• Non ci sono risultati.

Gli effetti espansivi

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE (pagine 89-92)

II Capitolo La risposta nazionale

III. La funzione disapplicatrice

2. Gli effetti espansivi

Maggiori problemi sono invece ravvisabili nelle ipotesi estensive della punibilità, non essendo pacificamente riconosciuta una competenza penale delle Istituzioni

35 Contra: Sotis C., cit., pag. 219 per cui è inopportuno analizzare l’ipotesi delle norme penali in bianco perché in caso di rinvio al diritto comunitario manca il presupposto di una norma da completare non potendo produrre norme nel quadro tracciato dal legislatore nazionale.

Non è neppure possibile per il legislatore nazionale recepire le norme contenute nei regolamenti in atti nazionali, trasformando in tal modo le fonti comunitarie in fonti nazionali: un tanto farebbe sorgere il problema di aver trasferito il potere normativo sull’atto dal legislatore comunitario a quello nazionale che pertanto potrebbe modificarlo successivamente a suo piacimento.

Se il legislatore nazionale riscrive il precetto contenuto nel regolamento viola la normativa comunitaria, se invece prevede la sanzione penale e rinvia al regolamento per l’integrale individuazione del precetto, rischia di violare il principio di riserva di legge. Bernardi A., I tre volti, cit., pag. 66

36 La Corte Costituzionale ha affermato che le norme penali in bianco non violano il principio di legalità quando è una legge dello Stato ad indicare i caratteri, i presupposi, i limiti ed il contenuto degli atti dell’Autorità amministrativa ai quali la legge affida la descrizione del precetto penalmente sanzionato. 37 La giurisprudenza di merito ha ammesso che la misura di discriminazione tra il pesce adulto ed il pesce modello, originariamente stabilita da un regolamento ministeriale, potesse essere determinata dal regolamento comunitario che si era sostituito ad esso (artt. 15 e 24 della legge 263/1965). Trib. Pescara, 8 febbraio 1995, Cipollone, in Giur. merito, 1995, pag. 772.

comunitarie e dunque essendo in dubbio che le stesse possano influire, seppur indirettamente, sull’estensione in malam partem del precetto.

Le norme sovrannazionali, e quelle comunitarie in particolare, possono imporre, in misura più o meno dettagliata, ai legislatori nazionali l’obbligo di tutela di determinati beni, specificandone i precetti ed in alcuni casi, la misura delle sanzioni.

Si tratta, come si è visto precedentemente, di domande di tutela a cui lo Stato deve rispondere in modo adeguato, non essendo consentito alla normativa comunitaria di determinare o aggravare di per sé la responsabilità penale dell’individuo.

La mancata previsione come fattispecie di reato di comportamenti che ai sensi di una direttiva sarebbero dovuti essere considerati illeciti, potrebbe far supporre un eventuale inadempimento da parte dello Stato, ma non consente che i cittadini vengano perseguiti penalmente per fatti considerati illeciti ai sensi della normativa comunitaria, ma non punibili in forza di quella interna.

Recentemente, seppur la Corte di Giustizia abbia riconosciuto che l’affermazione di una responsabilità penale, esclusa dalla normativa nazionale, possa essere stabilita attraverso un regolamento comunitario38, e seppur sia stata affermata la competenza delle direttive di stabilire sanzioni penali39, permangono perplessità concrete sulla possibilità di stabilire un’estensione dell’area del penalmente rilevante.

Analogamente lo stesso problema sorge nelle ipotesi di contrasto tra la disposizione interna e quella comunitaria ove la disapplicazione può operare in modo estensivo nelle ipotesi di applicazione di una nuova fattispecie incriminatrice, nei casi in cui gli obblighi comportino una dichiarazione di illegittimità costituzionale di norme esimenti, ed in ipotesi di interpretazione restrittiva delle stesse che ne riducano la portata applicativa.

Ogni modifica delle cause esimenti influisce, invero, anche sull’ambito di applicazione delle norme incriminatrici con essa interferenti, espandendo l’applicabilità della norma incriminatrice sottostante.

Autorevole dottrina40, in contrasto con la giurisprudenza di merito41, nega che da una disposizione comunitaria possa derivare un’estensione dell’area dei comportamenti

38 CGCE, 7 gennaio 2004, c. 60/02, Procedimento penale c. X, in Racc. 2004, pag. 1. 39 CGCE, 13 settembre 2005, Commiss. Ce c. Consiglio Ue, in Foro it., 2006, IV, c. 585. 40 Grasso G., Comunità europee, cit. pag. 289.

penalmente sanzionati, seppur attraverso la riduzione dell’ambito di una causa di giustificazione.

