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La normativa delle società per azioni non quotate in materia di parità d

CAPITOLO III CONSIDERAZIONI SUL RUOLO E LA RILEVANZA DELLA PARITÀ

2. R ICOSTRUZIONE DELLA PARITÀ DI TRATTAMENTO NELL ’ ORDINAMENTO SOCIETARIO

2.2. La normativa delle società per azioni non quotate in materia di parità d

Per verificare se la parità di trattamento costituisce un principio applicabile nell’ordinamento societario con un approccio legato al dato positivo, sembra preliminarmente opportuno aderire a quell’orientamento che ritiene i principi giuridici derivabili «sia da norme (a contenuto indeterminato) costituenti disposizioni di principio, cioè da testi normativi espressi (p.e., la disposizione dell’art. 9 Cost., per cui “La Repubblica tutela il paesaggio”) o anche, in via induttiva, dall’interpretazione sistematica di disposizioni particolari (così quasi tutti i “principi” di diritto commerciale […]). Però, anche in questo secondo caso, i principi di cui si tratta devono essere verificati, in termini di compatibilità e di coerenza, con i principi di carattere più generale (costituzionale od europeo)»407. Data l’assenza di una norma espressa che sancisce la validità del principio

di parità di trattamento tra azionisti nella disciplina delle società per azioni non quotate, nel rispondere alla domanda di ricerca occorre dunque procedere all’analisi secondo un metodo induttivo, ovvero partendo dall’interpretazione sistematica delle singole norme dell’ordinamento societario, per approdare ad alcune considerazioni di più ampio respiro che permettano di desumere la generale applicabilità, o meno, del principio in esame.

407M. LIBERTINI, Ancora a proposito di principi e clausole generali, a partire dall’esperienza del diritto

commerciale, cit., 19. Il passaggio citato relativo ai «“principi” di diritto commerciali elencati al § 1”» fa riferimento alla classificazione delle clausole generali rinvenute dalla dottrina nel tessuto della Riforma del 2003 e riportate in G. MERUZZI, G. TANTINI(a cura di), Le clausole generali nel diritto

2.2.1. I frammenti di parità di trattamento rinvenibili nella normativa

Come già rilevato, in assenza di un riconoscimento esplicito del principio in questione quale principio generale dell’ordinamento societario, la parità di trattamento è tutelata espressamente in alcune vicende societarie408. Si tratta di casi

eterogenei, nella maggior parte dei quali la parità di trattamento è garantita attraverso il mantenimento della proporzione nella partecipazione azionaria tramite (i) l’offerta agli azionisti delle azioni del socio moroso (art. 2344, comma primo, c.c.), (ii) il diritto d’opzione sulle azioni del socio recedente (art. 2437-quater, comma primo, c.c.), (iii) il diritto d’opzione negli aumenti di capitale a pagamento (art. 2441, comma primo, c.c.), (iv) l’assegnazione proporzionale delle azioni di nuova emissione in caso di aumento di capitale gratuito (art. 2442, comma secondo, c.c.) e (v) all’assegnazione proporzionale delle nuove azioni/quote nel caso di trasformazione omogenea (artt. 2500-quater, comma primo, e 2500-sexies, comma terzo, c.c.).

La tutela della parità di trattamento nei casi richiamati sembra assumere la forma – trattandosi di situazioni accrescibili – di diritto al mantenimento di una quota proporzionale, essendo così strettamente connessa all’interesse dei soci a mantenere il rispettivo peso azionario. Inoltre, si può rilevare come si tratti talvolta di norme che ammettono eccezioni (come nel caso dell’art. 2441 c.c., in presenza di un interesse sociale che giustifichi l’esclusione o la limitazione del diritto d’opzione) e talvolta di disposizioni che rispondono ad un’esigenza di mera proporzionalità nella ripartizione dei diritti conferiti dalle azioni ai propri possessori (artt. 2442, 2500-quater e 2500-sexies c.c.), piuttosto che alla tutela della parità di trattamento stricto sensu intesa409. Peculiare

rispetto alle altre vicende tratteggiate è l’obbligo dei liquidatori, ai sensi dell’art. 2491, comma primo, c.c., di rispettare il criterio di proporzionalità nel richiedere i versamenti ancora dovuti nel caso in cui i fondi disponibili non siano sufficienti al

408Sul punto si veda anche quanto già scritto nel paragrafo 3.3. del Capitolo I.

