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Il contenuto degli obblighi comunitari

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE (pagine 61-65)

La domanda comunitaria di penalizzazione

IV. Il contenuto degli obblighi comunitari

Il diritto penale comunitario si rivela come l’incontro tra differenti livelli normativi ove, ad una domanda di tutela più o meno vincolante a livello sovranazionale segue una risposta nazionale, creando una sanzione frutto di un “meccanismo

stratificato tra domanda di tutela comunitaria e offerta (penale o

penale-amministrativa) nazionale”61.

Il fondamento deve rinvenirsi nel principio di sussidiarietà e proporzione62: la Comunità agisce, infatti, in base al principio di attribuzione ex art. 5 Tr.CE, nei limiti delle competenze del Trattato, ed in forza del principio di sussidiarietà, nei settori che non sono di sua esclusiva competenza, interviene solo e nella misura in cui gli obiettivi dell’azione non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell’azione, essere realizzati meglio a livello comunitario.63

59 Maugeri A., Il regolamento, cit. pag. 138 ss.

60 Bernardi A., Profili di incidenza del diritto comunitario sul diritto penale agroalimentare, in Ambiente, 1998, pag. 758 e 837.

61 Sotis C., Obblighi comunitari di tutela e opzione penale: una dialettica perpetua?, in Riv. it. dir. e

proc. pen., 2002, pag. 191ss. e in senso conforme Bernardi A., Osservazioni sui principi e criteri direttivi in tema di sanzioni previsti dalle leggi comunitarie 1995-1997 e 1998 in Riv. dir. agr., 1999, I, pag. 234.

62 Tale principio, pur non trovando uno specifico riferimento testuale nei Trattati è considerato corollario dei principi enunciati negli stessi: Bernardi A, Osservazioni, cit., pag. 239.

63 Una riflessione si rende necessaria sull’evoluzione del criterio di sussidiarietà a seguito dell’evoluzione giurisprudenziale degli ultimi anni. Si può infatti ritenere che la Corte (nelle due sentenze cardine del 13 settembre 2005 e del 23 ottobre 2007) persegua un doppio binario a seconda degli interessi in gioco e della gravità dei danni da prevenire: se ad essere coinvolti nell’armonizzazione penale di matrice comunitaria sono beni “essenziali” per le politiche europee, la sussidiarietà europea ricorre ad una valutazione di semplice “necessità” della sanzione penale, diversamente ove siano coinvolte materie non centrali ma trasversalmente collegate ad altri obiettivi fondamentali, l’impiego di misure punitive di tipo

Il criterio della proporzione, di cui al terzo comma dello stesso art. 5, dispone invece che gli Stati debbano adottare misure punitive, idonee a garantire l’osservanza della disciplina comunitaria, proporzionali alla gravità del fatto ed alle esigenze di tutela.

Secondo la Giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee la proporzione si articola nei tre requisiti dell’idoneità dei mezzi al raggiungimento dei fini, alla necessità delle misure adottate, mai superiori allo stretto necessario, e alla conformità e adeguatezza del rapporto costi-benefici.

Ancor meglio sviluppata, essa contiene quattro ulteriori corollari: quello del collegamento oggettivo e ragionevole fra il mezzo scelto e lo scopo perseguito, una volta che lo scopo sia comunque legittimo; quello dell’adeguatezza del mezzo scelto e lo scopo perseguito, valutabile ex ante ma poi verificabile ex post; quello dell’esigenza che i costi da sostenere, non siano manifestamente superiori ai benefici che l’intervento comunitario si prefigge; l’insussistenza o l’impraticabilità di misure meno gravose.64

Generalmente, come già si è accennato, l’obbligo di tutela richiesto agli Stati membri dal diritto comunitario è costituito da una generica richiesta di corredare una determinata attività normativa comunitaria con misure coercitive “adeguate”, “proporzionate”, “efficaci”, lasciando il legislatore interno libero nella scelta tra sanzione penale, penale-amministrativa o di altra natura ed è indiscusso che le Comunità dispongano di un autonomo potere sanzionatorio di natura amministrativa, nato originariamente in materia di concorrenza e attualmente generale, per la tutela dei propri beni meritevoli di autonoma protezione.65

penale, non dovrà risultare solamente necessario ma addirittura indispensabile. Il principio di proporzione tra gravità del fatto e misura della sanzione viene a congiungersi con il principio di sussidiarietà comunitaria. Diffusamente: Siracusa L., Verso la comunitarizzazione della potestà normativa penale: un

nuovo «tassello» della Corte di Giustizia dell’Unione europea, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2008, pag. 262

ss.