La soluzione a livello concreto risiede in questo caso nel ricorso alla Corte Costituzionale, in capo alla quale permane un sindacato in merito alle norme di favore.

E’ pur vero che il potere di creare fattispecie penali o aggravare le pene è esclusivamente riservato al legislatore, in forza del principio di legalità dei reati e delle pene, essendo preclusa alla Corte una decisione dalla quale possa derivare la creazione di una fattispecie penale o un aggravamento della pena42, ma non si può negare alla stessa il sindacato delle norme di favore, a pena di “creare delle zone franche del tutto

impreviste della Costituzione all’interno delle quali la legislazione ordinaria

diventerebbe incontrollabile”43.

Spetta, dunque, alla Corte, la pronuncia di annullamento delle norme di favore per il loro contrasto con i principi dell’art. 11 e 117 Cost., dai quali si evince che il potere punitivo risiede nella sola legislazione statale, vietando, anche alle Regioni, il potere di rimuovere e rendere lecita un’attività che l’ordinamento considera illecita e sanzionata penalmente, così a contrario, ampliandone la punibilità44.

Pur nei limiti del disposto testuale, risultano accettate le ipotesi di estensione dell’area del penalmemte rilevante attraverso il meccanismo interpretativo nonchè le

41 Pret. Schio., 23 maggio 1985, Rigoni, in Riv. pen., 1987, pag. 766.

42 Il principio costituzionale di legalità dei reati e delle pene ammette che nei giudizi incidentali della Corte Costituzionale ben si possa ridurre l’area della punibilità o la pena edittale, ma non sono invece consentite decisioni che comportino un ampliamento della punibilità o un aggravamento del trattamento sanzionatorio. La Corte Costituzionale si è pronunciata sul divieto di interventi additivi in materia penale che si risolvano in un trattamento sfavorevole per l’imputato (Corte Cost. 178 e 297 del 1997 in Cass.

pen., 1997, pag. 2974 e Riv. pen., 1997, pag. 893) e sull’ampliamento della fattispecie penale legale o in

aggravamento della pena edittale (Corte Cost., 4 gennaio 1977, n. 42, in Giur. Cost. 1977, pag. 154 e Corte Cost., 25 giugno 1981, n. 108, in Foro it., 1981, I, c. 1793, 42/77). Nonchè più recentemente la Corte ha rifiutato di pronunciarsi non solo quando dalla decisione potesse derivare la creazione, esclusivamente riservata al legislatore di una nuova fattispecie penale, ma anche quando la pronuncia avesse come effetto l’aggravamento della pena prevista dal legislatore ovvero la reintroduzione di fattispecie abrogate o depenalizzate. In tal senso Corte Cost., 1 giugno 2004, n. 161, in Guida dir., 2004, n. 25, pag. 88 ove si “esclude che la Corte possa introdurre in via additiva nuovi reati o che l’effetto di

una sentenza possa essere quello di ampliare o aggravare figure di reato già esistenti trattandosi di interventi riservati in via esclusiva alla discrezionalità del legislatore”.

43 Corte Cost., 2 giugno 1983, n. 148, in Foro it., 1983, I, c. 1800.

44 Corte Cost., 20 maggio 1991, n. 213 in Grasso G., Introduzione: diritto penale ed integrazione

ipotesi di efficacia estensiva connesse a quelle norme comunitarie che non integrano il precetto ma incidono sugli elementi normativi.45

Infine, è ammessa l’estensione della punibilità in quelle ipotesi di specificazione tecnica di alcuni elementi della fattispecie, già determinati nei loro caratteri essenziali46.

La possibilità di un’apertura in senso più ampio è stata esclusa recentemente dalla Corte di Cassazione nella sua più autorevole formazione che ha statuito47 che le norme contenute nei Trattati internazionali e negli atti di diritto comunitario derivato non sono utilizzabili indipendentemente da una legge nazionale di recepimento, allo scopo di integrare o interpretare le disposizione interne, quando ciò determini o aggravi la responsabilità penale di coloro che agiscono in violazione delle medesime disposizioni ovvero conduca a una loro applicazione in malam partem.

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE (pagine 89-92)