409In dottrina si è affermato che anche le regole in esame di cui agli artt. 2344, 2437-quater, 2441 c.c. in realtà non siano espressione del principio di parità di trattamento, bensì discendano dal principio di eguaglianza delle azioni. Così, N. DE LUCA, La società azionista ed il mercato dei propri

pagamento dei debiti sociali. Tale previsione, e in particolare l’obbligo che la richiesta di effettuare i versamenti dovuti debba essere avanzata ai soci in misura proporzionale, è stata considerata dalla dottrina in guisa di una specifica applicazione della parità di trattamento410. Non sembra potersi dubitare che la regola espressa sia

parzialmente riconducibile ad esigenze di trattamento paritario, tuttavia la differenza tra il dettato normativo dell’art. 2491 c.c. e quello dell’art. 2344 c.c. (in materia di richiamo da parte degli amministratori dei versamenti ancora dovuti, che non prevede espressamente l’obbligo degli amministratori di rispettare un criterio di proporzionalità411) induce a ritenere che tale prima previsione svolga anche un’altra

funzione, maggiormente attinente al contesto liquidatorio in cui essa è posta. Infatti, oltre a perseguire un obiettivo di ripartizione paritaria attuale e proporzionale tra i soci dei debiti sociali, la norma pare voler facilitare la successiva liquidazione dell’eventuale residuo attivo tra i soci412.

410S. TURELLI, Commento sub art. 2491 c.c., in P. ABBADESSA, G.B. PORTALE(diretto da), Le società per

azioni, Tomo II, Giuffrè, Milano, 2016, 2951; M. AIELLO, La liquidazione delle società di capitali, in G.

COTTINO(diretto da), Trattato di diritto commerciale, V, 2, Le operazioni straordinarie, Cedam, Padova,

2011, 189; G. NICCOLINI, Commento sub art. 2491 c.c., in G. NICCOLINI, A. STAGNO D’ALCONTRES(a

cura di), Società di capitali, Jovene, Napoli, 2004, 1798.

411 Come già visto, la dottrina maggioritaria ritiene che, nonostante l’assenza di un richiamo espresso, la richiesta dei versamenti dovuti debba essere fatta nel rispetto della parità di trattamento tra azionisti: F.S. MARTORANO, Revocatoria dei conferimenti in società di capitali, cit., 525,

nota 8; M.S. SPOLIDORO, I conferimenti in danaro, cit., 395 ss.; M. CAMPOBASSO, Commento sub art.

2334 c.c., cit., 434.

412Preme notare, tuttavia, che i liquidatori possono procedere con la richiesta dei versamenti ancora dovuti solo in presenza di un presupposto oggettivo costituito dall’insufficienza dei fondi disponibili a pagare i debiti sociali. Sul punto, parte della dottrina ha rilevato che ove i fondi fossero sufficienti a soddisfare i creditori sociali, la richiesta dei versamenti ineseguiti contrasterebbe con il principio di economia degli atti giuridici, dal momento che la somma versata dagli azionisti dovrebbe poi essere restituita agli stessi sotto forma di riparto finale. Così, S. TURELLI, Commento

sub art. 2491 c.c., cit., 2950; F. FIMMANÒ, F. ANGIOLINI, Poteri, obblighi e responsabilità dei liquidatori,

in F. FIMMANÒ (a cura di), Scioglimento e liquidazione delle società di capitali, Giuffrè, Milano, 2011,

2.2.2. Evoluzione normativa e considerazioni sulla teoria “intermedia”

A fronte di sparute norme che sembrano essere tangenti rispetto alla parità di trattamento tra azionisti, l’ordinamento societario si è evoluto nella direzione di previsioni che lasciano sempre più spazio all’autonomia degli organi sociali413, anche

a discapito dei principi di parità di diritti e parità di trattamento degli azionisti, ovvero delle declinazioni del principio di eguaglianza nel diritto societario. Basti pensare alla possibilità di assegnare azioni in misura non proporzionale al valore del conferimento ai sensi dell’art. 2346, comma quarto, c.c., alla possibilità di limitare il diritto di voto o disporre scaglionamenti a seconda della quantità di azioni possedute dal singolo azionista ex art. 2351, comma terzo, c.c., alla possibilità di escludere o limitare il diritto di opzione ai sensi, inter alia, dell’art. 2441, comma quinto, c.c., o ancora alla possibilità di attribuire le partecipazioni in modo non proporzionale alla quota originaria in sede di scissione ai sensi dell’art. 2506-bis, comma quarto, c.c.414. La disciplina delle società

per azioni pare dunque muoversi sempre più verso il riconoscimento della preminenza dell’interesse sociale rispetto a quello dei singoli azionisti, fenomeno che, a titolo di esempio, ha interessato anche l’ampliamento del diritto di recesso tra i

