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Considerazioni conclusive e problemi aperti

di trasferimento di conoscenza codificata e tacita Saveria Capellari

5. Considerazioni conclusive e problemi aperti

L’Università di Trieste si muove all’interno di una profonda trasformazione strutturale che vede coinvolto il sistema universitario italiano nel suo complesso e che implica un più importante coinvolgimento delle università con il modo esterno. Questa trasfor-mazione che ha già assunto una importanza economica non marginale, evidenziata nei dati di bilancio, si realizza attraverso molteplici forme, da quelle di trasferimento tecnologico più proprie, alle attività di ricerca in cooperazione, di ricerca a contratto e di consulenza.

Grafico 2 – La rete di collaborazioni dei conto terzi

149 La terza missione deLL’università

Queste ultime rappresentano una forma di produzione congiunta di ricerca e for-mazione importante perché in grado di rendere fruibile la conoscenza codificata pro-dotta dalla blue sky resarch per gli attori del sistema economico e dalla società nel suo complesso. L’analisi dei dati di bilancio mette in evidenza l’importanza del settore privato nel finanziamento della ricerca universitaria, in particolare quando si consi-derino i conti terzi, e l’importante ruolo svolto dalle amministrazioni pubbliche, in particolare dalla Regione.

L’Università di Trieste sembra caratterizzarsi per una connessione con l’esterno molto significativa in particolare in alcune aree disciplinari, chimica-farmaceutica e scienze della vita, che mostrano un grado apertura alla collaborazione elevato sia guardando ai brevetti accademici che ai conti terzi. Il rapporto con l’economia locale appare tuttavia molto rilevante quando si prendono in esame i conti terzi, mentre la collaborazione internazionale contraddistingue i brevetti accademici. Infine i legami con i centri di ricerca locally based sono in tutti e due i casi significativi.

L’imporanza assunta da queste attività pone tuttavia una serie di problemi di porta-ta non marginale. Il primo è che le multiformi attività di terza missione possono avere effetti negativi su quelle di open science, che costituiscono una delle due missioni “core” dell’Università. Se è vero che le evidenze empiriche suggeriscono il prevalere di una complementarità, per esempio tra le pubblicazioni e i brevetti (e in alcune ricerche anche tra pubblicazioni e ricerca a contratto), è chiaro che questa non è una conclusione raggiunta una volta per tutte, ma è piuttosto un aspetto che va costante-mente monitorato.

Il secondo punto riguarda i problemi di governance dell’Università che diventa una struttura multi-prodotto sempre più complessa dove le diverse di attività dalla ricerca alla didattica alle attività di terza missione, possono avere diversi gradi di complementarità o sostituibilità (per esempio all’interno delle diverse aree discipli-nari), rendendo non facile disegnare unità organizzative e schemi di incentivazione efficienti. D’altra parte, le attività di terza missione avvengono all’interno di “struttu-re” ibride ( le reti di collaborazione pubblico-privato) nelle quali, non essendo sempre chiare le strutture di incentivi per individui e organizzazioni, possono essere favoriti comportamenti opportunistici.

Tuttavia nonostante i problemi non marginali che esse pongono, le attività di terza missione si muovono nella direzione di una progressiva integrazione tra università e società a cui appare difficile sottrarsi senza perdere la sfida che il cambiamento tecno-logico pone alle nostre società.

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I tempi di attesa del primo lavoro nelle imprese

locali. Il caso dei laureati dell’Università di Trieste

*

Laura Chies, Achille Puggioni, Roberto Stok

Abstract: Lo scopo del lavoro è quello di verificare i tempi di primo ingresso nelle imprese private di Friuli Venezia Giulia e Veneto dei laureati magistrali e, soprat-tutto, del vecchio ordinamento dell’università di Trieste. La possibilità di misurare esattamente i tempi d’ingresso permette di confermare con maggiore precisione i ri-sultati empirici di altri studi che osservano come in Italia l’inserimento dei laureati nel mondo del lavoro sia caratterizzato da tempi di entrata più elevati rispetto al resto dei paesi europei. L’analisi si riferisce al periodo 2000-2007, onde evitare i problemi connessi con l’insorgere della crisi economica. I principali elementi correlati al tempo necessario per ottenere un primo contratto di lavoro, sono individuati con un’analisi di sopravvivenza basata sul modello di Cox ad hazard proporzionali, sia con rischio singolo che multiplo rispetto alle diverse forme contrattuali. Le principali variabi-li inserite nel modello sono, dal lato dell’offerta di lavoro, oltre alle caratteristiche individuali, quelle connesse con il tipo di percorso di studi sia di scuola secondaria di secondo grado che quello universitario, distinti in scientifico-tecnologico e socio-umanistico. Per catturare, invece, alcuni aspetti della domanda, sono state considera-te le caratconsidera-teristiche considera-tecnologiche e d’inconsidera-tensità di conoscenza delle imprese locali, le tipologie contrattuali e le qualifiche del primo impiego. L’analisi suggerisce che le lauree tecnico-scientifiche accorciano sensibilmente la durata dell’attesa del primo lavoro, soprattutto per gli avviamenti a tempo indeterminato; ciononostante esse non favoriscono un accesso più rapido presso le imprese medium-high tech e ad elevata intensità di conoscenza.

