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Per consuetudini ecdotiche, sono state mantenute intatte le oscillazioni di geminate e scempie, secondo le trascrizioni del Tiraboschi e dei suoi collaboratori, aggiungendo o alleggerendo, qualora

il testo lo richiedesse, la punteggiatura. Sono state conservate inoltre inalterate nella trascrizione,

per consuetudine ecdotica, le varianti linguistiche diatopiche e diafasiche. Si segnala inoltre che

sono state introdotte nelle trascrizioni le virgolette basse o caporali “« »” per le parti dialogiche.

 

Lettere di Girolamo Tiraboschi al padre Ireneo Affò tratte da’ Codd. della Biblioteca Estense di Modena e della Palatina di Parma, a c. di C.FRATI, In Modena, Presso la ditta G. T. Vincenzi e Nipoti, 1894, voll. II, p. 49.).

386 « M.e Rev.o Padre P.ron Col.mo / Modena, 9 [Gennaio] 1777. / Viva cento e mille volte il mio valorosissimo e

gentilissimo P. Ireneo, che il Cielo ha mandato a Guastalla per disotterrare tanti e si preziosi tesori, che vi stavan nascosti. Io stordisco al riflettere che ninno finora vi abbia posta la mano. Le lettere di Annibal Caro sono inedite; e mi saranno ben care tutte le altre ch'Ella potrà trovare. Io le farò certo copiare, come sto facendo di butte quelle ch’Ella mi ha inviato. E forse un qualche giorno mi risolverò di dare in luce una Raccolta di lettere inedite d’uomini illustri del secolo XVI, della quale io non avrò che il merito di pubblicarle, Ella avrà quello di averle scoperte e fatte risorgere da morte a vita, ohe è il maggior miracolo dell'onnipotenza divina» (Ivi, pp. 50-51.).

1. [Parma, 29 dicembre 1580, All’Illustrissimo et Eccellentissimo Signor Padron mio osservantissimo il Signor D. Ferrando Gonzaga Principe di Molfetta, (Guastalla)]

Illustrissimo et Eccellentissimo Signor Osservantissimo

Se bene è pochissimo tempo che le mie Cento Donne sono stampate, lo havrei nondimeno un poco prima che hora pagato debito di mandarle a Vostra Eccellenza Illustrissimo se io havessi saputo che Ella fosse stata in paese, ma perché anzi intendeva il contrario, non l’ho fatto.

Stasera poi il Signor Giulio Cesare da S. Martino, et il Signor Claudio da Nuvolara, che sono in casa della Signora Contessa di Sala, mia patrona mi hanno detto che d’Eccellenza Vostra Illustrissima è a Guastalla, et io subito subito ho spedito questo mio a portarle questa copia legata, la quale dieci giorni sono è apparechiata, et altre tre svolte da poterle ella far legare a suo modo, se per sorte ne volesse presentare a qualche sua vittrice. So che se Vostra Eccellenza Illustrissima non havrà per altro caro questo libro, l’havrà carissimo per un nome vittorioso in esso a comandamento di Lei celebrato. Ma se gli scritti miei li erano tanti grati scritti, perché ho io da dubitare, che stampati non le sieno per esser grati? Così l’habbia io compiacciuta, et ben servita intorno al soggetto che ella mi diede, come sono mercé della innata gentilezza, sua sicuro del resto. Ma come si sia, io l’ho bene almeno servita di cuore, come anche farò sempre in tutto ciò ch’ella favorendomi, si degnerà di comandarmi et con questo rallegrandomi delle sue Nozze, et pregando il Signore Iddio per ogni sua felicità, le bacio riverente le mani. Di Parma a 29 di Decembre 1580.

Sono più di 15 giorni, che la Signora Corinthia non si vede mai, che non mi ricordi che io quando manderò i libri a Vostra Eeccellenza Illustrissima si bacia per Lei le mani, e così fo.

Di Vostra Eccellenza Illustrissima

Humilissimo Servitore Mutio Manfredi387

2. [Guastalla, 31 dicembre 1580, Al Sig. Muzio Manfredo, Parma (?)]

Signor Manfredi mio Carissimo mi sono state <date> le vostre compositioni sì come da me erano molto desiderate. Io le vederò, et forse saprò judicare se sarete arrivato al merito di chi cede et merita tanto, se ben mi prometto che l’occulta virtù di quel soggetto vi haveva fatto fare maraviglie avanzandovi per voi medessimo sopra l’ordinario vostro valore. Vi ringrazio fra tanto quanto debbo all’amorevolezza vostra et come inclinato a farvi ogni piacere.

