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Le unioni civili, tra aperture legislative e criticità

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Academic year: 2021

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INDICE

Introduzione

3

CAPITOLO I : La famiglia di fatto, generalità

.

7

1.1 Il fenomeno delle unioni non matrimoniali. 7

1.2 Le unioni di fatto come crisi sociale della famiglia. 10

1.3 La convivenza nella Costituzione . 13

1.3.1 Famiglia di fatto e famiglia fondata sul matrimonio. 18

1.4 La rilevanza giuridica delle unioni di fatto. 19

1.4.1. La posizione della dottrina. 24

CAPITOLO II:Le unioni al di fuori del matrimonio prima della legge n. 76 del 2016. 26

2.1 Il matrimonio secondo l’art. 29 della Costituzione. 26

2.2 La stabilità del matrimonio. 33

2.3 Unioni civili e art. 147 c.c.: equiparazione tra figli legittimi e figli naturali. 36

2.4 I Patti civili di solidarietà (PACS). 43

2.5 Dai DI.CO ai CUS. 52

2.6 Profili di diritto comparato. 58

CAPITOLO III: La legge c.d. Cirinnà e le adozioni. 71

3.1 La c.d legge Cirinnà: nodi introduttivi. 71

3.2 Le unioni civili nella legge n. 76/2016. 74

3.3 Le convivenze di fatto . 78

3.4 Il d.d.l. Cirinnà e la “stepchild adoption”. 87

3.5 Il dibattito sulla genitorialità e sull'adozione in Italia. 89

3.5.1 Lo stato di “semi abbandono” e la c.d. “adozione mite”. 103

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2

3.5.2 Il diritto vivente e i diversi modelli di famiglia. 107

3.6 La possibilità di adottare il figlio del partner nel d.d.l. n. 2081 sulle unioni civili. 112

3.7 L’abolizione della “stepchild adoption” e la discrezionalità della giurisprudenza. 114

Conclusioni 117

Bibliografia 121

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3 INTRODUZIONE

Il presente lavoro, focalizzato sulle unioni civili e sul recente intervento legislativo in materia (legge n. 76 del 2016, c.d. legge Cirinnà), cercherà di fare chiarezza su alcuni aspetti che ruotano attorno a tale delicata e fortemente discussa tematica.

Avremo modo di constatare come le unioni di fatto costituiscano un fenomeno rilevante, oltre che dal punto di vista giuridico, anche sul piano prettamente sociologico. Infatti, esse svolgono una funzione socialmente apprezzabile, poiché intese come luogo favorevole allo sviluppo della personalità umana; come tale si ritiene che la famiglia di fatto debba essere meritevole di tutela giuridica, così come sancisce anche l’art. 2 della Costituzione.

Tuttavia, affermare che da questi elementi si possa desumere una parificazione delle convivenze non coniugali a quelle fondate sul matrimonio, significa non solo voler forzare l’interpretazione della legge, ma anche voler trascurare la stessa natura della famiglia di fatto ed il senso che a tale esperienza di vita intendono dare gli interessati.

Estendere anche alle convivenze more uxorio, le norme che disciplinano i diritti della famiglia legittima sembrava, fino a qualche tempo fa, impossibile non solo per quanto riguardava le disposizioni che si riferiscono al matrimonio o che ne presuppongono la celebrazione, ma anche e soprattutto perché, come ribadito dalla Corte Costituzionale, le norme che disciplinano la famiglia legittima presuppongono una stabilità ed una certezza del vincolo che mancano laddove i conviventi intendano vivere in piena libertà i loro rapporti familiari.

Valorizzare questa scelta di libertà al punto da inserire la famiglia di fatto nella sfera del giuridicamente irrilevante, significherebbe tuttavia ignorare il mondo di sentimenti, affetti, interessi e consuetudini che si nasconde all’interno della convivenza non

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4 matrimoniale, così come accade all’interno di ogni nucleo familiare, a prescindere dalla revocabilità della scelta compiuta, ed il cui valore sembra dover essere salvaguardato, specialmente quando l’unione entra in crisi e ciò al fine di evitare che prevalgano le ragioni del convivente più forte a scapito di quelle di colui che si trova in condizioni di inferiorità, sia giuridica che economica.

Dunque, libertà e responsabilità costituiscono i poli tra i quali gravita il problema della tutela da riconoscere alle unioni di fatto, e, al tempo stesso, i punti fermi sui quali deve poggiare la sua disciplina: un ordinamento come il nostro, nato all’insegna del pluralismo ed in cui accettare le scelte di vita individuali diviene una necessità, non può violare la rivendicazione di libertà e di autonomia che si riflette nella decisione di non legalizzare la convivenza mediante il matrimonio.

Tuttavia, esso non può consentire che tale scelta si traduca in un atteggiamento di fuga dagli impegni e dalle responsabilità che il rapporto di coppia implica. Ed è sulla base di tali ragioni che il legislatore ha ritenuto opportuno introdurre una normativa ad hoc.

Il codice civile italiano non era, prima della legge c.d. Cirinnà, completamente sprovvisto di tutele estendibili a soggetti che convivono senza vincoli di matrimonio.

Va, inoltre, precisato, che là dove non era intervenuto il legislatore, spesso ha sopperito l’opera della giurisprudenza di legittimità e di merito, che ha indubbiamente esteso, in questi anni, l’area della rilevanza giuridica della famiglia di fatto, finendo così per sostituire un intervento normativo che, nonostante la presentazione di numerosi progetti di legge, non si era mai concretizzato, a differenza di quanto accaduto in vari Stati europei ed extraeuropei.

La giurisprudenza non ha, ad esempio, escluso la possibilità che i familiari stipulino una convenzione, costituente un vero e proprio contratto, un autoregolamento dei propri rapporti ed interessi, che potrebbe richiamarsi in tutto o in parte al regime patrimoniale della

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5 famiglia, come disciplinato dal codice civile, e pure disciplinare i rapporti tra i familiari, successivi allo scioglimento della famiglia di fatto. Inoltre la giurisprudenza è intervenuta, ove possibile, a tutela del familiare di fatto, per sollevarlo da una condizione assolutamente deteriore.

Il problema riguardava piuttosto quello di un completamento della normativa in vigore, che elevasse a rango di norma giuridica qualche aspetto ancora non tutelato.

Il diritto italiano, ultimamente, si è trovato a far fronte a bisogni di tutela giuridica delle coppie di fatto non sposate e lo ha fatto attraverso l’introduzione della recente legge sulle unioni civili.

È nell’ambito di un siffatto contesto, giuridico e sociale, che ha preso le mosse l’iter che ha condotto all’approvazione della legge 20 maggio 2016, n. 76, avente ad oggetto la “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”, all’interno della quale vengono presi in considerazione due distinti modelli: il primo, quello delle unioni civili, costruito, seppur con alcune differenza, sulla falsariga del regime dell’istituto matrimoniale; il secondo, quello delle convivenze di fatto, volto a configurare una relazione avente effetti giuridici decisamente più attenuati.

Enunciate così le basi sulle quali si è fondata la proposta del disegno di legge c.d. Cirinnà, il lavoro che segue sarà suddiviso in tre capitoli.

