ALMA MATER STUDIORUM – UNIVERSITA' DI BOLOGNA
SCUOLA DI LETTERE E BENI CULTURALI
D
OTTORATO DI RICERCA INCULTURE LETTERARIE E FILOLOGICHE
XXX ciclo - A.A. 2014/2015
S
ETTORE CONCORSUALE DI AFFERENZA: L-FIL-LET/10
S
ETTORES
CIENTIFICOD
ISCIPLINARE: L-FIL-LET/10
«Il cielo talhora ride» e «talhora piange»
Francesco Maria Vialardi, fra filosofia, storia, politica e teatro.
Presentata da: L
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OTTORATOS
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ORMISANO
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AOLA
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IOVANELLI
«Il cielo talhora ride» e «talhora piange»
Francesco Maria Vialardi, fra filosofia, storia, politica
e teatro.
Quest’orologio de’ principi non è da sole, né di sabbia, né di acqua, né da hore, ma è un orologio di vita. Gli altri horologi servono perché si sappia che hora è di notte e di giorno, ma quello c’insegna la via di bene occuparsi ogni hora e come dobbiamo ordinare la nostra vita. Gli horologi si tengono a fine di ordinare le republiche, ma quest’horologio de’ principi ci avisa del modo che si deve tenere per ordinar la vita.
ANTONIO DE GUEVARA, L’horologio de principi, In Venegia, Francesco Portonaris, 1553
Obligo immenso a quella stella io tegno Che il nascer mio serbato ha nei suoi giorni F.MARIA VIALARDI
«’O duttore ha fatto chello ch’avev’a fà. Mo adda passà ’a nuttata» E.DE FILIPPO, Napoli milionaria!, 1945
Alla mia famiglia, alla dolce Sophia e a Carolina Di Leo
A
bstract
he objective of this doctoral thesis is to trace, by using new and unpublished
documents, the less-known biography and literary work of Vercelli’s writer
Francesco Maria Vialardi. The work is presented in three main Parts: Part 1. A life in the
glory of imperial heraldry, Part 2. The years before and after imprisonment, and Part 3. Lei
che «spia sin quel che si fa nel globo della Luna». An explorer of the social and political
life.
The first Chapter covers the author’s life from his birth to his transition to adulthood.
The second five-Chapter Part elaborates the period when the author was accepted in the
prestigious Accademia della Crusca and his comment to the Tasso’s Conquistata, closing
up with the period of his imprisonment in the Rome’s Santo Ufficio Prison. The second and
third Chapters of the last part are dedicated to the analysis of Vialardi’s political and
literary work. Faithful to the literary context of the Accademia degli Umoristi, his latest
contribution «AMOR SOL MERTA
Amore». Among the letters of Ridolfo Campeggi to Maffeo
Barberini, the revision of the poem of the Lagrime di Maria Vergine and the wonderful
theatrical representation in Bologna of the Quattro elementi (Four Elements) is a
distinguished piece of work that creates a literary bridge between the settings of Rome and
Bologna. Key elements of this last chapter are the unpublished correspondence between
Cardinal M. Barberini and the poet R. Campeggi, as well as the Bologna’s play Quattro
elementi (Four Elements).
I
NDICE
I
ndice biblioteche e archivi 7
P
remessa 9
P
ARTE PRIMA
Una vita immaginata nella gloria dell’araldica imperiale 14
Francesco Maria Vialardi
La storia di uno spirito umanistico e il poema Sopra l’Incoronatione di Ridolfi II in Re
di Bohemia, Ungheria, di Romani
Appendice/Nota al testo
57
1.
Il mondo «ha fatto un bel giro, et hora si trova a questo segno» 74
Il rapporto con Stefano Guazzo e l’Accademia degli Illustrati,
l’ascrizione nel cenacolo degli Innominati e gli scambi epistolari
con Guarini, Manfredi, Curzio e Ferrante II Gonzaga
Appendice/Nota ai testi
115
2.
In un Rinascimento per la visualità 140
Tra politica encomiastica e letteratura di viaggio: La relatione sopra il Stato di
Parma e Piacenza e la Relatione dello Stato del Granduca di Toscana Ferdinando
Appendice/Nota ai testi
161
3.
Nel desio del volo 180
Tra la logica, il bene, il bello e le «voleggianti statoe di Dedalo»
Verso il carteggio con Roberto Titi e la pubblicazione del
Discorso sopra la prima propositione de i libri d’Aristotele
P
ARTE SECONDA
Gli anni prima e dopo il carcere 239
Nel respiro dell’Heptaplus e l’uscita dalla caverna
L’approdo nell’Accademia fiorentina della Crusca e la Lezzione recitata nel consolato di
Giovanni Maffei
Appendice/Nota al testo
280
1.
Tra il Chiabrera e il Serdonati: le lettere a Roberto Titi 293
La pubblicazione dell’Historia delle vite De Sommi Pontefici Innocenzio
Ottavo, Bonifazio Nono et del Cardinale Innocentio Cybo
Appendice/Nota al testo
329
2.
Un postillatore della Conquistata del Tasso 349
Per una ricognizione su alcune annotazioni al primo libro del poema
riformato tassiano e sullo stile delle «lagrime sparse» del Vialardi
Appendice/Nota al testo
402
3.
Nella «pittura amorosa» della Conquistata 440
Teatro, psicologia e filosofia naturale tra Lacan, Vialardi, Montemayor e Tasso
4.
«Ho perduto i migliori amici» 485
Nelle carceri del Sant’Uffizio romano. I documenti sul processo del Vialardi
nell’Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede
P
ARTE TERZA
Lei che «spia sin quel che si fa nel globo della Luna» 513
Un esploratore del mondo sociale e politico
L’arte dello scrivere le «cose del mondo».
La congiura del Campanella, il processo dei Cenci e la lite franco-modenese nelle carte
d’avvisi del Vialardi
1.
«A un solo il castigo, la paura a molti e l’esempio a tutti» 566
La sovranità dello stato nei discorsi politici del Vialardi
Appendice/Nota ai testi
631
2.
«E pure moro di desiderio d’haverle» 699
Lettere di Vialardi al consigliere intimo di Enrico IV, Jacques-Auguste de
Thou, il progetto dei Clarorum virorum elogia e il Discorso sopra l’elezione
di due Papi Lione XI e Paulo Quinto
Appendice/Nota ai testi
738
3.
Un’ape operosa al servizio dell’alato destrier barberiniano 783
Lettere d’avvisi di Francesco Maria Vialardi a Maffeo Barberini
Appendice/Nota al testo
801
4.
«A
MOR SOL MERTAAmore» 817
Tra le lettere di Ridolfo Campeggi a Maffeo Barberini, la revisione del
poema de Le lagrime di Maria Vergine e il meraviglioso spettacolo teatrale
bolognese dei Quattro elementi
Appendice/Nota ai testi
847
I
ndice biblioteche e archivi
I
ndice biblioteche
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ERCELLIP
remessa
Il cielo talhora ride e mostra allegrezza, facendo saltar i raggi, brillar i lumi, danzar le sfere e giostrar gli influssi buoni e talhora piange movendo pioggie e adirato guerreggia sparando l’artegliaria di tuoni1
È da questa frase che trae il titolo il presente lavoro, volto a fornire un quadro dell’attività
letteraria del poco conosciuto umanista Francesco Maria Vialardi, del quale verrà ripercorsa la
biografia attraverso la pubblicazione di documenti inediti e sul quale è in corso la stesura di una
dettagliata monografia. Sicché nel titolo, che pur rispecchia la visione di un reale inteso come
fenomeno aperto, variabile e caotico, nonché quell’imprevedibilità del mondo politico caratterizzato
dalla mutevolezza della ragion di stato, va anche scorta la storia biografica del Vialardi, intervallata
dal sorriso del cielo e dal suo pianto. La reclusione presso le carceri del Sant’Uffizio, durata circa
sei anni assieme al Bruno, allo Stigliola e al Campanella, e la rinascita tra l’estate del 1597 e il
1598, segnano i momenti più forti della biografia dello scrittore-filosofo di Vercelli e delle sue
molteplici relazioni umane, letterarie e politiche.
