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Le convivenze di fatto

CAPITOLO III: La legge c.d Cirinnà e le adozioni

3.3 Le convivenze di fatto

Come già anticipato, la seconda parte della legge n. 76/2016 (commi 36-65) è orientata a disciplinare la convivenza di fatto tra due persone non sposate, siano esse omosessuali o eterosessuali.

In tal caso, ci si riferisce a due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile.

In particolare, il comma 36 definisce conviventi di fatto “due

persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un'unione civile”.

Il comma successivo specifica, poi, che “ferma restando la sussistenza

dei presupposti di cui al comma 36, per l'accertamento della stabile convivenza si fa riferimento alla dichiarazione anagrafica di cui all'articolo 4 e alla lettera b) del comma 1 dell'art. 13 del regolamento di cui al decreto del presidente della repubblica 30 maggio 1989, n. 223”214

.

214

Art. 4: “Famiglia anagrafica - 1. Agli effetti anagrafici per famiglia si intende un insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione,

79 Da quanto previsto, quindi, la convivenza ai sensi della l. n. 76/2016 è limitata a due persone: nell'ordinamento italiano deve distinguersi il contratto di convivenza dalla convivenza come forma di condivisione di vita.

Ciò premesso, occorre adesso verificare se tale disciplina presenti delle problematiche e quali siano i rimedi giurisprudenziali e dottrinali proposti.

Il primo e forse più importante nodo riguarda la fattispecie costitutiva della convivenza, in quanto deve necessariamente sussistere il presupposto fattuale dell'unione fondata su legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale. Tuttavia, è necessario che la convivenza abbia anche il requisito della “stabilità”, e che questa sia “accertata” dalle risultanze anagrafiche.

Sul punto, anzitutto, la norma sembra non ammettere alternative alla dichiarazione anagrafica per la prova della stabile convivenza; pertanto, il presupposto fattuale della convivenza in sé è necessario ma non sufficiente, in quanto occorre che esso sia formalizzato con un atto conoscibile dall'esterno215.

Tale impostazione pare però essere contraddetta dal Tribunale di ilano nell’ordinanza 31 maggio 2016 secondo cui poichè la convivenza di fatto ha una natura appunto “fattuale”, ossia si traduce in una formazione sociale non esternata dai partners a mezzo di un vincolo civile formale, la dichiarazione anagrafica è strumento privilegiato di prova e non anche elemento costitutivo della convivenza medesima e ciò si ricava, oggi, dall’art. 1 comma 36 della l. n. 76 del

tutela o da vincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune. 2. Una famiglia anagrafica pu essere costituita da una sola persona.” Art. 13: “Dichiarazioni anagrafiche - 1. Le dichiarazioni anagrafiche da rendersi dai responsabili di cui all'art. 6 del presente regolamento concernono i seguenti fatti: [...] b) costituzione di nuova famiglia o di nuova convivenza, ovvero mutamenti intervenuti nella composizione della famiglia o della con i enza”

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Conf. Fiorini e Leo, Formazioni sociali con doppia disciplina a “geometria variabile”, in Guida al Diritto, 2016, n. 25, 62.

80 2016, che fornisce una definizione del fenomeno scevro da ogni riferimento ad adempimenti formali.

In altri termini, il convivere è un “fatto” giuridicamente rilevante da cui discendono effetti giuridici ora oggetto di regolamentazione normativa. Tant’è che la dichiarazione anagrafica è richiesta dalla legge n. 76 del 2016 “per l’accertamento della stabile convivenza”, quanto a dire per la verifica di uno dei requisiti costitutivi, ma non anche per appurarne l’effettiva esistenza fattuale.

La legge prevede che tale atto venga formato mediante una dichiarazione volontaria (ex art. 6 del d.p.r. 1989/223)216, di conseguenza i due conviventi possono anche decidere di non rendere alcunché e, quindi, di non sottoporsi alla normativa sulle convivenze di fatto.

Il problema si pone nella misura in cui uno solo dei due conviventi decida di formalizzare la propria situazione di fatto usufruendo della disciplina della l. n. 76. Invero, allo stato attuale, la dichiarazione di convivenza può essere resa da uno solo dei componenti la coppia (art. 6, comma primo, del d.p.r. 1989/223), pertanto una convivenza che abbia il presupposto fattuale di cui al comma 36 l. n.76/2016 può rimanere esclusa dall'applicazione di quest'ultima normativa quando entrambi i conviventi lo vogliano, ma se uno di essi cambia opinione e rende la dichiarazione anagrafica, con la sua decisione unilaterale muta anche il regime giuridico della convivenza.