In particolare, il primo capitolo analizzerà alcuni aspetti generali della cosiddetta famiglia di fatto. Il secondo capitolo, invece, sarà incentrato sui diritti e doveri attribuiti alle coppie unite civilmente prima dell’avvento della legge n. 76 del 2016. Infine, l’ultimo capitolo prenderà in considerazione le innovazioni apportate dalla legge c.d. Cirinnà in materia di unioni civili, prestando particolare attenzione al

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6 tema delle adozioni, visto il forte dibattito che si è creato in tema di stepchild adoption, prevista nel disegno di legge e poi eliminata nel testo definitivo.

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7 CAPITOLOI

LAFAMIGLIADIFATTO:GENERALITÀ

1.1 Il fenomeno delle unioni non matrimoniali

Le unioni non matrimoniali, ossia le convivenze in cui un uomo e una donna si comportano come se fossero coniugi (unioni eterossessuali)1, costituiscono un fenomeno non nuovo2.

Il concubinato ha costituito per tanti anni un “istituto largamente e notoriamente praticato”3

, sebbene la contrarietà della Chiesa ed il giudizio di disvalore morale e giuridico da parte della comunità4.

Nei Paesi occidentali, questo fenomeno ha conosciuto negli ultimi anni un nuovo sviluppo5. Ad una sempre maggior diffusione della pratica della convivenza al di fuori del matrimonio corrisponde una diminuzione di un complessivo giudizio di disvalore morale da parte della società.

Tale dinamica apre nuove spazi a richieste di riconoscimento e di tutela che mettono in discussione il “principio e il valore della formalizzazione dei vincolo coniugale e del matrimonio quale suo atto fondativo”6

, per arrivare, ed il riferimento è alle ipotesi di unione omosessuale, a travolgere quella differenza sessuale dei soggetti dell’unione, che costituisce uno dei punti fermi per poter parlare di famiglia legittima7.

1 D’AGOSTINO F., Una filosofia della famiglia, Milano, Giuffrè, 2003, pp. 130-132. 2 BARBAGLI M., Le unioni more uxorio, in Enciclopedia delle scienze sociali, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1995, p. 587.

3

JEMOLO A.C., Convivere come coniugi, Padova, in Rivista di diritto civile, 1965, II, p. 402.

4 Ibidem. 5

VON SAVIGNY F.C., La vocazione del nostro tempo per la legislazione e la giurisprudenza, in THIBAUT A.F.J., SAVIGNY F.C., La polemica sulla codificazione, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1992, p. 21.

6 CARDIA C., Matrimonio, famiglia, vita privata. Spunti di analisi ricostruttiva, Bologna, in Quaderni di diritto e politica Ecclesiastica, n. 1, 2002, p. 34.

7

MARANO V., Le unioni di fatto: esperienza giuridica secolare e insegnamento della chiesa, Milano, Giuffrè, 2005, pp. 2-3.

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8 Tale situazione mette in rilievo alcune problematiche, sia dal punto di vista teorico8, sia di politica del diritto, sia di carattere etico e religioso9.

Per quanto concerne l’aspetto teorico, in Italia una parte della dottrina e della giurisprudenza, soprattutto a partire dagli inizi degli anni Settanta, inizia a considerare anacronistiche ed inadeguate le locuzioni tradizionali di concubinato o convivenza more uxorio, giudicate espressione di un giudizio di disvalore. Per questo entrambi gli orientamenti (dottrina e giurisprudenza) hanno tentato di utilizzare l’espressione “famiglia di fatto”.

Tale mutamento delle locuzioni fa ipotizzare un’evoluzione dall’uno all’altro termine, accompagnata ad un’evoluzione nel costume sociale tra “vere e proprie fasi in successione temporale, dal concubinato, passando per la convivenza more uxorio, fino a giungere alla famiglia di fatto”10

.

Nella prima fase, “l’unica che trova un preciso riscontro normativo”11

, la convivenza tra uomo e donna, di cui uno dei due sia sposato, assume rilievo in termini di concubinato e, in quanto tale, rappresenta reato, nonché causa di separazione per colpa. La famiglia degna di riconoscimento e di tutela è solo quella fondata sul matrimonio. Infatti, sia l’adulterio che il concubinato sono sanzionati;

8

PIEPOLI G., Realtà sociale e modello normativo nella tutela della famiglia di fatto, Milano, in Rivista Trimestrale di diritto e procedura civile, 1972, p. 1429; LIOTTA F., Sulla rilevanza formale della “famiglia di fatto”, in Diritto di famiglia e delle persone, 1977, p. 514; D’ERCOLE S., Famiglia di fatto, in IRTI N., Dizionario di Diritto privato, Milano, Giuffrè, 1980, p. 349; GAZZONI F., Dal concubinato alla famiglia di fatto, Milano, Giuffrè, 1983; BETTETINI A., La disciplina delle unioni di fatto: appunti per un ripensamento critico, in AA.VV., Il ruolo del matrimonio nell’ordinamento giuridico attuale, Padova, Cedam, 1990, p. 26; CALÓ E., Sul progetto di disciplina degli accordi di convivenza, in Corriere Giuridico, 2000, p. 1673; TORINO R., I rapporti familiari tra autonomia e responsabilità, Torino, Giappichelli, 2004; ZAMBRANO V., La famiglia di fatto. Epifanie giuridiche di un fenomeno sociale, Milano, Ipsoa, 2005.

9

MARANO V., Le unioni di fatto: esperienza giuridica secolare e insegnamento della chiesa, cit., pp. 119 e segg., pp. 155 e segg.

10 DOGLIOTTI M., , voce Famiglia di fatto, in Digesto discipline privatistiche, vol. VIII, Torino, Utet, 1992, p. 189.

11

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9 il riconoscimento della prole e la ricerca della paternità sono ostacolati; il figlio naturale rimane in una condizione deteriore12.

La Corte Costituzionale13 pone fine a questa fase attraverso la cancellazione dell’ipotesi di reato prevista dall’articolo 560, comma 1, c.p. e, in seguito alla riforma del diritto di famiglia del 197514, la dottrina è orientata verso il ricorso all’espressione convivenza more

uxorio15. Da questo momento prende forma la seconda fase, in cui viene data attuazione alla forma del testo di cui all’articolo 29 Cost., secondo il quale la famiglia è riconosciuta come “società naturale fondata sul matrimonio”, e viene rivelato il disinteresse dell’ordinamento verso le diverse tipologie di convivenza16

, nonché l’irrilevanza di queste nell’ambito della normativa familiare.

Tale orientamento, poi, cominciò a declinare già a partire dagli anni Sessanta17, periodo in cui si afferma una rilettura delle norme della Costituzione, ove si mette in evidenza la necessità di considerare tutte le norme costituzionali “non più scisse dal contesto sociale, ma quali direttive, in continuo divenire, necessariamente collegate al momento storico, in cui sono chiamate ad operare”18

.

