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Perpetual Flux: materialismo e filosofia della natura

1. Spinoza, Toland, e Tschirnhaus

A una prima lettura le Letters to Serena appaiono come un insieme piuttosto eterogeneo di cinque saggi, i primi tre di argomento erudito che li riallacciano alla tradizione libertina, mentre gli ultimi due affrontano direttamente alcuni problemi di metafisica e di filosofia naturale quali il moto, la materia e il rapporto che intercorre tra i due. Ma è proprio questa trattazione filosofica che dà senso anche alle prime tre lettere. Come avremo modo di vedere, il materialismo tolandiano è la cornice metafisica che è presupposta dalle lettere erudite, perché queste ultime narrano il grado di deviazione della storia dell’uomo rispetto a una sapienza originaria naturalmente accessibile alla ragione ma nonostante questo velata (e distorta) nel corso dei secoli1. Si tratterà allora di ristabilire questa antica verità e, a partire da questa, procedere con l’opera di disvelamento e con lo studio di quei fattori che questo disvelamento rendono difficile, se non impossibile.

Come punto d’avvio per l’indagine sulla costituzione della macchina dell’universo, Toland decide di affrontare criticamente il sistema che a suo giudizio si è più avvicinato all’individuazione del problema, quello di Spinoza. Il rapporto tra Toland e Spinoza è un rapporto complesso. Pur riconoscendogli sulla scia di Bayle un carattere virtuoso e una vita esemplare, l’ebreo olandese ha prodotto un sistema “not only false, but also precarious and without any sort of foundation”2, per quanto su alcuni punti possa dirsi d’accordo con lui. Un punto dolente dello spinozismo è preliminarmente rintracciato in un certo grado di dogmatismo, derivantegli proprio dall’aver formulato un sistema filosofico e dal voler essere riconosciuto come “capo di una setta”, esattamente come Descartes lo era stato per i

1 Cfr. Toland J., Letters to Serena, cit., V, § 5, p. 132: “The plainest things in the world have been mighty secrets for whole ages; and we know that it’s hard to find a thing where nobody dreams of looking for it” (tr. it. cit., p. 301: “Le cose più semplici del mondo sono rimaste grandi segreti per intere epoche; e sappiamo che è difficile trovare una cosa quando nessuno si sogna di cercarla”).

cartesiani. Agli occhi di Toland Spinoza sarebbe stato infatti troppo interessato al suo nuovo “mondo” al punto da non prendere in considerazione le obiezioni che gli venivano volta per volta rivolte, come è testimoniato dallo scambio epistolare con Tschirnhaus, che affrontava proprio il problema che Toland ritiene di aver scorto nello spinozismo3. Mentre in questo capitolo ci occuperemo degli aspetti teorici del materialismo tolandiano, in quello successivo, dedicato ai suoi risvolti storici e sociali, questa accusa di settarismo sarà contestualizzata all’interno della più generale teoria tolandiana della società e del ruolo che il filosofo, in quanto intellettuale pubblico, riveste al suo interno.

Il nodo problematico per Toland è costituito dal moto. Per quanto concordi con Spinoza che i cambiamenti visibili nella materia siano dovuti all’azione del moto, tuttavia ritiene importante distinguere tra il moto locale, che è sempre relativo e non è quindi nulla di reale, ma solo un modo, e il moto in quanto principio causale di azione. Se infatti Toland non ha nulla da eccepire rispetto alla trattazione del moto delineata da Spinoza nella seconda parte dell’Etica, ritiene tuttavia che questa risulti da osservazioni tratte dall’esperienza e non sia quindi in grado di andare oltre il livello fenomenico. In questo Spinoza non si sarebbe quindi allontanato molto dal comportamento dei matematici, che si limitano a postulare l’esistenza di una forza motrice senza andare oltre alla ricerca della sua causa (un punto su cui torneremo più diffusamente nel paragrafo 4).