Il lavoro, strutturalmente tripartito, si sofferma inizialmente a chiarire i limiti cronologici della
biografia dello scrittore e la sua illustre discendenza familiare dal prestigioso ramo dei Vialardi di
Verrone. Dallo splendore della parentela con Giovanna Vialardi, ritratta da Giovanni Battista Paludi
nel poemetto del Conciglio de i Dei e dal simbolismo imperiale araldico, materia del componimento
Sopra l’Incoronatione di Ridolfi II, prende avvio la storia letteraria dell’autore sviluppata nel primo
capitolo: Francesco Maria Vialardi. La storia di uno spirito umanistico e il poema Sopra
l’Incoronatione di Ridolfi II in Re di Bohemia, Ungheria, di Romani. Se poco rimane della
giovanile formazione umanistica del Vialardi, essa può essere desunta dalle ampie letture
filosofiche dell’autore, caratterizzate dall’amore per l’aristotelismo e per la dottrina platonica,
agostiniana e pichiana. È da questa epistème rinascimentale di fine Cinquecento che prendono vita i
due signacula del pensiero filosofico del Vialardi, quali l’amore e la dipendenza del microcosmo
inferiore dal macrocosmo superiore del cielo. «Il pensiero della dipendenza reciproca di tutti i
membri dell’universo si trasforma direttamente nell’intuizione della vita dell’universo», ha
affermato Ernst Cassirer, notando come ancora sul finire del Cinquecento il motore pulsante della
conoscenza fosse veicolato dall’interesse per la filosofia pitagorica e platonica, contenuta in
1 BEUM, Ital. 725, ms. α. M. 8. 15, F.MARIA VIALARDI, Lettera scritta da Francesco Maria Vialardo al Serenissimo
particolare nel Timeo e nel Fedro.
2Il Vialardi avrebbe seguito questo παραδειγμα sapienziale
adornandolo con immagini di sapore cabalistico ed ermetico-cristiano, partecipando anch’egli a
quella tendenza manieristica rappresentata dalla moda alchemica e astrologica del tempo, maturata
sotto l’ala protettiva di Rodolfo II d’Asburgo. Ma amare non significa solo trasporto: amare vuol
dire stare al mondo. La logica dell’amore vuole alla sua radice una certezza razionale, un oργανον,
sebbene essa risulti talora sfuggente. È per questa ragione che il Vialardi avrebbe abbracciato l’idea
creazionistico-escatologica di un universo figurato e ritmato da una κίνησις circolare degli elementi,
naturali, specchio della perfezione divina.
3Di tutto ciò l’autore avrebbe parlato nelle due sue lezioni
accademiche, in cui la philosophia perennis di matrice platonica, ficiniana e agostiniana si sarebbe
congiunta con l’ars inveniendi delle matematiche. A questi temi è stato dedicato lo spazio di due
capitoli: Nel desio del volo. Tra la logica, il bene, il bello e le «voleggianti statoe di Dedalo» e Nel
respiro dell’Heptaplus e l’uscita dalla caverna.
Ma accanto alla logica, alla meteorologia e al determinismo cosmologico aristotelico-platonico,
era nel dogma della ragion di stato che si era consumato il vivere politico e letterario del Vialardi:
4l’uomo, magnum miraculum, trovava secondo lo scrittore il suo abituale palcoscenico nella politica
e nella storia. Sulla base di questo ideale, prende avvio la trattazione che comprende la
pubblicazione dei due itineraria, quali La relatione sopra il Stato di Parma e Piacenza e la
Relatione dello Stato del Granduca di Toscana Ferdinando. A questi due scritti è stato riservato il
saggio In un Rinascimento per la visualità, volto a illustrare quella particolare attenzione dell’autore
verso la geografia dei luoghi, il gusto estetico-visivo del paesaggio, l’urbanistica, la storia e la
cultura, che avrebbero trovato la loro essenza nella percezione e nel senso dello spazio, trasferito
2 E.CASSIRER, Das Erkenntnisproblem in der Philosophie und Wissenschaft der neueren Zeit, Berlin, B. Cassirer, 1911,
vol. I, trad. it. di E.ARNAUD, Storia della filosofia moderna. Il problema della conoscenza nella filosofia e nella scienza dall’Umanesimo alla scuola cartesiana, Milano, PGRECO, 2016, vol. I, p. 237. Com’è noto, il Cassirer aveva ben messo in risalto l’importanza del ruolo cognitivo e della funzione simbolico-espressiva legata al tema del “pensiero della dipendenza”, ancora sostenuta con forza sul finire del Cinquecento da quel particolare principio di «fluidificazione
comunicativa», così definito da Jürgen Habermas, vincolato al mito: cfr. J.HABERMAS, Theorie des Kommunikativen
Handelns, Frankfurt am Main, Suhrkamp Verlag, vol. II, 1981, trad. it. di P.RINAUDO, Teoria dell’agire comunicativo. Critica della ragione funzionalistica, Bologna, il Mulino, 1997, vol. II, 603-696.
3 Cfr. anche G.DE RUGGIERO, L’età cartesiana, in Storia della filosofia, Roma-Bari, Laterza, 1967, vol. IV, p. 74:
«Persiste, sì, la differenza di natura tra il moto retto e il circolare, ma invece di costituire il criterio di una separazione qualitativa di due nature, elementare e celeste, serve a rifondere la materia dell’universo in un’unica natura fondamentale, che comprende egualmente gli astri e la terra, attribuendo loro una stessa circolarità di movimento, e dà al moto retto una funzione subordinata». Cfr. anche F.BOLL –C.BEZOLD –W.GUNDEL, Sternglaube und Sterndeutung. Die Geschichte und das Wesen der Astrologie, Berlin-Leipzig, Teubner, 1918, trad. it. di B. MAFFI, Storia dell’astrologia, Roma-Bari, 1985, pp. 20-30; E.GARIN, Neoplatonismo e ermetismo, in Lo zodiaco della vita. La polemica sull’astrologia dal Trecento al Cinquecento, Roma-Bari, Laterza, 2007, pp. 61-92.
4 Rimando anche alle preziose pagine del Croce: B.CROCE, Storia come pensiero e come azione, in «La Critica. Rivista
di Letteratura, Storia e Filosofia», 35, 1937, pp. 1-35. Cfr. anche F.CHABOD, Lezioni di metodo storico, Bari, Laterza, 1972, pp. 37-123. In merito al rapporto tra l’aristotelismo e l’azione umana rinvio all’accurato studio del Dondini: cfr. P. LUIGI DONDINI, L’iniziativa umana: limiti e costanti, in ID., Ethos. Aristotele e il determinismo, Alessandria, dell’Orso, 1989, pp. 47-70.
geograficamente sulla carta per mezzo dell’impiego di un parlar figurato. Rimanendo nel contesto
di quella spazialità geografico-letteraria di fine Cinquecento, il capitolo Il mondo «ha fatto un bel
giro, et hora si trova a questo segno» affronta la ricca rete di relazioni letterarie e diplomatiche
coltivate dall’autore nel corso degli anni con il Guazzo, il Guarini, il Marino, il Manfredi, il Curzio
e Ferrante II Gonzaga.
5Di questo suggestivo scenario di scambi epistolari viene esposto il relativo
panorama culturale legato a quel pulsante mondo poetico delle accademie, all’interno del quale si
snodano i carteggi, di cui una particolare attenzione è stata rivolta alle inedite lettere di Muzio
Manfredi e di Roberto Titi.
6La seconda parte del lavoro, aperta dal capitolo Gli anni prima e dopo il carcere, si sofferma a
ripercorrere il prestigioso ingresso dello scrittore nell’Accademia della Crusca. Potremmo infatti
domandarci: era stato il Vialardi, tra i letterati piemontesi, più meritevole di tale onorificenza
rispetto al Botero, che nel 1590 aveva dato alle stampe i dieci libri della Ragione di stato? Forse
non c’è molto da dover discutere in merito a questa preferenza. A differenza del Botero, lo scrittore
di Vercelli poteva contare, a quel tempo, sull’appoggio di due autorevoli intercessori: don Ferrante
Cybò, marchese di Aiello, e Ferdinando I de’ Medici, signori uniti da un passato vincolo di
parentela grazie a Maddalena de’ Medici, sorella del potenfice Leone X e moglie di Francesco
Cybo.