Viene così a delinearsi la distinzione tra “funzione” ed “istituzione” familiare, in base al rilievo che l’adempimento dei doveri educativi verso la prole e le esigenze di sviluppo della personalità, garantite al singolo individuo anche nelle formazioni sociali cui si riferisce l’art. 2 Cost., non sono esclusivi della famiglia legittima, ma si riscontrano

12

NICOLÓ R., La filiazione illegittima nel quadro dell’art. 30 della Costituzione, in Democrazia e diritto, 1960, p. 4; DE CUPIS A., Il concubinato nel diritto privato, in Foro pad., 1961, p. 77.

13 Corte Costituzionale, 3 dicembre 1969, n. 147 in Gazzetta ufficiale 10 dicembre 1969, n. 311.

14

DOGLIOTTI M., Separazione e divorzio, Torino, Utet, 1988, p. 23.

15 SPADAFORA S., Rapporto di convivenza more uxorio e autonomia privata, Milano, Giuffrè, 2001.

16 CARDIA C., L’art. 29 della Costituzione: la famiglia come società naturale e la dissolubilità del matrimonio, in Studi sul divorzio (a cura della Cattedra di Diritto Ecclesiastico dell’Università di Roma), Padova, Cedam, 1972, p. 194.

17 ESPOSITO C., Famiglia e figli nella Costituzione italiana, in Scritti in onore di Cicu, Milano, Giuffrè, 1951, p. 553.

18

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10 anche in altre forme di convivenza con carattere di stabilità e responsabilità19.

Da questo momento si giunge alla terza fase, nella quale l’espressione “famiglia di fatto” prevale, poiché con tale espressione non si indica solo il convivere come coniugi, in quanto “famiglia di fatto” è prima di tutto una famiglia “portatrice di valori di stretta solidarietà (…) che venivano finora considerati esclusivi della famiglia fondata sul matrimonio. È in sostanza l’immagine della famiglia legittima, che se ne distingue solo per i modi di formazione, pur avendo caratteri, struttura e scopi analoghi, se non identici”20

.

Da tale prospettiva, sia la locuzione concubinato che quella di famiglia di fatto risultano eccessivamente cariche di valenze ideologiche; invece, sono più neutre le espressioni di convivenza more

uxorio e unioni di fatto o non matrimoniali21.

1.2 Le unioni di fatto come crisi sociale della famiglia

Nelle varie fattispecie di famiglia22, la questione di maggiore attualità e rilevanza sociale è quella inerente al problema delle unioni di fatto o convivenze, che costituisce, tra le altre cose, uno dei settori di maggiore frizione tra le confessioni religiose tradizionali, in primis la Chiesa cattolica, e la comunità sociale.

Papa Benedetto XVI, in un’intervista rilasciata nel 2004 in materia di regolamentazione legislativa delle convivenze, sosteneva che istituzionalizzare una simile intesa, a prescindere dall’attività del

19 BARILE P., La famiglia di fatto: osservazioni di un costituzionalista, in AA.VV., La famiglia di fatto. Atti del Congresso nazionale del Centro Lunigianese di studi giuridici, Montereggio, Tarantola, 1977, p. 9.

20

BARILE P., op. cit.

21 POCAR V., Le famiglie di fatto: il quadro giuridico, in BARBAGLI M., SARACENO C., Lo stato delle famiglie in Italia, Bologna, Il Mulino, 1997, p. 95. 22

SCALISI V., La famiglia e le famiglie, in AA.VV., La riforma del diritto di famiglia dieci anni dopo, Padova, Cedam, 1985, p. 270.

(11)

11 legislatore, potrebbe apparire, agli occhi dell’opinione pubblica, come un’altra tipologia matrimoniale 23

.

Tuttavia, nonostante il grande interesse verso la tematica in esame, non vengono raggiunti risultati rilevanti dal punto di vista politico24, precedente l’attuale normativa di cui si parlerà in seguito: le proposte di legge che vengono presentate in questi anni, infatti, restano sospese anche a causa del lobbyng religioso25.

La lacuna legislativa in materia26 costituisce un fatto molto grave per l’ordinamento italiano, soprattutto se si considera che, nell’ambito del diritto comunitario, alcuni Stati, come la Danimarca, la Svezia, la Finlandia, la Francia, la Spagna, il Belgio e l’Olanda, hanno introdotto una normativa interna specifica. Inoltre, in tali ordinamenti europei, oltre alle unioni di fatto, è stato preso in considerazione anche il dibattuto tema della convivenze omosessuali27.

In particolare28, il codice civile francese all’articolo 515-1 ha previsto anche il caso dell’omosessualità per la stipulazione di un PACS; il codice civile belga, all’art. 1475, tra i requisiti per la coabitazione legale non sancisce espressamente l’eterosessualità; in Finlandia, il capo I, n. 1, del Registred partnership act prevede espressamente che i partner possano essere anche omosessuali; in Islanda, la legge del 12 giugno 1996, n. 87, all’art. 1 fa riferimento proprio alla convivenza omosessuale; la legge svedese del 23 giugno 1994, n. 54, fa riferimento, all’articolo 1, esclusivamente alle convivenze omosessuali; la legge norvegese del 30 aprile 1993, n. 40,

23 RATZINGER J., Intervista concessa a Marco Politi per il quotidiano Repubblica, 19 novembre 2004, in SCALFARI E. (a cura di), Dibattito sul laicismo, Roma, La Repubblica, 2005, p. 172.

24 AA.VV., Una legislazione per la famiglia di fatto?, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1988.

25

TOZZI V., Società multiculturale, autonomia confessionale e questione della sovranità, in Il Diritto ecclesiastico, 2000, p. 141.

26 Colmata in parte dalla legge c.d. Cirinnà di cui si tratterà nel capitolo III del presente lavoro.

27 European Consortium for Church and State, in Letter, n. 6, maggio 2006, p. 3. 28

FUCCILLO A., Unioni di fatto, convivenze e fattore religioso, Torino, Giappichelli, 2007, p. 7.

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12 prevede, all’articolo 1, che due persone dello stesso sesso possono registrare la loro partnership; analoga disposizione è contenuta anche nell’articolo 1 della legge danese del 7 giugno 1989, n. 372; il codice civile vigente in Spagna, all’art. 44 stabilisce che il matrimonio può essere contratto quando “ambos contrayentes sean del mismo o de

diferente sexo”, ossia quando entrambe le parti siano dello stesso sesso

o di sesso differente; infine, l’ultimo richiamo alla normativa comunitaria è alla legge federale svizzera del 18 giugno 2004, in materia di unione domestica registrata di coppie omosessuali.

In materia di convivenza, inoltre, è intervenuta anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo29

, che ha ritenuto discriminatoria la legislazione di un Paese basata sulla discriminazione sessuale30: ciò significa che, se si tratta comunque di convivenze, non sarebbe esaustivo il riferimento tradizionale alle convivenze more uxorio eterosessuali31.

Di conseguenza, l’assenza di una normativa specifica in Italia in tema di convivenze registrate viene ritenuta come una violazione del principio di eguaglianza, di cui all’art. 3 Cost. Ciò ha causato, tra l’altro, che alcune Regioni si sono interessate alla problematica mediante la predisposizione di alcuni strumenti di tutela per le convivenze, restando però comunque nelle materie che rientrano nella competenza regionale. Infatti, al riguardo, si ritiene utile richiamare l’art. 117 Cost., il quale riserva alla potestà legislativa esclusiva dello Stato la normativa in materia di stato civile e di ordinamento civile.