Il principio di azione è invece necessario per spiegare come sia derivata la varietà delle cose a partire da una massa materiale omogenea – l’estensione – che nella prospettiva spinoziana sarebbe, secondo Toland, inerte. Un tale principio non può essere infatti semplicemente, more mathematico, assunto ipoteticamente perché deve essere in grado di spiegare la ragione dell’alterazione e del cambiamento nell’estensione:

Whoever then goes about to explain by their first causes the origin of the world, its present mechanism, or the affections of matter, must begin with the first cause of motion: for no manner

3 Cfr. op. cit., IV, §§ 5-6, p. 117 (tr. it. cit., pp. 282-283). Esattamente come già aveva fatto nella Life of Milton, anche nella esposizione delle obiezioni di Tschirnhaus e delle risposte di Spinoza Toland preferisce far dialogare i due personaggi attraverso le loro stesse parole attraverso il ricorso ad ampie citazioni tratte dell’Epistolario.

of variety is included in the bare idea of extension, nor any cause of alteration; and seeing it is action alone that can possibly produce any change in extension, this action or principle of motion must be well cleared and established, or the system must quickly be found defective. If it be only taken for granted, the system will be but an hypothesis; but if proved and explained, then we may expect to find some greater certitude than hitherto in natural philosophy4.

Le soluzioni possibili finora individuate per questo problema sono due: o si assume, come hanno fatto i filosofi fin dai tempi di Anassagora, che la materia sia qualcosa di inerte e passiva e la divinità sia il principio spirituale esterno che ha infuso il moto nella materia, o si assume, come Spinoza, che non si dia un principio trascendente il mondo, ma che sia a esso immanente. Tuttavia il filosofo olandese non è stato in grado di andare oltre a un’enunciazione di principio, avendo invocato solo il moto fenomenico ma anzi anche ammettendo che la materia potesse essere assolutamente in quiete, senza spiegare come poi essa sia stata messa in moto:

Yet he [i. e. Spinoza] was of the opinion that matter was naturally inactive for in the second part of his Ethics or system, proposition thirteenth, axiom the first he says in express terms, “All bodies are either in motion or at rest”. And to let you see that he did not mean respective rest, or the resistance of other bodies, in the demonstration of the second lemma he further affirms, that “all bodies may sometimes be absolutely moved, and sometimes be absolutely at rest”. There can be nothing more positive: yet if any or all the parcels of matter may be in absolute rest, they must persist in that state without some external cause to put them in motion, and this cause he has nowhere assigned; besides that all matter may be inactive, if any part of it can ever be so5.

4 Op. cit., IV, § 9, p. 119 (tr. it. cit., p. 285: “Chiunque s’impegni a studiare mediante le loro cause prime le origini del mondo, i suoi meccanismi attuali o le affezioni della materia deve dunque cominciare con la prima causa del moto: poiché nella semplice idea di estensione non è inclusa alcuna forma di varietà, né alcuna causa di alterazione. Considerando dunque che solo l’azione può produrre qualche mutamento nell’estensione, tale azione o principio del moto dev’essere stabilito in modo chiaro, o il sistema si rivelerà presto inadeguato. Se tale principio viene solo presupposto, il sistema non sarà che un’ipotesi: ma se ne sono date dimostrazioni e spiegazioni, possiamo aspettarci di trovare una certezza maggiore di quella che finora stata raggiunta nella filosofia naturale”).

5 Op. cit., IV, § 10, p. 120 (tr. it. cit., p. 286: “Tuttavia era dell’opinione che la materia fosse essenzialmente inattiva: infatti nella seconda parte del suo sistema, l’Etica (proposizione 13, assioma 1), dice espressamente: «Tutti i corpi sono in stato di moto o di quiete». Per mostrarvi che non intendeva la quiete relativa, o la resistenza degli altri corpi, nella dimostrazione del secondo lemma afferma inoltre che «tutti i corpi possono talvolta essere dotati di moto assoluto, e talvolta di quiete assoluta». Non può esservi un’asserzione più positiva: ma se tutte le particelle di materia o qualcuna di esse possono essere in quiete assoluta, debbono persistere per

Questo passo, che compendia le obiezioni che Toland muove a Spinoza, contiene tre rilievi: che la materia è essenzialmente inattiva; che si dà uno stato di quiete assoluta; che se una parte di materia è inattiva, allora può esserlo anche la materia tout court (e quest’ultimo punto chiama in causa caratteristiche relative alla omogeneità della materia6); inoltre, osserva Toland, Spinoza pur avendo riconosciuto che il moto e la quiete permettono di distinguere tra loro i corpi e ne sono la causa, tuttavia non li ha mai definiti e anzi nell’epistola 2 a Oldenburg ha addirittura negato loro lo statuto ontologico di attributi a causa della loro concepibilità per altro:

Qui si deve notare che per attributo intendo tutto ciò che si concepisce per sé e in sé, in modo che il suo concetto non implichi il concetto di un’altra cosa. Ad esempio, l’estensione si concepisce per sé e in sé; ma non così avviene per il movimento. Questo, infatti, si concepisce in altro e il suo concetto implica l’estensione7.

