SIMULAZIONE DI UNA VALUTAZIONE AZIENDALE
COE FORMULA COE CAPM
6. I PRINCIPI ITALIANI DI VALUTAZIONE
6.2 Contenuti relativi alle valutazioni DCF e RADR
I PIV, dopo aver delineato la rete concettuale di base e i requisiti del esperto valutatore, nelle parti tre e quattro si occupano, rispettivamente, dei principi per valutare specifiche attività e delle applicazioni particolari. In queste due parti vengono esposte in dettaglio le pratiche e i diversi metodi di valutazione, applicati a beni, aziende, rami d’azienda e a casi particolari come ad esempio fusioni ed acquisizioni.
I PIV si occupano ovviamente anche delle valutazioni basate sui flussi finanziari e analizzano in dettaglio anche gli elementi fondamentali di questo criterio. Una serie di articoli sono destinati, infatti, ai tassi di sconto nelle valutazioni. La definizione di tasso di sconto utilizzata dai PIV è la seguente:
“I tassi di sconto, o di attualizzazione, nelle valutazioni hanno la funzione di trasformare flussi di cassa (cash flow) esigibili a date future in un importo, il valore attuale, esigibile alla data di valutazione. Il principio base è che ricevere uno specificato flusso di cassa a una specificata data futura è equivalente a ricevere il valore attuale del flusso di cassa alla data di valutazione”
Una volta data la definizione del tasso di sconto i PIV si occupano anche di affrontare l’ipotesi di presenza del rischio e di come farlo rientrare nella valutazione. Nel paragrafo si espone quindi la possibilità di incorporare il rischio nel tasso. Se i flussi di cassa
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disponibili sono esenti da rischi, è sufficiente che il tasso tenga conto solo del differimento temporale e quindi consideri solo la remunerazione monetaria del tempo, attraverso l’utilizzo di un tasso risk-free. Viceversa se i flussi disponibili presentano un certo grado di incertezza è necessario tenerne conto, aggiustando il tasso di sconto per la remunerazione monetaria del rischio. Il concetto di price of risk nasce dal principio dell’avversione al rischio, per cui ogni agente che accetta un rischio vuole una ricompensa proporzionale al rischio assunto.
Dal documento emerge anche la possibilità di considerare il rischio nei flussi di cassa, aggiustandoli in modo da ottenere un flusso chiamato “equivalente certo”, da scontare al tasso risk-free. Ovviamente le due alternative appartengono a filoni di letteratura opposti. La bozza dei principi continua la dissertazione sui tassi di sconto enunciando le tecniche e gli approcci da seguire nelle valutazioni, mostrando l’utilità del CAPM e il calcolo del TIR (tasso interno di rendimento), ma in sostanza non dicono esplicitamente come si deve aggiustare un tasso per il rischio. L’unico modello riportato che considera il rischio, grazie alla presenza del coefficiente β, è il CAPM, di cui si è mostrato l’uso e l’applicazione nel paragrafo 3.5.1. Il modello è utilizzato per il calcolo del costo dell’equity di conseguenza rimane ancora aperta l’ipotesi di come stimare il costo del capitale aggiustato per il rischio.
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7. CONCLUSIONI
Obiettivo primario dell’elaborato è stato quello di verificare l’importanza di una corretta analisi dei tassi di attualizzazione aggiustati per il rischio a livello aziendale, al fine di poter prendere le decisioni più corrette in relazione alle diverse situazioni e alle diverse problematiche.
Il punto di partenza è stato l’esame dei più importanti lavori della letteratura in ambito di risk adjusted discount rates. Dopo una breve analisi sull’importanza dei rischi e sull’attenzione che un’azienda deve prestare alle situazioni di incertezza in un’analisi valutativa, sono stati introdotti i principali metodi di valutazione utilizzati nel panorama italiano ed internazionale. Nel corso del lavoro è emersa l’importanza rivestita dal costo del capitale e dai flussi di cassa i quali, congiuntamente, costituiscono le variabili fondamentali delle valutazioni Discounted Cash Flow di tipo asset side.
Poiché il costo del capitale non è un valore assoluto, liberamente disponibile sul mercato, bensì è frutto di una serie di considerazioni e approcci teorici scelti dal valutatore, una corretta stima dello stesso è fondamentale ai fini della valutazione dell’azienda per non ottenere dei valori distorti.
Il costo del capitale mostra poi una doppia faccia: esso è infatti allo stesso tempo input e output della valutazione aziendale, in quanto esprime sia il tasso di attualizzazione dei flussi di cassa, sia il rendimento atteso dai prestatori di capitale di rischio.
La soggettività della determinazione del costo del capitale conduce inevitabilmente ad affrontare la questione di come stimarlo e di come correlarlo al rischio e all’incertezza della valutazione complessiva.
Il filone di letteratura che è stato analizzato, infatti, si occupa di considerare il rischio nel tasso di attualizzazione, modificando attraverso opportuni aggiustamenti il WACC. I diversi metodi analizzati dal punto di vista teorico sono stati poi tradotti in strumenti pratici di valutazione.