Anche a livello comunale sono state introdotte alcune novità, attraverso l’istituzione di particolari registri a fini amministrativi, e per lo più allo scopo di identificare le coppie che richiedono

29 Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, sentenza 24 luglio 2004, pres. Rozakis contro Austria.

30 D’ANGELI F., Il fenomeno delle convivenze omosessuali: quale tutela giuridica?, Padova, Cedam, 2003.

31

BONINI BARALDI M., Parità di trattamento e nozione di familiare, tra prerogative nazionali e prospettive comunitarie, in Familia, 2003, p. 821.

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13 l’assegnazione di alloggi o di buoni casa. Questo criterio, però, è stato fortemente contestato32, per la sua inattendibilità e per la sua irrilevanza civilistica.

1.3 La convivenza nella Costituzione

Alla luce di quanto detto sinora, ossia che accanto alla famiglia legittima fondata sul matrimonio si sta affermando sempre più il fenomeno sociale delle convivenze o unioni di fatto, abbiamo visto che, nonostante la Costituzione riconosca, all’art. 29 Cost., la famiglia come una società naturale fondata sul matrimonio, segnando un limite rispetto all’unione di fatto33

, non si può affermare che il legislatore sia contrario a questo fenomeno sociale34.

L’articolo 29 Cost. dispone che “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”: affermando ciò, esso sembra limitare il riconoscimento dei diritti di famiglia solo ai nuclei affettivi di persone di sesso diverso costituiti con il matrimonio; in realtà occorre precisare che i diritti riconosciuti ai soggetti sono riconosciuti anche in favore dei componenti delle famiglie di fatto. Il matrimonio consiste nella fattispecie cui l’ordinamento statale conferisce l’idoneità ad istituire lo stesso, come un rapporto di convivenza stabile e doveroso35, fondato sulla “comunione spirituale e materiale dei coniugi”(art. 1 della legge n. 898/1970)36 e comportante obblighi di fedeltà, assistenza morale e

32 PAZÈ E., Le ragioni contro un’anagrafe delle famiglie di fatto, in Diritto di famiglia e delle persone, 2003, p. 192; in giurisprudenza v. TAR Toscana, 9 febbraio 1996, n. 49, in Foro it., 1996, cc. 524, con nota di ROMBOLI, ROSSI, I registri comunali delle unioni civili ed i loro censori.

33 DOGLIOTTI M., Famiglia di fatto, in Digesto discipline privatistiche, sezione civile, Vol. XI, 2001, p. 189.

34

ASPREA S., La famiglia di fatto, Giuffrè, Milano, 2009. 35

VILLANI C., La famiglia di fatto, in CUFFARO V. (a cura di), Persona, famiglia e successioni, Milano, Ipsoa, 2006, p. 357.

36 Legge 1 dicembre 1970, n. 898, “Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio”, in Gazzetta Ufficiale del 3 dicembre 1970, n. 306. BONILINI G., Manuale di diritto di famiglia, Torino, Utet, 2002, p. 39.

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14 materiale, collaborazione nell’interesse della famiglia e coabitazione (art. 143 c.c.).

La convivenza more uxorio, quindi, si risolve in una situazione di fatto che si contraddistingue sotto il profilo personale dall’affectio

coniugalis e sotto l’aspetto economico dall’animus donandi37, in quanto il dovere di assistere il convivente è inquadrato nel genus dei doveri morali38.

Ciò fa si che si applichi alle prestazioni patrimoniali eseguite tra conviventi la disciplina delle obbligazioni naturali di cui all’art. 2034 c.c. ai sensi del quale non si ammette la ripetizione di quanto prestato spontaneamente.

In presenza dell’opzione del costituente di riconoscere nel matrimonio il fondamento della famiglia39, la dottrina è andata alla ricerca di altri referenti normativi che possano portare al riconoscimento e alla tutela delle unioni non matrimoniali.

Il primo di questi è stato riscontrato nel già citato art. 2 Cost.40, secondo cui “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolga la sua personalità (…)”, presupponendo che “il nucleo originale della convivenza more uxorio (…) pur non presentando i caratteri formali della famiglia legittima, appare pur sempre, secondo il principio fondamentale fissato nell’art. 2 Cost., stante la sua funzione di gratificazione affettiva e di solidarietà sociale, come una formazione sociale finalizzata alla funzione di ambito, consentente il processo di sviluppo e di crescita della persona, propria della famiglia nell’attuale fase di evoluzione della società”41

.

37 FRANCIOSI G., PICARO R., Matrimonio e filiazione, Torino, Utet, 2007, p. 579. 38

BIANCA C.M., Diritto civile, Milano, Giuffrè, 1990, p. 777.

39 MARTINES T., Diritto costituzionale, Milano, Giuffrè, 2011, p. 597. 40 VILLANI C., op. cit., p. 364.

41

Cassazione, 8 febbraio 1977, n. 556, in Dir. famiglia, 1977, p. 515, con nota di LIOTTA M., Sulla rilevanza formale della famiglia di fatto.

(15)

15 Anche la Cassazione si è espressa al riguardo, evidenziando che la famiglia di fatto può essere annoverata tra le formazioni sociali di cui all’art. 2 Cost., “a condizione che presenti un grado di accertata stabilità e sia caratterizzata dall’abituale convivenza e dalla comunanza di vita e di interessi che, connotandola come comunità spirituale ed economica, e non solo affettiva e sessuale, valgano a differenziarla da altre forme di relazioni precarie e instabili”42

.

Tale orientamento è stato confermato anche in altre pronunce, in cui si afferma che “la convivenza assume rilevanza sociale, etica e giuridica” qualora “sia assimilabile al rapporto coniugale, anche nella continuità del tempo”43

.

Anche gli artt. 30 e 31 Cost. sono richiamabili ai fini del riconoscimento delle unioni di fatto.

In particolare, il comma 1 dell’art. 30 Cost., nel sancire il diritto-dovere dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli anche se “nati fuori il matrimonio”, non pone alcun discrimine tra famiglia fondata sul matrimonio e convivenza more uxorio. Infatti, in relazione ai figli la posizione dei conviventi more uxorio non è diversa da quella dei genitori legati da matrimonio44 (come verrà confermato anche dal legislatore successivo). Inoltre, in riferimento all’art. 30 Cost., si ritiene utile precisare che il rapporto interpersonale che in esse assume rilevanza è esclusivamente quello della filiazione45 e non la convivenza

more uxorio.

Invece, l’art. 31 Cost., nel sancire l’impegno della Repubblica ad agevolare, mediante misure ed altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, soprattutto in relazione alle famiglie numerose, non fa alcuna differenza tra la famiglia legittima e quella di fatto46.

42

Ibidem.

