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APPROCCIO SINTETICO APPROCCIO ANALITICO

3.5.1 Il costo dell’equity

Il costo dell’equity è il rendimento richiesto dagli azionisti per investire in un’azienda o in un progetto. Questo tasso è fortemente influenzato dalla rischiosità dell’investimento da sostenere. Nel caso infatti un’azienda decida di finanziarsi tramite equity e debito, il costo dell’equity, come è stato dimostrato da Modigliani e Miller, presenta una correlazione positiva con l’indebitamento finanziario in quanto ciò che spetta agli azionisti è quanto avanza dopo che sono state soddisfatte le esigenze dell’azienda e degli altri prestatori di capitale. Vengono utilizzati prevalentemente due metodi per stimare il costo dell’equity: il Capital Asset Pricing Model oppure il Dividend-Growth Model. Anche se poco utilizzata, vi è poi l’equazione 3.2, sviluppata da Modigliani Miller, dove il costo dell’equity viene calcolato sulla base della relazione con il tasso rappresentativo

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del costo del capitale unlevered. Della formula 3.2 sono state sviluppate poi delle varianti che saranno analizzate nel prossimo capitolo quando verranno analizzate le correzioni al wacc presenti in letteratura.

Il Capital Asset Pricing Model (CAPM), come dice il nome stesso, è un modello utilizzato in finanza per calcolare il prezzo degli asset ma è molto utile anche nel caso in cui sia necessario misurarne la rischiosità. In ambito valutativo, invece, il CAPM è utilizzato per calcolare il rendimento che si aspettano i prestatori del capitale di rischio. Chi investe in un’azienda o in un progetto, infatti, vuole essere remunerato e tanto maggiore è il rischio del progetto tanto più alto sarà il rendimento richiesto. La formula alla base del CAPM è molto semplice ed è composta da tre parametri il risk-free rate, il beta del business e l’equity risk premium:

𝑘𝑖 = 𝑟𝑓+ 𝛽𝑖(𝑅𝑚− 𝑟𝑓) (3.1)

Dove ki è il rendimento atteso per il titolo i-esimo, rf è il tasso risk-free, Rm è il rendimento

atteso da un portafoglio formato da tutti i titoli rischiosi presenti sul mercato e infine βi è

il parametro che indica la sensibilità dei rendimenti dell’attività i-esima rispetto al rendimento del portafoglio di mercato.

Come si evince chiaramente dalla formula il tasso privo di rischio e l’equity risk premium prescindono dall’azienda che si intende valutare, di conseguenza l’elemento discriminante nel valore finale sarà il coefficiente beta. Quest’ultimo costituisce il parametro che ingloba sia il rischio finanziario che quello operativo di un’azienda. Oltre alla definizione utilizzata precedentemente il beta ha anche un secondo significato. Il beta è il coefficiente che tiene conto solo del rischio non diversificabile, o sistematico, sotteso dall’asset, quindi tutta la componente di rischio non sistematico, o diversificabile, non trova remunerazione nel beta. Il motivo dell’affermazione precedente risiede nel principio di diversificazione che ogni investitore dovrebbe adottare quando investe. Il rischio non sistematico infatti è quel rischio specifico che può essere annullato attraverso il processo di diversificazione. Poiché non è possibile scindere le due componenti di rischio racchiuse dal beta, queste vengono entrambe considerate nel rischio operativo. Dalla teoria di Modigliani-Miller infatti il costo dell’equity è dato dalla seguente formula:

39 𝐾𝑒 = 𝐾𝑜+ (𝐾𝑜+ 𝐾𝑑)

𝐷

𝐸(1 − 𝑇) (3.2)

Dove Ko è il tasso rappresentativo della rischiosità dei flussi (rischio operativo), Ke è il

costo dell’equity e D/E è il rapporto di indebitamento dell’azienda.

Esistono diverse metodologie per il calcolo del coefficiente beta. In prima analisi si distinguono i casi in cui l’azienda da valutare sia quotata o meno nel mercato. Nel mercato Americano dove la maggior parte delle aziende hanno titoli quotati in borsa è possibile trovare stime del coefficiente beta pubblicate trimestralmente da società specializzate. Una volta trovato il valore del beta si ottiene facilmente il tasso Ke utilizzando la formula

del CAPM. Se invece le stime non sono apertamente disponibili è possibile calcolare il beta utilizzando la formula (1) che esprime il significato di questo parametro da un punto di vista statistico.

𝛽 = 𝐶𝑜𝑣(𝑅𝑖, 𝑅𝑚) 𝑉𝑎𝑟 (𝑅𝑚)

(3.3)

Il beta è dato dal rapporto tra la covarianza dei rendimenti del titolo e del mercato sulla varianza dei rendimenti del mercato.