7Erano stati questi gli anni segnati anche dalla profonda disputa tra l’ariostismo e il tassismo,
dalla quale lo scrittore, sulla scia della posizione letteraria assunta dalla Crusca, aveva deciso di
presentarsi come un «fervente ariostista».
8In realtà, sebbene il primato poematico ariostesco fosse
indiscutibile per il Vialardi, egli non avrebbe mancato di scorgere nella poetica tassiana il modello o
l’autentico vettore culturale del suo tempo: ne è prova la bibliofilia che aveva mosso il gentiluomo
di Vercelli nel chiedere all’amico Roberto Titi le Annotazioni sopra la Gierusalemme liberata di
Scipione Gentili. Malgrado ciò, quel fitto commento alla Gerusalemme Conquistata del Tasso,
steso dal Vialardi durante quei bui e tristi anni del carcere, testimonia oltre le ampie ed erudite
conoscenze storiche, geografiche e militari del postillatore anche un deciso senso di malinconia, di
solitudine e di abbandono, per chi temeva di aver perso le esclusive relazioni amicali, politiche e
5 In merito al rapporto del Vialardi con Maffeo Barberini e con l’Accademia degli Umoristi rimando al saggio da me
pubblicato con la stessa titolazione: L.VACCARO, Un’ape operosa al servizio dell’alato destrier barberiniano: lettere d’avvisi di Francesco Maria Vialardi a Maffeo Barberini, in «Schede Umanistiche», XXIX, 2015, pp. 85-125.
6 Il carteggio con Roberto Titi è in corso di pubblicazione: ID., Tra il Serdonati e il Tasso. Lettere di Francesco Maria
Vialardi a Roberto Titi e di Ridolfo Campeggi a Maffeo Barberini, in «Schede Umanistiche», in corso di stampa.
7 Cfr. anche D.BERTI, I Piemontesi e la Crusca. Lezione del Prof. Domenico Berti Accademico Corrispondente, in Atti
della Reale Accademia della Crusca, Firenze, Coi tipi di M. Cellini, 1870, pp. 50-54.
8 Cfr. L.BONFIGLI, Francesco Maria Vialardi e le sue note alla «Conquistata», in «Bergomum. Bollettino della Civica
letterarie, così tanto coltivate nel corso degli anni.
9«Ho perduto i migliori amici», aveva affermato
con tristezza il Vialardi: ma ad attenderlo, dopo la liberazione nell’estate del 1597 dalle carceri del
Sant’Uffizio, sarebbe stata una rinascita compiuta sotto il segno dell’approdo presso l’Accademia
degli Umoristi di Roma e del servizio letterario svolto per il suo nuovo signore: Jacques-Auguste de
Thou. Sono questi i temi affrontati nella seconda parte del lavoro che prende avvio dal capitolo Gli
anni prima e dopo il carcere, che abbraccia i primi anni dell’inedito carteggio tra il Vialardi e il
magister Roberto Titi sino a quelli della prigionia, quest’ultimi ripercorsi con la presentazione dei
decreta inquisitoriali provenienti dall’Archivio della Congregazione per la dottrina della fede.
Nel segno della rinascita umana, sociale e creativa dello scrittore ha inizio la terza parte del
lavoro, aperta dal capitolo Lei che «spia sin quel che si fa nel globo della Luna». Un esploratore del
mondo sociale e politico: questa sezione è caratterizzata dall’analisi di quel suggestivo, quanto
intricato, mondo delle lettere d’avvisi, che a metà strada tra novelle giornaliere, relazioni
diplomatiche e rapporti documentaristici, riescono a restituire in parte le curiosità, i fatti, le persone
e le voci correnti al tempo dell’autore. Prive della formalità dei pur fondamentali documenti
giuridici o d’archivio, le missive del Vialardi si presentano come diari o cronache, ornate dalla
vivacità e dalla freschezza della lingua e dello stile, nella richiesta semplicità e rapidità della
scrittura che caratterizza questa tipologia di documenti. Come fonti d’informazione, questi scritti
devono essere considerati quadri o aspetti dell’organizzazione della società e della cultura, poiché
riflesso di quel mescidarsi di storia e letteratura, di curiositas e informatio, capace di accogliere al
proprio interno anche la voce del popolo, oltrepassando quel limite noziologico e
antropologico-letterario dell’«esclusivismo culturale».
10È questo il ritratto che il Vialardi offre nelle sue inedite
lettere d’avvisi del celebre parricidio della «Citella» Beatrice Cenci o della suggestiva quanto
drammatica congiura e prigionia del Campanella, qui affrontata nel capitolo L’arte dello scrivere le
«cose del mondo».
È a questo punto che si apre una nuova pagina dell’attività diplomatica e letteraria del Vialardi,
che manifesta il suo vivere politico, quello dell’homo politicus, mosso dall’alto valore di una storia
che deve presentarsi come luogo della memoria e della verità. «A un solo il castigo, la paura a molti
e l’esempio a tutti» è la sintesi del pensiero storico-politico del Vialardi, che dà avvio al capitolo
dall’omonima titolazione. Sovranità, amore per quella «gemma del Mondo che è l’Italia»,
9 La trascrizione e il commento delle postille del Vialardi alla Conquistata del Tasso sono in corso di stampa da chi
scrive. Per la presentazione del seguente lavoro cfr. ID., Nella «pittura amorosa» della Conquistata. Teatro, psicologia e filosofia naturale tra Lacan, Vialardi, Montemayor e Tasso, in corso di stampa per il Centro Studi “Mediacal Humanities” (Ficlit).
10 Cfr. M. ALBERTO CIRESE, Dislivelli di cultura e altri discorsi inattuali, a c. di M.LOMBARDI SATRIANI, Roma,
Meltemi, 2006. Cfr. anche J.STOREY, Cultural theory and popular culture. An Introduction, London, Peason Education Limited, 2001, trad. it. di E.CASADEI, Teoria culturale e cultura popolare. Un’introduzione, Roma, Armando, 2006, pp. 46-48.
organicismo storico, politico e naturale, nonché antispagnolismo e sostegno alla causa francese sono
i cinque grandi temi dell’idea di ragion di stato dell’autore, sviluppati in primo luogo in due inediti
scritti: il Discorso della cessione dei Paesi Bassi fatta da Filippo Re di Spagna a Isabella, Clara,
Eugenia sua figliola e il libello Che la Francia deve star’ unita alla Chiesa Romana.
Con il capitolo «E pure moro di desiderio d’haverle» entriamo nella cuore della bibliofilia del
Vialardi, che trova una sua autorevole guida nella figura di Jacques-Auguste de Thou. È ora di
scena l’inedito carteggio tra lo scrittore e il Presidente del Parlamento francese, a quel tempo alle
prese con l’ampliamento delle sue monumentali Historiae, alle quali anche il Vialardi avrebbe
offerto il suo personale contributo. Così, tra la precarietà economica, la partecipazione alle sedute
del vivace atelier umorista di Roma, dove ormai il Vialardi, “camminatore del mondo”, aveva posto
la sua ultima dimora, e la pubblicazione dell’Historia delle vite De Sommi Pontefici Innocenzo
Ottavo, Bonifazio Nono et del Cardinale Innocentio Cybo, stesa in onore del progetto
memorialistico rincorso con forza dal duca Alberico I Cybo, prendono avvio gli ultimi due capitoli
del lavoro: Un’ape operosa al servizio dell’alato destrier barberiniano e «AMOR SOL MERTA
Amore». Quest’ultimi capitoli presentano la pubblicazione di due ulteriori carteggi inediti,
accomunati dall’illustre auctoritas politico-letteraria di Maffeo Barberini: il primo mette in scena la
corrispondenza tra il Vialardi e il Barberini e il secondo tra il Barberini e Ridolfo Campeggi. Ci
spostiamo con l’ultimo capitolo, dal titolo «AMOR SOL MERTA
Amore», nel contesto letterario e
teatrale bolognese, che dà voce alla non conosciuta vicenda revisionale del poema campeggino de
Le lagrime di Maria Vergine e all’inedito spettacolo bolognese Dei quattro elementi, messo in
scena e musicato da Girolamo Giacobbi.
