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a) il complesso modella/o, trucco, posa b) il complesso scenografia-ambientazione c) il linguaggio fotografico

2.CONTESTUALIZZAZIONE ESTERNA ALL’IMMAGINE:

d) il contesto storico/culturale di ricezione

Attraverso l’interazione più o meno energica tra questi elementi com-plessi, l’immagine fotografica di moda può arrivare a svolgere una fun-zione comunicativa articolata in profondità, assimilabile ad un fram-mento di narrazione per immagini. Tuttavia, tale processo di contestua-lizzazione non è caratteristico solo dei linguaggi visivi e può essere paragonabile a meccanismi analoghi propri anche dei linguaggi verbali.

Si pensi ai procedimenti di successive esclusioni operate da classi ge-rarchiche di termini per giungere ad una sempre maggiore determinazione (ad esempio se voglio indicare un particolare oggetto, ne arricchirò la descrizione con attributi che escludono appunto tutti gli oggetti più indeterminati rispetto a quell’unico che voglio individuare). Nel lin-guaggio fotografico opera un meccanismo simile in cui, tuttavia, sono pericolose meccaniche analogie con i codici verbali, in quanto i segni dell’uno e dell’altro hanno caratteristiche profondamente dissimili

(come abbiamo già accennato nelle pagine 101-102) soprattutto riguardo il livello d‘astrazione che essi raggiungono rispetto al proprio refe-rente. Infatti, un nome comune nel linguaggio indica una serie di og-getti mentre un’immagine, anche la più indeterminata possibile, è sem-pre l’essem-pressione univoca di qualcosa di specifico ed irripetibile.

E’ proprio in questo vincolo al particolare e all’individuale che risiede la forza comunicativa della fotografia, in particolare di quel-la di moda: mediante quel-la contestualizzazione di singoli elementi speci-fici e riconoscibili, la fotografia di moda crea una totalità visiva narrativa coerente e correlata che il destinatario può ricostruire in-tegrando le indicazioni implicite nel messaggio.72 In essa, pertanto, la variazione anche di un solo elemento costitutivo modifica l’impatto ed il significato di tutto l’impianto visivo (anche perché, nella proget-tazione di una fotografia, composizione, luce, contrasto e rapporti cromatici sono per definizione in rapporto di essenziale interrelazio-ne).

Paradigmatica, al riguardo, è la posizione di Henri Cartier-Bresson quando afferma che “…la fotografia è il riconoscimento, in una frazione di secondo, del significato di un evento come precisa

72 In tal senso, i messaggi fotografici della moda sono fortemente interattivi anche quando non veicolano strutture formalmente elaborate.

Anche il messaggio elementare vestito-modella ha in sé una funzione narrativa, per quanto minimale, nella misura in cui suggerisce al de-stinatario un modello d’aspetto visuale (il look).

zazione di forme che dà a quell’evento la sua espressione adeguata”.73 Certo, nella fotografia di moda la frazione di cui parla Bresson si di-lata attraverso una messa in scena a volte maniacale che tende al pieno controllo dei tempi di rappresentazione, ma non è questo il punto. In definitiva, ricollegandoci a de Saussure ed alla tradizione teorica della Gestalt,74 il punto è che possiamo e dobbiamo considerare la foto-grafia di moda come una struttura complessa e fortemente contestualiz-zante in cui regna l’interdipendenza delle parti rispetto al tutto.

Concludiamo, nel tentativo di semplificare la “digestione” di così tanti assunti teorici, con alcuni tentativi di lettura che si propongo-no come validi esempi di contestualizzazione interna/esterna. Nel famo-so servizio di Bern Stern su Marilyn Monroe (Vedi Fig.XVIII), ad esem-pio, la contestualizzazione è data dallo stile immediato e grafico (at-traverso la pulizia di sfondi neutri e l’impatto di linee nette) unito all’ingenua solarità delle pose della modella Marilyn ed alla lettura che il destinatario dell’epoca poteva dare di una tale icona dello star system e delle sue nudità velate e svelate allo stesso tempo. C’è quin-di un asse portante ed inscinquin-dibile d’interazione che corre dal com-plesso modella-posa (livello interno) fino al significato di quel

73 Lyons Nathan, Fotografi sulla fotografia, Agorà, Torino 1990, pag. 62.

74 Cfr. pagg. 114-115.

dello come icona rispetto al contesto culturale di ricezione (livello esterno).