I molteplici approcci valutativi sono stati tutti applicati nello svolgimento della prova pratica (i cui passaggi sono riportati dettagliatamente nel capitolo 5). L’analisi dei risultati ottenuti ha evidenziato degli esiti singolari, in quanto alcuni criteri si sono rivelati non soddisfacenti. La simulazione, condotta su diversi scenari di debito, ha rivelato, infatti, l’incapacità di alcuni approcci a produrre delle stime corrette ed affidabili per il valore
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dell’impresa, per il costo del capitale e per il costo dell’equity. Ogni metodo, infatti, a seconda delle ipotesi fatte dal suo sviluppatore, considera diversamente come incorporare l’elemento rischio all’interno del modello. Alcuni criteri oltre ad essere estremamente limitativi, risultano addirittura distorsivi, in quanto non mettono nemmeno in evidenza l’aumento dei costi legati ad un eccessivo indebitamento, a causa dei quali un’azienda potrebbe avere decrementi di valore importanti.
I risultati ottenuti nella simulazione mostrano, poi, che alcuni modelli introducono invece una penalizzazione del beneficio fiscale, che genera, soprattutto negli scenari con debito molto elevato, delle diminuzioni considerevoli di valore.
A seconda che si utilizzi l’approccio del WACC o dell’APV si ottengono poi ulteriori differenze. Lavorando sul costo medio ponderato del capitale, la possibilità di modellizzare diversamente i molteplici aspetti della valutazione è più limitata rispetto la metodologia suggerita dall’Adjusted Present Value, dove ogni fattore è considerato singolarmente. Il beneficio fiscale, ad esempio, nell’approccio WACC è sempre incorporato nel tasso di sconto, mentre nell’altro metodo, è possibile modellizzare diversamente i possibili effetti dello scudo fiscale, lavorando in un’ottica completamente diversa.
Con il metodo APV si ottengono risultati che presentano valori molto vicini tra loro, ad eccezione dello scenario di massimo indebitamento, dove i due criteri che presentano i risultati estremi sono Modigliani Miller e Fernandez; il primo non tiene conto dei costi del dissesto e il valore aggiunto dello scudo è amplificato al massimo, l’altro è quello che penalizza maggiormente l’esito finale.
Il metodo del WACC invece è quello che mostra gli esiti più particolari. I risultati mostrano, per ogni scenario, un oscillazione molto più marcata dei valori finali dell’azienda rispetto il metodo APV. Come nel caso precedente la situazione con gli esiti più incerti è lo scenario con il debito più elevato, dove si ottiene un valore degli asset che varia da un minimo di sei milioni fino agli undici milioni di euro; complessivamente i due valori sono quasi uno il doppio dell’altro.
In entrambi gli approcci seguiti è stata fondamentale l’analisi di un’altra importantissima variabile: il costo dell’equity. Il metodo più utilizzato per calcolarlo è il CAPM, sia per la semplicità che per la facilità di applicazione. Nonostante la sua semplicità, infatti, rimane comunque il metodo che riesce a cogliere la relazione di proporzionalità diretta
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tra rischio e rendimento richiesto dagli azionisti, mentre modelli più complessi comportano una maggiore difficoltà senza guadagnarne in affidabilità. L’analisi di questa componente nei vari modelli e nei vari scenari, ha mostrato risultati molto contrastanti. Le formule proposte dagli autori delle varie teorie, infatti, non erano in grado di cogliere la relazione tra rischio e rendimento per gli azionisti. È accaduto, infatti, che in quasi tutti i casi, le formulazioni determinassero una diminuzione del rendimento richiesto dagli azionisti all’aumentare del livello del debito.
In conclusione, quindi, uno dei primari risultati che si evincono dallo studio condotto è che in caso di aziende che presentano un elevato indebitamento, nessuno di questi modelli è in grado di fornire un’analisi attendibile a trecentosessanta gradi della situazione aziendale, ad eccezione dei modelli di Damodaran e Fernandez.
Sostituendo debito ad equity si può trarre, infatti, un maggior beneficio grazie alle riduzioni d’imposta dovute alla deducibilità fiscale degli interessi ma le simulazioni condotte hanno dimostrato che, anche per queste particolari manovre di politica finanziaria aziendale, dove il debito si sostituisce all’equity in una palese ottica strategica, il risultato è quello di ottenere delle valutazioni non del tutto affidabili, soprattutto nei casi in cui il debito diventa troppo elevato. La percezione del rischio può subire forti cambiamenti, infatti, anche a seconda della persona addetta alla valutazione, conducendo a stime anche molto distanti le une dalle altre. In conclusione tra i modelli analizzati se ne possono individuare due che sono in grado meglio di altri di cogliere i fondamentali economici su cui si basa la disciplina della valutazione, cercando di considerare sia le componenti che potrebbero portare un vantaggio, sia quelle che potrebbero diminuire gli effetti positivi.
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