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Considerazioni finali sulla parità di trattamento tra azionisti nell’ordinamento

CAPITOLO III CONSIDERAZIONI SUL RUOLO E LA RILEVANZA DELLA PARITÀ

2. R ICOSTRUZIONE DELLA PARITÀ DI TRATTAMENTO NELL ’ ORDINAMENTO SOCIETARIO

2.4. Considerazioni finali sulla parità di trattamento tra azionisti nell’ordinamento

L’analisi e le riflessioni svolte fino a questo punto consentono di formulare alcune considerazioni finali e di provare a fornire una risposta all’interrogativo che ha accompagnato l’intero elaborato, ossia se la parità di trattamento costituisca un principio generale nella disciplina delle società per azioni non quotate.

La parità di trattamento è un principio cui paiono ampiamente ricorrere la dottrina maggioritaria, la giurisprudenza e le massime notarili, sebbene nell’ordinamento societario manchi, da sempre, un’esplicita previsione di legge in tal senso. Il ricorso alla regola paritaria sembra potersi spiegare alla luce dell’estrema duttilità che caratterizza il principio, grazie alla quale lo stesso riesce a tradursi in strumento a presidio delle posizioni individuali degli azionisti. Le condotte che generalmente vengono sanzionate con il principio di parità di trattamento, infatti, riguardano ipotesi profondamente. Al principio stesso vengono usualmente attribuiti una molteplicità di significati446 ed il suo utilizzo sembra talvolta generalizzato o

addirittura improprio. La parità di trattamento pare così essersi trasformata in uno strumento di facile ricorso per addivenire a risultati di giustizia sostanziale laddove

446Pare eloquente che si parli di natura polisemica del principio di parità di trattamento. Così, G. D’ATTORRE, Il principio di uguaglianza tra i soci nelle società per azioni, cit., 13 ss.

non sia agevole trovare un diverso rimedio nella disciplina societaria.

A fronte di questa applicazione del principio, sebbene numerosi sforzi siano stati compiuti in dottrina, non sembrano potersi rinvenire argomenti convincenti circa il presunto fondamento che la parità di trattamento avrebbe nell’ordinamento societario. Peraltro, dall’esame della normativa emergono indici significativi, sia nel senso che le singole previsioni che paiono ispirarsi alla parità di trattamento sono sempre più limitate e frammentarie sia che la disciplina delle società per azioni sembra muoversi sempre più in direzione opposta rispetto a esigenze di tutela paritaria tra la compagine sociale.

Al quadro, già piuttosto eloquente, fin qui esposto, si aggiunge un ulteriore fattore rappresentato dall’assenza, nel contesto societario (con esclusivo riferimento alle società per azioni non quotate), degli elementi che paiono aver spinto il legislatore a sancire una regola paritaria in altri settori del diritto e che sembrano suggerirne l’imposizione. Infatti, le asimmetrie informative e gli squilibri contrattuali che caratterizzano il rapporto tra società e azionisti, nelle società per azioni non quotate, non sembrano essere tali da suggerire una compressione dell’autonomia statuaria attraverso l’imposizione di una regola paritaria447. Non pare neppure che tale

disciplina sia interessata da altri principi, come quello solidaristico o democratico, per

447 Preme precisare che quanto indicato nel testo non intende negare l’esistenza di squilibri contrattuali e di asimmetrie informative nel rapporto tra soci e società. Tali elementi sembrano invero sussistere in quasi tutti i rapporti giuridici; ciò che rileva a fini della riflessione qui svolta non è pertanto la loro presenza, quanto la relativa intensità. Nelle società per azioni non quotate, gli squilibri contrattuali e le asimmetrie informative saranno via via maggiori in virtù, fra l’altro, della diffusione della compagine sociale e della presenza di soci più o meno “attivi”. Tuttavia, con riferimento al “tipo” societario in esame, sembra potersi affermare che tali elementi (i.e. squilibri contrattuali e asimmetrie informative) non possano arrivare ad avere una portata tale da giustificare l’imposizione della regola paritaria – come in altri ambiti del diritto – e che sia condivisibile la scelta legislativa di farvi fronte attraverso le molteplici regole societarie poste a tutela degli interessi dei singoli soci. Sul punto, sarebbe legittimo interrogarsi circa la coerenza dell’attuale sistema normativo che – salvo rare eccezioni – sottopone alla medesima disciplina società con azionariato ristretto (fino al caso della società con socio unico) e società con azionariato diffuso.