11
11 Segnalo che per i brani citati, i quali non presentano una trascrizione moderna, nonché per l’apparato bibliografico, è
stato adottato un criterio di massima conservazione: sono state sciolte le abbreviazioni e le note tironiane, è stato distinto il carattere grafico u da v, nonché è stato normalizzato l’uso delle maiuscole, delle minuscole e degli “a capo”. Nella maggior parte delle occorrenze sono state indicate con le parentesi tonde le integrazioni delle lacune testuali. Ringrazio per la loro disponibilità il dott. P. Novellino (in vera amicitia amicus), il dott. D. Ponziani (Archivio della Congregazione per la dottrina della fede), la dott. ssa E. Benucci (Archivio Storico dell’Accademia della Crusca), la dott. ssa F. Boris (Archivio di Stato di Bologna), la dott. ssa P. Cremonini (Archivio di Stato di Modena), la dott. ssa L. Gentile (Archivio di Stato di Torino) e il dott. Andrea Tarabella (Archivio di Stato di Massa).
P
ARTE PRIMA
Una vita immaginata nella gloria dell’araldica imperiale
Francesco Maria Vialardi
La storia di uno spirito umanistico e il poema Sopra l’Incoronatione di Ridolfi II in Re di Bohemia,
Ungheria, di Romani
Io sono Italiano et lodo Iddio d’esser nato in questa regione vera et legittima Signora del mondo; stimo l’antica gloria del nome Romano più del commodo che potesse indegnamente ressultarmi ostentando inclinazione et costumi stranieri; son Vassallo del Papa et di questa Santa Sede et in servitio suo devo per legge humana et divina spendere fino all’ultima gocciola del sangue ad essempio de miei antepassati. Mi premono quei accidenti che possono rendere maggiormente soggetta l’Italia alle nationi oltramontane, dominate da lei per tanti secoli; né posso tacere il dubbio che ho, che le faville del Monferrato, trasportate non dal vento dell’ira, come alcun vuole, ma dall’ambitiosa cupidità, non si dilatano con grand’ incendio et rovina di molti altri popoli, poiché concederò che un Principe etiamdio Savio et in età provetta possa tal volta sfodare la per termine di cavalleria, ma non già spingere il cannone senza quella natura consideratane con che si conviene chiamare a conseglio non meno il timore, che la speranza et risolvere con la moltitudine de parere le materie gravi, come son queste della guerra, nella quale si butta un dado di punto vario e sopra modo dubbioso.12
Con queste parole, Francesco Maria Vialardi ripercorreva tra l’aprile e il maggio del 1613,
quasi a conclusione della sua vita, i principali tratti della propria personalità e dell’intensa attività
politica, caratterizzata dal vivo amore per quell’Italia oramai “sbattuta”, di cui rimpiangeva la
«gloria del nome Romano», e per il Monferrato piemontese, terra natia e di continuo ricordata
12 AST, Materie politiche per rapporto all’interno, Storia della Real Casa, Categoria III. Storie particolari, Mazzo 12, n°.
16, F.MARIA VIALARDI, Discorso su la mossa di Monferrato e restitutione delle Piazze, c. 1r. Sebbene risulti anonimo, il discorso può essere ben attribuibile alla penna del Vialardi, non solo perché nell’incipit del rapporto viene esposto un profilo biografico corrispondente a quello dello scrittore vercellese, ma ancor più per via del tratto calligrafico, identificabile con quello di Francesco Maria Vialardi. L’attribuzione del Discorso al Vialardi è inoltre avvalorata dall’usus scribendi dell’autore e dall’argomento della relazione, riguardante la guerra del Monferrato. Quest’ultimo rappresenta uno dei temi principali e ricorrenti nelle missive del Vialardi a partire dal 1612, come pure l’attenzione dello scrittore alle vicende del Monferrato e di Vercelli, suo luogo natio, è riscontrabile sin dalle prime lettere dell’autore. Inoltre, nella missiva inviata il 1 maggio 1613 al cardinal legato Maffeo Barberini, il Vialardi parla esplicitamente della «mossa di Savoia contro il Monferrato», ossia della guerra intrapresa nel territorio casalese da parte di Carlo Emanuele di Savoia: cfr. BAV, Barb. Lat. 8928, F. M. Vialardo e Tommaso Vito Lombardi Avvisi al Card. Maff. Barberini, lettera 1 maggio 1613, c. 18r. D’ora in poi BAV, Barb. Lat. 8928. La lettera al cardinal legato è stata da me edita con la restante parte del carteggio barberiniano tra il Vialardi e Maffeo Barberini, ripresentato nel terzo capitolo di questo lavoro: L.VACCARO, Un’ape operosa al servizio dell’alato destrier barberiniano: lettere d’avvisi di Francesco Maria Vialardi a Maffeo Barberini, in «Schede Umanistiche» cit., pp. 120-121.
dall’autore nei suoi discorsi e avvisi diplomatici.
13Allo stesso modo, l’autore vercellese dichiarava
la sua devozione al Papa e alla Santa Sede, dimostrata «fino all’ultima gocciola del sangue» al pari
dell’attenzione verso gli accidenti di quell’Italia sempre più schiava delle ambizioni politiche
coltivate dalle «nationi oltramontane».
14Disamorato della sua epoca, sentita oramai come straniera, da chi, come lui, aveva sempre
difeso il proprio spirito umanistico e patriottico, il Vialardi avrebbe in più occasioni dichiarato il
suo amore per la corona di Francia, scagliandosi con forza contro quei principi italiani che «pigliano
stipendio dal Re di Spagna». Un ideale quest’ultimo quasi di gusto romantico, che l’autore
vercellese avrebbe ben esposto nella sua Invettiva a i Principi Italiani, che si suggettano, e pigliano
stipendio dal Re di Spagna, opera stesa nel 1602 e nella quale egli avrebbe mosso il suo grido di
sdegno contro quei principi italiani rivolti «con discorsi alla lode di Spagna» e del tutto
disinteressati a «liberare questa gemma del Mondo, che è l’Italia», schiacciata «dal grave peso di
gente straniere»:
15[…] Di Savoia non occorre parlarne, che ha posto su il tavoliero ogni cosa per loro e il Papa (ben che con ragione et religione per ovviare alla vicina tirannia Turchesca della quale non è alcuna altra più orrenda) quando Francia sorgendo alla antica gloria a cavallo d’ogni vantaggio, con la vittoria che le andava inanzi haveva già spugnate le reputate inspugnabili alpi e loro fortezze stava per venire a liberare questa gemma del Mondo, che è l’Italia per si puoca cosa impegnata, ha fatto sì con le preghiere e l’autorità, che essa Francia ha licentiata la vittoria et rimesso il fulmine nel carcasso. Tutti l’Italiani sono rivolti e con versi e con discorsi alla lode di Spagna, tutte le lingue a tenere per vere le favole delle flotte le fitione delle armate, vittorie, potenze, tesori, terrebilità, invincibilità e simili cose che sono quelle che il vento si la sporta.16
Era questo lo spirito del Vialardi, in parte al di fuori dei suoi tempi ed emblema di
quell’umanesimo tragico caratterizzato dall’ideale socratico di una πρᾶξις virtuosa e magnanima,
scandita dall’amore per il pensiero degli antichi, «gloria del nome Romano», e dall’accettazione, a
tratti rassegnata, della sorte avversa, propria di un reale trasfigurato che, soggetto alla logica delle
sue leggi temporali, poneva l’uomo e il letterato a tu per tu con il pensiero della morte. Un lamento,
quest’ultimo, segno del taedium vitae di una realtà che non corrispondeva più agli alti ideali della
magnanimitas e che l’autore vercellese non avrebbe mancato di rivelare, con parole malinconiche,
in un’annotazione del suo commento alla Conquistata del Tasso. In quell’appunto, steso
probabilmente di getto sulla carta di guardia posteriore dell’editio princeps del poema tassiano,
13 Discorso su la mossa di Monferrato cit., c. 1r. 14 Ibidem.
15 BNF, ms. G. Capponi 58, F.MARIA VIALARDI, Invettiva a i Principi Italiani, che si suggettano, e pigliano stipendio
dal Re di Spagna, c. 167v.