43 Cassazione, 29 aprile 2005, n. 8976, in Famiglia e diritto, 2005, p. 434. 44 BONILINI G., op. cit., p. 36.

45

BIANCA C.M., op. cit., p. 273. 46

(16)

16 Anche l’art. 18 Cost. è stato visto come un possibile referente normativo47 per poter giungere al riconoscimento della convivenza di fatto. Tale norma, nel riconoscere ai cittadini il diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non siano vietati ai singoli dalla legge penale, esclude la sussistenza dei limiti ulteriori a tale libertà, che potrà, quindi, liberamente esplicarsi anche nella costituzione di un’unione di fatto, intesa come scelta alternativa alla famiglia legittima48.

Nel focalizzare l’attenzione sulle norme costituzionali, tenendo conto della multiculturalità, multireligiosità e multietnicità che caratterizza l’attuale società, appare rilevante anche l’articolo 19 Cost. Tale norma, nel riconoscere il diritto di libertà religiosa, pone come unico limite alla professione della propria fede religiosa il buon costume.

Di conseguenza, tenuto conto dello stretto legame tra credo religioso e concezione della famiglia, in tale articolo si rinviene una norma promozionale delle unioni di fatto nel rispetto di quanti nel professare la propria fede non riconoscono nel matrimonio l’atto fondativo della famiglia49.

Da tale prospettiva, si afferma che la libertà religiosa, intesa come libertà fondamentale dell’individuo, “non può più essere considerata soltanto nell’alveo pubblicistico”50

.

Un’altra parte della dottrina, orientata alla tutela della famiglia legittima, considera l’art. 29 Cost., come un ostacolo insormontabile51

al riconoscimento costituzionale della famiglia di fatto e non ritiene

47

Cassazione, 8 febbraio 1977, n. 556, in Dir. famiglia, 1977, vol. I, p. 514; ALAGNA S., La famiglia di fatto al bivio: rilevanza di singole fattispecie o riconoscimento generalizzato del fenomeno, in Giusizia civile, 1982, vol. II, p. 3311. 48

BELTRANI S., Rilevanza giuridica delle unioni di fatto nel diritto penale: fattispecie, disciplina ed orientamenti, in Diritto & giustizia, 8 settembre 2007. 49

FERLITO S., Le religioni, il giurista e l’antropologo, Soveria Mannelli, Rubbettino editore, 2005, p. 72.

50 FUCCILLO A., L’attuazione privatistica della libertà religiosa, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2005, p. 12.

51

(17)

17 che ciò possa essere realizzato mediante un’interpretazione degli artt. 2, 18, 19, 30 e 31 non rapportata all’art. 29 Cost.

Al riguardo, merita di essere rilevato che secondo alcuni l’art. 2 Cost. “non garantisce in modo generico le formazioni sociali quanto i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali, ove svolge la sua personalità, per cui è sempre all’individuo che bisogna far capo”52

.

Dunque, si rileva “l’impossibilità a desumere dall’art. 2 Cost. una qualsiasi garanzia e un qualsiasi status delle unioni di fatto, dovendo piuttosto solo ammettere che rientri tra i diritti inviolabili dell’uomo di cui allo stesso articolo quello di costituire unioni familiari di fatto”53

. Per la Corte costituzionale, invece, “la situazione del convivente

more uxorio e nettamente diversa da quella del coniuge”54. Per la Corte, infatti, la pretesa di equiparazione “contraddirebbe alla stessa natura della convivenza, che è un rapporto di fatto per definizione rifuggente da qualificazioni giuridiche di diritti ed obblighi reciproci”55, a volte “privo di caratteri di stabilità o certezza”56

, poiché il relativo rapporto “può venire a cessare unilateralmente e in qualsiasi momento”57

.

La Corte, inoltre, in riferimento al principio di uguaglianza previsto dall’art. 3 Cost., afferma che “tale principio, diretto ad impedire che a danno dei cittadini siano dalle leggi disposte discriminazioni arbitrarie, non può significare che il legislatore sia obbligato a disporre per tutti una identica disciplina, mentre al contrario, deve essergli consentito di adeguare le norme giuridiche ai vari aspetti della vita sociale, dettando norme diverse per situazioni diverse” (…) “un ordinamento il quale

52

TEDESCHI M., Manuale di diritto ecclesiastico, Torino, Giappichelli, 2004, p. 80. 53 VILLANI C., op. cit., p. 366.

54 Corte costituzionale, 4 gennaio 1977, n. 6, in Giurisprudenza Italiana., 1977, p. 1222;; Corte costituzionale, 24 marzo 1988, n. 404, in Foro .it, 1988, I, c. 2515, con nota di PIOMBO D.

55 Corte costituzionale, 18 maggio 1989, n. 310, in Foro .it, 1991, I, c. 446. 56 Corte costituzionale, 2 aprile 1980, n. 45.

57

Corte costituzionale, 13 novembre 1986, n. 237, in Foro it., 1987, I, c. 2353 ss.; PARADISO M., La comunità familiare, Milano, Giuffrè, 1984, p. 97.

(18)

18 non distingua una situazione da situazione e tutte le situazioni considera allo stesso modo non è nemmeno pensabile, anche perché, finirebbe in sostanza a non disporre di alcuna regola”58.

Quindi, la Corte costituzionale, nell’affermare la diversità tra famiglia fondata sul matrimonio e convivenza more uxorio, sottolinea che l’art. 29 anche se “riconosce alla famiglia fondata sul matrimonio una dignità superiore, in ragione dei caratteri di stabilità e certezza, della reciprocità e corrispettività di diritti e doveri, che nascono soltanto dal matrimonio, non nega dignità a forme naturali di rapporto di coppia diverse dalla struttura giuridica del matrimonio”59.

1.3.1 Famiglia di fatto e famiglia fondata sul matrimonio

La convivenza more uxorio riteniamo possa godere di una certa “copertura” costituzionale, se la si considera come una formazione sociale garantita dall’art. 2 della Cost. È possibile, infatti, affermare che la convivenza costituisce una formazione sociale in cui l’individuo, esercitando liberamente un proprio diritto inviolabile, svolge la sua personalità. Questa sua libera scelta non può divenire ragione di discriminazione; lo Stato deve riconoscere e garantire tale scelta.

La famiglia legittima, invece, gode di tutela costituzionale ad opera dell’art. 29 Cost., secondo il quale la famiglia rappresenta una società naturale fondata sul matrimonio.

Volgendo lo sguardo al passato, è interessante notare come già a partire dai lavori preparatori della Costituzione veniva messo in rilievo il problema delle libere unioni in correlazione alla famiglia legittima, nonostante lo scenario, sia storico che culturale, fosse completamente

58 Corte costituzionale, 23 novembre 1961, n. 64, in Gazzetta Ufficiale del 2 dicembre 1961, n. 300.

59

(19)

19 diverso rispetto a quello attuale60. Il legislatore, dunque, nonostante il fatto abbia prescelto come modello preferenziale quello della famiglia fondata sul matrimonio non ha per nulla disconosciuto situazioni familiari non istituzionalizzate.

Famiglia di fatto e famiglia legittima sono due concetti diversi, due formazioni sociali, che devono essere disciplinate in modo diverso. Mentre nella famiglia di fatto ci si muove in una direzione di libertà, in quella legittima ci si muove nell’ambito della certezza determinata dalla presenza di un complesso di norme applicabile anche in modo automatico, solo per la presenza del vincolo costituito dall’atto del matrimonio61. In sostanza, chi opta per la famiglia di fatto compie anche una scelta nel senso di restare al di fuori di una disciplina normativa, che comporta diritti e doveri precisi.