Analogamente ritroviamo sinergie forti, stavolta tra l’ambien-tazione/scenografia ed il contesto di ricezione, nella celebre foto di Erwin Blumenfeld sulla Torre Eiffel (Vedi Fig.IV) ed in un lavoro di Peter Lindbergh per “Vogue Italia” del 1999 (Vedi Fig.XX). Nel primo caso il simbolo di Parigi funziona da collante per l’intera lettura dell’immagine essendo al tempo stesso un elemento scenografico imponen-te, un simbolo culturale e d’appartenenza altrettanto imperioso ed una componente che stigmatizza le consuetudini dell’epoca di fotografare solo in certe ambientazioni e le ricolloca al culmine di uno spirito metropolitano la cui frenesia viene sospesa nell’atto di cogliere una bellezza femminile dinamica. Nel secondo caso Lindbergh provoca il de-stinatario, in modo ancora più aspro, esorcizzando un evento catastro-fico attraverso il suo superamento fisico e metaforico. La modella è fradicia, ma incede maestosa; il sogno proposto dalla moda fa lo stesso e oltrepassa il disastro del reale. Se immaginassimo di togliere la mo-della da questa foto otterremmo un significato mo-della stessa ed una rea-zione da parte dello spettatore completamente differenti. Un ultimo e-sempio significativo e ricorrente: quando l’immagine opera una conte-stualizzazione estrapolando referenti condivisi (almeno da certe fasce di destinatari) dell’arte e ricollocandoli in forme inedite. Si

osser-vino, al riguardo, l’immagine di Jean-Baptiste Mondino che richiama e-splicitamente una celebre opera di Courbet (Vedi Fig.XV) e quella for-temente metaforica di Thierry Van Biesen ispirata al Piccolo Principe di Saint-Exupéry (Vedi Fig.LII).

Ci pare sufficiente fermarsi qui, sottolineando però il fatto che è utile analizzare la genesi delle immagini per poterle comprendere cor-rettamente, ma che è molto più efficace analizzare i suoi input ed output in sede di ricezione. Difatti è qui che, grazie alla fissità dell’immagine fotografica ed alla conseguente possibilità d’indugiare e riflettere di fronte ad una fotografia, s’incontrano gli spunti e gli esiti più interessanti.

4.2.2 – Il fine: la supremazia della funzione di appello sulla funzione descrittiva

Oltre ai processi complessi di contestualizzazione multilivello c’è poi un altro elemento, tipico della fotografia ed esaltato da quella di moda, che sposta la nostra analisi dai processi alle funzioni. Ci rife-riamo, infatti, alla coppia concettuale delle cosiddette “funzione

de-scrittiva” (o referenziale) e “funzione di appello”.75 In particolare, intendiamo con quest’ultima la capacità della fotografia di agire, tra-scendendo la semplice trasmissione delle informazioni, direttamente sulla sfera emotiva del destinatario. Ciò ci collega da un lato diret-tamente al versante emozionale di questa trattazione,76 mentre dall’al-tro ci riporta al carattere mimetico della fotografia come impronta.77 Infatti è proprio l’estrema isomorficità all’oggetto dell’im-magine fo-tografica, carattere saliente della sua funzione descrittiva, ad espli-care al tempo stesso un altissimo potere d’appello rendendo così perce-pibili con inarrivabile immediatezza sia la fedeltà dell’ogget-to al reale, sia l’illusione della sua “presenza” in un simulacro quasi per-fetto, sia la complessità sincronica di relazioni strutturali tra le parti di cui la scena è composta. In altre parole, l’isomorficità in base a cui opera la funzione descrittiva diventa il supporto per un’adeguata contestualizzazione e per una potentissima funzione d’ap-pello che tende al massimo coinvolgimento intellettuale ed emotivo in virtù della proposta di modelli più o meno verosimili (ma comunque sem-pre riconoscibili) con cui identificarsi. Ebbene, essendo il fine ulti-mo della comunicazione fotografica di ulti-moda la persuasione (premessa

75 Nata ed elaborata intorno agli anni ‘30, in riferimento al linguaggio verbale, dalla cosiddetta scuola formalista della linguistica contem-poranea.

76 Cfr. paragrafo 1.2.

77 Cfr. paragrafo 2.1.1.

dispensabile per indurre ad un eventuale consumo), la subordinazione della funzione descrittiva rispetto a quella d’appello diventa una na-turale conseguenza: infatti, non esiste persuasione senza coinvolgimen-to e non può esserci coinvolgimencoinvolgimen-to senza una sottile attenzione e ten-sione alla dimenten-sione emotiva ed estetica. Schematicamente la via è la seguente:

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