Di Guastalla l’ultimo dell’anno 1580.388  

387 BEUMo, ms. α. S. I. 34. 36, vol. III, cc. 109-110 (n° 970). Il Manfredi si scusa con il duca di Guastalla per non aver

dato immediata notizia e consegna della sua raccolta poetica delle Cento Donne, da poco tempo stampata. Cfr. M. MANFREDI, Cento Donne cantate da Mutio Manfredi […], In Parma, Nella Stamperia d’Erasmo Viotti, 1580. L’autore, dopo aver ricordato che la sua opera è dedicata al duca di Mantova e del Monferrato Vincenzo I Gonzaga, parente di Ferrante II Gonzaga, riferisce al duca di Guastalla di volergli far omaggio di una copia rilegata e di «tre svolte», ossia testi privi di rilegatura da poter poi dare in dono ad altri.

388 BEUMo, ms. α. S. I. 34. 36, c. 110 (n° 971). Il duca Ferrante II Gonzaga ringrazia il Manfredi per la ricezione delle

3. Ferrara 1 gennaio 1583, All’Illustrissimo et Eccellentissimo Signor Padron mio osservantissimo il Signor D. Ferrando Gonzaga Principe di Molfetta, (Guastalla)

Illustrissimo et Eccellentissimo Signor Osservantissimo

Il Signor Fermino ogni dì mi ha fatta grandissima instanza d’havere i bollettini della Beffana, onde poiché V. E. Illustrissima tardava a scrivere, sono stato sforzato a darglieli, però con le conditioni da Lei impostemi. Egli scrive a Lei, ma non so che. so bene che egli ha detto a me stamattina, che la Signora Duchessa di Ferrara, vuole che si comprino da Lei, et se ne facciano cento altri per Donne, la cura de’ quali è stata data a me, et stasera se mi avanzarà tempo doppo un poco di spaccio per mio bisogno, comincierò a beffanare et V. E. Illustrissima havrà poi copia de i futuri feminini, come gliela mando hora de i presenti mascolini, et se mi troverò alla colatione, farò ogni sforzo d’avisarla come sian le sue sorti, a ciascun fisse, il che veramente sarà di molto maggior gusto che il leggerle così, a seco.

Feci la sua ambasciata al Signor Brancatio della quale la inclusa è la risposta. Sappia poi che il Signor Duca Serenissimo mi fece andare la sera di San Giovanni alla musica sopranaturale, che non vi era altri che io di forestieri et mi fece dare il solito dalle compositioni che cantavano quelle Diavole, ma io sprezzando sì fatto favore dissi che delle Rime ne poteva sempre leggere, ma non sempre vedere, et udir cantar creature tali, et che per ciò, per conto mio, il libro si poteva riporre.

Mi fu data ragione con qualche applauso dell’avvedimento mio.

Vidi, udì, supì, trasecolai, trasumanai, ma so ch’è vergogna non ho mai potuto far un verso in tal soggetto, né spero di potere et quello che importa più non ne posso fare per un gratiosissimo trattenimento che io ho trovato dalla banda della Signora Duchessa d’Urbino, che certo meriterrà da me ogni dimostratione d’honore, di riverenza et d’amore. È ben vero che dove non posso con la penna, mi sforzo di fare con la voce, et quasi sempre il Signor Cesare Trotti, et io vi auguriamo l’Eccellenza Vostra Illustrissima tanto lo stimiamo, et proviamo honorato, et dolce.

Ma non più di Donne. Sappia che qui questo Carnevale si reciterà La Cleopatra, tragedia del Giraldi non più veduta, ma la fanno recitare gli scolari, et io l’ho hora nelle mani con molto poco diletto. La mia è stata veduta homai da tutta questa scuola Poetica et sia tutto a gloria di Dio se ne dice qui quello, che se ne diceva costì. Visitai il Tasso, et me ne parlò, mostrando gran desiderio di vederla, ma fin qui non l’ha veduta. Egli bacia le mani di Vostra Eccellenza Illustrissima et è assai in cervello. Tosto tosto si havranno alcune Rime sue in istampa non più state stampate.

Se seranno spedite fin che io mi trovo qui, ella l’havrà subito.

Non ho niuno desiderio maggiore che d’intendere se Vostra Eccellenza Illustrissima mi ha fatto gratia di far quell’Offitio col Signor Principe Serenissimo che ella si offerse di voler far per me, et s’ella l’ha fatto, ciò che ella n’ha ritratto, accioché io sappia come governarmi la supplico dunque humilissimamente di darmene aviso che tanto per maggior favore, l’havrò quanto prima l’intenderò, et potrà far inviar’ le lettere al Signor Fermino. Le bacio le mani humilmente.

