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Il Trattato di Lisbona: una battuta di arresto?

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE (pagine 130-134)

III Capitolo La prova pratica

V. Il Trattato di Lisbona: una battuta di arresto?

L’entrata in vigore del Trattato di Lisbona accoglie sotto alcuni aspetti l’evoluzione giurisprudenziale della Corte ma non ne sviluppa le problematiche in modo soddisfacente, deludendo le aspettative in merito al riconoscimento di una vera e propria potestà punitiva comunitaria.

Il Trattato seleziona, come si è visto, tre ambiti di intervento per le direttive a contenuto penale per i fenomeni criminali tassativamente indicati al par. 1 dell’art. 8358, per i fenomeni criminali diversi da quelli tassativamente elencati, per i quali occorre una decisione del Consiglio adottata all’unanimità e previa approvazione del Parlamento, ed in tutti i casi in cui la fissazione di norme minime su reati e pene risulti indispensabile per dare efficace attuazione alle politiche comunitarie, per i settori già oggetto di armonizzazione (art. 83 par. 2).

56 Come tutti gli Stati membri, anche l’Italia dovrà mettere in vigore le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative per conformarsi alla direttiva stessa, anteriormente al 26 dicembre 2010. 57 Vi è dunque la prospettiva che la giurisprudenza europea possa operare in via suppletiva per rimediare alla mancata armonizzazione formale delle pene, correggendo la carenza del diritto penale di matrice comunitaria che agisca esclusivamente sul versante dei reati.

58 La competenza al ravvicinamento delle legislazioni penali nazionali viene affiancata e non più subordinata all’esigenza di cooperazione processuale. L’Unione è legittimata con norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni in sfere di criminalità particolarmente grave che presentano una dimensione transnazionale.

L’ambiente, pur avendo avuto un ruolo nevralgico nell’evoluzione della competenza penale, e risultando oggetto di una incrementata tutela nel Trattato, non compare tra le materie tassativamente elencate, riscontrando un’evidente battuta d’arresto.

Pur a fronte di una tale limitazione, l’elemento di innovazione più evidente si riconosce nel secondo paragrafo dell’art. 83 ove viene disposto che si possano adottare direttive per l’armonizzazione dei sistemi penali ove questo sia indispensabile per garantire l’attuazione efficace di una politica dell’Unione in un settore già oggetto di misure di armonizzazione, in recepimento delle indicazioni fornite dalla giurisprudenza comunitaria.59

Un tale meccanismo trova un limite nella possibilità di sospendere la procedura legislativa ordinaria, lasciando spazio a cooperazioni rafforzate per i Paesi aderenti, ove vengano lesi aspetti fondamentali del sistema giuridico penale di uno Stato60.

L’unico accenno ad una competenza penale diretta, o meglio, quasi diretta, emerge in materia di interessi finanziari, ove già in passato si sono registrati significativi tentativi di evoluzione del diritto penale europeo.

L’art. 86 Tr. FUE, traccia infatti le possibili basi per una futura definizione della competenza penale comunitaria, contemplando la possibilità che il Consiglio europeo possa adottare, contemporaneamente o successivamente, una decisione allo scopo di estendere le attribuzioni della Procura europea, in materia appunto di interessi finanziari, alla lotta alla criminalità grave che presenta una dimensione transnazionale.

59 Il giudizio di necessità o indispensabilità si ritiene che sia spostato dal bene giuridico all’attuazione di una politica dell’Unione, proprio in forza del dictum della sentenza del 2005 che dispone che sia stabilita la necessità della tutela penale in caso di reati di danno, cioè di condotte causative di un danno all’ambiente. In tal modo, nei casi di maggiore gravità occorre reagire con la pena e rafforzare la politica normativa, tutelando per l’appunto la norma. Se invece si mirasse alla tutela del bene giuridico sarebbe difficile addivenire ad una tutela di un bene cosi vasto e inafferrabile come l’ambiente. In tal senso: Sotis C., Le novità in tema di diritto penale europeo, in Bilancia P. e D’Amico M. (a cura di) La nuova Europa

dopo il Trattato di Lisbona, Milano, 2009, pag. 149 ss.