64 Donini M., Sussidiarietà penale e sussidiarietà comunitaria, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2003, pag. 149 ss.

65 Un tanto è stato avallato dalla Corte di Giustizia: Corte di Giustizia delle Comunità europee, 27 ottobre 1992, c. 240/90, RFt c. Commissione, in Riv. Trim. dir. pen. ec., 1993, pag. 739; Grasso G., Recenti

sviluppi in tema di sanzioni amministrative comunitarie (Nota a Corte giust. Comunità europee, 27 ottobre 1992, n. 240/90, Gov. Germania federale c. Commiss. Ce), in Riv. trim. dir. pen. ec., 1993, pag.

740.

Sulla base di tale evoluzione è stato adottato il regolamento Ce Euratom n. 2988/95 del Consiglio, 18 dicembre 1995, relativo alla protezione degli interessi finanziari delle Comunità europee.

Che si tratti di un obbligo e non di una mera facoltà, trova il suo fondamento nella sentenza c.d. del mais greco66 in cui la Grecia fu condannata in forza dell’art. 5 Tr. CE, (ora art. 10 Tr. CE), che “impone agli Stati membri di adottare tutte le misure atte a garantire la portata e l’efficacia del diritto comunitario”. Gli Stati sono, infatti, chiamati a vegliare che le violazioni del diritto comunitario siano sanzionate in termini analoghi a quelli previsti per le violazioni del diritto interno simili per natura e per importanza e che conferiscano, in ogni caso, alla sanzione stessa, un carattere di effettività, proporzionalità e di capacità dissuasiva.

Il controllo della Corte di Giustizia, non è solo limitato all’esistenza di un sistema di tutela ma alla sua adeguatezza ed effettività.67

Solo in casi rarissimi la Corte di Giustizia nello svolgere il giudizio di idoneità e proporzionalità delle soluzioni sanzionatorie, ha ritenuto che l’unica soluzione adeguata fosse il ricorso alla pena: “le disposizioni che gli Stati membri intendono emanare

devono prevedere che una pubblicità di tal genere (ndr. in materia di pubblicità ingannevole di prodotti parafarmaceutici) costituisce una violazione, segnatamente di

natura penale, accompagnata da sanzioni che possiedono effetto dissuasivo”.68

In merito al contenuto si ravvisa come la Comunità possa svolgere una domanda formale di tutela penale, svolgendo in sede comunitaria il giudizio di meritevolezza, necessità ed effettività della pena69.

Specifico obbligo in tal senso è stato statuito dalla Corte di Giustizia in materia di pubblicità ingannevole di prodotti parafarmaceutici70 .

Specificamente in dottrina: Maugeri A., Il regolamento 2988/95: un modello del potere punitivo

comunitario, in Grasso G. (a cura di), La lotta contro la frode agli interessi finanziari della Comunità europea tra prevenzione e repressione - L’esempio dei fondi strutturali (atti del seminario organizzato dal centro di diritto penale europeo in collaborazione con la facoltà di giurisprudenza dell’università di Catania: Catania, 18-19 giugno 1998), Milano, 2000, pag. 149 ss.

66 Corte di Giustizia, 21 settembre 1989, c. 68/88, Commissione c. Repubblica ellenica, in Cass. pen., 1992, p. 1654.

67 Un tanto è stato oggetto di ulteriore pronuncia della Corte nei confronti della Repubblica Ellenica, ravvisando “un’eccessiva negligenza ed “una totale inadeguatezza ed inefficacia di questo sistema di misure di sorveglianza e controllo”. In tal senso: Corte di Giustizia, 13 luglio 2000, c. 46/97, Repubblica Ellenica c. Commissione in Riondato S., Osservatorio, in Dir. pen. e proc., 2000, pag. 1673.

68 Punto 36 Corte di Giustizia, 28 gennaio 1999, C- 77/97, Unilever, in Riondato S., Osservatorio, in Dir.

pen. e proc., 1999, pag. 477.

69Paliero C. E., Il principio di effettività del diritto penale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1990, pag. 461. 70 CGCE, 28 gennaio 1999, C- 77/97, Unilever, in Riondato S., Osservatorio, in Dir. pen. e proc., 1999, pag. 477. La sentenza riconosceva l’esistenza di un interesse comunitario alla penalizzazione ed ad una

In tal caso al legislatore nazionale spetta unicamente il compito di ratificare quanto disposto in sede comunitaria, senza avere discrezionalità alcuna sull’ an e sul

quomodo.

