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3. La parola agli esperti

3.1. Guardando Norimberga

Ovviamente i giuristi italiani non rappresentarono una eccezione nel panorama culturale europeo. Anche i britannici, in parte318, ma sicuramente i francesi, i sovietici e gli altri Paesi europei erano piuttosto dubbiosi su una revisione radicale del diritto internazionale che avesse come base una serie di processi che si basavano in parte su norme non ancora codificate e che avevano come certe solo basi morali.

Forti erano i dubbi e le perplessità nel voler procedere a processare i militari che avevano eseguito degli ordini superiori e questo valeva anche per quei funzionari statali che rispondevano ad un’autorità superiore. Tuttavia, come è noto, si diede avvio anche dopo i processi di Norimberga a una serie di processi nazionali contro criminali di guerra nazifascisti e collaborazionisti in tutti i Paesi d’Europa, anche se con notevoli differenze per quanto riguarda il numero dei procedimenti penali avviati e per le condanne emesse. L’Italia, come è risaputo, fu tutt’altro che ligia nell’incriminare e portare davanti a una Corte di giustizia i numerosi criminali che si erano macchiati del sangue della popolazione civile e dei soldati italiani.

Oltre al fatto che molti italiani, giuristi e non, erano dubbiosi nei confronti dei processi che si sarebbero dovuti svolgere in Italia o verso quelli che si stavano già svolgendo, a dimostrazione

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I britannici, insieme agli Stati Uniti d’America e ai rappresentanti di nove governi in esilio (Belgio, Cecoslovacchia, Francia, Grecia, Lussemburgo, Norvegia, Olanda, Polonia e Jugoslavia) firmarono la cosiddetta “Dichiarazione di Saint James”, dove si indicava l’intenzione di punire le violenze compiute dagli eserciti dell’Asse nei territori occupati. In seguito i britannici saranno più propensi a esecuzioni sommarie, ma cederanno di fronte all’opposizione degli statunitensi.

della loro preparazione culturale, erano anche criticissimi anche nei confronti di quei processi che gli alleati tennero in Germania contro i nazisti e in particolare verso quelli di Norimberga. Ad esempio molto interessanti sono gli scritti del console generale Guglielmo Arnò, che insieme al capitano dell’esercito e magistrato italiano Giuseppe Codacci Pisanelli, ricoprì il ruolo di osservatore italiano al processo di Dachau e di Norimberga.

Arnò, come Codacci Pisanelli, vedeva con forte sospetto questi processi, senza tuttavia mettere in dubbio la colpevolezza della Germania e dei tedeschi nello scoppio e nella conduzione della guerra. Riguardo al processo di Dachau contro il personale del campo di concentramento nazista, è convinto della legittimità di tale iniziativa visto che gli imputati furono giudicati non secondo la legge statunitense ma secondo quella tedesca, dove in ogni caso non si ammetteva sevizie ai prigionieri. Sottolinea che riguardo a Norimberga la situazione è alquanto diversa, visto le novità introdotte dalla Carta di Londra con i suoi capi di accusa che, eccetto quello sui crimini di guerra, erano sostanzialmente nuovi e successivi agli eventi del secondo conflitto mondiale (crimini contro la pace e contro l’umanità).

Il problema, per Arnò, era che si voleva «giudicare dei generali perché hanno combattuto e dei ministri degli affari esteri perché hanno spinto il Paese alla guerra […]»319. Ma così ragionando diveniva un serio problema giudicare numerosi militari e politici tedeschi che avevano operato in Italia contro i partigiani e la popolazione civile.

Il console italiano è ancora più esplicito quando a proposito degli statunitensi e soprattutto del loro modo di fare legge scrive: «questo popolo ha attraversato l’Atlantico, ha distrutto mezza Europa e ora in nome dei princìpi cui la guerra si è ispirata e giustificata processa i tedeschi con

una legge che pure essendo moralmente giusta è stata fatta “dopo” e quindi ha effetto retroattivo cioè è contraria alle norme fondamentali del diritto [il corsivo è mio]»320.

Con quest’affermazione risulta ben chiaro come i giuristi italiani (ed europei) erano stati educati nei confronti del diritto. Nemmeno un’immane tragedia come quella perpetrata dai nazisti con una nuova guerra mondiale e con i campi di sterminio, fa crollare quello che è pur sì un principio salutare del diritto, ma che se applicato di fronte a tali eventi può tranquillamente trasformarsi in un “dogma”, o almeno così sembra leggendo i pensieri di Arnò e di numerosi giuristi di tradizione “continentale”. Da parte degli europei sembra esserci un forte timore di guardare avanti nella creazione di un nuovo modo di intendere il diritto che può chiaramente scaturire dall’affrontare in modo deciso i crimini perpetrati durante la guerra. Non basta assolutamente che tali processi abbiano come base una fortissima morale, serve il diritto. Ma si dimentica

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Antonio Tarantino, Rita Rocco, Rocco Scorrano, a cura di, “Il processo di Norimberga. Scritti inediti e rari”, Università degli studi di Lecce, Giuffrè, Milano 1999, p. 9.

