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Considerazioni conclusive

Nel documento Le esperienze di reddito minimo in Campania (pagine 193-200)

di Davide Bubbico

5. Considerazioni conclusive

Le considerazioni che abbiamo fin qui supportato non hanno certamente il merito di evidenziare fattori di novità, sia in relazione alle funzioni dei servizi pubblici per l’impiego, sia in relazione alle condizioni del mercato del lavoro. Qualche elemento interessante è invece a nostro avviso ravvisa- bile dalla valutazione del ReI, non altro in previsione di quella che sarà la valutazione del primo periodo di attuazione del RdC. In questo contesto ab- biamo, tuttavia, voluto insistere in particolare sul tema della domanda di la- voro e sul fatto che, pur riconfermando il carattere multidimensionale della povertà, le problematiche occupazionali in alcuni contesti continuano a rap- presentare probabilmente la prima criticità. Queste problematiche non vanno intese, tuttavia, come l’esistenza di una disoccupazione pure e semplice. È più probabile che una condizione di instabilità dell’occupazione, anche all’interno dell’economia informale, o nella forma del lavoro nero, siano più presenti della semplice inattività per mancanza di lavoro. Come ha scritto correttamente Fanelli nel rapporto di valutazione del ReI la ripartizione dei nuclei beneficiari tra progetti personalizzati e Patti di Servizi va interpretata come funzione sia dei bisogni espressi dal nucleo, sia delle possibilità con-

stata della stessa misura poiché l’aumento di assunzioni del 50 per cento ha corrisposto a un numero di base molto più grande rispetto comunque all’aumento dei licenziamenti sempre del 50 per cento.

crete dei servizi che li prendono in carico. Ciò significa che, laddove il mer- cato del lavoro è più dinamico, con un numero inferiore di disoccupati, l’in- dirizzamento al Cpi è probabile che risponda meno alle necessità del nu- cleo. Al contrario, «in Regioni dove mancano le opportunità di lavoro, la

presa in carico da parte del Centro per l’Impiego può essere vista come una tra le poche strade percorribili». In tal senso la programmazione del RdC

sembra aver messo da parte la varietà dei contesti territoriali e pur all’interno di una condivisibile misura di carattere nazionale (anche dal punto di vista del trattamento economico) ha però forse erroneamente sbagliato nel preve- dere un minore coinvolgimento a livello locale del Terzo Settore e dei Co- muni.

Ha, dunque, ragione Sordini quando sostiene che le politiche attive del

lavoro dovrebbero configurarsi come un’opportunità che si aggiunge alle po- litiche di sostegno al reddito piuttosto che come vincoli che le condizionano: «avere a lungo confuso le politiche attive con le politiche del reddito condi- zionato è la conseguenza di un tenace residuo culturale premoderno che ha alla base un assunto tanto sbagliato quanto fuorviante sulla reale condizione dei disoccupati, dei non attivi, degli esclusi dalle forze di lavoro». Del resto,

come scrive Modica Scala riprendendo il rapporto Supiot redatto per la Com- missione Europea (1993) sulle trasformazioni del lavoro e il futuro della

regolazione del lavoro in Europa, il paradigma del lavoro di mercato è stato considerato come destinato ad essere sostituito da un «paradigma della con- dizione lavorativa delle persone che non viene definita dall’esercizio di una professione o di un impiego determinato, ma che ingloba le diverse forme di lavoro (di mercato e non di mercato) che ogni persona è suscettibile di com- piere nel corso della propria esistenza». Per alcuni versi, la previsione

stessa dei PUC ha probabilmente significato il riconoscimento in anticipo della probabile incapacità del mercato del lavoro che conosciamo di assor- bire tutti i potenziali beneficiari del RdC.

 Fanelli et al. aggiungono a tal riguardo che «osservando lo stesso aspetto da un altro

punto di vista, si può ritenere che, sempre in Regioni caratterizzate da un mercato del lavoro più efficiente, la corresponsione di un (modesto) sussidio veicolato dai servizi sociali non sia vista come una soluzione soddisfacente dei soggetti il cui problema principale è principal- mente lavorativo (soggetti che, pur avendone titolo, non hanno presentato domanda di ReI)» (L. Fanelli et al., Il ReI negli Ambiti Territoriali, cit., p. 110).