durante il lungo periodo di solitudine trascorso presso le carceri del Sant’Uffizio romano, il Vialardi
avrebbe dato voce al suo taedium vitae, tanto da apporre sul lato di quel foglio consunto e abraso un
disegno schizzato in cui veniva ritratta una donna nuda accanto ad un uomo intento a staccare un
frutto da una palma, quasi a consegnare al lettore l’idea della caduta adamitica. Le parole
dell’autore, paradossalmente scandite oggi dalle diverse interruzioni dovute alle abrasioni e
cancellature presenti su quella carta di guardia del pregiato volume tassiano, avrebbero reso ancora
più chiara l’idea di uno sfogo, simile ad un pianto rotto e malinconico, fuoriuscito da parte di un
uomo che aveva a lungo pregato Dio, sperando di ricevere una qualche risposta:
[…] in me come in compendio tutte le miserie […] Non si può […] Ho pregato che Padre, etc. ma nulla. Non so con che per il Signor loro, nostro. Giusto nelle miserie mie, ruina di casa mia, niente […] presi libri et adesso la gioia il torna e novo […] sincerità (misera) haver chiesto perdono con tanta humiltà e pianto, […] e non so più che dire, salvo tornar’ a ricordar Dio, cos […] e che non sia che (nominato) che non godo per niente, niente di […] ho perduto ricapiti, sanità ect., non mi lascino mendicare. (spedirono) cosa segreta, e della quale do ragione etc. Hanno spediti e però guardin a che non habbia più spesa rovina, poiché ho però perduto etc. Ho da me, dolermi […]17
Ma procediamo con ordine. Già definito come «uno dei migliori poeti de’ suoi tempi» dal dotto
classicista di Casale Giovanni Francesco Apostolo da Montemagno,
18autore a partire dal 1580 della
raccolta di epigrammi e carmina intitolata Succissivae horae,
19il Vialardi si era distinto nel campo
delle discipline umanistiche, filosofiche e politiche. A tal proposito, il giudizio formulato da
Apostolo da Montemagno sarebbe stato condiviso anche dal letterato Federigo Meninni, il quale,
nel suo trattatto di teoria e metodologia linguistica intitolato Il ritratto del sonetto e della canzone,
stampato a Venezia nel 1678 presso la tipografia Bertani e dedicato all’illustre cardinale di casa
Gravina Vincenzo Maria Orsino, non aveva mancato di mettere in risalto l’eccellenza della
composizione lirico-poetica del Vialardi, tanto da chiamare in causa «un detto» pronunciato
dall’autore vercellese in funzione della creazione poetica del sonetto:
17 T.TASSO, Di Gerusalemme Conquistata del Sig. Torquato Tasso. Libri XXIIII. All’Illustrissimo et Reverendissimo
Signore Il Signor Chintio Aldobrandini Card. di San Giorgio, In Roma, Presso a Guglielmo Facciotti, 1593, c. 193r., M. 4. 2. (BCAMB).
18 G.FRANCESCO APOSTOLI, Ioan. Francisci Apostoli a Montemagno Succisivae horae […], Papiae, Apud Hieronymum
Bartolum, 1588.
19 «Al Davidico aggiungerò due vercellesi, che lodarono colle loro rime l’opera di lui intitolata la Medicina dell’anima;
e sono Francesco Crollo e Giuseppe Moniardo, senza tacere di Francesco Maria Vialardi, altro vercellese, i cui versi latini ed italiani sparsi in diverse raccolte, gli meritarono da Francesco Apostolo da Montemagno il titolo di uno dei migliori poeti de’ suoi tempi» (T.VALLAURI, Storia della poesia in Piemonte […], Torino, Tipografia Chrio e Mina, 1841, vol. I, p. 235.).
[…] Rassomigliasi il sonetto da Francesco Maria Vialardi, benché lo Stigliani millanti per sua la similitudine, a quel famoso letto di Procuste tiranno, il quale non teneva per li passaggieri che un letto solo. Se ’l passaggiero era più lungo del letto facea mozzargli il capo o i piedi; ma s’era più corto, gli stirava il corpo con funi, tanto che giungesse al segno. Così non vi fossero tali Procusti nella Poesia, i quali alcuna volta, per distendere un qualche concettuzzo, stirano il soggetto breve et alcun’altra mozzano il lungo. E veramente ne’ Moderni è più frequente il primo che ’l secondo vizio, mentre almen meno il primo ternario riesce inutile e voto. Quindi nasce che pochi sieno i buoni sonetti de’ buoni Autori e che molti più tosto per natural talento, che per arte habbiano lasciato scritto in sonetto i loro concetti, onde han recato grandissimo discapito al concetto della Lirica Poesia.20
In realtà, questa riflessione letteraria era stata in precedenza attribuita al Vialardi dall’umanista
napoletano Vicenzo Toralto d’Aragona nella sua opera La Veronica o Dialogo del sonetto, nella
quale era stato esposto il curioso parallelismo formulato dallo scrittore di Vercelli tra l’armonia
formale del sonetto e il «famoso letto di Procuste tiranno».
21Quest’ultimo, macabro mezzo di
misura per punire i condannati, sia con la stiratura prodotta dalle funi sia con l’amputazione delle
parti corporee, sarebbe divenuto ora il termine di paragone ideale e metodologico per il
raggiungimento della tanto ambita proportio poetica delle forme e dei contenuti nell’elaborazione
del sonetto. Seguendo lo stesso principio infatti, i «Procusti nella Poesia», come affermava il
Vialardi, dovevano o «distendere un qualche concettuzzo», o «stirare il soggetto» in modo breve,
oppure «mozzare il lungo» verso, per ottenere quell’ambita unità argomentativa della concinnitas,
della gravitas e della suavitas formale, d’obbligo nella stesura del sonetto.
22Queste operazioni,
l’esperto linguista Vincenzo Toralto d’Aragona le avrebbe invece fatte esporre a due interlocutori,
un «partenopeo» e un «genovino», protagonisti del suo trattato dialogico della Veronica, pubblicato
a Genova nel 1589 e dedicato all’illustre Alberico Cybo Malaspina, nonché alla gentildonna
Veronica Grimaldi:
[…] Et il Signor Francesco Maria Vialardi, il quale per le sue honorate virtù è assai caro a molti gran Principi italiani e stranieri, suol dire che il far sonetti è simile al letto di Procuste tiranno, che era di sì fatta maniera, che quando detto Tiranno haveva qualche forastiero in suo potere, in esso corcare il faceva; ma se in lui stendendoli, il forastiero come più lungo avanzava fuori i piedi, o parte delle gambe, il tiranno faceva tagliare quel sopra più che fuori restava, e se l’hospite era più curto con funi et ingegni il faceva talmente tirare, che a viva forza il riduceva alla giusta misura e grandezza dell’istesso letto; onde e nell’uno e nell’altro modo il faceva miseramente morire. Così il concetto che si vuole stendere in quattordeci versi se tal volta da gli istessi tutto abbracciato e compreso non resta perde ciò c’ha di rimanente, che l’autore il taglia et il separa
20 F.MENINNI, Il ritratto del sonetto e della canzone. Ne’ quali, oltra le regole di comporre il sonetto, e la canzone, si
dà notizia di vari Poeti Tascani […], In Venetia, Appresso li Bertani, 1678, p. 17.
