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Gli storici tuttavia non si sono limitati ad una pur importantissima consulenza tecnica come risulta dalle sentenze analizzate finora. Vi è anche un aspetto, forse ancora più determinante, che a prima vista sembra difficoltoso da intravedere nei testi delle sentenze, soprattutto per chi non rientra tra gli studiosi della storia e del diritto.

L’apporto degli storici è deducibile anche quando questi non vengono nominati nelle sentenze e paiono non avere niente a che fare con le conclusioni esposte dai giudici.

Gli storici hanno sicuramente influito sulle scelte operate dai giudici, ovviamente non nell’emettere eventuali condanne o assoluzioni, ma facendo sì che i giudici valutassero la situazione del singolo imputato in rapporto al ruolo svolto e soprattutto in base al contesto in cui operava. Hanno, per così dire, tenuto sullo sfondo, ma sempre ben in vista, la situazione storica vigente al momento dello svolgersi dei fatti (sempre nei limiti della conoscenza del passato), di modo che non venisse applicato automaticamente il codice penale militare senza prima aver ponderato numerosissime variabili inerenti agli eventi di quel determinato periodo storico.

Ma gli storici, a loro volta, non sono rimasti immuni da conclusioni raggiunte da altri. Queste erano quelle a cui giunsero gli investigatori britannici del SIB (Special Investigation Brunch)

riguardo alla genesi dei massacri perpetrati dalle truppe tedesche a danno della popolazione italiana.

Con l’avanzare delle truppe alleate verso nord, gli alleati diedero avvio a investigazioni per scoprire eventuali crimini di guerra commessi dai tedeschi a danno della popolazione italiana e più risalivano la penisola più si rendevano conto che i gruppi investigativi avevano molto lavoro da svolgere, soprattutto quando le truppe alleate superarono Roma e arrivarono a ridosso della cosiddetta “Linea Gotica”. I massacri avvenuti nelle regioni dell’Italia centrale apparvero immediatamente di una gravità inaudita, sia per l’elevato numero di persone coinvolte, sia per la composizione delle vittime stesse. Ovvero, per lo più uomini anziani, ma soprattutto donne e bambini.

Agli inquirenti alleati, in particolare quelli britannici visto che erano anche i più numerosi, apparve immediatamente chiaro che a causa dell’elevato numero di vittime e a causa delle modalità con cui tali massacri furono effettuati e soprattutto da chi, ovvero unità che risultavano alquanto esperte in tali operazioni terroristiche (questo vale in particolare per le unità combattenti delle SS), iniziò chiaramente a delinearsi un quadro generale abbastanza chiaro, dove sicuramente il punto più importante riguardava il ruolo che gli alti comandi tedeschi ebbero in rapporto a tali massacri. Insomma, per gli inquirenti alleati ci si trovava di fronte ad una vera e propria campagna terroristica studiata a tavolino e messa in pratica su ordine degli alti comandi germanici. In questa campagna terroristica si era puntato a colpire la popolazione per colpire indirettamente le forze partigiane, annientando il loro “habitat naturale” e il loro legame solidaristico con l’ambiente locale.

In conclusione, l’elevato numero di casi e il loro elevato numero di vittime facevano ben capire che non ci si trovava di fronte ad eventi frutto di situazioni in cui unità tedesche, esasperate dagli attacchi partigiani, perdevano il senso della misura e si lasciavano andare liberamente a istinti omicidi. Era palese la pianificazione, o meglio ancora la scientificità di tali operazioni di annientamento.

È vero che in tali operazioni si sommavano numerose variabili, tra cui la stessa esasperazione per i continui attacchi partigiani, il senso di frustrazione per le continue ritirate di fronte all’avanzata anglo-americana237, il senso di impotenza di fronte a un nemico soverchiante, una certa