413La giurisprudenza è arrivata ad affermare che la Riforma del 2003 ha offerto espressamente «ampio ed inequivoco riconoscimento dei poteri di maggioranza in tutte quante le principali fattispecie in

cui era emersa controversia in tema di cd “diritti soggettivi dei soci” […]. Si tratta in tal senso di una

tendenza chiaramente rivolta a privilegiare nella dialettica endosocietaria il profilo dei “vincoli” associativi derivanti dalla (libera) scelta di adesione al contratto sociale in vista (e naturalmente nei limiti) della più efficace realizzazione della causa del contratto sottoscritto, una tendenza in cui lo spazio di autodeterminazione del singolo socio pare trovare tutela logicamente correlativa attraverso ampio riconoscimento di un diritto di recesso piuttosto che nella attribuzione di un potere di veto di per sé suscettibile di alimentare tensioni anche improprie tra i soci fino a forme di cd abuso di minoranza» (Trib. Milano, 22 dicembre 2014, consultabile all’indirizzo www.giurisprudenzadelleimprese.it).

414 Alcune delle ipotesi considerate nel testo a testimonianza della tendenza normativa che riconosce preminenza all’autonomia statuaria e allenta alcuni limiti precedentemente posti all’azione degli organi sociali riguardano più propriamente regole sull’attribuzione originaria dei diritti, piuttosto che sul trattamento paritario degli azionisti. Tuttavia, sembra potersi affermare che il ridimensionamento del principio di eguaglianza (inteso in entrambe le sue declinazioni) che ne deriva possa essere valutato anche con riferimento specifico al tema oggetto di analisi.

rimedi a disposizione dei soci dopo la Riforma societaria del 2003415.

Alla luce del quadro normativo delineato, appare difficile affermare che da esso si possa ricavare l’esistenza di un principio generale di parità di trattamento nell’ordinamento societario, neppure “in via induttiva”. Le norme che sembrano ispirate da esigenze di trattamento paritario, oltre a contarsi letteralmente “sulle dita di una mano”, sono caratterizzate da finalità e interessi diversi, nonché limitate ad ipotesi circoscritte. Tali elementi inducono altresì a non ritenere condivisibile la tesi della dottrina che da esse ha tratto una regola generale di trattamento paritario applicabile a tutte le vicende societarie non strumentali rispetto all’attività imprenditoriale della società416. Tale ricostruzione, pur avendo il pregio di cercare di

individuare un criterio che identifichi le operazioni in cui si riscontra un interesse preminente della società davanti al quale possono essere pregiudicate le situazioni dei singoli azionisti, sconta infatti alcune fragilità di fondo. In primo luogo, la distinzione tra vicende strumentali e non strumentali all’attività di impresa si fonda su un dato fattuale che, sebbene meritevole di valorizzare l’attività commerciale che caratterizza l’azione delle società per azioni, risulta estraneo alla normativa vigente. In questo senso, in alcune ipotesi, esso può risultare troppo vago, dal momento che la maggior parte delle vicende societarie potrebbero ricollegarsi, benché indirettamente, all’attività d’impresa svolta dalla società medesima. Sarebbe forse stato più opportuno ancorare la distinzione all’interesse sociale, quale interesse prevalente rispetto a quello dei singoli azionisti. In secondo luogo, le norme sulle quali tale ricostruzione ha la

415Con la Riforma societaria del 2003 il diritto di recesso ha conosciuto “una sorta di ritorno al passato”, considerando che tale diritto trovava un ambito di applicazione molto più ampio nel Codice di commercio del 1882 rispetto al successivo codice civile. Sul punto, si veda P. PISCITELLO,

Commentosub art. 2437 c.c., in P. ABBADESSA, G.B. PORTALE(diretto da), Le società per azioni, Tomo

II, Giuffrè, Milano, 2016, 2498; V. DI CATALDO, Il recesso del socio di società per azioni, in P. ABBADESSA,

G.B. PORTALE(diretto da), Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, 3,

UTET, Milano 2007, 221. Nell’attuale disciplina pare, pertanto, che i diritti di exit possano costituire strumenti più efficaci a tutela della posizione degli azionisti di minoranza rispetto ai diritti di voice, cfr. C. ANGELICI, La riforma delle società di capitali. Lezioni di diritto commerciale, Cedam, Padova, 2006,

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pretesa di fondarsi non appaiono sufficienti per ricavare “per via induttiva” un principio generale, seppur applicabile solo a una determinata categoria di vicende societarie.