di Luca Apollonio
Non è contraria alla Costituzione la norma prevista dall’art. 19, comma 1, lett. c, del d.l. n. 185/2008 che richiede il necessario intervento dell’ente bilaterale ai fini del riconoscimento di un trattamento pari all’indennità ordinaria di disoccupazione in favore degli apprendisti licenziati o sospesi per crisi aziendali. La natura incentivante e sperimentale della misura consente di escludere il presunto carattere discriminatorio della norma in questione: questa è la motivazione alla base della sentenza n.
108 del 22 maggio 2013, con cui la Consulta ha dichiarato non fondata la questione di legittimità sollevata dal Tribunale di Lucca. Una sentenza destinata ad avere risvolti importantissimi sotto il profilo del sostegno alla bilateralità da parte del legislatore, e diretto a stimolare le parti sociali a introdurre misure di sostegno agli apprendisti.
Preliminarmente, preme evidenziare che la norma censurata riconosce il diritto a godere di un trattamento pari all’indennità ordinaria di disoccupazione per un periodo massimo di 90 giorni a favore degli apprendisti in caso di licenziamento o sospensione per crisi aziendali o occupazionali. La disposizione, tuttavia, subordina l’erogazione della prestazione ad un intervento integrativo pari almeno al 20%
dell’indennità stessa, a carico degli enti bilaterali previsti dalla contrattazione collettiva (art. 19, comma 1, lett. c, d.l. n. 185/2008 convertito dalla l. n. 2/2009). Invero trattasi di una misura a carattere sperimentale per il triennio 2009-2011, prorogata per l’anno 2012 dal d.l.
n. 216/2011 (art. 6, comma 1), e definitivamente abrogata a partire dal 1o
* Intervento pubblicato in Boll. ADAPT, 11 giugno 2013, n. 22.
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gennaio 2013 dalla riforma Fornero (l. n. 92/2012, art. 2, comma 55), che invece ha previsto una nuova forma di assicurazione applicabile anche agli apprendisti (Aspi). Tuttavia la disputa giudiziaria trattata in questa sede fa riferimento ad eventi precedenti il 1o gennaio 2013, e quindi la disciplina applicabile è quella previgente.
Entrando nel merito, la questione di legittimità costituzionale è stata sollevata dal Tribunale di Lucca in una controversia promossa da un apprendista licenziato da una azienda operante nel settore degli arredamenti in legno contro l’INPS. Nei fatti, l’istituto previdenziale non ha riconosciuto al ricorrente l’erogazione dell’indennità prevista dalla norma summenzionata poiché nel settore produttivo di riferimento (industria del legno) non esiste alcun ente bilaterale. Da qui, il diniego della istanza dell’apprendista, il quale non ha potuto accedere neppure al trattamento di indennità di mobilità in deroga, beneficio non previsto dalla regione di appartenenza (Toscana). Il lavoratore ha portato in giudizio l’istituto, e conseguentemente il Tribunale adito si è rivolto alla Corte costituzionale, in ragione di un presunto profilo di incostituzionalità della disposizione in parola. A parere del ricorrente, infatti, la norma contrasta con gli artt. 3, 4, 38 e 39 del dettato costituzionale. In particolare, nel subordinare l’erogazione di un trattamento di natura pubblica all’intervento fattivo della bilateralità, il legislatore violerebbe «il principio di ragionevole eguaglianza nella tutela del lavoro e nel sostegno alla disoccupazione involontaria», stante la ingiustificata disparità di trattamento che può verificarsi a danno di un lavoratore il quale, a differenza di altri e ricorrendo i medesimi presupposti, venga escluso dall’erogazione del sostegno al reddito per circostanze quali l’inesistenza o l’inapplicabilità di un contratto collettivo sull’ente bilaterale, il cui verificarsi è riconducibile a scelte dei sindacati di parte datoriale o dello stesso datore di lavoro, ma non di certo del lavoratore. Più chiaramente, quest’ultimo non può essere penalizzato – in termini di accesso agli ammortizzatori di carattere pubblico – per il sol fatto che il suo datore di lavoro non aderisca alla bilateralità di settore, o addirittura perché questa non sia esistente nel comparto produttivo di interesse. A ciò si aggiunga, ad avviso del ricorrente, la circostanza che il necessario intervento dell’ente bilaterale impone di fatto una collaborazione “forzata” delle Parti Sociali, ai fini di assicurare la tutela del sostegno al reddito ai lavoratori, violando così l’art. 39 Cost. afferente alla libertà sindacale: gli enti bilaterali, infatti, sono enti privati frutto
Bilateralità e sostegno al reddito: la Consulta blinda l’articolo 19 161
dell’autonomia collettiva, e in quanto tali non possono essere forzati ad intervenire, utilizzando peraltro risorse delle imprese e dei lavoratori.