21 Ibidem. 22 Ivi, pp. 17-18.
dalla parte ritenuta nel detto numero di versi; ma se il medesimo non può così giustamente essere capito dal sonetto, onde esso sonetto resti maggiore dal concetto con epiteti, et altre empiture si va tanto stiracchiando e tirando il povero concetto, che bisogna ch’arrivi sino al quartodecimo verso e che tutto il sonetto n’habbia qualche portione; e così nell’uno et nell’altro modo stroppiato rimane, se chi lo compone lasciandosi reggere tirannicamente dall’ignoranza e dal non sapere, non accomoda ciò che vuole spiegare in detta forma di compositione poetica, con essa maniera di comporre.23
Oltre l’onore di essere considerato come «uno dei migliori poeti de’ suoi tempi», il Vialardi
sarebbe stato definito dal biografo secentista Andrea Rossotti «Philosophus eximius», versato nelle
arti come nelle umane lettere, grazie a quella sua «antiqua sanguinis nobilitate illustris», caduta
turbinosamente in «ruina» nel corso del Cinquecento:
Franciscus Maria Vialardus Vercellensis Philosophus eximius, et in artibus, quae ab humanitate nomen acceperunt, valde(m) versatus, antiqua sanguinis nobilitate illustris, scripsit, Disputationem cora(m) Serenissimo Carolo Emanuele Sabaudie Principe huius nominis primo in utramque partem tractatam […].24
Quanto alle origini dello scrittore vercellese, esse discendevano dall’antico sangue dei
Guidalardis, la cui genesi si perdeva nel mito del capostipite Widalardo, Wid-all-hart, vissuto nel
corso del XII secolo, e nelle gesta dei santi vescovi di Vercelli, Eusebio II ed Emiliano II. Dal
progenitore Widalardo, primo signore a partire dal 1140 del castello di Verrone, erano infatti
derivati i tre capostipiti della Casa Vialarda: Riccardo (1147-1167) per il ramo dei Vialardi di
Verrone, dai quali sarebbero nate le dinastie di Vettigné, Biella, Salussola e Rougemont; Giulio
(1147-1176) per quello dei Vialardi Villanova di Casale di Monferrato e dei Vialardi di
Sandigliano, da cui avrebbero preso vita le casate dei Vialardi di Francia, Mantova, Milano,
Ysangarda, Stroppiana; e infine Giordano (1147-1204) per la seconda generazione dei Vialardi di
Vercelli e Villanova.
Era dunque questa una nobile discendenza che Marco Aurelio Cusano e Michelangelo Broglia,
canonici di Vercelli, avevano ricordato nei loro Discorsi Historiali concernenti la vita, et attioni de’
23 V.TORALTO, La Veronica o del sonetto dialogo di Vincenzo Toralto d’Aragona […], In Genova, Appresso Girolamo
Bartoli, 1589, pp. 12-13. Cfr. anche V.DOLLA, Un canzoniere tardo-cinquecentesco in chiave “ortolana”: L’Ortolano di Vincenzo Toraldo, in La letteratura di villa e villeggiatura, Atti del Convegno di Parma (29 settembre – 1° ottobre 2003), Roma, Salerno, 2004, pp. 503-526: 504-505.
24 A.ROSSOTTI, Syllabus scriptorum Pedemontii seu de scriptoribus Pedemontanis in quo Brevis Librorum, Patriae,
Generis, et nonnunquam Vite notitia traditur […], Monteregali, Typis Francisci Mariae Gislandi, 1667, pp. 229. Andrea Rossotti offre anche un breve catalogo di alcune delle opere pubblicate da Francesco Maria Vialardi: «De Magnitudine Terra, et Aqua. Impres. Taurini apud Ioannem Baptistam Raterium, 1580 in 8. / Tractatum super primam Aristotelis propositionem Ethicorum, Impres. Parmae 1578. / Alium Tractatum variarum rerum in quo agit praecipue lingua Italica / De Brindisi che si fanno a Tavola. / Leguntur etiam multa carmina tam latino, quam italico idiomate sparsim in pluribus locis. Edit et Orationem Funebrem. / In obitu Serenissima Margarita de Valois Sabaudiae Ducissa. Quam Orationem latinam fecit Ioannes Baptista Festa. Item Italica lingua. La Vita d’Innocenzo VIII. Pontefice Massimo. La Vita di Bonifacio IX. Impr. Venet. 1613. in fol. De eo praeteralios scribit Lud. Iacob. Lib. 2» (Ivi, pp. 229-230).
Vescovi di Vercelli del 1676, biasimando la diceria espressa dal frate Aurelio Corbellino in merito
alla «falsa inventione» delle origini non regali della Casa Vialarda:
25[…] Non mancò già chi dicesse che di questa lodevolissima Casa Vialarda vi fosse chi concorresse a lapidare Sant’Eusebio Vescovo Martire e che perciò restino privi li Vialardi et incapaci di Beneficij Ecclesiastici. Tal diceria si è mera menzogna et invettiva; atteso che, per quanti rivolgimenti de’ Libri d’antiche e moderne Scritture fin hora fatti e simili diligenze usate per l’opportune cognitioni di tali Historie e Memorie, già mai s’ha havuta pur minima notitia; e quando così fosse, si vedrebbe almen qualche privilegio, per quale i medesimi Vialardi ne restassero habilitati e fatti capaci de’ Beneficij; oltre che, se così fosse, come sarebbe seguita la promotione di questo Emiliano Vialardo al Vescovato di Vercelli e precedentemente di Sant’Eusebio Secondo, il Confessore, et altri? Da queste dimostranze benissimo s’accerta la vanità di sì fatto autore et inventore, che, forse Ariano, havrà disseminato questa falsa inventione per oscurare il splendore di sì Illustre Famiglia et i meriti de gl’ accennati Sant’Eusebio Secondo et Emiliano Secondo, tenuto altresì per Santo, essendo che le di lui attioni e santi operati lo danno a conoscere per vero Servo di Dio. E tanto ancor ne dicono le Memorie manoscritte di Monsignor Vescovo Bonomo, come pur altri degli scrittori. 26
Occore dare menzione anche della testimonianza offerta dal vescovo Giovanni Stefano Ferrero,
il quale avrebbe celebrato il messaggio evangelico trasmesso dall’illustre Sant’Eusebio, patriarca
della città di Vercelli e della Casa Vialarda, nell’Evangelium S. Eusebii, nelle Eiusdem Epistolae e
nella rara biografia Sancti Eusebii vercellensis episcopi et martyris, meglio nota con il titolo di Vita
Sancti Eusebii, pubblicata in due edizioni nel 1602 e nel 1609 con dedica al principe Carlo
Emanuele di Savoia.
27Non a caso, già nel 1581, in onore del santo, al quale era molto devoto,
l’arcivescovo di Milano Carlo Borromeo era giunto a Vercelli per compiere la venerazione del
corpo del martire Eusebio, simbolo della religione cattolica «nel tempo della persecuzione
ariana».
28In questi stessi anni, come riferiva il canonico Aristide Sala, Carlo Emanuele I di Savoia,
supportato proprio da Carlo Borromeo, aveva dato corso alla solennissima traslazione della reliquia
della Sacra Sindone da Chambery a Torino, compiuta nel settembre del 1578.
29Era stata questa
25 M.AURELIO CUSANO –M.BROGLIA, Discorsi Historiali concernenti la vita, et attioni de’ Vescovi di Vercelli […], In
Vercelli, Per Nicola Giacinto Marta Stampator Episcopale, 1676, p. 98.
26 Ibidem.
27 Cfr. Cfr. EUSEBIO (Santo), Sancti Eusebii Episcopi Vercellensis. Opera Omnia […], in Patrologiae corsus completus
[…] (Patr. XII), accurate J.P.MIGNE, Parisiis, venit apud editorem in via dicta d’Amboise […], 1845, pp. 9-970; S. FERRERO, Sancti Eusebii vercellensis episcopi et martyris, Eiusq. In Episcopatu Successorum Vita et res gestae […], Vercelli, Apud Hieronymum Allarium et Michaelem Martam socios, 1609. L’editio princeps del 1602, pubblicata a Roma per l’editore Aloysium Zannettum, venne subito corretta nel 1609, a causa dei diversi errori presenti nella stampa: ID., Sancti Eusebii vercellensis episcopi et martyris eiusque in episcopatu successorum vita et res gestae […], Romae, Apud Aloysium Zannettum, 1602.
28 G. PIETRO GIUSSANO, Vita di San Carlo Borromeo prete cardinale del titolo di Santa Prassede Arcivescovo di
Milano […], Milano, Dalla Tipografia di Gaetano Motta, 1821, vol. II, p. 84.
29 In merito a questa celebre operazione cfr. C.MORIONDO, La Sindone, in ID., Testa di ferro. Vita di Emanuele
l’occasione nella quale, durante la celebrazione della festa dell’Esaltazione di Santa Croce, alla
quale avevano preso parte le massime autorità politiche ed ecclesiastiche d’Italia, il giovane
Francesco Maria Vialadi, da spettatore, avrebbe fatto la conoscenza di Torquato Tasso, anch’egli
testimone della funzione.