propria natura affini alla parità di trattamento e pertanto coerenti con una sua imposizione. Si tratta, infatti, di un modello di organizzazione cui il legislatore assegna quale scopo “tipico” – ed esclusivo (a differenza delle società cooperative o consortili che sono caratterizzate, rispettivamente, anche dallo scopo mutualistico o consortile), salvo eccezioni come il caso dell’impresa sociale – quello di lucro (oggettivo e soggettivo)448. Infine, a differenza dell’ipotesi delle procedure concorsuali, gli organi

sociali si trovano in una situazione di autonomia negoziale; anzi, come più volte segnalato, l’ordinamento si sta muovendo gradualmente, ma con passo deciso, verso una sempre maggiore autonomia di questi ultimi.

Gli elementi emersi nel corso della trattazione sembrano così attribuire al silenzio del legislatore un significato preciso, ossia che la parità di trattamento non possa rappresentare un principio generale all’interno della disciplina delle società per azioni che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio.

Questa conclusione sembra dopotutto coerente, oltre che con l’espansione che l’autonomia privata ha conosciuto nel diritto societario post-Riforma, anche con il ruolo sempre più preminente che il principio maggioritario sta assumendo quale cardine regolatore della dinamica assembleare della società per azioni. Con la Riforma societaria del 2003 si è infatti verificato un ampliamento della sfera di operatività del principio maggioritario, per effetto del quale l’interesse dei singoli soci viene posto in secondo piano rispetto quello della maggioranza449. Per bilanciare la situazione di

448 Con riferimento al dibattito dottrinale circa l’asserito tramonto dello scopo lucrativo nelle società di capitali, si veda, con riferimento a chi sostiene che le società siano diventate strutture organizzative causalmente neutre: F. DI SABATO, Società in generale. Società di persone, in Trattato del

Consiglio Nazionale del Notariato, ESI, Napoli, 2004, 45 ss.; A.A. CARABBA, Scopo di lucro e

autonomia privata. La funzione nelle strutture organizzative, ESI, Napoli, 1994, 65 ss.; G. SANTINI, Il

tramonto dello scopo lucrativo nelle società di capitali, in Riv. dir. civ., 1973, I, 151 ss.; per la posizione maggioritaria che, invece, ritiene che la normativa vigente non consenta di affermare la derogabilità statutaria dello scopo di lucro o economico, ex multis, si veda G.F. CAMPOBASSO, Diritto

Commerciale. 2. Diritto delle società, cit., 28 ss.; V. BUONOCORE, Le società. Disposizioni generali (artt.

2247-2250), in P. SCHLESINGER(diretto da), Il codice civile. Commentario, Giuffrè, Milano, 2000, 107

ss.; P. SPADA, Dalla nozione al tipo della società per azioni, in Riv. dir. civ., 1985, I, 95 ss.

“sudditanza” rispetto alle decisioni della maggioranza in cui si sono trovati così assoggettati i soci, il legislatore della Riforma ha deciso di ampliare le ipotesi in cui è possibile abbandonare la compagine sociale recuperando il valore del proprio investimento450. La disciplina a tutela della posizione degli azionisti sembra così più

improntata a strumenti di c.d. exit piuttosto che a strumenti di c.d. voice451.

In questo senso, una pretesa generale di parità di trattamento sembra porsi in conflitto con il ruolo che ha assunto il principio maggioritario e con il carattere degli strumenti a tutela della posizione del socio. Anzi, alcune fattispecie in cui è oggi

liquidazione, in cui la maggioranza può neutralizzare qualsivoglia diritto soggettivo degli azionisti ad ottenere la quota di liquidazione al verificarsi di una causa di scioglimento. Prima della Riforma del 2003, la dottrina e la giurisprudenza maggioritaria ritenevano che la revoca dovesse essere approvata all’unanimità, anche se non mancavano voci in senso contrario. Per l’orientamento maggioritario ante riforma si veda, ex multis, A. PACIELLO, Scioglimento della società per azioni e revoca

della liquidazione, ESI, Napoli, 1999, passim; G. MARASÀ, Modifiche del contratto sociale e modifiche

dell’atto costitutivo, cit., 110 ss.; F. CHIOMENTI, La revoca delle deliberazioni assembleari, Giuffrè, Milano,

1969, 109 ss.; T. ASCARELLI, Problemi in tema di liquidazione di una società disciolta. Necessità di

deliberazione unanime o ricostituzione, in Riv. dir. comm., 1950, II, 51 ss. Per la posizione minoritaria si rinvia per tutti a G. NICCOLINI, Scioglimento, liquidazione ed estinzione della società per azioni, in G.E.