Secondo Toland, Spinoza, nel voler dare un’apparenza di rigore al suo sistema, ha imboccato la via della deduzione a priori delle cose dalla loro prima causa. In questo modo, tuttavia, si è trovato in difficoltà a spiegare come la materia possa essere stata mossa o come il moto abbia potuto continuare; questo perché da un lato non ammette che Dio sia, cartesianamente, il primo motore e dall’altro non riconosce al moto il rango di attributo. Così non è in grado di spiegare come dall’unica sostanza, o dalla materia omogenea dell’universo, siano derivati i corpi particolari nella loro diversità8. Una tale obiezione non era certo nuova: già Tschirnhaus aveva posto simili interrogativi al filosofo di Amsterdam pochi anni prima della sua morte:

sempre in quello stato senza l’intervento di qualche causa esterna che li metta in movimento, e questa causa non è stata indicata in nessun testo. Inoltre bisogna ricordare che tutta la materia può essere inattiva, se può esserlo qualcuna delle sue parti”).

6 Assumendo infatti che la materia sia omogenea, Toland afferma che una proprietà di una parte sia tale anche di ogni altra parte, e quindi anche del tutto che le singole parti compongono. Nel caso della quiete qui in esame, Toland sembra sostenere che se una parte di materia fosse in quiete, allora in linea di principio sarebbe lecito supporre una condizione di assoluta immobilità per tutta la materia, rendendo così necessario postulare un agente esterno.

7 Spinoza B., Epistolario, in Id., Opere, cit., lettera 2, Spinoza a Oldenburg, [agosto/settembre 1661], p. 1239 (corsivi nostri).

8 Cfr. Toland J., Letters to Serena, cit., IV, § 12, pp. 121-122 (tr. it. cit., p. 288). È bene sottolineare fin da subito come nel corso della esposizione della critica del sistema spinoziano Toland tenda ambiguamente a istituire l’identità tra la sostanza e la materia. Cfr. Dagron T., Toland et Leibniz, cit., pp. 199-203.

Se la disponibilità di tempo e l’occasione lo permettono, ti chiedo sommessamente la vera definizione del moto e la sua spiegazione; inoltre, posto che l’estensione, concepita per sé stessa, è indivisibile, immutabile ecc., chiedo a quale condizione possiamo dedurre a priori che possono derivarne tante varietà e, di conseguenza, l’esistenza della figura nelle particelle di qualche corpo, le quali, tuttavia, in qualsiasi corpo sono varie e diverse dalle figure delle parti che costituiscono la forma di un altro corpo9.

Di fronte a questa questione, Spinoza non aveva offerto una risposta diretta, limitandosi ad affermare che a partire dalla sola estensione, come la concepisce Descartes, cioè come una massa inerte, non è possibile dimostrare l’esistenza dei corpi, perché una massa inerte, in quanto tale, persevera nel suo stato se non viene mossa da una causa esterna e più potente; quanto al secondo punto, la deducibilità del molteplice a partire dal semplice, Spinoza accetta l’obiezione limitatamente agli enti di ragione, ma la rifiuta per quel che riguarda gli enti reali, quale la sostanza, la cui essenza è tale da poter dedurre da essa molteplici proprietà10. Non soddisfatto dalla reticenza del suo interlocutore, Tschirnhaus nella sua successiva lettera aveva deciso di affrontare direttamente la questione, chiedendo a Spinoza di esprimere la propria opinione in merito. Nella sua risposta, Spinoza aveva affermato:

credo di aver già abbastanza chiaramente mostrato che quel che tu chiedi, ossia se possa essere dimostrata a priori la varietà delle cose a partire dal solo concetto dell’estensione, è impossibile. E perciò la materia è stata definita male da Cartesio per mezzo dell’estensione; ma deve essere necessariamente spiegata mediante un attributo che esprime un’essenza eterna e infinita11.