Di Ferrara il dì primo dell’anno 1583. Di Vostra Eccellenza Illustrissima

Mutio Manfredi389

4. [Colorno, 18 luglio 1583, All’Illustrissimo et Eccellentissimo Signor Padron mio osservantissimo il Signor D. Ferrando Gonzaga Principe di Molfetta, (Guastalla)]

Illustrissimo et Eccellentissimo Signor Osservantissimo

Poiché l’E. V. Illustrissima non è mai venuta a Colorno, più aspettata con desiderio, che qualunque più bramata, e cara cosa. La mia Signora Illustrissima con l’occasione del ritorno a Boli della Signora Vittoria Simonetta Sessa, è risoluta di venire a Guastalla con la medesima Signora Vittoria, e con la Signora Anna, et con qualche altra, et se bene esse trattano di venir improvisamente io non ho voluto mancare di darne aviso a V. E. illustrissima debito della servitù che io tengo seco; certo che per Lei la Signora non ne saprà niente, et sicurissimo che l’aviso l’habbia da esser car per necessari rispetti. Né essendo questa per altro, le bacio similmente le mani, et finisco.

Di Colorno a 18 di Luglio 1583. Di V. E. Illustrissima

Servitore humilissimo Mutio Manfredi390

5. [Guastalla, 25 aprile 1586, All’Illustrissimo et Eccellentissimo Signor Padron mio osservantissimo il Signor D. Ferrando Gonzaga Principe di Molfetta, Mantova (?)]

Signore

Sono tre giorni ch’l Signor Angelo è qui: ma perché l’E. Vostra non ci è, né viene; egli si è risoluto di tornare a farle riverenza a Mantova, ov’anco ella havrà più presto comodità di far provedere, che egli non perda più tempo nell’otio, et ciò saria gran bene, accioché Ella anzi la sua andata in Liguria, ne desse un poco d’essito reale di tal negozio, che se ben l’ha veduto in poca quantità non l’ha veduto in molta, il che è l’estremo dubbio de i gelosi a ragione dell’utile di V. E., di che il medesimo Signor Angelo ha più voglia di chiarirsi, che non hanno essi, et che non ho io, che non si può dir di più. Il medesimo ancora dirà alla E. V. costì per avanzar tempo, quattro parole in materia del mio Pallantieri in mia vece, le quali non credo che sieno  

389 Ivi, cc. 110-112 (n° 972). Il Manfredi comunicava al duca di Guastalla il proposito della Duchessa di Ferrara di voler

acquistare cento nuovi bollettini per la «Beffana» e che questo compito era stato affidato a lui, pronto a «beffanare». Tra le notizie di costume, l’autore riferiva della festa con «musica sopranaturale» data dal duca di Mantova, durante la quale gli era stato chiesto di poter far recitare delle sue rime ad alcune donne o meglio «Diavole». Stando così le condizioni, il Manfredi aveva risposto che il suo libro di poesie poteva anche essere riposto. Lo scrittore inoltre comunicava che la Cleopatra di Giovanni Battista Giraldi sarebbe stata recitata presso la corte di Ferrara nel corso del Carnevale. La lettera si sarebbe conclusa con la menzione del Tasso, in quel momento alle prese con le sue Rime. Il Manfredi riferiva al duca di aver consegnato al Tasso la favola boschereccia della Semiramis.

390 Ivi, c. 113 (n° 974). Il Manfredi riferiva al duca di Guastalla circa la risoluzione presa dalla Contessa di Sala, signora

per ispiacerle, essendo ella ragionevolissima; né si farà se non quanto ella vorrà, et comanderà. Il Signor Iddio feliciti continuamente la persona di V. E. Illustrussima et io riverentissimamente le bacio le mani.

Di Guastalla a 25 d’Aprile 1586. Di V. E. Illustrissima

Humilissimo et obligatissimo Servitore Mutio Manfredi391

6. [Mantova, 18 marzo 1587, All’Illustrissimo et Eccellentissimo Signor Padron mio osservantissimo il Signor D. Ferrando Gonzaga Principe di Molfetta, Guastalla (?)]