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La ritirata tedesca era effettuata in modo estremamente lento secondo una tattica stabilita dal feldmaresciallo Kesselring, di modo che si logorassero le truppe alleate durante la loro avanzata. All’inizio della “campagna d’Italia” Kesselring si trovò in contrasto con il feldmaresciallo Rommel sulla tattica da seguire. Dopo la liberazione di Napoli da parte degli anglo-americani Rommel era convinto che le truppe tedesche si dovessero ritirare fino all’Appennino tosco-emiliano dove si sarebbero potute attestare su una buona linea difensiva. In caso di un ulteriore sfondamento c’era sempre la possibilità di ripiegare sulle Alpi. Ma l’intenzione di Hitler era di controllare il nord’Italia con le sue industrie da impiegare a favore del Reich. Così, dopo che Rommel fu trasferito in Francia per

assuefazione alla violenza, la rabbia nei confronti di un popolo che veniva additato come “traditore”, una certa tensione con la stessa popolazione sin dai primi giorni dell’occupazione. Ma l’elemento principale era l’obbiettivo strategico di annientare un nemico quasi invisibile che colpiva alle spalle e metteva a rischio, in modo gravissimo, la resistenza nei confronti dell’esercito alleato. Per raggiungere tale obbiettivo i comandi germanici non esitarono a chiudere gli occhi di fronte al modo di operare delle varie unità che chiaramente violavano le regole che da decenni regolavano il modo di condurre la guerra. Ma soprattutto incentivarono questa violenza inaudita nei confronti delle popolazioni e del territorio attraverso una serie di ordini con cui si invitava alla massima durezza repressiva e si garantiva conseguentemente la copertura di eventuali eccessi, pur di raggiungere lo scopo prefissato. In questo modo molti militari si sentirono totalmente esentati dai regolamenti e dalle condizioni che solitamente li legava al loro ruolo in una società civile. Così gli eccessi di violenza molto spesso perdevano la loro eccezionalità diventando un fattore standard.

Questi risultati a cui giunsero gli inquirenti alleati tuttavia, non furono fatti propri dai giudici incaricati di giudicare gli innumerevoli episodi criminali. Solamente mezzo secolo dopo, grazie all’appoggio determinate degli studiosi del periodo, i giudici fecero proprie queste conclusioni. Quindi, tutto partì dalle conclusioni a cui erano giunti gli inquirenti del SIB. Ma senza l’apporto degli storici pare che tali conclusioni non potessero essere acquisite dai collegi giudicanti italiani.

È con la presenza degli storici come consulenti che nei processi si parla chiaramente di una “guerra ai civili” avviata dai comandi germanici basata sulle direttive e sulle esperienze che l’esercito tedesco aveva acquisito nella guerra sul fronte orientale e nell’occupazione della penisola balcanica.

Il Tribunale di Bologna che nel 1951 condannò Walter Reder all’ergastolo per la strage di Marzabotto escluse l’esistenza di ordini superiori impartiti all’imputato. Di fatto significava ignorare le acquisizioni delle indagini alleate e dei processi britannici del 1947, che avevano insistito sul sistema di ordini che aveva reso possibile in particolare i massacri dell’estate del 1944.

Basandosi sulle conclusioni riportate dagli inquirenti britannici infatti, i Tribunali alleati che nell’immediato dopoguerra processarono e condannarono il feldmaresciallo Kesselring, il generale Max Simon comandante della 16ª Divisione corazzata SS Panzer grenadier e il colonnello generale Peter Crasemann comandante della 26ª Divisione panzer della Wehrmacht, conclusero che i crimini a carico degli imputati rientravano nel quadro più ampio di una guerra

contrastare un eventuale prossimo sbarco alleato, si seguì le disposizioni di Kesselring che effettivamente si rivelarono molto efficaci nel rallentare e logorare l’avanzata alleata.

che mirava a colpire direttamente la popolazione civile. Con quei processi, in particolare quello a Simon e soprattutto quello a Kesselring, si mirò a consolidare la condanna della guerra nazista in sé e a chiudere con un periodo della storia europea anche attraverso le severe punizioni di coloro che a quel disegno di dominazione avevano contribuito con il ruolo di comando che ricoprirono. Allo stesso tempo, processare e condannare i criminali di guerra si tradusse anche nella legittimazione politica e morale dei vincitori.