Infine l’apprendista licenziato, in mancanza dell’ente bilaterale, non solo non ha avuto diritto al trattamento di disoccupazione, ma non ha avuto accesso neppure al beneficio della mobilità in deroga, e dunque in aperto contrasto con il principio della universalità dei trattamenti previdenziali finanziati da risorse pubbliche, così come sancito dall’art. 38 del dettato costituzionale.
All’opposto, l’Inps ha confermato in giudizio la propria posizione di diniego della richiesta della predetta indennità, basandosi sostanzialmente su due assunti di fondo. In primo luogo, l’ente previdenziale ha sostenuto che la norma in menzione non determina alcuna situazione di svantaggio né per i lavoratori dipendenti di un datore di lavoro che non sia obbligato al versamento di contributi all’ente bilaterale o che applichi un contratto collettivo che non prevede un simile ente, né per i lavoratori che aderiscano ad un’associazione sindacale priva di tale ente. Infatti, in mancanza dell’intervento del sistema bilaterale, è previsto che le domande di concessione dell’indennità di disoccupazione debbano essere considerate come domande di accesso ai trattamenti di cassa integrazione guadagni e mobilità in deroga. In secondo luogo – ed è questo forse il punto che presenta i profili di maggiore interesse – il carattere irragionevolmente discriminatorio dell’indennità a carico dello Stato verrebbe meno, poiché essa rappresenta soltanto un incentivo e quindi una integrazione al trattamento di disoccupazione erogato dall’ente bilaterale. In definitiva, secondo l’Inps, i veri ammortizzatori sociali pubblici sono rappresentati dalle integrazioni salariali e dall’indennità di mobilità in deroga, mentre quello previsto per gli apprendisti (art. 19, comma 1, lett. c, d.l. n.
185/2008) è costituito dall’intervento dell’ente bilaterale, col sussidio dell’aiuto pubblico. Viene capovolto dunque il quadro normativo di riferimento per gli apprendisti: non è più il trattamento pubblico di sostegno al reddito ad essere integrato, ma è esso stesso ad integrare la prestazione erogata dall’ente bilaterale, quest’ultima considerata ormai la prestazione principale di disoccupazione per gli apprendisti.
La Corte Costituzionale, dal canto suo, sembra sposare questa nuova chiave di lettura del rapporto Stato/bilateralità, tanto da ritenere la questione costituzionale eccepita non fondata, rigettando, dunque, le istanze dell’apprendista ricorrente. Infatti, secondo la Consulta, la norma
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censurata è «diretta a stimolare le parti sociali a introdurre misure di sostegno a favore della categoria di apprendisti», e in questa ottica l’intervento pubblico non rappresenta che un incentivo per le associazioni datoriali e sindacali, affinché esse sviluppino avanzate forme di sostegno al reddito in favore degli apprendisti licenziati o sospesi; in tal senso lo Stato si limita a contribuire – seppur in misura consistente – al completamento del sistema di tutela per tale categoria di lavoratori. Allo stesso modo, il carattere strettamente sperimentale e transitorio della norma, unitamente allo stanziamento di fondi ben determinati e limitati fanno propendere per una misura di natura premiale e limitata nel tempo, e non certo stabile e diretta a configurare un diritto soggettivo in capo ai datori di lavoro.
Dunque, secondo il Giudice delle Leggi, il carattere incentivante e sperimentale della misura consente di escludere il presunto carattere discriminatorio dell’art. 19, comma 1, lett. c.
Il verdetto probabilmente mette la parola fine alla vexata quaestio del cofinanziamento degli enti bilaterali al sostegno al reddito dei lavoratori.
Vale la pena sottolineare infatti che fin dalla approvazione della norma in esame, numerosi giuslavoristi nonché il sindacato italiano maggiormente rappresentativo avevano sollevato seri dubbi sulla legittimità costituzionale, sostenendo l’iniquità delle disposizioni che privano il lavoratore di una prestazione a carattere pubblico, per il solo fatto che manca un’altra prestazione, caratterizzata dall’essere solo aggiuntiva e dall’essere a carico di un terzo “estraneo” (in tal senso si veda F. LISO, Brevi note sull’articolo 19 del recente decreto legge 185 intervenuto sulla materia degli ammortizzatori sociali, Working Paper ADAPT, 2008, n.
68). Con questa sentenza, invece, si consente al legislatore di dare pieno sostegno alla bilateralità e al sistema degli enti bilaterali, “blindando” le relative norme da eventuali incidenti di incostituzionalità; e in tal senso può essere considerata al sicuro anche la nuova misura sperimentale in materia di ammortizzatori sociali introdotta dalla riforma Fornero (art. 3, comma 17, l. n. 92/2012), che richiede il necessario intervento dell’ente bilaterale (20%) ai fini dell’accesso al beneficio dell’Aspi anche in caso di sospensione per crisi aziendale o occupazionale.