COLOMBO, G.B. PORTALE(diretto da), Trattato delle società per azioni, 7***, 1997, Utet, Torino, 668 ss.

Altri esempi che si possono rinvenire nell’introduzione della possibilità di decidere a maggioranza una distribuzione non proporzionale delle partecipazioni delle società beneficiarie in ipotesi di scissione ex art. 2506-bis, comma quarto, c.c. (cfr. G. D’ATTORRE, Il principio di uguaglianza tra i soci

nelle società per azioni, cit., 244 ss.); nella disciplina della trasformazione eterogenea ex art. 2500-

septies c.c., che consente alla maggioranza di approvare un cambiamento così incisivo da poter segnare, tra l’altro, il passaggio da un sistema di attribuzione del voto su base plutocratica ad uno su base capitaria (cfr. G.P. LA SALA, Principio capitalistico e voto non proporzionale nella società per

azioni, cit., 218, nota 54) e, più in generale, la causa originariamente posta a fondamento dell’adesione al contratto sociale (cfr. G. MARASÀ, Modifiche del contratto sociale e modifiche dell’atto

costitutivo, cit., 108 ss.); o ancora nella possibilità di adottare a maggioranza delibere in tema di introduzione o rimozione di vincoli alla circolazione delle azioni (cfr. C. FRIGENI, Partecipazione in

società di capitali e diritto al disinvestimento, Giuffrè, Milano 2009, 108 ss., nota 22).

450 Sull’ampliamento del diritto di recesso nella Riforma societaria del 2003 si rinvia alle considerazioni già svolte nella precedente nota 404.

451Così, G. DI CECCO, Convertibilità e conversione dei titoli azionari, Giuffrè, Milano, 2012, 91 ss.; V. CALANDRABUONAURA, Il recesso del socio di società di capitali, in Giur. Comm., 2005, I, 292 ss.; M.

esplicitamente consentito un trattamento non paritario paiono rappresentare proprio la consacrazione della regola maggioritaria nella disciplina delle società per azioni452.

Nel contesto appena descritto, pare allora preferibile ritenere che la parità di trattamento tra azionisti assuma il connotato di eccezione, più che di regola, e possa operare solo ove espressamente prevista.

L’autonomia privata degli organi sociali e la regola di maggioranza dovranno trovare allora un limite meno stringente e più coerente con l’impostazione dell’ordinamento, che sembra potersi individuare in un generale divieto al compimento di atti e comportamenti discriminatori nei confronti dei soci (Diskriminierungsverbot) 453 . Tale divieto è oggi puntualmente vigilato tramite

l’applicazione della figura dell’abuso di maggioranza (o, significativamente, abuso della regola di maggioranza), attraverso la quale è possibile ottenere tutela reale avverso deliberazioni assembleari che, pur non configurando la violazione di espresse norme di legge o statutarie, hanno carattere fraudolento e lesivo dei diritti della minoranza.

La ricostruzione offerta sembra così lasciare uno spazio piuttosto limitato alla parità di trattamento, che, salvo i casi in cui sia espressamente prevista, potrà costituire solo uno degli indici sintomatici utilizzabili per determinare la presenza di abusi ingiustificati a danno dei soci, che però potranno essere sanzionati attraverso strumenti diversi dalla regola paritaria454. Le violazioni della parità di trattamento tra

azionisti che non integrino una violazione di una regola cogente o la realizzazione di un abuso dovranno allora considerarsi legittime. Tuttavia, si anticipa che l’esame della figura dell’abuso di maggioranza e delle ipotesi applicative più rilevanti condurrà a ritenere che la “svalutazione” del ruolo della parità di trattamento nell’ordinamento

452Tra tutte, appare emblematica la norma in materia di scissione di cui all’art. 2506-bis, comma quarto, c.c.

453Aderendo così a quanto sostenuto, tra l’altro in un contesto normativo ben più “favorevole” al principio di parità di trattamento rispetto a quello odierno, in C. ANGELICI, Parità di trattamento

degli azionisti, cit., 11-12.

societario, seppur radicale a livello teorico, ha implicazioni concrete meno rilevanti di quanto si possa immaginare.