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La tesi della ragione assurdamente prevaricante Critica.

Nel documento Il contratto inutile (pagine 108-112)

Tra le plurime funzioni espresse dalla causa contrattuale, parte della dottrina individua anche quella della tutela della parte contrattuale cd. debole. In particolare, i casi di mancanza di causa deriverebbero dalla deduzione in contratto di una “ragione assurdamente prevaricante” che sarebbe integrata dal consenso ad un affare illogico ed inutile sul piano della sua concreta

294 V. par. precedente.

106 realizzabilità (295).

La tesi non persuade appieno. In particolare si osserva che la causa non è strumento di protezione della parte economicamente debole, ma viceversa costituisce strumento di valutazione del contratto il cui oggetto di tutela immediato è la ragionevolezza dell’affare indipendentemente da ogni eventuale profilo di squilibrio negoziale.

A fortiori si osserva altresì che il problema della ragione assurdamente prevaricante è oggetto di disciplina tipica per la tutela della parte caratterizzata da tale specifica categoria soggettiva. Si pensi, a tal proposito, alla disciplina della rescissione, così come a gran parte della ipotesi di nullità di protezione contenute nella disciplina speciale.

Si potrebbe anche affermare –si badi bene, in senso meramente descrittivo- che ove sussista una ragione assurdamente prevaricante il contratto risulterebbe privo di causa. Ma ciò comporterebbe una deviazione concettuale. Ed infatti, costituisce ormai un dato acquisito quello secondo cui la causa deve riferirsi al contratto e non già alla promessa.

Orbene, orientare il difetto di causa a tutela della sola parte colpita dalla ragione assurdamente prevaricante, comporterebbe il regresso alla vetusta tesi della causa della promessa. Ma vi è di più. Dalla suddetta estensione deriverebbero altresì delle inopportune conseguenze disciplinari, avuto riguardo proprio il fine di tutela della parte debole perseguito proprio dall’impostazione in critica.

Invero il difetto di causa, comportando la radicale nullità dell’atto, comporterebbe il regresso delle parti, mediante la condictio indebiti, nella stessa situazione anteriore alla contrattazione. Ciò comporterebbe l’esclusione di ogni e qualsiasi rimedio di carattere risarcitorio a vantaggio della parte debole. Ma non solo. In ragione della rilevabilità d’ufficio della nullità (comune), la parte –asseritamente- tutelata vedrebbe anche del tutto inficiata ogni possibilità di sua valutazione in ordine all’opportunità

295 Sulla “ragione assurdamente prevaricante” v. BRECCIA, Morte e resurrezione della causa: la

tutela, in Il contratto e le tutele. Prospettive di diritto europeo, a cura di S. MAZZAMUTO, Giappichelli, 2002, p. 258, nonché ID., Art 1322 cit., p. 119.

107 dell’attivazione del rimedio caducatorio. Come può quest’ultima dirsi tutelata?

Nella logica che ispira il presente lavoro vien altresì da chiedersi: ma quale interesse aveva la parte “forte” ad accettare un contratto irrealizzabile? Perché se la parte forte fosse stata spinta da intenti fraudolenti a scapito della parte debole, quest’ultima potrebbe e dovrebbe invocare la disciplina in tema di vizi del consenso di cui all’art. 1427 e ss. Cod. Civ..

Ciò posto si può concludere che la tutela del contraente debole mediante l’istituto della causa deve essere ridimensionata con la conseguenza che la funzione di tutela di una parte qualificata avviene eccezionalmente soltanto nel caso di contratto tipico o, quantomeno, nei casi in cui la specificità dell’operazione comporti l’impossibilità per la parte debole di intervenire nella determinazione dell’assetto regolatorio degli interessi se non, esclusivamente, con il proprio consenso.

In tali casi, infatti, l’assenza di causa si pone come ragionevole strumento di tutela della parte debole per le ipotesi di irrealizzabilità dell’affare.

Viceversa laddove tra le parti sia intercorsa trattativa, che addirittura abbia portato alla stipula di un contratto atipico -ovvero misto o collegato- l’assenza di causa, pur operante anche in queste ipotesi, sarà volta piuttosto al controllo dell’autonomia privata, cioè a porre limite alla estrosità creativa delle parti nella logica di realizzabilità dell’interesse perseguito, purchè lecito. Si può dunque concludere che la tutela dalla “ragione assurdamente prevaricante” ben può essere assicurata mediante l’istituto dei vizi del consenso.