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Art. 6 “Responsabili delle dichiarazioni anagrafiche - 1. Ciascun componente della famiglia è responsabile per sé e per le persone sulle quali esercita la potestà o la tutela delle dichiarazioni anagrafiche di cui all'art. 13. Ciascun componente può rendere inoltre le dichiarazioni relative alle mutazioni delle posizioni degli altri componenti della famiglia. 2. Agli effetti degli stessi adempimenti la convivenza ha un suo responsabile da individuare nella persona che normalmente dirige la convivenza stessa. 3. Le persone che rendono le dichiarazioni anagrafiche debbono comprovare la propria identità mediante l'esibizione di un documento di riconoscimento.”

81 D'altro canto, posto che la dichiarazione resa all'anagrafe è unilaterale, nulla impedisce che l'altro convivente a sua volta renda una successiva dichiarazione contraria, sebbene tale previsione (indicata al comma 37) presenti non poche difficoltà operative con riferimento all'attuale normativa sull'anagrafe217. Ed infatti, la possibilità che si costituisca un rapporto giuridico senza il consenso di tutti gli interessati fa sorgere il dubbio che la legge non abbia il discutibile effetto di fondare l'applicazione di obblighi giuridici senza o anche contro la volontà del soggetto interessato218. 

Una seconda questione attiene alla rilevanza da attribuirsi al dato fattuale “legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e

materiale”. Tale affermazione sembra fondare il rapporto di coppia

anche sul dato sessuale (quale manifestazione dell'affettività), tuttavia, mentre l'elemento costituito dalla reciproca assistenza ha una base fattuale, dimostrabile all'esterno, non è altrettanto agevole verificare l'esistenza del legame affettivo di coppia.

Il comma 36, l. n. 76 enuncia quali elementi ostativi alla costituzione di una convivenza: la minore età; il vincolo parentale tra i due, ovvero di adozione o affinità; la presenza di un matrimonio o di un'unione civile con altri soggetti.

Occorre, però, distinguere quando l'elemento ostativo deve riguardare entrambi i soggetti o è sufficiente che riguardi uno solo di essi.

Certamente è sufficiente che sia minorenne uno solo dei soggetti interessati perché la convivenza non possa costituirsi e, allo stesso modo, quando uno di essi è vincolato da un matrimonio o da un'unione civile con un'altra persona. Ed infatti, non avrebbe senso ipotizzare che il vincolo del matrimonio o dell'unione civile, ostativo alla

217

Ad es., Il modello del Comune di Milano in Guida al Diritto, 2016, n. 26, 20. 218

MIGLIETTA, Convivenze di fatto: gli spiacevoli effetti collaterali, in Guida al Diritto, 2016, n. 25, 8 ss.; FINOCCHIARO, Sottoposti a norme due maggiorenni con un legame stabile, ibidem, 59.

82 realizzazione della convivenza, debba sussistere fra i due interessati, poiché in tal caso la costituzione di una convivenza ex l. 76 rappresenterebbe solo una duplicazione di un rapporto già esistente. Viceversa, il rapporto di parentela, affinità o adozione è ostativo se intercorre fra i due soggetti interessati. Qui, però, il nodo da sciogliere riguarda il grado di parentela o affinità rilevante per impedire la costituzione della convivenza.

Sul punto, gli artt. 77 e 78 c.c., attribuiscono rilevanza giuridica alle parentele e affinità fino al sesto grado, tuttavia, applicare alle convivenze tale soluzione porterebbe all'assurda conseguenza che i limiti alla costituzione della convivenza siano maggiori dei limiti stabiliti dall'art. 87 c.c. per il matrimonio.

Un'interpretazione sistematica della normativa in materia porta, quindi, a ritenere che la rilevanza della parentela e dell'affinità, come elemento ostativo alla convivenza, coincida piuttosto con la disciplina prevista per il matrimonio.