Il fattore che accomuna entrambi i modelli di famiglia è costituito dal sentimento familiare che unisce la coppia.

1.4 La rilevanza giuridica delle unioni di fatto

Al fine di comprendere al meglio in quale stato versi la condizione delle unioni di fatto in Italia, si ritiene utile partire dal dato che la nostra Costituzione riconosce e tutela in forma specifica e direttamente solo la famiglia intesa come “società naturale fondata sul matrimonio” (art. 29)62. Tuttavia tale “lacuna” non si riscontra solo nel testo costituzionale, ma anche nella legislazione ordinaria: infatti in questa non vi è alcuna disposizione che disciplini in via diretta ed unitaria le unioni di fatto.

60

CALAMANDREI P., La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea Costituente, Vol. II, Roma, Camera dei deputati, 1970, p. 1201. 61

FUCCILLO A., Unioni di fatto,convivenze e fattore religioso, Torino, Giappichelli, 2007, pp. 50 e segg. CECCHELLA C., La famiglia di fatto, Plus-Pisa University Press, Pisa, 2008.

62

GAZZONI F., Manuale di diritto privato, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1993, p. 301.

(20)

20 Nonostante queste mancanze, il fenomeno delle unioni di fatto è stato reso oggetto di richiami e parziale disciplina e tutela, sia a livello normativo che giurisprudenziale.

A livello “normativo” è stato fatto qualche riferimento circa la condizione dei conviventi in alcune disposizioni di natura socio-assistenziale63. Basti pensare, ad esempio, a quanto previsto nella disciplina delle prestazioni assistenziali da parte della Cassa Nazionale del notariato, secondo cui qualora, per mancanza di aventi diritto, non si possa far luogo alla corresponsione dell’indennità di cessazione, la Cassa possa erogare, ma solo per una volta, agli eredi del notaio deceduto in esercizio, un sussidio in misura non superiore all’ammontare dell’indennità64

. In una famiglia di fatto, il convivente non può rivendicare alcun diritto di natura successoria, a meno che non sia stato istituito erede testamentario.

Altro riferimento al convivente more uxorio si ritrova nell’elencazione dei destinatari dei benefici in favore dei superstiti di dipendenti pubblici, vittime di azioni terroristiche, in cui si fa esplicito riferimento al convivente, qualora non vi siano il coniuge, i figli, i genitori, i fratelli e le sorelle conviventi a carico65.

Ancora, vi sono le disposizioni che consentono anche alle coppie di fatto la possibilità di accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita66, che sono state introdotte nella disciplina di cui alla legge 40/200467.

Inoltre, la rilevanza giuridica dei rapporti di fatto emerge anche da alcune disposizioni contenute nelle leggi speciali. Tra queste, spiccano

63 GAZZONI F., Dal concubinato alla famiglia di fatto, cit., pp. 25 ss. 64

Art. 6 Decreto Ministeriale 29 marzo 1994.

65 Art. 13, comma 2, Decreto del Presidente della Repubblica 28 luglio 1999, n. 510, “Regolamento recante nuove norme in favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata”, in Gazzetta Ufficiale del 7 gennaio 2000, n. 4.

66

Art. 5 della legge 19 febbraio 2004, n. 40, “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita”, in Gazzetta Ufficiale del 24 febbraio 2004, n. 45.

67 CASINI C., Procreazione assistita. Introduzione alla nuova legge, Milano, San Paolo ed., 2004; SANTOSUOSSO F., La procreazione medicalmente assistita: commento alla Legge 19 febbraio 2004, n. 40, Milano, Giuffrè, 2004.

(21)

21 l’art. 4 del d.P.R. 223/198968

secondo cui, ai soli “effetti anagrafici, per famiglia si intende un insieme di persone legate dai vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune”; gli artt. 4, comma 2, e 5 della legge 302/199069, in cui si prevede che le elargizioni previste a favore dei familiari delle vittime di atti di criminalità organizzata e di terrorismo si applichino anche ai conviventi more uxorio e a coloro che, sebbene non siano parenti, siano stati conviventi negli ultimi tre anni precedenti l’evento; l’articolo 8 della legge 444/1999, che interviene in tema di elargizione ai superstiti, tra cui il convivente, di persone decedute in seguito ad attività estorsive; l’art. 9, comma 2, del decreto legge 8/199170

, il quale nel disciplinare le misure di protezione per le persone che collaborano con la giustizia, prevede tra l’altro l’adozione di tali misure anche nei confronti dei conviventi non collaboranti71.

L’unione di fatto, così come nasce, può anche finire, e quando ciò accade il procedimento da seguire è ben diverso rispetto a quello previsto per la famiglia legittima, per la quale sono previste specifiche norme e leggi speciali in materia di separazione e divorzio. Di conseguenza, nel momento in cui una convivenza more uxorio cessa di esistere possono sorgere alcuni problemi in riferimento all’abitazione familiare, al contratto di locazione, agli acquisti compiuti nel corso della convivenza, all’assegno di mantenimento, alle donazioni effettuate da uno dei conviventi a favore dell’altro, al rapporto di

68 Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, “Approvazione del nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente”, in Gazzetta Ufficiale dell’8 giugno 1989, n. 13.

69 Legge 20 ottobre 1990, n. 302, “Norme a favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata”, in Gazzetta Ufficiale del 25 ottobre 1990, n. 250. 70 Decreto Legge 15 gennaio 1991, n. 8, “Nuove norme in materia di sequestri di persona a scopo di estorsione e per la protezione dei testimoni di giustizia, nonché per la protezione e il trattamento sanzionatorio di coloro che collaborano con la giustizia”, in Gazzetta Ufficiale del 15 gennaio 1991, n. 12

71

Al riguardo, si vedano gli artt. 6 della legge n. 184/1983; 330 e 342 bis del codice civile; 6 della legge n. 392/1978; e la recente legge 76/2016.

(22)

22 lavoro svolto nell’azienda del convivente e non regolarizzato, all’assegnazione dell’alloggio popolare, ai diritti di successione.

Particolarmente rilevante, in tal senso, è la sentenza della Corte Costituzionale n. 404 del 198872. In tale occasione, infatti, la Corte si è espressa definitivamente a favore delle unioni di fatto e dichiara costituzionalmente illegittimo, per contrasto con gli artt. 3 e 2 Cost., l’articolo 6, comma 1, della legge 392/1978, laddove non prevede tra i successibili, nella titolarità del contratto di locazione in caso di morte del conduttore, il convivente more uxorio e ancora, nella parte in cui non prevede la successione nel contratto, in caso di cessazione della convivenza per allontanamento del conduttore dall’alloggio comune, a favore dell’ex convivente, quando vi sia prole naturale. La decisione si basa sul riconoscimento del diritto all’abitazione, inteso come “diritto sociale collocabile fra i diritti inviolabili previsti dall’art. 2 Cost.”.