Signore eccellentissimo

Scriverei qualche volta, più ch’io non fo alla E. V. S. se ben non ho altro soggeto, che di farle le riverenza come io soleva già fare, quando io era il suo Mutio, e ’l suo Mutietto. Ma hora sono tanto spaventato, ch’io non so in qual mondo io mi sia, e pure non sono un fanciullo d’haver paura del baco, ancora che la mia iniqua fortuna mi faccia tremar di Lei, per lo sviscerato amore, che portai e porterò sempre a Vostra Eccellenza Illustrissima. Orsù lune(dì) sera visitai la Principessa di Mantova, com’io soglio spessissimo, portandole la copia della mia Tragedia ch’ella mille volte m’ha domandata, dicendomi, ch’l’è stato detto da molti ch’ella è bellissima. La prese con grandissima allegrezza ma quasi subito mi domandò ciò che era di Vostra Eccellenza Illustrissima e della Signora Doria Vittoria.

Io Le risposi che «bene». «Quando verranno», diss’ella? Et io: «Dicono, che verso maggio».

Et ella: «O bello appunto quando io sono a letto!»

Poi soggiunse: «quando scriverete al Signor D. Ferrante?» Et io: «quando S. A. V. il comanderà».

Et ella: «quando scriverete, baciate le mani per me a Lui et alla Signora Doria Vittoria».

Dissi ch’io lo farei et ebbi caro il precetto per haver occasione di scrivere. E benché senz’altro fosse bastato il dirlo a Vostra Eccellenza Illustrissima anco pur per la ragion ch’io Le dico nella sua. Oltre di ciò fu qui l’altro giorno il Marchese di Carrara, che sempre mi volse seco tanto domesticamente ch’io gliene sono sempre obligatissimo e mi comanò pure ch’io Le faccessi, queste sono Le sue parole: «mille affettuosissimi bacimani».

Orsù l’Eccellenza Vostra Illustrissima verrà col nome di Dio e condurrà la Signora con ispesa da suo pari, anzi da lor pari. La Enone non credo sia fornita onde non si rappresenterà et a niun’altra cosa si pensa e forsi si penserà in darno in così breve termine. Ma io so che la Partenia della Signora Barbara è già imparata. Se Vostra Eccellenza Illustrissima mel comandasse, io scriverei alla Signora Barbara e la pottressimo fare  

391 Ivi, cc. 113-114 (n° 975). Nella lettera 25 aprile 1586, il Manfredi dava notizia di un negozio da svolgere per il suo

«Pallantieri», ossia del canonico e letterato bolognese Girolamo Pallantieri, membre dell’Accademia degli Innominati. Forse il negozio faceva riferimento all’opera letteraria più importante prodotta dal Pallantieri: la traduzione delle Bucoliche di Virgilio, poi dedicate alla marchesa Isabella Pallavicini Lupi.

recitare alla venuta della Signora. Perché le scene pastorali si fanno tosto e vi va poca spesa e la cosa è bella et honorata. Io sono così ben trattato in questa casa, che io non saprei desiderar di più, ma sostar lungamente in casa altrui porta discomodo né patienti et timidità ne gli agenti. Oltre di ciò questa Pasqua questi Signori si sividono, onde se non vogliono il peso della compagnia l’un dell’altro, manco vorranno la gravezza degli altri. Et io quando Vostra Eccellenza Illustrissima sarà qui non istarei mai contento a non sostar vicino, quand’anco ella mi desse mille volte più per debito, che non mi dà hora per cortesia. Anche la supplico per Dio a non mi far più bramar la tanto desiata sua presenza o presentiale servitù, che certo ciò saria un farmi o di venir pazzo, o di disperare, e s’ella havrà più mai una minima alteratione per difetto mio, facciami il peggio ch’ella può. Ho finiti i miei cento Madrigali, e le mando questi tre, che sono degli ultimi fatti. S’havrò modo da stampagli, alla venuta della Signora glieli donerò. A Vostra Eccellenza Illustrissima bacio mille volte le mani.

Di Mantova a 18 di Marzo 1587. Di V. E. Illustrissima

Humulissimo et obligatissimo Servo Mutio Manfredi La Signora Marchesana del Vasto su la festa della Signora Principessa di Mantova non si levò la

maschera, e tutte l’altre se la levarono. È tanto avanzò il Cielo!

Tanto ben tor ne vole:

che ne mostra le stelle e copre il sole! Ahi, perché mi querelo

Del ciel, se larva oscura

Sola tanto gran male opra, e procura? E forse anco è pietate;

che di scoperta è foco alta beltate: Ma chi gridar non sente;

CHIUSA fiamma è più ardente?

