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di trasferimento di conoscenza codificata e tacita Saveria Capellari

5. Considerazioni conclusive

La lunga durata della transizione tra Università e primo lavoro per i neolaureati ri-sulta essere in questo studio un aspetto particolarmente critico del mercato del lavoro italiano, soprattutto nel confronto europeo. Dati i livelli medi di disoccupazione dei giovani in Italia, questa osservazione non sorprende, stupisce però che non risparmi nemmeno i più dotati di capitale umano. L’analisi, che ha riguardato i laureati del vecchio ordinamento dell’ateneo di Trieste e quelli specialistici del nuovo, che tra il 2000 e il 2007 hanno cercato un’occupazione dipendente nelle imprese private del FVG e del Veneto, ha visto, infatti, che solo il 53,8 per cento di essi ha trovato la prima occasione di lavoro post-laurea nelle due regioni. La durata media dell’attesa dalla laurea al primo lavoro è stata piuttosto lunga e pari a 505 giorni (quasi 17 mesi; 10,4 mesi la durata mediana), molto più elevata di quanto rilevato in media in Europa, ma minore rispetto a quella misurata nel caso di Perugia (Sciulli e Signorelli, 2012). Tale durata presenta differenze marcate tra i gruppi disciplinari: quella dei laureati in discipline scientifiche e tecnologiche si accorcia, coeteris paribus, sensibilmente, soprattutto per gli avviamenti a tempo indeterminato e in media è pari a poco più di tre mesi. L’ingresso nelle imprese tecnologicamente più evolute si accompagna, invece, a una maggiore durata, che è ancora più lunga per i neolaureati tecnico-scientifici. Se si guarda invece all’intensità dell’avviamento, questo tipo d’imprese assume il triplo di laureati rispetto alle imprese con un basso profilo tecnologico o di conoscenza. Ciò è interpretabile come un segno di debolezza dal lato della domanda di lavoro. La

168 struttura produttiva del Veneto e del FVG è caratterizzata, infatti, come nel resto del Paese, da un tessuto di piccole e medie imprese e da una specializzazione nei settori a tecnologia medio-bassa e nei servizi a minore intensità di conoscenza. Il più elevato grado di assorbimento di laureati e la maggiore presenza di ricercatori sul territorio è determinata quindi, dalla presenza di molteplici istituti di ricerca e formazione con forma giuridica pubblica.

Il presente saggio propone quindi un utile strumento di analisi del fenomeno, utilizzando esclusivamente dati amministrativi, piuttosto che indagini campionarie che permettono di rilevare la condizione occupazionale solo a determinati intervalli temporali, arricchendo così lo scarno panorama di evidenze empiriche sia a livello nazionale che europeo. Pur con i caveat più volte richiamati, dovuti alla natura dei dati amministrativi utilizzati, il presente lavoro richiama l’attenzione sul rischio di erosione del capitale intellettuale, accumulato durante gli studi universitari, connesso ai seguenti fattori: un’attesa troppo lunga, avviamenti in prevalenza presso imprese non tecnologicamente avanzate, qualifiche di ingresso medio-basse e avviamenti con forme contrattuali precarie. Se queste caratteristiche possono essere determinate da processi normali che caratterizzano un primo ingresso, occorre sottolineare che attese tanto lunghe creano problemi di obsolescenza del capitale umano acquisito o di sot-toutilizzo dello stesso, come spesso viene richiamato in letteratura (cfr Caroleo e Pa-store, 2013; Franzini e Reitano, 2012), per cui le politiche suggerite a livello europeo volte ad accelerare l’ingresso al lavoro con le misure suggerite dal “piano giovani” vanno nella direzione auspicata.

In questo lavoro, tuttavia, emerge un fattore più problematico, che è quello della scarsa compatibilità dell’istruzione di terzo livello con le caratteristiche produttive del sistema delle imprese private locali. La valorizzazione del capitale umano attraverso qualifiche medio-alte non può più avvenire solo con l’impiego pubblico, poiché da molti anni i vincoli di bilancio hanno arrestato le assunzioni in questo settore. Risulta quindi inevitabile che siano le imprese private a beneficiare dei percorsi di conoscen-za dei giovani laureati, tanto più necessari nell’attuale contesto competitivo interna-zionale e in un’area votata alle esportazioni come quella del Nord-Est. Una politica utile al superamento di questi colli di bottiglia potrebbe essere quella di avvicinare le piccole e medie imprese ai piani di ricerca universitari, rafforzando la terza via dell’u-niversità che vede proprio nella collaborazione a progetti di ricerca comuni una delle funzioni principali. I laureati e i dottori di ricerca andrebbero a rafforzare la compo-nente ricerca e sviluppo delle imprese e al contempo avvicinerebbero le imprese lo-cali ai livelli competitivi richiesti dalla globalizzazione. In questo senso sarebbe utile anche un intervento fiscale che vedesse la spesa in istruzione universitaria e l’impiego del laureato non come una partita di costo, ma come un vero e proprio investimento, così come viene chiaramente messo in luce dalla teoria della crescita economica.

I rischi qui evidenziati si sono accentuati negli anni più recenti, a seguito del lungo periodo di stagnazione economica, che è ancora in atto. L’analisi sul periodo della crisi verrà effettuata in un prossimo lavoro, insieme al confronto con le transizioni al lavoro dei laureati triennali, in modo da evidenziare i punti di differenziazione dei due percorsi, oltre che valutare il successo della riforma “3+2” per quanto riguarda i percorsi di ingresso al mercato del lavoro.

169 L’avviamento aL Lavoro neLLe imprese LocaLi

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