Keywords: Transizioni università-lavoro, dati amministrativi regionali, modello di Cox a rischio singolo e multiplo

* Una Versione precedente di questo contributo è stata presentata alla riunione annuale AISRe di Palermo (2013). Si ringraziano Davide Arnaudo e i partecipanti al convegno per i preziosi suggerimenti migliorativi. Le opinioni espresse sono esclusivamente degli autori e non impegnano in alcun modo l’Istituzione di appartenenza.

Laura Chies, DEAMS – Università di Trieste. Achille Puggioni, Banca d’Italia – Sede di Trieste.

153 L’avviamento aL Lavoro neLLe imprese LocaLi

Introduzione

Per quali motivi è utile soffermare l’attenzione sulla durata della transizione tra for-mazione terziaria e primo lavoro? Dal punto di vista teorico il tempo che trascorre tra il conseguimento del titolo accademico e il primo lavoro influisce sul rendimento dell’istruzione, sull’obsolescenza del capitale umano accumulato (una efficace sintesi sulla teoria del capitale umano, unita a considerazioni sul caso italiano, è contenuta in Cipollone e Sestito, 2010), sulla densità della rete di relazioni tra università e imprese, nonché sulla scelta della tipologia d’istruzione delle generazioni successive. Oltre a questi fattori, la transizione università-lavoro è diventata uno dei principali temi di ricerca economica anche in seguito alle trasformazioni subite dai mercati del lavoro interni e internazionali (OECD, 2010). A questo si aggiunga che l’omogeneizzazione dei percorsi universitari a livello europeo, determinata dal “Bologna Process” (EA-CEA, 2012) e il conseguente aumento delle coorti di giovani laureati, almeno negli anni antecedenti la crisi, si sono accompagnate a ridotte probabilità di occupazione, nonostante l’assottigliarsi delle relative classi di età.

La ricerca di una prima “buona” occupazione è diventata più difficile e il limbo tra Università e lavoro si è allungato ovunque in Europa (Salas-Velasco, 2007): l’Italia emerge tra i paesi avanzati per la sua posizione di retroguardia, sia in merito alla mo-desta quota di laureati rispetto alla popolazione, che per il minore successo lavorativo, caratterizzato da più elevati tassi di disoccupazione, da più lunghi periodi di attesa del primo lavoro e livelli di reddito più contenuti (Allen, Pavlin e van der Velden, 2011; Støren e Arnesen, 2011). L’indagine CHEERS (Careers after Higher Education: An

European Research Survey), che ha coinvolto 11 paesi europei tra cui l’Italia, ha con-frontato gli esiti occupazionali dei laureati nell’anno accademico 1994-1995 a quattro anni dal conseguimento del titolo e ha evidenziato come la durata della ricerca del primo impiego per gli italiani e per gli spagnoli sia quasi il doppio rispetto alla media dei paesi europei considerati (8,9 e 11,6 mesi rispettivamente, contro una media di 6,2 mesi; Salas-Velasco, 2007: 343, tavola 2).

In questo contesto, risulta interessante analizzare empiricamente quali siano le principali variabili correlate alla durata dell’attesa del primo lavoro, poiché dall’esame della letteratura emergono risultati variegati. La maggior parte delle analisi empiriche si limita ad esaminare l’influenza delle caratteristiche individuali e del titolo di studio sulle modalità di ingresso dei laureati nel mercato del lavoro (Staffolani e Sterlacchi-ni, 2001; Brunello e Cappellari, 2008). Non mancano tuttavia articoli che sottolineano come siano importanti anche le caratteristiche di localizzazione (Biggeri et al., 2001) e quelle della domanda di lavoro (Cutillo e Di Pietro, 2006a; Caroleo e Pastore, 2013) quali fattori di accelerazione dei tempi di avviamento al lavoro dei giovani laureati. Sotto questo punto di vista, le riforme degli ordinamenti di studio avvenute nei primi anni duemila sembrano aver determinato un maggiore successo dei percorsi di studio e di specializzazione che terminano con una laurea di secondo livello rispetto a quelle di primo livello (Capellari e Lucifora, 2009; Sciulli e Signorelli, 2011).

Data la complessità delle correlazioni tra i fattori connessi all’ingresso al lavo-ro dei laureati, questo lavolavo-ro è strutturato nel modo seguente. Nel primo paragrafo si riassumono i principali risultati della letteratura empirica sulle determinanti dei tempi di primo ingresso al lavoro, con particolare riguardo al caso italiano e a quelli

154 regionali. Nel secondo paragrafo, dopo aver illustrato le basi dati oggetto d’analisi, viene presentata la metodologia adottata per stimare le variabili connesse alla durata del “limbo”, ossia del periodo di attesa tra la laurea e il primo avviamento presso le imprese private locali. Il terzo paragrafo è dedicato alle statistiche descrittive delle variabili che qualificano la durata delle transizioni università-lavoro. Nel quarto pa-ragrafo si discutono i risultati delle stime dei modelli di Cox e il quinto presenta le riflessioni conclusive.