La Signora Barbara Sanvitale da fanciulletta faceva leggiadrissimamente moresche. Fiera fu ben la stella

Sotto la qual di BARBARA nascesti, si di BARBARA il nome anco n’havesti. Ma chi di te più fiera;

che pargoletta, bella, Già ti scopri gueriera!

L’altre, ballando, fan segni d’amore; Tu d’ira e di furore.

Deh non esser crudel, se pure altera. Usa la mano e ’l core,

Non a dar morte; a sovvenir chi more.

La Signora Hippolita Ferrara Cerati, durò un tempo a volere, che io le raccontassi ogni sera delle novelle, ma le voleva di fine misero.

Vero non è, che ’l volto, com’altri dice, o crede,

Discopra fuor quel, ch’è nel petto accolto; Però che nel bel viso a voi si vede Quant’ha di dolce Amore: Ma sì spietato è il core, che sol d’udir vi giova Fieri casi di danno e di dolore. Or qual continoua prova

Di prieghi, e di sospir, fia mai bastante A non esser con voi misero Amante?392

7. [Mantova, 8 agosto 1587, All’Illustrissimo et Eccellentissimo Signor Padron mio osservantissimo il Signor D. Ferrando Gonzaga Principe di Molfetta, Guastalla (?)]

Signor Eccellentissimo

Io sono disperato del Madrigale per la Signora Duchessa di Sabbioneta, e questo fatto, ogni di più mi dispiace e senza non la lascerei, anzi lascerei prima di stampar gli altri. Vostra Eccellenza Illustrissima promise di mandarmi un soggetto, ma non me l’ha mai mandato. S’io non havessi altro rispetto che di Lei stessa, ne troverei mille, ma c’intendiamo, senza altro dire. Se l’Eccellenza Vostra Illustrissima me lo darà Ella, io non havrò da rendere altro conto. La supplico adunque a favorirmene, ma quanto prima, acciò che questo libretto esca una volta, poi che egli ha pure da uscire, et Ella stessa me l’approba, e loda, e ne sono tanto sollecitato, e pregato, il quale si è mandato al Signor Duca Serenissimo (come) solito, e si aspetta ogni momento. Ricordo all’Eccellenza Vostra Illustrissima il disiderio, ch’io ho giustissimo d’esserle vicino, e le fo riverenza com’anche alla Signora Eccellenza.

Di Mantova a 8 d’Agosto 1587. Di Vostra Eccellenza Illustrissima

Servo Humilissimo Mutio Manfredi 393

 

392 Ivi, cc. 114-117 (n° 976). In questa lettera scritta da Mantova, il Manfredi comunicava al duca Ferrante II Gonzaga

che la pastorale della Partenia di Barbarba Torelli Benedetti era stata provata e imparata. Al contrario, la boscherecchia dell’Enone, stesa dal duca di Guastalla, risultava ancora parziale. Nella stessa missiva, il Manfredi spediva al suo signore alcuni madrigali composti in lode di Isabella Gonzaga, Marchesa di Vasto e moglie di Alfonso Felice d’Avalos, Barbara Sanvitale, ossia Barbara Sanseverino, e la contessa Ippolita Ferrara Cerati, letterate cantate dall’autore nelle Cento donne.

8. [Mantova, 17 agosto 1587, All’Illustrissimo et Eccellentissimo Signor Padron mio osservantissimo il Signor D. Ferrando Gonzaga Principe di Molfetta, Guastalla (?)]

Signor Eccellentissimo

Hoggi ho havuta questa lettera del Borghesi, che mi prega ch’io la mandi subito a Vostra Eccellenza Illustrissima e così faccio, aggiungendo d’havere inteso, che Ella non si sente molto bene, il che mi habbia travagliato, credo ch’Ella se ’l creda senza altro. Deh, per amor di Dio, stiano Signor un poco lontane da voi per questi caldi le palle, e le balestre. I libri dilettano, giovano, e non offendono, e finalmente da loro havesi il maggiore et il miglior talento. Non oso a dirvi altro, ma se Vostra Eccellenza Illustrissima disse ciò che mi parla della salute sua nel core il debito, e l’amore, non solo mi crederà, ma havria pietà di me non che di Lei. La fame, e ’l non haver modo da farmi un vestitello da darlo per comparire in corte, e fra gli altri tutti che l’hanno levato, mi sforza a dirle, che ancora qui non mi si dà un quattrino, e di costà non si risponde alle lettere, non pure non mi si dano denari secondo il di Lei ordine homai d’un mese. Ma che? Se ancora non ho