Gli assunti appena formulati sono confermati dal dato positivo, si pensi all’art. 1895 Cod. Civ. in tema di nullità del contratto di assicurazione per inesistenza del rischio, all’art. 1234 Cod. Civ. in relazione alla nullità della novazione per inesistenza dell’obbligazione novanda, all’art. 1876 Cod. Civ. in relazione alla rendita costituita a favore di persone già defunte, all’art. 1939 Cod. Civ. per il caso di invalidità della fideiussione per invalidità dell’obbligazione principale.

108 visto, per mancanza del presupposto causale (recte: per la scelta del tipo negoziale in relazione ad ipotesi in cui non ricorreva il relativo schema) in relazione a casi di contratti tipici (296).

In secondo luogo la tesi non convince poiché, come ha rilevato parte della dottrina (297) il filtro ermeneutico della “ragione assurdamente prevaricante”

comporta la conseguenza di trattare le problematiche della causa secondo il diverso giudizio di adeguatezza delle prestazioni oltre al giudizio di meritevolezza. Orbene, posto che quest’ultimo giudizio è riferito al parametro della futilità, in assenza di alcuna ulteriore specificazione in ordine ai relativi criteri, la valutazione di meritevolezza potrebbe “impedire la realizzazione di interessi che, pur se idiosincratici, possono comunque costituire una lecita anche se giuridicamente ed economicamente del tutto marginale, manifestazione di libertà negoziale” (298)

Secondo un’ulteriore impostazione, dalla tesi della ragione assurdamente prevaricante, comporterebbe l’inammissibilità dell’istituto del contratto inutile quale strumento di riequilibrio e di tutela della parte debole (299).

Come è evidente tanta è la confusione di opinioni in materia che la teoria del contratto inutile, secondo quanto sopra riferito, è in grado di sciogliere. Infatti si può ragionevolmente ritenere che le impostazioni riferite, se da un lato hanno il pregio di emancipare la valutazione dell’interesse dal mero giudizio di liceità, d’altro canto nulla affermano in ordine ai criteri di valutazione del medesimo interesse negoziale in punto di sua utilità. Invero le predette impostazioni si limitano a trasporre indebitamente altri criteri di giudizio, quali quello della giustizia contrattuale nonché quello relativo alle regole di mercato (300).

296 Le disposizioni in parola si apprezzano altresì perché sanciscono l’applicabilità del rimedio della nullità a casi di irrealizzabilità originaria dello schema negoziale, e, dunque, costituiscono validi argomenti per la smentita della tesi della inefficacia e dell’errore sulla causa (v. CRICENTI, Note sul contratto inutile, Dir e Giur., 2007, p. 442).

297 SCOGNAMIGLIO, La causa ed il controllo sulle vicende circolatorie della ricchezza, in ROPPO(a cura di), Trattato del contratto, Milano, 2006, p. 135; in termini parzialmente diversi D. CARUSI, La disciplina della causa cit., p. 540.

298 SCOGNAMIGLIO, Ibidem.

299 CRICENTI, Aspetti della causa in diritto civile francese. L’Avant-Projet di riforma,Eur. Dir. Priv. N. 3/2007, p. 853-881 (spec. par.8); ID., Note sul contratto inutile, Dir. E Giur, 2007, pp. 437-

445.

109 Tale significativo vizio si scontra altresì con la connotazione di tutela di entrambe le parti che caratterizza il giudizio di utilità, con la conseguenza che resta dallo stesso estraneo ogni profilo relativo all’equilibrio negoziale, così come la deducibilità in contratto di clausole idiosincratiche rispetto ai quali già sussiste autonoma disciplina.

Ed infatti, in relazione ai casi di debolezza economica, la mancanza di causa non mira al primario scopo di riequlibrio -altrimenti opinando ciò costituirebbe un ritorno alla funzione economico-sociale- ma reagisce, nella valutazione dello schema negoziale, in relazione al profilo della sua realizzabilità.

In ordine invece alle idiosincrasie negoziali, può in questa sede osservarsi, come si anticipava, che il giudizio di utilità non influisce sulle stesse negandone la loro deduzione in contratto. Invero, anche in presenza di tali particolari situazioni, il giudizio di utilità non muterà i propri tratti ontologici, poiché si tratterà pur sempre di una valutazione di tipo individuale, con particolare riferimento alle specifiche asimmetrie che caratterizzano il programma negoziale e ciò, beninteso, nell’ambito della liceità della causa.

Nel documento Il contratto inutile (pagine 108-112)