I commi successivi al 36 stabiliscono, invece, gli effetti della fattispecie costitutiva della convivenza, equiparando per molti aspetti la figura in oggetto con quella del coniuge. In effetti, si noti come: 1) il comma 38 può essere equiparato alla disciplina dei diritti attribuiti al coniuge dall'ordinamento penitenziario; 2) il comma 39 individua una disciplina analoga a quella dei diritti spettanti al coniuge in casi di malattia o ricovero; 3) il comma 44 ricalca i diritti spettanti al coniuge in caso di morte del conduttore o di suo recesso dal contratto di locazione; 4) il comma 45 è analogo alla disciplina sui diritti spettanti al coniuge per l'assegnazione di alloggi di edilizia popolare; 5) il comma 46 introduce una norma parallela all'art. 230-bis c.c. in materia di impresa familiare; 6) il comma 47 equipara il convivente al coniuge con riferimento alla domanda di interdizione o inabilitazione; 7) il comma 48 prevede un'analoga disciplina di nomina a tutore, curatore o amministratore di sostegno; 8) il comma 49 attribuisce al convivente

83 gli diritti spettanti al coniuge in caso di decesso del compagno per fatto illecito altrui.

Si tratta comunque di situazioni specifiche e non di una posizione generalizzata.

In realtà, molti dei diritti sopra citati erano già riconosciuti, in via interpretativa, ai conviventi di fatto219, occorre quindi stabilire se e quali di queste norme si applichino anche ai conviventi che non vogliono o non possono (per via della presenza di un elemento ostativo), integrare la fattispecie costitutiva della convivenza

Partendo proprio dai conviventi che non possono formalizzare la loro convivenza per via di un elemento impeditivo della fattispecie, non può certo affermarsi che la l. n. 76 abbia sottratto ai conviventi “di mero fatto” i diritti che ad essi erano riconosciuti in precedenza. Ed infatti, le ragioni, che hanno spinto dottrina e giurisprudenza a sostenere che dalla mera convivenza di fatto discendano determinati effetti giuridici, sono rimaste inalterate anche dopo l'entrata in vigore della riforma.

Più complesso è il discorso relativo a coloro i quali non intendano realizzare una convivenza ex l. 76, pur avendone la possibilità, in quanto in tale ipotesi si potrebbe sostenere che chi decide di non usufruire dei diritti previsti dalla riforma, non possa più goderne. Tuttavia, tale argomento, sebbene suggestivo, non ricalca la logica della legge Cirinnà, poiché a volervi dare credito si dovrebbe ammettere che anche prima della riforma, sussistendo la possibilità di contrarre matrimonio, nessun diritto doveva essere riconosciuto alle coppie di fatto che, pur potendolo fare, non intendevano sposarsi.

Anche in tal caso, quindi, appare più logico ritenere che la situazione preesistente sia rimasta immutata anche per coloro i quali non intendono sottoporsi alla disciplina della l. 76/2016, ne si può

84 escludere che, in via interpretativa, i diritti riconosciuti ai conviventi “di mero fatto” possano ulteriormente estendersi.220

I commi da 50 a 64 sono dedicati al contratto di convivenza, destinato a “disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita

in comune”221. In proposito, è evidente una grave lacuna, costituita dall'impossibilità di disciplinare con il contratto in oggetto gli effetti derivanti dalla cessazione della convivenza.

Ed infatti, ai sensi del comma 53, il contratto può riguardare soltanto i seguenti profili: a) l'indicazione della residenza; b) le modalità con cui i conviventi contribuiscono alle necessità della vita in comune; c) la scelta del regime di comunione legale dei beni.

Non solo. Il legislatore ha predisposto un sistema di obblighi pubblicitari ai commi 51, 52, 60, 61, 62 e 63, al fine di rendere il contratto opponibile ai terzi, ma è chiaro che questi ultimi potranno essere interessati al solo profilo patrimoniale.

Il comma 57 individua le ipotesi di nullità del contratto di convivenza, collegate agli elementi ostativi della fattispecie stessa: a) presenza di un vincolo matrimoniale, di un'unione civile o di un altro contratto di convivenza; b) violazione del comma 36; c) stipula da parte di un minorenne; d) o da persona interdetta giudizialmente; e) condanna per il delitto di cui all'articolo 88 c.c. (condanna per omicidio tentato o consumato sul coniuge dell'altro).

Ora, premesso che, ai sensi della lettera b), gli ostacoli alla realizzazione della convivenza determinano anche la nullità del contratto (ad es. la sussistenza di un rapporto di parentela, affinità o adozione), le questioni più interessanti riguardano le ipotesi non previste nel comma 36, ovvero l'interdizione e la condanna ex art. 88 c.c..

220

LUISO, F.P., La convivenza di fatto dopo la L. 76/2016, in Il diritto di famiglia e delle persone, Milano, II, fasc. 4, 2016, p. 1083.

221

FINOCCHIARO, V., Contratto stipulabile con atti pubblici o scritture autenticate, in Guida al Diritto, 2016, n. 26, 26 ss.