60 Vi è chi critica la scelta “normativa” anche sotto questo aspetto: la valutazione in termini di indispensabilità a garantire l’attuazione efficace di una politica dell’Unione, in quanto un’armonizzazione tra un sottoinsieme di Stati sarebbe parziale e non potrebbe essere considerata indispensabile. “Se il

legislatore avesse subordinato il giudizio di necessità di pena alla tutela del bene giuridico e non alla norma avrebbe preso due piccioni con una fava: avrebbe stabilito un criterio più garantista, perchè più idoneo a svolgere un giudizio di razionalità della tutela dei beni in gioco, ma avrebbe al contempo stabilito un criterio più efficiente, perchè più coerente con le altre norme previste in materia di libertà, sicurezza e giustizia.” Sotis C., La nuova Europa, cit., pag. 150.

Ma anche in tale ipotesi, si ritiene61 che la norma non assegni una piena competenza penale all’Unione, ne limiti l’intervento alla materia di interessi finanziari, attribuendole la capacità di intervenire sul momento precettizio e di svolgere un giudizio di necessità della pena mediante norme direttamente applicabili ma senza attribuirle la potestà punitiva.

La clausola di estensione, nell’attribuire all’Unione la possibilità di intervenire, in chiave armonizzatrice nella lotta contro la criminalità grave e dunque su quanto già penalizzato a livello nazionale, pone una netta distinzione tra i beni propri comunitari, ove la legittimazione comunitaria è maggiore, concedendo all’Unione di decidere quali debbano essere le condotte aggressive degli interessi penalmente rilevanti, ed invece gli altri settori, ove la competenza dell’Unione a legiferare deve rimanere nei confini della definizione nazionale del penalmente rilevante, senza possibilità di prevedere nuove ipotesi incriminatrici62.

A fronte di disposizioni che non esplicitano un’attribuzione completa in campo penale né ne definiscono le sfere di intervento, il riscontro su un possibile diritto penale comunitario (ora dell’Unione) potrà aversi solo a seguito dell’applicazione concreta delle disposizioni del Trattato ora introdotte.

Ancora una volta, dunque, il ruolo creativo verrà deferito al potere giudiziario, deputato alla risoluzione dei problemi concreti ricorrendo a principi fondamentali del sistema.

La materia ambientale, in particolare, presterà il fianco ad ulteriori evoluzioni: infatti, pur avendo costituito il terreno di discussione della potestà armonizzatrice della Comunità, è stata ora esclusa dalle materie elencate nel Trattato, e necessita, per esservi ricompresa, di una farraginosa procedura all’unanimità.

61 Sotis C., La nuova Europa, cit., pag. 160, nonchè Grasso G., La Costituzione per l’Europa, in Grasso G. e Sicurella R. (a cura di) Lezioni di diritto penale europeo, Milano, 2007, pag. 695 in merito all’omologa disposizione del Trattato Costituzionale.

Ad avviso di chi scrive, la disposizione dell’art. 86 TFUE presenta esclusivamente un risvolto procedimentale e prevede la possibilità di intervenire mediante regolamento quanto alle disposizioni relative alla procura europea, e non si riferisce, invece, alle modalità di ingerenza nella determinazione di precetti e sanzioni.

62 La maggiore legittimazione emerge nell’ipotesi dell’art. 86 II TFUE in relazione al bene esistenziale degli interessi finanziari, concedendo all’Unione di decidere con regolamento quali debbano essere le condotte aggressive degli interessi finanziari penalmente rilevanti. Alla minore legittimazione invece corrisponde il paragrado 4 dell’art. 86 TFUE, che costringe l’Unione, se vuole legiferare in via regolamentare, a non uscire dalla predefinizione nazionale del penalmente rilevante, assestandosi su un minimo comune denominatore. In tal senso Sotis C., La nuova Europa, cit., pag. 162 ss.

L’armonizzazione della materia de quo, persegue però un suo autonomo sviluppo che seguirà all’attuazione delle direttive emanate in materia e necessiterà, in fase applicativa, di ulteriori chiarificazioni da parte delle Corti, rappresentando forse il primo tentativo di un potere sanzionatorio frammentato tra due sistemi autonomi ma integrati.

IV CAPITOLO

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE (pagine 130-134)