La confutazione tolandiana consiste dunque nel mostrare come tra Descartes e Spinoza non vi sia alcuna differenza circa il concetto di estensione, intesa come massa materiale inerte che abbisogna di un impulso esterno per essere messa in moto. Questo perché Toland interpreta il Lemma 2 della digressione fisica successiva alla Proposizione 13 della Parte II dell’Etica

9 Spinoza B., Epistolario, cit., lettera 75, Tschirnhaus a Spinoza, 5 gennaio 1675, p. 1487; Tschirnhaus tornerà ancora sulla questione nella lettera 83: cfr. op. cit., lettera 83, Tschirnhaus a Spinoza, 2 maggio 1676, p. 1500. 10 Cfr. op. cit., lettera 84 Spinoza a Tschirnhaus, 5 maggio 1676, pp. 1501-1502; e lettera 86, Spinoza a Tschirnhaus, 15 luglio 1676, p. 1504.

11 Op. cit., lettera 86, Spinoza a Tschirnhaus, 15 luglio 1676, pp. 1503-1504 (corsivi nostri). Cfr. Klever W. N. A., Moles in Motu: Principles of Spinoza’s Physics, «Studia Spinozana», 4, 1988, pp. 165-168.

come se sostenesse l’esistenza in natura di moto e quiete assoluti. Assumendo dunque che una parte della materia sia in quiete assoluta Toland conclude che tutta la materia deve essere in quiete perché altrimenti non si spiegherebbe, in un universo pieno e senza vuoti, come questa parte di materia sia rimasta in questo stato ab aeterno12. In conclusione, Toland ritiene di aver mostrato l’inconsistenza del sistema spinoziano attraverso la discussione del ruolo del moto all’interno dell’Etica. Si tratta di una confutazione le cui basi sono costituite da una lettura forse “cartesiana” di Spinoza, in cui il suo sistema mantiene il carattere inerte dell’estensione ma ne esclude un altro, l’intervento di Dio quale fondamento ontologico del moto, esclusione dovuta al monismo sostanziale. In questo modo agli occhi di Toland il moto è assunto come esistente, come dato, attraverso l’appello a posteriori della varietà fenomenica, ma manca di un’adeguata fondazione metafisica, fondazione che Spinoza non ha voluto riconoscergli non annoverandolo tra gli attributi in quanto conoscibile solo attraverso un attributo, l’estensione, come mostrato dalla lettera 2 a Oldenburg.

Prima di proseguire nell’indagine, occorre tuttavia fermarsi un momento per capire la posizione di Spinoza e se effettivamente quella tolandiana sia una confutazione, dal momento che già i suoi contemporanei, in primis Samuel Clarke e William Wotton, avevano nutrito numerosi dubbi al riguardo. Il punto di partenza della discussione spinoziana della derivazione dei modi a partire dalla sostanza è contenuto nella Proposizione 16 della Parte I:

Dalla necessità della natura divina devono seguire infinite cose in infiniti modi (cioè tutte le cose che possono cadere sotto un intelletto infinito)13.

Tuttavia tra una causa infinita e un effetto finito non può esservi una causalità diretta perché tutto ciò che segue da una causa infinita ed eterna deve condividerne queste caratteristiche14. Per ovviare a questo problema, Spinoza introduce quali mediatori tra l’infinito e il finito i

12 Cfr. Sangiacomo A., Dall'origine della superstizione all'origine del movimento: Lo strano caso della confutazione tolandiana di Spinoza, «Rivista di Storia della Filosofia», 68 (4), 2013, pp. 654-659. Sangiacomo ritiene che questa linea argomentativa, labile, sia poi abbandonata in favore di una basata sulle obiezioni di Tschirnhaus. Vi è tuttavia continuità tra le due dal momento che le obiezioni di Tschirnhaus si mantengono all’interno di un quadro cartesiano in cui la materia è in quiete assoluta prima che Dio dia il suo “tocco” mettendola in moto.

13 Spinoza B., Etica, cit., Parte I, Proposizione 16, p. 805. 14 Cfr. op. cit., Parte I, Proposizione 21, p. 811.

modi infiniti ed eterni, a loro volta distinti in immediati e mediati. Il primo è ciò che segue dalla natura eterna dell’attributo, esprimendone l’essenza attiva e dinamica; il secondo è invece la modificazione dell’attributo operata attraverso il primo e contiene ogni possibile e attuale determinazione finita esprimente l’essenza dell’attributo15.

