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La “rarefazione” della valutazione della consistenza dell’interesse contrattuale e delle capacità di funzionamento dell’atto.

Nel documento Il contratto inutile (pagine 95-98)

Nella tripartizione delle forme di sua manifestazione (257), la valutazione

dell’utilità contrattuale non assume la medesima ampiezza, ma varia, in ordine decrescente, dall’accertamento della sussistenza dell’interesse al sindacato delle capacità di funzionamento dello schema negoziale.

In ordine a quest’ultima forma di accertamento si ricavano rinnovati lumi dalla teoria dei presupposti causali (258).

I presupposti di funzionamento della causa rappresentano gli indici sintomatici dell’attitudine del contratto all’attuazione del programma negoziale e, per loro ontologia, costituiscono l’espressione più chiara della concezione dinamica della causa.

Tali presupposti possono avere carattere sia naturalistico che giuridico. Appartiene al primo tipo l’istituto dell’assenza di rischio nel contratto di assicurazione di cui all’art. 1895 Cod. Civ., mentre è presupposto causale giuridico, l’inesistenza della obbligazione novanda nella fattispecie di nullità dell’art. 1234 Cod. Civ.

Da tanto consegue che l’accertamento in ordine all’esistenza della causa del contratto, nella sua accezione funzionale (razionalizzata) rappresenta il momento finale della valutazione in ordine alla sussistenza dei presupposti di suo funzionamento.

In tale contesto, il giudizio sull’utilità negoziale si pone quale strumento autonomo per la cernita, tra i presupposti causali dedotti dalle parti nella struttura negoziale, di quelli utili ai fini della contrattazione selezionando o scartando quelli inidonei allo scopo perseguito dalle parti, nella logica secondo cui non tutti i presupposti hanno la stessa valenza ontologica, ma ben possono esser graduati per loro importanza, ordinando, entro la vastità della concretezza dei fini privati, ciò che appartiene strettamente alla causa e

257 V. par. 12 del presente capitolo.

93 ciò che alla stessa risulta estraneo.

Ciò che rimane escluso da tale novero assumerà la rilevanza o di interesse inammissibile, ovvero di mero motivo. Così ricostruita, la nullità per difetto di causa deriva, a ben vedere, dal difetto di utilità concreta.

In ordine alla classificazione dei presupposti causali, la dottrina propone una tripartizione in presupposti di tipo oggettivo interni alla struttura dell’atto e, sovente, coincidenti con altri elementi essenziali dell’atto, presupposti di tipo oggettivo esterni alla struttura dell’atto ed, infine, presupposti causali di tipo soggettivo (259).

I presupposti causali oggettivi interni coincidono perlopiù con la funzione di scambio e, significativamente, con l’oggetto del contratto. Ad evitare sovrapposizioni tra i due elementi essenziali è preferibile una lettura del requisito dell’oggetto quale presupposto della funzione causale di scambio. Tale scelta ermeneutica consente nei contratti di scambio la tripartizione tra le distinte ipotesi, di causa simbolica, causa non trasparente e causa putativa. Rientrano invece tra i presupposti causali esterni le ipotesi in cui l’utilità negoziale è integrata da un presupposto causale esterno che, come si è visto, può essere di tipo naturalistico ovvero normativo.

Costituiscono ipotesi di presupposto esterno, oltre a quelle sopra riportate, anche quella prevista dall’art. 1876 Cod. Civ. in tema di rendita costituita a favore di persone già defunte, nonché quella dell’art. 1939 Cod. Civ. in ordine all’invalidità della fideiussione per invalidità dell’obbligazione principale. In questi casi, infatti, l’assenza del presupposto causale esterno reagisce sullo schema contrattuale determinandone l’inutilità.

Fermo restando quanto dedotto, non convince l’impostazione, sostenuta da una parte della dottrina (260) secondo cui in tali ipotesi le parti sarebbero a

conoscenza del vizio e ciò nonostante pongono in essere il contratto; ciò perché in tali casi, un siffatto contratto, in assenza di volontà simulatoria, sarebbe nullo per difetto di accordo.

Viceversa può affermarsi che tali ipotesi integrano casi specifici di nullità per difetto di presupposto causale esterno e, dunque, per inutilità dello schema

259 NAVARRETTA, La causa cit., p. 275. 260 CRICENTI, Note cit., p. 441.

94 negoziale.

Alla luce di quanto esposto, e dai riflessi diffusi sul tema dall’impostazione funzionale razionalizzata, può affermarsi che il criterio ordinante la valutazione dell’utilità negoziale è prettamente endocontrattuale fondato com’è sull’ id quod plerumquem accidit in materia negoziale.

Con particolare riferimento al segmento di valutazione dell’utilità contrattuale in discorso, il criterio -come si è osservato in materia di dividen washing- è dato dal rapporto tra la struttura creata e le specifiche circostanze di carattere oggettivo e soggettivo proprie delle parti alla luce dell’interesse perseguito.

13.1. Segue. La valutazione della realizzabilità dello schema negoziale

Come si è a suo tempo osservato (261), la valutazione circa la realizzabilità

dello schema negoziale investe sia il contratto tipico che atipico ma anche i casi di complessità negoziale.

Ed infatti le relazioni che possono porsi tra interesse concreto e tipo sono di complementarità, di concorso ovvero di contrasto; a tale tripartizione corrisponde infatti una diversa graduazione dell'area occupata dall’interesse concreto nel tipo.

Nell’ ipotesi di complementarità tale area è pressochè nulla e l’interesse concreto evapora dietro la qualità di mero elemento di fattispecie. Nel caso di contrasto, invece l’interesse concreto non è ascrivibile a nessun tipo, nel qual caso saremo in presenza del contratto atipico puro.

Diversamente le ipotesi di concorso tra interesse concreto e tipo, presentano una rilevanza anche sul piano di determinazione della disciplina applicabile (262), profilo che consegue alla risoluzione del quesito logicamente

preesistente in ordine alla determinazione della struttura dell’operazione. Entro il macroinsieme dei casi di concorrenza tra interesse concreto e tipo, possono, a sua volta, distinguersi due distinte sottoipotesi. In primo luogo

261 V. par. 2 del presente capitolo.

262 Invero, tale problematica si pone anche in ordine al contratto atipico ma in diversa misura atteso che, in tal caso, laddove sussistano carenze in ordine alla disciplina applicabile si ricorrerà al tipo più vicino sul piano analogico senza che vengano in questione profili di prevalenza ovvero di combinazione tra discipline applicabili.

95 quelle in cui la concorrenza dell’interesse concreto non supera la naturale elasticità del tipo, ed, in secondo luogo i casi in cui, viceversa, l’estro creativo dei contraenti supera la suddetta elasticità, configurando ipotesi di collegamento negoziale, ovvero di contratto misto o complesso (263).

Orbene, come si anticipava nel precedente paragrafo, la valutazione di realizzabilità dell’interesse negoziale presenta una minore ampiezza rispetto all’ipotesi di analisi della consistenza dell’interesse negoziale. La ragione di tale assunto è intuitiva e consiste in ciò, che in tali casi il riferimento operato dall’interprete è rivolto esclusivamente all’accertamento circa le capacità realizzatorie della struttura rispetto alle quali già sussiste l’autonoma valutazione causale ovvero di meritevolezza. In tali casi il giudizio di utilità verrà in questione ai fini dell’accertamento del rapporto di coerenza che deve intercorrere tra lo schema creato e l’interesse perseguito quante volte quest’ultimo non emerga chiaramente dalla struttura.

Nel documento Il contratto inutile (pagine 95-98)