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spesso che il diritto non è solo quello codificato ma anche quello consuetudinario e che vi è la possibilità, da parte di chi giudica, di “creare un precedente”. Si ripiega così su un banale “normativismo”. Per Arnò tali processi erano addirittura «una commedia di punire senza pietà»321.

Anche per Codacci Pisanelli, che era anche un esperto di legge, tali processi erano sotto molti punti di vista criticabili. Egli, oltre a mostrare nei suoi scritti su Norimberga una pesante e patetica retorica filo-italiana che sminuisce fino ad addirittura a negare i crimini commessi dagli italiani durante la guerra («buon senso italico irriducibilmente contrario a eseguire ordini ingiusti») e a elogiare il popolo italiano in generale, parla del forte contrasto che a suo avviso c’è fra il pubblico anglosassone e quello italiano. Scrive infatti che il primo ha in genere una concezione prevalentemente punitiva della giustizia mentre il secondo con «la mitezza d’animo italiana […]» applica il perdono che «è il rimedio più efficace per estinguere gli odi, dal cui

perpetuarsi, dopo qualsiasi delitto, derivano inevitabilmente più terribili orrori [il corsivo è

mio]»322. Anche in questa frase è gioco forza vedere una manifestazione di una chiara mentalità degli uomini di legge italiani, oltretutto militari, che non può essere rilegata solamente a una piccola e insignificante parte della classe giuridica italiana dell’epoca.

Sia per Arnò che per Codacci Pisanelli, che seguirono qualche udienza del principale processo di Norimberga, fu causa di grande meraviglia per chi non conosceva ancora i particolari del processo e lo considerava con mentalità formatasi sui princìpi del diritto penale comune, constatare come esso non fosse solo a carico dei principali esponenti del regime nazista, ma anche di organi statali come il governo del Reich o lo Stato maggiore tedesco e di altri enti quali le SS, le SA e simili323. Almeno in un primo momento gli osservatori italiani, ed anche molti europei, rimasero disorientati nell’apprendere che in pieno ventesimo secolo fossero concepibili processi in cui l’imputato potesse non essere una persona fisica, ma bensì un’astratta organizzazione.

I due processi per delitti internazionali presentavano quindi due singolarità e cioè che oltre la presenza tra gli imputati di istituzioni erano inclusi tra essi anche persone fisiche, mentre la teoria dominante di allora, non riconoscendo quest’ultime come soggetti di diritto internazionale, non ammetteva neppure che potessero violarlo.

Dunque, anche per quanto riguarda i processi internazionali imbastiti dagli alleati le critiche da parte di due personaggi italiani investiti dal Governo di Roma di seguire i procedimenti, erano

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Antonio Tarantino, Rita Rocco, Rocco Scorrano, a cura di, “Il processo di Norimberga. Scritti inediti e rari”, op. cit. p. 31.

322

Ibid., p. 71.

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forti visto il modo di procedere contro capi militari e politici di una nazione sconfitta. Certamente riconoscevano il bisogno di procedere contro tali individui che si erano macchiati di crimini indicibili, ma la loro visione del diritto li metteva nelle condizioni di non trovare basi giuridiche al processo. La visione stessa di processare soggetti che avevano eseguito degli ordini superiori li disorientava. Tale visione era solo in parte controbilanciata dal ricordo delle atrocità commesse dai tedeschi in Italia e dalla conoscenza di quelle ancora peggiori commesse dai nazisti nei campi di concentramento e di sterminio. Le loro riflessioni, che venivano riportate quasi quotidianamente alla fine delle giornate passate tra Dachau e Norimberga, sono un chiarissimo indizio di come molti italiani, ed europei, intendessero l’applicazione del diritto internazionale negli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale. Ed è anche rilevabile una certa insofferenza a colpire i responsabili di crimini di guerra di ogni grado e livello, sia che questi fossero dei dirigenti di Stato che soldati semplici senza ruoli di comando. A tale proposito, a riprova che non era solo una peculiarità italiana, durante la seconda guerra mondiale vi furono tribunali tedeschi che condannarono alcune centinaia di non-tedeschi per crimini di guerra. Si trattava di civili che ad esempio in Francia, nell’isola greca di Creta e in Unione Sovietica avevano agito da irregolari (cecchini, franchi tiratori), e soprattutto di prigionieri di guerra polacchi, francesi, jugoslavi e sovietici dei quali era stato accertato che avevano infranto il diritto di guerra. È interessantissimo notare che i tribunali militari tedeschi non avevano automaticamente condannato gli imputati, ma circa un terzo dei procedimenti era

stato archiviato e un altro terzo degli imputati fu addirittura assolto324.

In conclusione, il principio dell’ordine superiore e della “non retroattività” del diritto pare essere effettivamente determinante per far sì che neanche i crimini nazisti possano rappresentare un’eccezione a cui non è possibile applicare i canoni classici del diritto internazionale che avrebbero rischiato di lasciare impuniti gran parte dei già pochi responsabili di crimini di guerra e contro l’umanità che furono condannati in Europa e in Estremo oriente.