Il calcolo del coefficiente si ottiene quindi attraverso la formula 3.3 oppure attraverso un modello di regressione che utilizza i prezzi di mercato.

Talvolta non è possibile seguire quest’ultima via perché molte aziende, soprattutto nei mercati fuori da quello americano, non sono quotate e la mancanza di dati disponibili pubblicamente, ostacola la possibilità di usufruire di questi approcci. Nel caso in cui quindi, le stime del coefficiente beta non siano liberamente disponibili nel mercato o siano completamente assenti, si può aggirare il problema studiando il valore del beta di un campione di società comparabili.

Il concetto è molto simile a quello utilizzato per la scelta del gruppo di società comparabili nel metodo dei multipli. Viene messa in atto, infatti, una ricerca di aziende similari per dimensioni, rischiosità e profilo dei flussi futuri all’impresa oggetto di valutazione. Una volta scelto il campione è però necessario procedere con un altro passaggio, in quanto non si può utilizzare direttamente il beta di ogni singola azienda perché, come è stato spiegato, esso rappresenta il rischio sistematico dell’equity di una specifica azienda e

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riflette di conseguenza la sua particolare struttura finanziaria. Poiché nella maggioranza dei casi le aziende decidono di dotarsi di un certo ammontare di debito, anche se solo in percentuale minima, è necessario calcolare il beta “unlevered” delle società comparabili al fine di ottenere un parametro che rifletta solamente il rischio operativo, cioè che rappresenti la rischiosità dell’azienda come se questa fosse senza debito. Il beta unlevered viene poi sottoposto al processo di “releverage” in base al rapporto di debito ed equity dell’impresa da valutare. I passaggi sono esplicati attraverso le seguenti formule:

𝐾𝑒 = 𝐾𝑜+ (𝐾𝑜+ 𝐾𝑑)𝐷

𝐸(1 − 𝑇) (3.4)

𝛽𝐸 = 𝛽𝐴𝑈+ (𝛽𝐴𝑈− 𝛽𝐷)

𝐷

𝐸(1 − 𝑇) (3.5)

Dalla formula 3.4 possiamo derivare l’equazione 3.5 in cui βE è il coefficiente beta

dell’equity misurato nel mercato, βAU è il coefficiente beta espressivo del solo rischio

operativo, βD è il coefficiente che esprime il rischio del debito e infine T è l’aliquota

d’imposta sulle imprese. Normalmente si ipotizza che il parametro βD sia uguale a zero e

quindi la formula 3.5, nota come formula di Hamada, diventa:

𝛽𝐸 = 𝛽𝐴𝑈[1 +𝐷

𝐸(1 − 𝑇)] (3.6)

Utilizzando la formula in maniera inversa si trova il beta unlevered, in seguito il βAU

trovato viene impiegato nella stessa formula ma con il rapporto di indebitamento dell’azienda da valutare. In questo modo trovo il suo valore di βE. Questi due passaggi

sono chiamati “deleverage” e “releverage” del coefficiente beta. Attraverso questi passaggi e utilizzando la formula 3.6 si può stimare il costo dell’equity dell’impresa oggetto di valutazione anche se questa non è quotata o nel mercato non ci sono informazioni sufficienti disponibili.

Il modello del CAPM, come accade anche per altri, parte da un rendimento risk-free al quale viene sommato un fattore che consiste in un premio per aver sopportato un certo livello di rischio atteso. Affinché un tasso si possa definire privo di rischio è necessario che siano soddisfatte le seguenti condizioni:

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 Non deve esserci rischio di insolvenza, come ad esempio i titoli emessi da uno stato, anche se il rischio paese può comportare dei problemi nella sicurezza di questi tassi.

 Non deve esserci incertezza sui tassi di reinvestimento. La procedura quindi prevede di utilizzare dei tassi con la scadenza se non uguale almeno molto vicina al periodo di stima di un certo rendimento.

Per quanto riguarda la scelta del tasso privo di rischio solitamente si utilizzano i rendimenti dei titoli di stato a lungo termine, ad esempio, in Italia, i BTP decennali. Il premio atteso per il rischio, la differenza tra Rm erf, rappresenta invece la differenza di

remunerazione ottenuta da un investitore che decide di investire nell’intero portafoglio di mercato piuttosto che nel solo risk-free rate. I metodi per la stima di questo elemento sono essenzialmente due: l’utilizzo di serie storiche o la stima implicita nei prezzi di mercato. Il modello del CAPM è valido però sotto un determinato insieme di assunzioni:

- Il mercato finanziario è efficiente quindi i prezzi riflettono le informazioni disponibili.

- Gli investitori possono prestare e prendere a prestito al tasso rf.

- Non ci sono frizioni nel mercato o costi di transazione.

- Il modello è applicabile in via diretta solo alle società quotate.