Tornando alle sentenze degli ultimi anni è visibile un certo mutamento nelle conclusioni a cui arrivano i giudici militari italiani nei confronti degli imputati e delle loro azioni. Sicuramente si risente di un nuovo modo di concepire l’individuo come elemento centrale del diritto (sia interno che internazionale), ma è presente anche il prodotto di anni di continue ricerche e riflessioni portate avanti dagli storici sugli eventi in questione. Tale divulgazione non è solo il frutto di una documentazione accademica scritta, ma è anche figlia di un’informazione dominata per lo più dai mass-media. In televisione, soprattutto a seguito della scoperta del cosiddetto “Armadio della vergogna” si sono moltiplicati i programmi e i documentari che hanno trattato della seconda guerra mondiale nella penisola italiana. In conseguenza di ciò iniziò un acceso dibattito sulla natura dei nuovi procedimenti penali contro vecchi criminali di guerra tedeschi e ovviamente sui diritti e i doveri del singolo individuo di fronte a tali eventi. La ricerca storica ne venne in qualche modo condizionata, sollecitata ad assumere i processi e le culture giuridiche come ambiti d’indagine, mentre viceversa i magistrati prestarono crescente attenzione ai risultati accumulati dalla storiografia, e non pochi storici transiteranno come esperti e consulenti negli anni immediatamente successivi nelle aule di giustizia e nelle procura militari238.

Nel processo di Verona contro l’ex caporale delle SS Michael Seifert, il Tribunale dichiara, riguardo agli efferati omicidi compiuti dall’imputato in concorso con altri complici, che tali omicidi «non furono manifestazioni estemporanee di violenza e neppure epifanie di un generico programma di attività delinquenziale; furono, invece, momenti diversi di un unico progetto criminale, basato sul più assoluto disprezzo per la vita e la dignità umane, connaturale alla

realtà stessa dell’istituzione “lager” [il corsivo è mio], accettato e fatto proprio dal Seifert con la

sua sciagurata prestazione d’opera». In questa frase è chiarissima una presa d’atto dei giudici per quanto riguarda la concezione “dell’universo concentrazionario nazista”. Infatti ci si rende conto che il lager non è una semplice casualità del periodo riferibile a tutti gli Stati, ma bensì una costruzione pianificata nei minimi dettagli per distruggere o, nelle migliori delle ipotesi, ridurre all’inoffensività il nemico o il presunto tale. In tale sistema il detenuto veniva disumanizzato,

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ridotto a un semplice pezzo239, facilitando così il compito del personale addetto al lager che rappresentava allo stesso tempo l’abdicazione delle leggi morali acquisite dall’umanità nei secoli, in favore di un determinato progetto ideologico. È qui evidente l’impronta lasciata da una lunga stagione di studi storici riguardo alla tragica originalità dei campi di concentramento nazisti che riassumono i principali elementi negativi della moderna società industrializzata che hanno come conseguenza un fortissimo senso d’indifferenza da parte dell’individuo nei confronti dei propri simili e del proprio ambiente240.

Gli studi storici in questo caso hanno anche influito profondamente sulla visione dei giudici nel valutare il singolo individuo asservito alle negatività del sistema sociale in cui era immerso. È sempre il Tribunale di La Spezia a fare la parte del leone sia per quanto riguarda i procedimenti giudiziari conclusosi con condanne per crimini di guerra, sia per quanto riguarda la collaborazione tenuta che con gli storici. Per tale motivo, è proprio nelle sentenze emesse dal Tribunale spezzino che si ravvisa l’influenza determinante degli storici nei ragionamenti costruiti dai giudici militari.

Nel procedimento contro il tenente Heinrich Nordhorn per i massacri di Branzolino e San Tomè si mette gli eccidi in connessione con l’avanzata del fronte, l’imminente liberazione di Forlì, la sempre più probabile sconfitta definitiva dell’esercito tedesco, l’estremo sfruttamento del territorio italiano prima del suo definitivo abbandono. Si afferma chiaramente che «i singoli eccidi scaricano sui civili la violenza accumulata fra il conflitto locale e la sconfitta tedesca e allo stesso tempo fra due movimenti del fronte, uno precedente, ed uno successivo, come se fosse possibile una sorta di momento apicale fra quando la tensione cresce mentre il fronte si avvicina e quando effettivamente la liberazione la scioglie». Il collegamento degli eccidi con il pessimo andamento della guerra per i tedeschi è in questo caso il frutto di una presa d’atto delle conclusioni a cui sono giunti molti storici che già prima dell’inizio del processo pubblicarono lavori che erano arrivati agli stessi risultati. A rafforzare tale tesi la Corte spezzina evidenzia che, come nel caso degli eccidi sotto inchiesta, anche l’eccidio delle Fosse Ardeatine avvenne poco più di due mesi dopo lo sbarco degli alleati ad Anzio e poco più di due mesi prima della liberazione di Roma.