30Ora, se pur è vero che l’ordo dignitatis della Casa Vialarda fosse disceso da quel solido sistema
familiare medievale dei parentes minores, esso ben presto si sarebbe trasformato in una sorta
«magma semovente dai confini parentali incerti», a stento indagabili,
31per via della stipula dell’atto
di indipendenza, dedizione e investitura compiuto dai signori di Verrone verso la potestà subalpina
del magnificus princeps et dominus
Amedeo VI di Savoia. L’accordo sarebbe stato formalmente
rogato il 19 febbraio 1373 a Santhià dal ramo familiare dei Vialardi de Verono, attivo a Vercelli
assieme alle casate dei Tizzoni, Bicchieri e Bondoni.
32Nel 1378, la pace di Pavia, stipulata tra
Amedeo di Savoia, capitano generale della Lega, il pontefice Gegorio XI, l’imperatore Carlo IV e la
regina Giovanna di Napoli contro Galeazzo Visconti, signore di Milano, aveva determinato per la
Casa di Savoia l’obbedienza dei Vialardi di Verrone, dei signori di Villaregia, degli Avogadro,
padroni di Azigliano, Cozzato, Collobiano, Quinto, Casanova, Valdengo, Benna, Cerione, Zubiana,
Ceretto, degli Arborio, dei Bondoni, signori di Miralda e Monterotondo, degli Alciati della Motta e
dei Dionisi di Carezana. Obbedienza completata poi con l’acquisizione della città di Vercelli,
consegnata al duca Amedeo di Savoia da Filippo Maria Visconti.
33
30 A. SALA, Fascicolo conclusionale dell’opera circa S. Carlo Borromeo […], Pinerolo, Tipografia e Libreria di
Giuseppe Chiantore, 1862, pp. 83-84.
31 G.PIETRO GIUSSANO, Vita di San Carlo Borromeo prete cardinale cit., pp. 84-85.
32 Si trascrive una porzione testuale estratta dall’importante accordo di Santhià del 1373, che oggi è possibile anche
leggere nella precisa trascrizione offerta da Tommaso Vialardi di Sandigliano: «[…] Id [circho nobilis] Simon filius domini Rolandini de Guidalardis de Verono, suo proprio nomine et | ut procurator et procuratorio nomine dominorum Rolandini eius patris, Iacobi et Roberti fratum [de G]uidalardis, Martini et Perrini fratum Iohannis de Guidalardis de Verono, diocesis Vercellensis, | habens ad infrascripta negocia peragenda specialem mandatum traditum et scriptum per ⃰⃰ ⃰ ⃰ [publicum] notarium, sub anno Domini .M°CCCLXXIII°., volencium et cupiencium talem fugere tyranicam | servitutem quam nullatenus poterant amplius substinere propter multiplicia gravamina supradicta, divine vocis oraculo inspiratus personaliter accessit ad illustrem et magnificum principem dominum Amedeum comitem Sabaudie, vicarium generalem summi et sanctissimi pontificis, domini nostri domini Gregori pape ac etiam vicarium generalem serenissimi principis domini nostri Karuli roma | norum imperatoris et semper augusti, cuius quidem comitis excellentia, bonitas [atque] fama per mondum resonat universum. […] Ea propter prefatus illustris et magnificus princeps dominus Amedeus comes Sabaudie et | in Ytalia princeps et marchio vicarium generalis, ut supra, annuens, considerans et advertens quod in hoc mundo nihil esta gratius libertate quia non bene pro toto libertas venditur auro, | et hoc celeste bonum preterit orbis opes, et per consequens nihil est deterius servitute quoniam morti servitus comparatur; volens itaque ipse prefatus illustris et magnificus princeps | et vicarius generalis, ut supra, pro se et suis heredibus, predictos nobiles de Verono et eorum heredes quoscumque ac alios homines habitantes et qui in futurum habitabunt in dicto loco et territorio | [Veroni a tali]bus et tantis oneribus et servitutum laqueis penitus liberare eosdem nobiles de Verono et eorum heredes quoscumque ac eorum homines habitantes et qui in futurum | habitabunt in dicto loco et territorio Veroni, sub eius dominio, segnoria et protectione gratiose recepit pariter et suscepit ad pacta et secundum pacta, conventiones, promissiones, obligationes | et iuramenta» Cfr. T.VIALARDI DI SANDIGNANO, I Vialardi di Verrone, in Verrone l’immagine ricostruita, a c. di ID., Savigliano, L’Artistica Editrice, 2005, pp. 55-56.
33 F.AGOSTINO DELLA CHIESA, Corona Reale di Savoia o sia relatione delle Provincie e titoli ad essa appartenenti
La scissione familiare della Casa Vialarda era stata in realtà il frutto di una nuova posizione
politica ricercata con forza dal bellator Rolandino, figlio di Giacomo Vialardi, nobile rettore della
Credenza di Vercelli, il quale aveva trasformato l’atto di dedizione dei Vialardi di Verrone in una
vera azione di sopravvivenza, volta a far rinascere il casato dalla servitù dello scellerato dominio
dell’«iniquissimus tyrannus» di Milano, Galeazzo Visconti.
34Tale azione aveva infatti obbligato i
Vialardi di Verono a consegnarsi nelle mani della fors domina Savoia, ricevendo in cambio
un’ampia autonomia eretta sul «merum et mistum imperium»,
35nonché avrebbe garantito alla
corona sabauda quel necessario sostegno locale per una rapida espansione nelle langhe del
Piemonte orientale e nel castro Veroni. In questo modo, nel 1379, un anno dopo la pace di Pavia, i
Vialardi de Verono avrebbero formalizzato con due atti ufficiali, stipulati il 6 agosto e il 27 ottobre
di quel medesimo anno, la loro definitiva dedizione al conte Amedeo VI di Savoia:
[…] post hec prefatus illustris et magnificus princeps et d. d. Amedeus comes Sabaudie, more felicis principis, considerans et attendens homagii et fidelitatis vincula, quibus prenominati homines et tota comunitas sibi spontanee submissi sunt, sincereque dillectionis affectibus, quibus ad eum experientia visibili submittentur, volens idem d. comes apud prenominatos sindicos et procuratores ac singulares homines dicte comunitatis presentes et futuros benivole respondere et ipsos in quibuslibet eorum actibus favorabiliter pertractare, ut etiam locus Bugelle, quem sibi carissimum reputat per ipsius nove dominationis suffragium laudabilia suscipiat incrementa, cum predictis sindicis et procuratoribus, nominibus predictis, firmavit et iniit pacta, conventiones, capitula et statuta inferius declarata. que omnia eisdem hominibus et comunitati in libertatem, inmunitatem et franchixiam dat, largitur et concedit deliberato animo, non improvide vel per errorem, perpetuis temporibus valitura.36
Il 20 ottobre 1436 sarebbe spettata a Paramidesio Vialardi e ad masculos tantum l’investitura di
governatore del feudo di Vercelli, concessa dal vescovo Guglielmo da Montereale, con la
dichiarazione di fedeltà verso il duca di Savoia.
37Al contempo, il 30 aprile 1503, il primigenio patto
di dedizione stipulato nel 1379 sarebbe stato nuovamente rinnovato dai Vialardi de Verono, tramite
34 T.VIALARDI DI SANDIGNANO, I Vialardi di Verrone, in Verrone l’immagine ricostruita cit., pp. 55-56. 35 Ibidem.
36 L.BORELLO –A.TALLONE, Le carte dell’Archivio comunale di Biella fino al 1379, Voghera, Tipografia moderna
Mario Gabetta, 1927, pp. 113-114.
37 «Investitura concessa da Guglielmo Vescovo di Vercelli al N. Paramidesio fu N. Franceschino de Guidalardis
cittadino di Vercelli, salva la fedeltà al Duca di Savoia, ad masculos tantum etc. e consegnamento fatto da esso Paramidesio di quanto tiene nella sua corte, e territorio di Villanova tanto in terre, sedimi, e possessioni, molini cui coerenz. Il Signor Giocomo de Tizonibus Milite, la strada publica che va a Casale, ed il gerbido del Cone, e uomini di Villanova salvo quanto furono soliti tenere dalli Abati di Breme, e di S. Stefano di Vercelli, e di quanto i suoi antecessori furon soliti tenere de massi comuni di Candelo, cioè li redditi solamente come appare dagli antichi instromenti, e da investitura del Vescovo Emanuele, concessa alli de Guidalardij li 13. giugno 1346. Indiz. 14. r.o
Oberto de Ceretto di Mongrande quale presento con altri untrumenti designati nella investitura ultimamente concessa dal Vescovo Illeto r.o […]» (BSAT, ms. MS 11/7, G.AGOSTINO TORELLI, Vialardi, in Note Torelli, vescovadi, cose di
la ratifica dell’accordo del Pontexudis, con il quale a Ivrea il principe savoiardo Filiberto II aveva
dato conferma di «tutti i privilegi concessi dai suoi predecessori».
