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Il lavoro, nel suo nucleo centrale ha cercato di fornire una plausibile risposta agli interrogativi circa l’ammissibilità dell’istituto dei punitive damages all’interno del nostro ordinamento, nonché in merito al fatto che il riconoscimento in Italia di una sentenza straniera, recante una condanna al pagamento dei danni punitivi (dunque in presenza di una ipotesi di delibazione di una sentenza emessa all’estero) possa infrangersi o meno contro il limite costituito dalla contrarietà della statuizione all’ordine pubblico internazionale.

Si è sottolineato come la concezione per lungo tempo dominante nella dottrina e nella giurisprudenza di legittimità sia stata la visione monofunzionale della responsabilità civile, intesa esclusivamente quale strumento di riparazione del danno subito dal soggetto leso dall’illecito altrui.

In virtù dell’attuazione di una primaria esigenza di riparazione dei pregiudizi delle vittime di atti illeciti, dunque, il fulcro centrale del sistema era individuato nell’esigenza di ristorare il danno percepito come perdita cagionata da una lesione di una situazione giuridica soggettiva.

La progressiva evoluzione della riflessione sulla responsabilità civile, ed il suo contestuale svincolarsi da quella penale, ha portato tuttavia a poter ipotizzare la coesistenza, accanto alla funzione reintegratoria e riparatoria avutasi fino a quel momento, di altra finalità, volgendo una maggiore attenzione ad un possibile recupero della funzione sanzionatoria o deterrente, onde assicurare la presenza nell’ordinamento di un rimedio idoneo a tutelare i diritti civili in tutte quelle situazioni nelle quali la condanna al risarcimento del danno in un’ottica puramente riparatoria risulti inadeguata allo scopo.

È in tale contesto, con una funzione forse recettiva dei diversi orizzonti dottrinali affermatisi nel corso del tempo, che si inserisce la recente ed importante sentenza n. 16601 del 5 luglio 2017 pronunciata dalle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione la quale, si incentra sulla possibilità di poter ammettere – all’interno del nostro ordinamento – sentenze straniere di condanna ad una somma superiore a quella necessaria a reintegrare il danno da parte del soggetto leso.

La pronuncia è stata salutata dalla dottrina come foriera di un significativo mutamento del panorama esistente fino a quel momento, sulla base dell’esclusione della contrarietà all’ordine pubblico dei danni punitivi; non appare tuttavia essere esaustiva, poiché tratta effettivamente solo del profilo attinente alle delibazioni dei danni in virtù di sentenze pronunciate da un’autorità straniera, lasciando invece irrisolto il problema sostanziale dell’ammissibilità dei danni punitivi all’interno del nostro ordinamento.

Quello che emerge da tale pronuncia è dunque l’esigenza di inserire, nel nostro sistema, delle regole interpretative ad hoc circa l’istituto in esame alle quali poter sempre far riferimento, in un’ottica di armonizzazione delle stesse con il diritto internazionale e comunitario. Ciò per poterne ammettere la presenza all’interno del nostro ordinamento dei punitive damages, senza andare contestualmente a modificare i principi portanti già esistenti e consolidati nel nostro sistema della responsabilità. Per tali motivi non tutte le decisioni relative ai danni punitivi potranno essere recepite dal sistema giuridico italiano poiché, risultando indefettibile il rispetto dei principi sanciti dagli artt. 23, 24 e 25 della nostra Carta Costituzionale, il connotato sanzionatorio potrà ammettersi solo laddove sia chiaramente previsto da una norma di legge dell’ordinamento straniero.

È possibile dunque affermare che la decisione in materia non sia forse idonea ad apportare un cambiamento nell’interpretazione dei valori sostanziali della responsabilità civile, così come non pare certo che la giurisprudenza sia lo strumento più adatto a tal fine – risultando invero auspicabile, per un tema di tale rilevanza, una posizione espressa dal punto di vista del diritto positivo.

Cionondimeno il dibattito sul tema permette sicuramente di valorizzare le esperienze straniere, di avere un confronto con le stesse e di conseguenza di poter accogliere nel nostro ordinamento delle sentenze aventi logiche diverse dalle nostre. Qualora ciò portasse a porre in discussione i principi nazionali in materia di risarcimento del danno, tuttavia si tratterebbe di assistere ad un cambiamento radicale, il quale probabilmente non troverebbe giustificazione sufficiente nella sentenza qui esaminata: la decisione delle Sezioni Unite della Cassazione di fatto va ad incidere, come si è già detto, unicamente sulla delibazione delle pronunce straniere, lasciando invece impregiudicata la tematica sostanziale.

Resta in ogni caso indiscussa – seppure limitata ad un contesto di estrema specificità - la portata innovativa della pronuncia del 5 luglio 2017, a cui va il merito di aver riaperto uno spiraglio verso un istituto che fino ad oggi non aveva trovato spazio nel nostro ordinamento.

Tuttavia va precisato che questa decisione non ha propriamente introdotto l’istituto del danno punitivo, ma ha piuttosto previsto che in tema di riconoscimento delle sentenze straniere, le decisioni che contengono una condanna ai risarcimenti punitivi non sono più categoricamente “non delibabili” e possono quindi ottenere efficacia nell’ordinamento italiano.

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