Questa potrebbe essere un’osservazione alquanto discutibile, ma se si analizza i fatti più in dettaglio forse si può intravedere una tesi che non è certo da scartare. Gli alleati, per quanto riguarda lo sbarco ad Anzio e Nettuno (22 gennaio 1944), potevano tranquillamente ritenere

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Tale era il nome con cui numerosi uomini del personale dei lager chiamava i detenuti che arrivavano. In particolare veniva usata la parola “pezzo” nei riguardi degli ebrei che risultavano essere solamente materia prima da essere lavorata nei campi di sterminio.

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falliti i loro obbiettivi, che erano quelli di prendere alle spalle le truppe tedesche schierate più a sud, sulla Linea Gustav, chiudendoli senza scampo in una sacca, visto oltretutto che da mesi e mesi tenevano inchiodata un’intera armata a Cassino, e infine, sempre a partire dalla zona dello sbarco, avanzare su Roma e occupando così la capitale di un Paese dell’Asse241. È vero che i tedeschi erano riusciti a inchiodarli sulla spiaggia, ma come a Salerno non erano riusciti a ricacciarli in mare. Questo faceva sì che fossero costretti a mantenere sul posto ingenti forze a discapito di un necessario rafforzamento della Linea Gustav. I tedeschi erano insomma a corto di mezzi, ma soprattutto di uomini. L’attentato di via Rasella provocò la morte di trentatre soldati che in una situazione di deficit del personale rimane sempre un danno di una certa entità, visto che poi quei trentatre potevano essere utilizzare nel controllo di zone nevralgiche di una grande città come Roma. Ma soprattutto i tedeschi potevano temere che un tale episodio potesse spingere la popolazione romana e forse anche quella di altre città a sollevarsi contro di loro, come era avvenuto a Napoli. Questo avrebbe richiesto un ulteriore impiego di uomini e mezzo con l’eventuale possibilità di dover sguarnire ulteriormente il fronte con conseguenze facilmente immaginabili. La spietatezza della rappresaglia, oltre che per motivi di vendetta, poteva trovare una giustificazione (s’intende solo da un punto di vista materiale e ben che mai da quello morale) in una tale situazione di difficoltà prettamente militare.

Tornando alle conclusioni raggiunte dai giudici spezzini è quindi evidente il peso che ha avuto la storiografia riguardo allo studio delle motivazioni e delle pratiche di attuazione degli eccidi da parte delle truppe tedesche.

Nella stessa sentenza si confuta il rapporto di dieci italiani per un tedesco ucciso che scarica sulla struttura, ovvero su nessuno, la responsabilità di ciascun individuo.

Nella sentenza inoltre si ricapitola la situazione internazionale degli anni passati che portò all’occultamento del processo. La conoscenza sul perché tale occultamento sia potuto accadere è ovviamente il frutto della divulgazione dei recenti studi storici che hanno chiarito inequivocabilmente le motivazioni politiche e sociali che hanno portato a tale occultamento illegale. Ovvero, si parla apertamente dell’interesse al riarmo della Germania Ovest in funzione antisovietica, da parte della NATO, e l’interesse dell’Italia a far sì che nessun militare italiano incriminato per crimini di guerra o contro l’umanità potesse essere estradato e condannato da un tribunale straniero, visto poi che gran parte delle richieste di estradizione avanzate dall’Etiopia, dalla Grecia e dalla Jugoslavia riguardavano ufficiali e questi erano indispensabili per le autorità italiane che puntavano a una seria e soprattutto rapida ricostituzione delle Forze armate.

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Sullo sbarco di Anzio Churchill scrisse: “Avevo sperato di lanciare sulla spiaggia di Anzio un gatto selvatico. Invece mi ritrovo sulla riva con una balena arenata”.