Tale pronuncia è molto importante, in quanto si inserisce nella consolidata giurisprudenza che conduce all’affermazione di un criterio di eguaglianza valutativa più che di eguaglianza paritaria73, vale a dire essa pone l’accento sul piano del riconoscimento dei diritti fondamentali.

Dall’analisi della sentenza si evince come manchi qualsiasi riconoscimento alla dignità costituzionale della convivenza more

uxorio. I giudici evitano di prendere posizione circa la valutazione del

rilievo da attribuire alla famiglia di fato, confermando, in tal modo, il diritto del convivente more uxorio a succedere nel contratto di locazione, con come componente della famiglia di fatto, bensì come persona titolare di diritti inviolabili, tra cui rientra quello dell’abitazione74

.

72 Corte Costituzionale 7 aprile 1988, n. 404, in Giurisprudenza costituzionale, 1988. 73

Ibidem. 74

SEGRETO A., Il convivente more uxorio nella convivenza della Corte Costituzionale, in Diritto di famiglia e delle persone, 1989, p. 847.

(23)

23 La sentenza n. 404 del 1988 ha aperto poi la strada ai successivi riconoscimenti di eventuali diritti successori nell’ambito della famiglia di fatto e, ormai, la giurisprudenza è concorde nell’attribuire rilievo ad un diritto di rango primario, come appunto è quello dell’abitazione75

. Dal punto di vista giurisprudenziale, sono numerose le pronunce in materia di unioni di fatto. Inizialmente, si era registrata una specie di chiusura verso ogni richiesta di riconoscimento e tutela della convivenza more uxorio, in quanto era considerata una situazione irrilevante per l’ordinamento giuridico per ragioni etiche, sociali e di ordine pubblico76.

In seguito al superamento di tale indirizzo, tale orientamento ha subito qualche modifica, che ha portato ad equiparare la condizione dei conviventi a quella dei coniugi, seppur limitatamente alla risoluzione di situazioni specifiche, soprattutto di natura civilistico-patrimoniale77. Al riguardo possono essere citate alcune pronunce, con cui è stato sancito che il convivente rientra tra i successibili nella titolarità del contratto di locazione ex art. 6 della legge 392/197878, sia in caso di morte del conduttore, sia nel caso in cui quest’ultimo abbia cessato la convivenza in presenza di prole naturale79.

Anche in tema di divorzio, la Cassazione ha ritenuto che la prestazione di assistenza di tipo coniugale resa dal convivente al coniuge separato avente diritto al mantenimento assume rilievo ai fini della persistenza del diritto al mantenimento o della sua concreta determinazione quando di fatto riduce o esclude il bisogno del coniuge separato .

75 Cassazione civile, sez. III, 1 agosto 2000, n. 10034, in Giustizia civile, 2000, p. 1665; Cassazione civile, sez. III, 11 febbraio 2008, n. 3251, in Giustizia civile-massimario annotato dalla Cassazione, 2008.

76 Cassazione, 24 gennaio 1958, n. 169, in Rivista giuridica della circolazione e dei trasporti, 1958, p. 436.

77 SPADAFORA A., Rapporto di convivenza more uxorio e autonomia privata, Milano, Giuffrè, 2001, p. 6.

78 Legge 27 luglio 1978, n. 392, “Disciplina delle locazioni di immobili urbani”, in Gazzetta Ufficiale del 29 luglio 1978, n. 211.

79

Corte Costituzionale, 7 aprile 1988, n. 404, in Giurisprudenza italiana, 1988, cc. 1627 ss.

(24)

24 Ancora, possiamo ricordare la decisione con cui la Cassazione ha affermato che, oltre alla durata del matrimonio, anche la convivenza

more uxorio rappresenta un valido parametro per la ripartizione della

pensione di reversibilità tra coniuge superstite ed ex coniuge80.

Alla luce di quanto esposto finora, emerge chiaramente la diversità tra la famiglia di fatto e quella fondata sul matrimonio, che costituisce un “punto fermo” della giurisprudenza costituzionale.

Infatti, quest’ultima, sebbene i numerosi passi in avanti sul fenomeno, resta comunque fondata sulla constatazione che “la prima è un rapporto di fatto, privo dei caratteri di stabilità e certezza e della reciprocità e corrispettività dei diritti e dei doveri che nascono soltanto dal matrimonio e sono propri della seconda”81

.

Queste profonde differenze si riflettono soprattutto nella mancanza di una disciplina specifica ed organica per il fenomeno delle unioni di fatto.

Di conseguenza, possiamo concludere affermando che ancora oggi il problema centrale resta quello di valutare se sia ammissibile o comunque opportuno attribuire al fenomeno sociale delle unioni non fondate sul matrimonio rilevanza giuridica “in termini di statuto, in termini cioè di rilevanza diretta e non già indiretta per le implicazioni che, ai fini più diversi, la convivenza comporta o può comportare”82.

1.4.1 La posizione della dottrina

Oltre all’analisi degli orientamenti normativi e giurisprudenziali, si ritiene opportuno sottolineare anche l’interesse della dottrina83

circa la questione della rilevanza giuridica delle unioni di fatto. In realtà, una

80 Cassazione, 26 maggio 2005, n.11217, in Famiglia e diritto, 2005, p. 537.

81Corte costituzionale, ordinanza n.491 del 14 novembre 2000, in Nuova giurisprudenza civile e commentata, 2001, I, p. 176.

82 GAZZONI F., Dal concubinato alla famiglia di fatto, cit., p. 8. 83

AA.VV., La famiglia di fatto, Atti del convegno nazionale, Pontremoli, 27-30 maggio 1976.

(25)

25 parte della dottrina si era già occupata del fenomeno84, ma l’elemento innovativo che caratterizza la situazione attuale ed il nuovo interesse da parte della stessa è rappresentato dal fatto che, per la prima volta, le unioni di fatto vengono a porsi sullo stesso piano della famiglia legittima, chiedendo all’ordinamento, non solo un riconoscimento, ma anche una tutela pari a quella prevista per la famiglia legittima.

Per cui, il problema cui la dottrina ha tentato di trovare soluzione, concerne nel decidere se il diritto debba prendere atto delle necessità sociali ed individuali che emergono a poco a poco e se legittimarle, conferendo loro natura giuridica oppure se debba semplicemente rispettare la libertà che caratterizza le unioni di fatto, astenendosi da qualsiasi tipo di regolamentazione85.

Questa alternativa nasce dal mutamento del processo a cui è sottoposta la famiglia oggi: basti pensare al venire meno della funzione economico-politica della famiglia legittima, la democratizzazione dei rapporti interni, avvenuta anche con l’emancipazione della donna e dall’indipendenza economica dei figli86

.

Dal punto di vista giuridico, questo processo favorisce la sostituzione del modello tradizionale di famiglia, con un nuovo modello, fondato sulla parità e volto ad enfatizzare le scelte autonome e consensuali dei soggetti interessati.

84

ROPPO E., voce Famiglia: III) Famiglia di fatto, Roma, in Enciclopedia giuridica Treccani, XIV, 1989, p. 1; BUSNELLI F.D. – SANTILLI M., La famiglia di fatto, in Commentario al diritto italiano della famiglia, diretto da Cian G. – Oppo G. – Trabucchi A., Cedam, Padova, 1993, vol. IV, t. I, p. 757 ss.

