland applica all’uomo quello che Descartes si era limitato ad affermare per le bestie. In seconda battuta, contro l’assunzione che i cadaveri mantengano la capacità di sentire, afferma che la vita non è il risultato dell’apporto delle singole parti di materia e che quindi non è mantenuta da queste dopo la morte. Infine, congiungendo le due obiezioni precedenti, Toland riduce la vita (e quindi il pensiero) a fenomeni accidentali emergenti dalla disposizione delle singole parti e la cui durata dipende dalla conservazione della struttura, non esistendo né prima della sua formazione né dopo la sua distruzione9.

Tuttavia, replica Bayle, anche questa ipotesi è insufficiente. In primo luogo perché il concetto di vita non si esaurisce nelle funzioni fisiche dell’uomo (respirare, mangiare e camminare), ma riguarda anche i fenomeni cognitivi e quindi la disposizione delle parti può dar luogo al massimo a un moto locale modificato, forse leggermente più complesso come può esserlo quello di un orologio, ma si è comunque ben lontani dallo spiegare le funzioni cognitive e le operazioni dei cinque sensi fino all’intelletto. Secondariamente, riprendendo la metafora della macchina, così come le singole parti che compongono un orologio danno luogo a un oggetto esteso solo se sono anch’esse estese, così la materia che compone l’essere vivente può dare la

8 Bayle P., Oeuvres diverses, vol. 1, t. 1, cit., art. “Dicéarque”, Remarque L, pp. 359 (“Egli pretende che Dicearco ha voluto dire che i corpi viventi non differiscono da un corpo non vivente che in questo: che le loro parti hanno la figura e sono arrangiate in una certa maniera. […]: noi non dobbiamo che supporre che egli abbia ridotto l’uomo alla condizione di una macchina; onde risulterà che l’anima umana non è affatto distinta dal corpo, ma che è solamente una costruzione, una disposizione macchinale di più parti di materia”) (corsivi nostri). La suggestione della materia fitly disposed è di ascendenza lockiana: cfr. Locke J., An Essay concerning Human Understanding, cit., IV, 3, § 6, pp. 540-544 (tr. it. Saggio sull’intelligenza umana, vol. 2, Laterza, Roma- Bari, 19942, pp. 611-614), per quanto che la materia possa pensare è decisamente negato successivamente con argomenti simili a quelle bayliane: cfr. op. cit., IV, 10, § 10, pp. 623-624 (tr. it. cit., pp. 706-708).

9 Cfr. Bayle P., Oeuvres diverses, vol. 1, t. 1, cit., art. “Dicéarque”, Remarque L, pp. 359-360. Cfr. Dagron T., Toland et Leibniz, cit., pp. 171-173; Mori G., L’ateismo dei moderni, cit., pp. 151-152.

vita al composto solo se possiede già la vita nelle singole parti – per dare luogo a un atto in un composto occorre agli occhi di Bayle che le singole parti presentino questa proprietà in atto già prima della loro unione nel composto10. La risposta bayliana alle obiezioni tolandiane ripresenta nuovamente la dicotomia già rilevata nella Remarque C: o si sostiene l’assoluta eterogeneità del pensiero (e della vita) rispetto al corpo, o si accetta la posizione panpsichista in base alla quale ogni singola parte della materia pensa sempre. In mancanza di una diretta risposta di Toland a Bayle sull’argomento, si può tuttavia affermare che la ontologia tolandiana, globalmente intesa, gli impediva di accettare entrambe le alternative: la prima perché reintroduceva un principio estrinseco alla materia in grado di generare moti, la seconda perché, come risulterà in modo esplicito nelle Remarques Critiques, il pensiero e la vita non sono che manifestazioni specifiche, ma non le uniche, del principio di azione operante essenzialmente all’interno della materia11.