85 Più in particolare, o si ritiene che questi elementi ostino esclusivamente alla stipulazione di un contratto di convivenza, oppure che essi impediscano la stessa realizzazione della fattispecie ex comma 36.

Non sembra rappresentare un ostacolo la sussistenza di una convivenza precedente, ciò in quanto il rapporto si estingue con la cessazione di fatto della stabile unione, pertanto la realizzazione di una convivenza non può che determinare in sé l'estinzione del rapporto precedente.

Diverso è il caso in cui gli interessati decidano di continuare a convivere di fatto, ma dichiarino all'anagrafe di voler cessare il loro rapporto ai sensi della legge 76 e dell'art. 4 del d.p.r. 223/1989 (famiglia anagrafica); in tale ipotesi, posto che il dato formale ex comma 37 l.76 è elemento costitutivo della fattispecie, il suo venir meno comporta l'estinzione del rapporto di convivenza e degli obblighi e diritti ad esso connessi.

E proprio con riferimento al dato fattuale sorgono alcuni dubbi in ordine alla possibilità che la cessazione della convivenza ex l. 76/2016 possa in ipotesi dipendere o da una decisione degli interessati, anche unilaterale, oppure dalla morte di uno di essi. Gli effetti che la legge ricollega alla cessazione della convivenza costituiscono la novità più importante della l. 76/2016 ed anche quella più discutibile. si ricordi che questi effetti non possono essere esclusi dalla volontà dei conviventi, perché non rientrano fra i possibili contenuti del contratto di convivenza.

Se la convivenza cessa per atto volontario, si applica il comma 65 della legge, il quale stabilisce che: “in caso di cessazione della

convivenza di fatto, il giudice stabilisce il diritto del convivente di ricevere dall'altro convivente gli alimenti qualora versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento. In tali casi, gli alimenti sono assegnati per un periodo proporzionale alla

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durata della convivenza e nella misura determinata ai sensi dell'articolo 438, secondo comma, del codice civile. Ai fini della determinazione dell'ordine degli obbligati ai sensi dell'articolo 433 del codice civile, l'obbligo alimentare del convivente di cui al presente comma è adempiuto con precedenza sui fratelli e sorelle”.

Nonostante la giurisprudenza della corte di cassazione sia abbastanza restrittiva nel definire i presupposti dell'obbligo alimentare222, l'effetto della cessazione della convivenza rende ancora più importante il dubbio se sia ancora possibile convivere di fatto senza dover sottostare agli obblighi della l. 76/2016.

E ancora più delicata è la questione nel caso in cui il rapporto cessi per morte di una delle parti, poiché in questo caso il comma 42 della legge stabilisce: “salvo quanto previsto dall'articolo 337-sexies

del codice civile, in caso di morte del proprietario della casa di comune residenza il convivente di fatto superstite ha diritto di continuare ad abitare nella stessa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non oltre i cinque anni. Ove nella stessa coabitino figli minori o figli disabili del convivente superstite, il medesimo ha diritto di continuare ad abitare nella casa di comune residenza per un periodo non inferiore a tre anni”.

Infine, la legge n. 76, con riferimento alle convivenze di fatto, non contiene disposizioni transitorie, diversamente da quanto previsto per le unioni civili al comma 35, quindi essa è diventata applicabile dal giorno stesso della sua entrata in vigore (4 giugno 2016). Tuttavia, è possibile che in tale data fosse già in essere la fattispecie prevista dai

222 Il principio di diritto costante della Cassazione è il seguente: “Il diritto agli alimenti è legato alla prova non solo dello stato di bisogno, ma anche della impossibilità di provvedere, in tutto o in parte, al proprio sostentamento mediante l'esplicazione di un'attività lavorativa. Ove, pertanto, l'alimentando non provi la propria invalidità al lavoro per incapacità fisica o l'impossibilità, per circostanze a lui non imputabili, di trovarsi un'occupazione confacente alle proprie attitudini e alle proprie condizioni sociali, la relati a domanda de e essere rigettata”. Cassazione 6 ottobre 2006 n. 21572 in Giustizia civile, 2007, 5.

87 commi 36 e 37, ovvero una convivenza di fatto, formalizzata all'anagrafe. Per tali fattispecie, si applicheranno le disposizioni della nuova legge, naturalmente a far data dal 4 giugno223, che è anche il momento a partire dal quale si inizierà a calcolare la durata della convivenza.

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