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Contratto inutile Profili sistematic

Nel documento Il contratto inutile (pagine 89-92)

Ad uno sguardo sistematico, il principio dell’utilità negoziale si colloca nell’ordinamento quale criterio di orientamento della struttura e dell’interpretazione degli istituti volti alla disciplina del contratto. Sempre a livello generale –e, per quel che riguarda la presente indagine, ancora in senso atecnico- il principio di utilità conosce una pluralità di punti di emersione che portano a configurarlo quale sinonimo di razionalità e ragionevolezza.

Si pensi, come sopra si rilevava, alla nozione stessa di contratto tutta orientata alla funzione di costituire, regolare o estinguere tra loro rapporti giuridici di tipo patrimoniale. Ma si pensi altresì ai criteri di interpretazione negoziale e, significativamente, dell’art. 1371 Cod. Civ. laddove, nel prevedere i criteri residuali di interpretazione del negozio fa riferimento alla sua normale utilità derivante dalla natura gratuita ovvero onerosa.

87 Parimenti risulta ispirato all’analogo criterio di utilità anche l’art. 1369 Cod. Civ. circa le regole interpretative nel caso disposizioni polisense. Ed invero, in considerazione dei dubbi che tali disposizioni potrebbero sollevare in ordine alla reale volontà delle parti, il codice esprime il criterio di selezione legato al “senso più conveniente alla natura e all’oggetto del contratto”, e quindi, secondo modalità inscindibilmente legate alla normale utilità del contratto.

Ma costituiscono espressione del principio di utilità, inteso sempre a livello generale, anche le norme codificanti il criterio di buona fede oggettiva che obbligano le parti, in via immediata, alla reciproca salvaguardia dell’altrui utilità nei limiti dell’apprezzabile sacrificio. Ed invero lo statuto normativo della buona fede oggettiva è volto in via mediata alla corretta ed esatta realizzazione del programma contrattuale (si veda significativamente l’art. 1375 Cod. Civ. e le altre norme espressive di analoghi principi).

Analogamente, costituisce manifestazione dello stesso fenomeno l’ipotesi prevista dall’art. 1379 Cod. Civ. in tema di divieto di alienare, valido nella misura in cui corrisponda ad un apprezzabile interesse di una delle parti, così come l’istituto del contratto a favore di terzi, laddove la deviazione dal normale schema effettuale avviene nella misura in cui sussista un interesse in capo allo stipulante (art. 1411 Cod. Civ.).

In tempi recenti, lo stesso legislatore ha mostrato considerazione al tema di indagine con la previsione dell’art. 2645 ter Cod. Civ. (249), laddove nello

stabilire i casi in cui è possibile disporre la trascrizione di atti di destinazione si fa rinvio proprio agli interessi meritevoli di tutela di cui all’art. 1322 comma 2 Cod. Civ.. Tale riferimento è rivolto non tanto alla possibilità e liceità dell’atto di destinazione, peraltro già sancita dallo stesso art. 2645 ter Cod. Civ., quanto piuttosto alle ragioni per cui l’atto in discorso possa dirsi utile. Costituisce altresì espressione del principio di utilità anche l’art. 1354 comma 2 Cod. Civ. norma che prevede la nullità della condizione sospensiva impossibile; ed infatti, tale forma di nullità è posta a presidio

249Articolo inserito dall’art. 39 novies, d.l. 30 dicembre 2005, n. 273, conv. In legge 23 febbraio 2005, n.51; V. anche M. BIANCA, Alcune riflessioni sul concetto di meritevolezza degli interessi cit., p. 789.

88 delle parti per la irrealizzabilità ab ovo del programma negoziale concreto. In tutte le predette ipotesi, per dirla con Breccia, “la presenza o il difetto dell’interesse sono chiamati in causa […] in maniera del tutto autonoma rispetto ai consueti criteri di identificazione dell’illiceità” (250).

Ed infatti, una volta superata l’utilità sociale che -asseritamente, ma nel codice non risultava scritta- il contratto (tipico, ovvero atipico) avrebbe dovuto perseguire, e raggiunta la dimensione individuale dell’utilità, non si vede perché questa dovrebbe sottrarsi ad ogni e qualsiasi accertamento di razionalità.

Il principio che emerge è infatti quello secondo cui il contratto deve avere una ragione giustificatrice che si manifesta in duplice modo: in primo luogo deve sussistere l’interesse in capo alle parti a beneficiare dei relativi effetti, tipici o atipici che siano; in secondo luogo lo stesso deve presentare uno schema regolamentare in grado di funzionare per la realizzazione di quel concreto interesse.

Ugualmente sono espressione del principio di utilità anche le norme in tema di risoluzione contrattuale e, significativamente, quelle relative alla risoluzione per impossibilità sopravvenuta nonché per eccessiva onerosità sopravvenuta (251).

Vista in questo senso l’utilità si avvicina molto all’effettività della tutela dei diritti (252), ma il riferimento a tale principio non copre, in pari tempo, tutta

l’estensione dell’utilità nel senso di razionalità e ragionevolezza.

Conclusivamente può affermarsi che il principio di utilità costituisce un dato costante nella disciplina sia delle modalità di costruzione della regola negoziale, che della sua interpretazione, nonché di quella inerente la manifestazione sopravvenuta di fatti incidenti sul momento genetico del negozio.

Quindi il momento attizio del contratto è guidato dal principio di necessaria

250 BRECCIA, Art 1322(commento), in NAVARRETTA ORESTANO(a cura di), Commentario del

Codice Civile diretto da Enrico Gabrielli, Utet, 2011, p.117.

251 Si rinviene infine il principio di utilità anche in tema di diritti reali e, significativamente, nella stessa nozione di servitù espressa dall’art. 1027 Cod. Civ. quale “peso imposto sopra un fondo per l’utilità di un altro fondo appartenente a diverso proprietario”.

89 utilità, mancando la quale l’ordinamento reagisce in termini di rifiuto del prodotto dell’autonomia privata.

Ratio di tale principio è, a livello generale, il razionale sfruttamento degli strumenti di tutela giuridica, ed, in questo senso, il criterio di utilità si avvicina di molto a quello dell’effettività almeno per ridimensionarne la portata; ed infatti, posto che la tutela giuridica ha un costo, la stessa non è distraibile in accordi inutili. Alla luce di tale assunto, meglio si comprende anche la conclusione di Gazzoni secondo cui le pattuizioni inutili sono sintomo di mancanza di volontà di obbligarsi (253).

Nel documento Il contratto inutile (pagine 89-92)