Questa posizione tolandiana, elaborata prima dell’incontro con Leibniz, è tuttavia coerente con l’impianto ontologico presentato nelle Letters. Per quanto Toland venga presentato da Bayle non come sostenitore di Dicearco ma come un pensatore interessato alla cogenza dell’argomentazione bayliana12, la tesi sostenuta presuppone il monismo materialista reso esplicito nel testo pubblicato nel 1704 e mostra il tentativo di fornire un unico principio esplicativo per diversi fenomeni della natura. In quest’ottica compare qui la tesi emergentista che spiega il pensiero attraverso la disposizione delle parti in un insieme ordinato, device esplicativo all’opera anche nella spiegazione della gravità quale risultato della disposizione della materia nell’universo13, spiegazione all’interno della quale compariva nuovamente l’analogia dell’orologio e delle sue parti con l’osservazione, polemica nei confronti di Bayle,

10 Cfr. Bayle P., Oeuvres diverses, vol. 1, t. 1, cit., art. “Dicéarque”, Remarque L, p. 360.

11 Cfr. Paganini G., Analisi della fede e critica della ragione nella filosofia di Pierre Bayle, cit., pp. 391-398; Brogi S., Bayle in cerca del materialismo, «Rivista di filosofia», 89 (3), 1998, pp. 390-399; Solère J.-L., Bayle and Panpsychism, cit., pp. 78-81.

12 Cfr. Bayle P., Oeuvres diverses, vol. 1, t. 1, cit., art. “Dicéarque”, p. 359. La paternità delle anonime obiezioni a Bayle è riportata in una bozza di lettera di Leibniz a quest’ultimo: cfr. Id., Correspondance de Pierre Bayle, vol. 12, cit., lettera 1585, Leibniz a Pierre Bayle, non inviata [un abbozzo di questa lettera reca la data 5 dicembre 1702], p. 507.

che la pretesa che la parte abbia già in atto la proprietà dispiegata anche nel composto implica il riconoscimento dell’essenzialità di questa proprietà.

La prima menzione della discussione tra Leibniz e Toland a Berlino è in una lettera inviata da primo all’elettrice il 9 settembre:

M. Toland feroit bien de mettre in ristretto, ce qu’il a de nouveau à dire. Mais il aime à faire des grands discours, en un mot, il veut estre auteur. Il a lû à la Reine sur l’ame, qui rule apeupres sur la doctrine de Lucrece, c’est a dire sur le concours des corpuscules, mais il ne dit pas d’où il vient que la matiere a du mouvement, et de l’ordre, ny comment il y a du sentiment dans le monde14.

Di quale testo si tratta? Sicuramente non della seconda lettera a Serena, che verte sulla storia dell’immortalità dell’anima presso i pagani, mentre in questo caso Leibniz parla di un discorso più teoretico che affronta un aspetto particolare, l’anima, ma lascia insoluti tre punti di carattere più generale: l’origine del movimento, dell’ordine e della sensazione attraverso l’intervento di fattori esclusivamente materiali. In via ipotetica, si potrebbe supporre trattarsi di uno scritto che combinasse alcuni passaggi della seconda lettera, in particolare i paragrafi 15 e 16, che riportano le opinioni di alcuni autori latini, con i punti teorici centrali della quinta lettera.

La successiva lettera di Leibniz all’elettrice introduceva poi un nuovo elemento. Leibniz infatti afferma di aver indirizzato a Sofia Carlotta una lettera con l’intenzione di far capire a Toland che deve ancora chiarire quei tre punti critici che già erano stati rilevati e che la loro spiegazione chiamava in causa fattori di ordine superiore alla mera meccanica – in altri termini, rendeva evidente la necessità di ricorrere a principi metafisici. La richiesta leibniziana tuttavia estendeva il terreno della discussione dalla questione ontologica (che cos’è il pensiero?) a quella gnoseologica (come si pensa?). Se infatti la prima domanda che

14 Leibniz G. W., Sämtliche Schriften und Briefe, s. I, vol. 21, cit., lettera 51, Leibniz all’elettrice Sofia, 9 settembre 1702, p. 64 (“Il sig. Toland farebbe bene a mettere in ristretto quello che ha di nuovo da dire. Ma ama fare dei gran discorsi, in una parola, vuole essere autore. Ha letto alla regina un discorso sull’anima che verte pressapoco sulla dottrina di Lucrezio, vale a dire sul concorso dei corpuscoli, ma non dice da dove la materia tragga il movimento e l’ordine, né come vi sia il senso nel mondo.”) (corsivi nel testo).

Leibniz poneva, riguardante l’origine del moto, rimaneva all’interno dell’ambito ontologico, il problema dell’origine della sensazione chiamava in causa anche i fattori che giustificavano la conoscenza15.

Il testo di cui Leibniz fa menzione è la Lettre touchant ce qui est independant des Sens et de la Matiere, costituito da una rielaborazione di una versione precedente recapitata alla regina

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