Di norma invece la regola comunitaria impone un obbligo generico di sanzioni o misure “adeguate” “efficaci” e “dissuasive”71, ponendo un vincolo meno invasivo e lasciando al legislatore interno la scelta sulla natura della sanzione da applicare, di natura penale o meno.

Il vincolo, dunque, riguarda esclusivamente la scelta di una sanzione e la valutazione della sua adeguatezza funzionale.

Il diritto comunitario svolge una valutazione in sede di meritevolezza, individuando e descrivendo un comportamento lesivo di un determinato bene giuridico, vincola il legislatore interno all’adozione di una sanzione coercitiva, ma lo lascia libero nella scelta della tecnica e sulla necessarietà della pena.

In sede di adeguatezza, infine, l’intervento comunitario si riespande, richiedendo una tutela adeguata rispetto allo scopo che si intende perseguire in rispetto dell’ “obbligo funzionale di tutela adeguata”.

Infine, la norma comunitaria può imporre la tutela di un proprio bene nello stesso modo in cui lo Stato membro tutela l’analogo bene interno, in forza di una presunzione di conformità per cui, dando per presupposta l’adeguatezza della tutela preesistente del bene nazionale la si estende anche al bene comunitario.72

legittimazione comunitaria del ricorso alla sanzione penale come strumento di garanzia del diritto comunitario. Infatti a fronte dell’inadeguatezza dei diritti nazionali e dell’esigenza di una risposta severa a taluni fatti di particolare gravità, era stabilito per il legislatore nazionale il dovere di introdurre sanzioni proporzionate effettive e dissuasive di natura penale, anche ove non fosse formalmente previsto.

71 CGCE, 21 settembre 1989, causa 68/88, Commissione c. Grecia, in Racc., 1989, pag. 2965, CGCE, 10 luglio 1990, causa 326/88, Hansen, in Racc. 1990, pag. 2935; CGCE 2 ottobre 1991, c. 7/90, Vandevenne, in Racc. 1991, pag. 4387; CGCE 8 giugno 1994, 382/92, 383/92, Commissione c. Regno Unito, in Racc. 1994, pag. 2475 e 2494; CGCE 26 ottobre 1995, c. 36/94, Siesse, in Racc., pag. 3573, CGCE 12 settembre 1996, cause riunite 58/95, 75/95, 112/95, 119/95, 123/95, 135/95, 140/95, 141/95, 154/95, 157/95, Gallotti, in Racc., 1996, pag. 4345; CGCE 27 febbraio 1997, c. 177/95, Ebony, in Racc. 1997, pag. 1143; CGCE 18 ottobre 2001, c. 354/99, Commissione c. Irlanda, in Racc. 2001, pag. 7657; CGCE 3 luglio 2001, c. 297/2000, Commissione c. Lussemburgo, in Racc. 2001, pag. 5189; CGCE 30 settembre 2003, c. 167/01, Inspire Act, in Racc., pag. 10155; CGCE 3 maggio 2005, cause riunite 387/02, 391/01, 403/02 Berlusconi, in. Riv. dir. internaz. 2005, pag. 821.

72 Ne è esempio l’art. 194 del trattato Euratom, dove è disposto che gli Stati membri equiparino la tutela del segreto atomico a quella predisposta nel diritto interno in materia di attentato alla sicurezza dello Stato.

Le disposizioni penali degli Stati membri, create per tutelare interessi nazionali, dovranno essere applicate anche per tutelare taluni interessi comunitari.

In tal modo verrà ampliata l’area di operatività di alcune norme penali, destinate fin dall’origine ad avere efficacia nell’ambito del diritto interno ai singoli Stati, dall’altro la norma comunitaria acquisterà una sua propria funzione incriminatrice, così rendendo punibili condotte lesive di interessi comunitari, altrimenti destinate a rimaner prive di sanzione penale.

L’omologa tutela del bene comunitario rispetto a quello interno, non surroga il canone di adeguatezza, che rimane comunque nelle opzioni del legislatore nazionale e sindacabile dalla Corte di Giustizia nella sua applicazione concreta.73

L’assimilazione, infatti, rimane valida ove avvenga tra beni e modalità aggressive che si intendono assimilate.

Nasce però una nuova fattispecie, originata dall’innesto della norma comunitaria assimilatrice con la disposizione nazionale e presentante elementi strutturali solo in parte coincidenti con quelli delle norme nazionali, in ragione della differente oggettività giuridica degli interessi tutelati.

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE (pagine 61-65)