Il Tribunale militare di La Spezia pronunciandosi sugli imputati con ruolo di comando che parteciparono alle operazioni nell’area di Marzabotto, dà di loro, che sono delle SS, una descrizione molto ben definita e chiara. Partendo dal fatto che nessuno di loro mostrò il benché minimo segno di dissenso nel momento che veniva stabilito il piano d’azione, evidenzia che «erano militari scelti con una specifica formazione orientata proprio alla partecipazione ad

operazioni come quella di Marzabotto [il corsivo è mio], tant’è che la divisione [16ª SS Panzer

Grenadier] venne spostata dall’Europa orientale in Italia anche per fronteggiare l’insidia partigiana, nella quale aveva acquisito specifica esperienza [il corsivo è mio]. E, come è dato ricavare dalle storie personali di ciascuno degli imputati […], essi avevano in generale ricevuto un’attenta e specifica formazione ed erano particolarmente motivati».

In questa asserzione l’apporto degli storici è palese. Difficilmente dalle dichiarazioni degli imputati sotto processo, come quelli degli altri processi del passato, si sarebbe potuto mettere in evidenza una tale specificità della 16ª divisione SS, visto che se qualche imputato avesse fatto una tale affermazione sull’unità d’appartenenza avrebbe senz’altro aggravato la propria situazione. Infatti se si faceva parte di una unità specializzata nell’uccisione di civili (anche se in funzione antipartigiana) si sarebbe potuto confermare, oltre al proprio fanatismo ideologico, anche la propria assuefazione nel compiere tali azioni e quindi anche la loro pacifica accettazione, se non addirittura il proprio consenso nel compierli. Che i giudici sapessero che tale unità era specializzata in tali compiti è la prova che la consulenza degli storici gli aveva confutato ogni dubbio su fatto che gli imputati non erano degli sprovveduti o dei semplici vili che non avevano avuto il coraggio di opporsi agli ordini dei superiori. Ma bensì erano individui che sostanzialmente approvavano tali metodi, visto che poi avevano il diritto di chiedere un eventuale trasferimento in altre unità, anche combattenti. È vero che rimane il dubbio che nel momento che gli fosse stato ordinato di compiere massacri di civili i loro comandanti non li avrebbero esentati la prima volta, ma sicuramente in seguito li avrebbero fatti trasferire in un altro reparto per evitare che il loro comportamento potesse contagiare i commilitoni e compromesso così l’efficienza dell’unità che, si ricordi, fu impiegata principalmente proprio nella lotta contro i partigiani sul fronte orientale242.

A riprova dell’apporto degli storici i giudici continuano dicendo che «nelle SS l’ideologia di fondo era assolutamente condivisa e gli obbiettivi comuni a tutti, condizioni queste, necessarie

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Sia chiaro che tali unità combatterono sia contro i sovietici che contro gli anglo-americani e che grazie al loro fanatismo si rivelarono, da un punto di vista prettamente militare, molto efficienti. Furono impiegate in prima linea per motivi d’immagine visto che, essendo l’immagine del tipico combattente ariano nazista, non potevano fungere solamente da truppa da parata ed essere così obbiettivo di scherno dalla gran parte di quei tedeschi che combattevano nelle altre Forze armate. Inoltre il loro impiego divenne in tutti i casi necessario a causa delle enormi perdite che la Wehrmacht subì nei primi mesi della guerra contro i sovietici. Grazie al loro fanatismo ideologico che li portava ad una totale abnegazione verso gli ordini, furono chiaramente scelti per svolgere i compiti più spietati.

per la stessa esistenza del Corpo». I giudici dimostrano di avere cognizione dell’importanza dell’ideologia per chi faceva parte delle SS. Era infatti proprio l’ideologia che aveva dato vita al Corpo delle Schutz-Staffel.

Grazie all’apporto degli storici molto probabilmente fu evitato di scambiare le SS per un corpo speciale in forza a quasi tutte le Forze armate del mondo, impedendo forse di comprendere il loro fanatismo ideologico. Infatti le SS erano sì, un corpo d’élite, ma non certamente un corpo specifico atto solamente a missioni prettamente militari e che richiedono un addestramento psico-fisico notevolmente elevato, indipendentemente che i candidati abbiano alle spalle esperienze di combattimento. Inoltre, una caratteristica di tali corpi speciali è il loro ridottissimo numero di organici, proprio a causa dello speciale addestramento a cui i loro uomini vengono sottoposti243.

I giudici evidenziarono che i fatti di Marzabotto non furono solamente un episodio frutto