38Anche se, in data 16 aprile
1562, presso il territorio di Cavaglià, Nicola Vialardi di Verrone, a nome di tutti gli altri congiunti,
avrebbe consegnato nelle mani del duca Emanuele Filiberto I il castello e il territorio di Verrone con
tutte le sue giurisdizioni.
39Era dunque ai piedi delle morbide e arrotondate colline monferrine, lì dove si distende l’ampia
pianura vercellese, che era nato in anno incerto l’umanista Francesco Maria Vialardi. Figlio di
Giovanni Guglielmo Maria Vialardi, appartenente al ramo originario dei Vialardi de Verono, il
nostro autore veniva al mondo in prossimità del 1540 nella città di Vercelli.
40È possibile dedurre
ciò da un atto notarile proveniente dall’Archivio Vialardi di Verrone, già pubblicato da Luigi
Bonfigli, poi ripreso da Luigi Firpo e da Tommaso Vialardi di Sandigliano, che tutt’oggi risulta
leggibile solo grazie alla testimonianza stesa dal Bonfigli sulla base della segnalazione ricevuta nel
1930 dal direttore della Biblioteca Civica di Vercelli, Giulio Cesare Faccio. Redatto il 22 febbraio
1566, l’atto notarile menzionava infatti Francesco Maria Vialardi assieme ai suoi fratelli in una
divisione dei beni familiari, lasciati in eredità dal padre Guglielmo:
41È a mia notizia un atto in data 22 febbraio 1566, col quale i figli del fu Guglielmo Vialardi di Verrone, si dividon tra loro i beni paterni. Tra questi uno si chiama Francesco Maria, ma non so se fosse lo scrittore di cui è menzione negli storici piemontesi e vercellesi.42
Ritengo che non meno suggestiva possa risultare l’ipotesi di accostare il mese di nascita di
Francesco Maria Vialardi a quello di Rodolfo II d’Asburgo, venuto al mondo il 18 luglio 1552. Lo
scrittore di Vercelli sarebbe infatti entrato alle dipendenze dell’imperatore probabilmente già a
partire dal 1578, come si apprende da una lettera inviata dal letterato il 6 gennaio 1610 all’illustre
Presidente del Parlamento francese Jacques-Auguste de Thou: «Quando io andai chiamato
dall’Imperatore il 1578».
43Quanto alla congettura inerente al mese di nascita del nostro autore, essa
può essere spiegata tenendo conto dei primi quattro versi presenti nella dodicesima ottava del
38 G.BOLENGO, Le pergamene Vialardi di Verrone, in «Archivi e Storia», 9-10, 1993, pp. 137-155: 150 (Cfr. ASBiella,
Raccolta Torrione, mazzo 31, pergg. 10.).
39Ivi, p. 152 (Cfr. ASBiella, Archivio Vialardi di Verrone, pergg. 25).
40 Per un elenco generale degli uomini illustri di Vercelli si possono consultare anche le memorie stese da Torelli a
partire dal 1769: BRT, TORELLI, Memorie diverse del Vercellese, Biellese, Canavese etc, ms. Storia Patria 648.
41 T.VIALARDI DI SANDIGLIANO, Un cortigiano e letterato piemontese del Cinquecento: Francesco Maria Vialardi, in
«Studi Piemontesi», XXXIV, 2, 2005, pp. 299-312: 299.
42 L.BONFIGLI, Francesco Maria Vialardi e le sue note alla «Conquistata» cit., pp. 144-180: 145-146.
43 BnF, Dupuy 806, Recueil de lettres adressées au président J.-Auguste de Thou, sieur d'Émery, par plusieurs
correspondants de France et d’Italie. (1555-1617), F.MARIA VIALARDI, lettera 6 gennaio 1610, c. 160r. D’ora in poi BnF, Dupuy 806. Per chiarezza espositiva sarà segnalata anche la lettera.
poema encomiastico intitolato Sopra l’Incoronatione di Ridolfi II in Re di Bohemia, Ungheria, di
Romani, che, come vedremo, era stato steso dal Vialardi proprio in omaggio al nuovo imperatore
d’Austria: «Obligo immenso a quella stella io tengo / Che il nascer mio serbato ha nei suoi giorni /
Che se ben mi fu avara, e ch’al mio ingegno / Non die’ quei doni, ond’ha mill’altri adorni».
44Se
dunque il Vialardi con questi versi alludeva alla sua nascita, conservata nella venuta al mondo di
Rodolfo II, di certo più fruttuosa rispetto alla sua, allora non risulta incongruo ritenere che il poeta
vercellese fosse venuto al mondo nel mese di luglio.
45In merito alla conferma dell’atto del 22 febbraio 1566, risulta inoltre possibile menzionare un
nuovo documento relativo a un resoconto di un compromesso d’eredità sorto tra alcuni membri
della casata degli Avogadri di Valdengo e quelli dei Vialardi di Verrone, riportato dal genealogista
e abate Giuseppe Agostino Torelli all’interno del manoscritto Note Torelli, vescovadi, cose di
famiglie vercellesi, famiglie napolitane, annali d’Asti, casato Mirò, oggi custodito presso la
Biblioteca del Seminario Arcivescovile di Torino.
46Stipulato nel 1563, quando Francesco Maria
Vialardi aveva già acquisito la maggiore età, tale resoconto notarile, che precede di tre anni quello
del 1566, risulta confermare la data di nascita del nostro autore indicativamente poco dopo l’anno
1540. Infatti la menzione del nome di Francesco Maria, all’interno del documento, come primo
successore nell’ordine degli eredi di Guglielmo di Vialardi di Verrone, sembra dar prova della sua
maggiore età già raggiunta nel 1563. Ipotesi quest’ultima che trova maggiore verità anche grazie al
regesto notarile menzionato dal Torelli, il quale, sebbene non presenti alcuna precisazione circa la
maggiore età di Francesco Maria Vialardi – senza alcun dubbio doverosa negli atti ufficiali –,
tuttavia appare confermarla:
[1563 pr. ut s.a] Compromesso tra li Avogadri di Valdengo, Eusebio Vassallo, e li fratelli Francesco
Maria e Prospero di Verrone e Vestigne figlj del fu G. Guglielmo e di Gabriela fu Nicolò Cazamo di Vercelli per fatto dell’eredità del fu Claudio Antonio figlio delli furon Gerbico Vialardo e di Venezia.47
Era dunque Giovanni Francesco Maria Vialardi nato a Vercelli in un anno compreso tra il 1540
e il 1545, figlio di Giovanni Guglielmo Maria Vialardi, signore di Verrone e Vestignaco o Vestignè,
e di Gabriela di Nicolò Cazamo di Vercelli, fratello con ogni probabilità di Caterina e Margherita
44 ÖNB, ms. 9975 Han, F. MARIA VIALARDI, Sopra l’Incoronatione di Ridolfi II. In Re di Bohemia, Ungheria, di
Romani Serenissimo Figliolo del gran Massimiliano d’Austria, Sacratissimo Imperatore, c. 10v. (XII, 1-2).
45 Rodolfo II d’Austria era nato a Vienna il 18 luglio 1552.
46 L’atto notarile del 22 febbraio 1566 è confermato da Giuseppe Agostino Torelli, il quale annotava, in modo un po’
frettoloso, nel suo manoscritto: «1566. Prospero, e Francesco Maria fratelli de N. di Verrone, e Vitignate» (BSAT, ms. MS 11/7, G.AGOSTINO TORELLI, Vialardi, in Note Torelli, vescovadi, cose di famiglie vercellesi, famiglie napolitane cit., c. alla data).