Ma relativamente all’estensione, questo cosa comporta? Nell’Etica Spinoza è parco e reticente riguardo ai modi infiniti – probabile segno di insoddisfazione da parte del filosofo e di necessità di ulteriore approfondimento. Tuttavia vi sono alcuni elementi che permettono di abbozzare una risposta. Fondamentale al riguardo è l’epistola 78 a Schuller. Di fronte alla richiesta del suo corrispondente di offrire esempi delle cose prodotte immediatamente e mediante una modificazione infinita, Spinoza aveva risposto:

Infine gli esempi del primo genere [i. e. le cose prodotte immediatamente da Dio], che chiedi, sono: nel pensiero, l’intelletto assolutamente infinito; nell’estensione il moto e la quiete. Del secondo genere [i. e. le cose prodotte mediante una qualche modificazione infinita], invece: il volto di tutto l’universo [facies totius universi], che, pur variando in infiniti modi, rimane tuttavia sempre lo stesso (E2L7S prima della P14)16.

Il modo infinito ed eterno immediato dell’estensione è allora costituito dalla diade infinita moto/quiete, mentre il modo infinito ed eterno mediato dalla facies totius universi, ossia da tutte le essenze (ed esistenze) che seguono dalla infinita essenza divina17.

Stabilita così la natura dei modi infiniti, occorre chiarire il loro ruolo all’interno dell’ontologia spinoziana. Posto infatti che i singoli modi finiti possono esistere solo attraverso un altro

15 Cfr. Mignini F., L’Etica di Spinoza. Introduzione alla lettura, Carocci, Roma, 2002, pp. 61-65. 16 Spinoza B., Epistolario, cit., lettera 78, Spinoza a Schuller, 29 luglio 1675, p. 1494.

17 Trovo debole l’osservazione di Emilia Giancotti secondo la quale con facies totius universi si debba intendere le modificazioni infinite mediate dell’estensione e del pensiero derubricando il richiamo al Lemma 7 della parte II a mero “esempio tratto dal mondo fisico” e giustificando questa posizione affermando che in Spinoza l’ambito della Natura è maggiore di quello del Corpo; occorre però rilevare che sebbene nel Lemma 7 si parli sì di Natura, in quel contesto la discussione verta sul mondo fisico tant’è che in quella sede la natura è detta formata da parti “cioè tutti i corpi”. Sembra preferibile l’interpretazione di Mignini, secondo il quale la facies totius universi costituisce il modo infinito ed eterno mediato dell’estensione, mentre in forza del parallelismo il modo infinito ed eterno mediato del pensiero può essere ricostruito analogicamente come la totalità delle idee concernenti la natura: cfr. Giancotti E., Sul problema dei modi infiniti [1991], in Ead., Studi su Hobbes e Spinoza, cit., pp. 293- 295.

modo finito, e così all’infinito18, è tuttavia Dio l’unica sostanza e quindi l’unico ente dotato di potere causale, data la coincidenza di essenza e di potenza19. Si tratta di una difficoltà solo apparente, perché i singoli modi finiti, in quanto seguono dalla necessità divina, e quindi in virtù della sua stessa essenza, ineriscono, attraverso la mediazione dei modi infiniti, a un attributo che esprime, in suo genere, l’infinita essenza divina. In conclusione, i singoli modi finiti estesi, in quanto parte della facies totius universi, esprimono ciascuno l’essenza divina secondo un rapporto determinato della diade infinita moto/quiete.

Come si applica tutto ciò al mondo fisico? La discussione della natura dei modi finiti nella Parte I dell’Etica infatti dice solo che i modi finiti agiscono l’uno sull’altro, ma tace sulla natura della loro interazione. Dopo la Proposizione 13 della Parte II Spinoza delinea quella che potrebbe essere definita una fisica in nuce. L’Assioma 1 stabilisce che il comportamento dei corpi è regolato dal moto e dalla quiete, mentre l’Assioma 2 che il moto e la quiete si trova nei corpi secondo gradi diversi. E sono proprio questi gradi che permettono di individuare i corpi e di differenziarli l’uno dall’altro. Che ogni corpo debba essere caratterizzato essenzialmente da un rapporto determinato di moto/quiete è dovuto al fatto che

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