 Ivi.

 M. Sordini, “Politiche attive come politiche di attivazione”, in C. Donolo (a cura di), Il

futuro delle politiche pubbliche, Bruno Mondadori, Milano, 2006.

 Ibid., p. 15.

 A. Supiot, Il futuro del lavoro. Trasformazioni dell’occupazione e prospettive della

regolazione del lavoro in Europa, a cura di P. Barbieri, E. Mingione, Carocci, Roma, 2003.

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Ciò che l’introduzione del RdC potrebbe decisamente migliorare è la fun- zione dei Centri per l’Impiego, soprattutto se si andrà verso l’effettivo po- tenziamento del numero degli addetti (tra nuove assunzioni e stabilizzazione del personale di ANPAL Servizi e forse in futuro dei navigator) e la conferma delle risorse necessarie al potenziamento informatico e delle attività di inter- mediazione sul territorio. Secondo Mandrone e Marocco, tuttavia, nono- stante le risorse assegnate, gli ultimi interventi legislativi avrebbero relegato il ruolo dei Cpi «all’esercizio di un mero potere di vigilanza sull’azzardo morale dei beneficiari (…) senza supportare adeguatamente il loro ruolo di strumento fondamentale per la promozione di un mercato del lavoro traspa- rente e concorrenziale». Se questo è certamente un possibile esito, le risorse

previste dovrebbero contribuire però a rispondere meglio alla pressione eser- citata sui Cpi soprattutto se come si scrive in un rapporto ISFOL del 2016 i servizi pubblici e privati del lavoro risultano sottodimensionati rispetto alla domanda di servizi richiesti, tanto che la scrematura dell’utenza avverrebbe «più per necessità che per strategia o statuto organizzativo, e nel quale la capacità di risposta tanto del pubblico quanto del privato risulta livellata verso il basso».

La necessità di pensare, da un lato, a investimenti significativi nelle aree con minori tassi di sviluppo per accompagnare le misure di sostegno all’oc- cupazione e contro la povertà, e dall’altro, la consapevolezza che la domanda di lavoro incontrerà progressivamente sempre più vincoli di natura tecnolo- gica a causa della riduzione del fabbisogno di lavoro tanto nell’industria quanto in molti settori del terziario, conduce inevitabilmente a dover pensare a politiche di redistribuzione del lavoro, ma anche a una diversa riconsidera- zione di quell’insieme di attività fuori dalla sfera mercantile in grado di sod- disfare quei bisogni sociali insoddisfatti che il mercato non trova profitte-

voli, ma che risultano tanto più necessari nel contesto delle crescenti disu- guaglianze economiche e sociali prodotte dall’attuale modello di sviluppo capitalistico.

 E. Mandrone, M. Marocco, Reddito di cittadinanza, cit., p. 65.

 ISFOL, Rapporto di monitoraggio sui servizi per il lavoro, cit., p. 25. Ancora dieci anni

fa Lagala e D’Onghia in un volume comparativo sulle politiche attive del lavoro in Europa evidenziavano a proposito dell’esperienza italiana dei Cpi l’esistenza di una discrasia orga- nizzativa tra la pur nuova “presa in carico” con l’offerta di servizi di politica attiva e la per- manenza di un assetto organizzativo ancora condizionato dal vecchio collocamento «tra cui la tradizionale “asimmetria del sistema verso la domanda di lavoro”, la persistenza di un mo- dello organizzativo e operativo generalista (in cui “tutti fanno tutto”), cui si aggiungono alcuni limiti intrinseci del modello normativo adottato, quali l’assenza di meccanismi premiali nei confronti dell’utenza che aderisce ai servizi e ai percorsi definiti dai Cpi, ma, soprattutto, la mancanza di un efficace sistema di controllo» (C. Lagala, M. D’Onghia, Politiche di attiva-

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