85 PALAZZANI L., La famiglia «di fatto» è giustificabile giuridicamente?, in Iustitia, 1999, p. 46.

86

D’ANGELI F., La tutela delle convivenze senza matrimonio, Giappichelli, Torino 1995, pp. 10 ss.; MENGONI L., La famiglia in una società complessa, in Iustitia, 1990, p. 3.

(26)

26 CAPITOLOII

LEUNIONIALDIFUORIDELMATRIMONIO PRIMADELLALEGGEN.76DEL2016

2.1 Il matrimonio secondo l'art. 29 della Costituzione

Prima di affrontare il tema della riforma delle unioni civili (c.d. legge Cirinnà), che sarà oggetto del prossimo capitolo, occorre esaminare il quadro costituzionale e convenzionale in cui la stessa si è inserita.

In particolare, la sentenza della Corte costituzionale n. 138 del 2010 rimane la più dibattuta sul tema, in quanto è stata la prima ad essere utilizzata come strumento per avallare opposte interpretazioni87. Inizialmente, infatti, la dottrina maggioritaria ha interpretato nel senso di un divieto posto dal giudice costituzionale al legislatore ordinario di introdurre nell’ordinamento il matrimonio omosessuale, in quanto ritenuto non compatibile con il vigente art. 29 Cost., sicché una eventuale riforma in tal senso dovrebbe necessariamente essere preceduta da una revisione dell’art. 29 citato. In realtà, la sentenza costituzionale del 2010, sebbene caratterizzata da una visione tradizionalista dell’art. 29 Cost., non giunge sino ad affermare l’incompatibilità del matrimonio tra persone dello stesso sesso con la Carta costituzionale, e ciò è confermato dai più recenti orientamenti giurisprudenziali, secondo i quali le unioni tra persone dello stesso sesso devono accedere ad “un grado di tutela equiparabile a quello

matrimoniale”88

.

87

Si veda: Roberto Romboli, Il diritto «consentito» al matrimonio ed il diritto

«garantito» alla vita familiare per le coppie omosessuali in una pronuncia in cui la Corte dice «troppo» e «troppo poco», nota alla sentenza della Corte Costituzionale

15 aprile 2010, n.138, in Giurisprudenza Costituzionale, fasc.2, 2010, pag. 1629 88

Cassazione Civile, sez. I, sentenza n. 2400 del 9 febbraio 2015, in Guida al diritto,

(27)

27 Non a caso, numerosi paesi dal background giuridico simile a quello italiano, vanno verso la stessa direzione; basta leggere la recente Risoluzione sulla situazione dei diritti fondamentali nell’Unione europea (2013-2014), nella quale il Parlamento europeo fa presente che “i diritti fondamentali delle persone LGBTI sarebbero

maggiormente tutelati se esse avessero accesso a istituti giuridici quali coabitazione, unione registrata o matrimonio; plaude al fatto che diciotto Stati membri offrano attualmente queste opportunità e in ita gli altri Stati membri a prendere in considerazione tali istituti», rinnovando il suo invito alla Commissione «a presentare una proposta riguardante una disciplina avanzata per il pieno riconoscimento reciproco degli effetti di tutti gli atti di stato ci ile dell’Unione europea, compresi il riconoscimento giuridico del genere, i matrimoni e le unioni registrate, al fine di ridurre gli ostacoli discriminatori di natura giuridica e amministrativa per i cittadini che esercitano il loro diritto di libera circolazione”89.

Nella Risoluzione sui diritti umani approvata il 12 marzo 2015 il Parlamento ha preso atto “della legalizzazione del matrimonio o delle

unioni civili tra persone dello stesso sesso in un numero crescente di paesi del mondo, attualmente diciassette”, incoraggiando “le istituzioni e gli Stati membri dell’UE a contribuire ulteriormente alla riflessione sul riconoscimento del matrimonio e delle unioni civili tra persone dello stesso sesso in quanto questione politica, sociale e di diritti umani e ci ili”90

.

La sentenza in esame non afferma la titolarità del diritto a contrarre matrimonio in capo alle persone omosessuali, alle quali riconosce, invece, alla luce dell’art. 2 Cost., il diritto fondamentale di “vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei modi

e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i

89

Risoluzione PE 8 settembre 2015 sulla situazione dei diritti fondamentali nell’Unione europea (2013-2014) (2014/2254 (INI) ), par. 86.

90

(28)

28

connessi diritti e do eri”, ed esclude che tale riconoscimento “possa essere realizzato soltanto attraverso una equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio”.

La decisione in esame è stata, tuttavia, oggetto anche di molte critiche, soprattutto con riferimento al profilo discriminatorio e all'inversione logica, sul piano interpretativo, degli artt. 3 e 29 Cost.91, ostacoli che non consentono al giudice di porsi il dubbio se esista, ed eventualmente quale sia, un interesse costituzionale concorrente che giustifichi il divieto di matrimoni tra persone dello stesso sesso. E la Corte, invero, non risponde a tale quesito, posto che nel nostro ordinamento non vi sono dubbi sul carattere tassativo dei casi di limitazione dei diritti fondamentali (tra cui quello a contrarre matrimonio)92, i quali possono essere incisi soltanto se vi sia la necessità di tutelare un diverso diritto dello stesso rango o altro interesse costituzionale concorrente. Ciò in applicazione del criterio della proporzionalità “del trattamento giuridico rispetto alla

classificazione operata dal legislatore, tenendo conto del fine obiettivo insito nella normativa considerata”, proporzionalità che va esaminata

“in relazione agli effetti pratici prodotti o producibili nei concreti

rapporti della ita” (sentenza n. 163 del 1993). Si pensi, per restare in

tema, alla sentenza 21 luglio 2015, Oliari e altri c. Italia, in cui la Corte EDU ha emesso sentenza di condanna sul presupposto che il governo italiano non ha “dedotto un interesse collettivo prevalente in

rapporto al quale bilanciare gli importantissimi interessi dei ricorrenti”, e in tal modo – violando l’obbligo positivo di cui all’art. 8

della Convenzione di garantire un quadro specifico di tutela per le

91

BRUNELLI, Le unioni omosessuali nella sentenza n. 138/2010: un riconoscimento senza garanzia?, in Unioni e matrimoni same-sex dopo la sentenza 138 del 2010: quali prospettive?, a cura di B.Pezzini e A.Lorenzetti, Napoli, Jovene, 2011, 143 ss.; Id, Dimensione antidiscriminatoria del principio di eguaglianza e diritto fondamentale a contrarre matrimonio, in GenIUS, n. 2, 2014, 6 ss.

92

Per approfondimenti, si veda: Corte Costituzionale, sentenza n. 445 del 12 Novembre del 2002, in Diritto e Famiglia, 2003, 632; Corte Costituzionale, sentenza n. 245 del 25 novembre del 2011, in Diritto e Famiglia, 2012, 1, 59.

(29)

29 unioni omosessuali – ha ecceduto il proprio margine di discrezionalità93

.

D'altro canto non è possibile far riferimento ad un presunto (ed indeterminato) “interesse pubblico” a non “snaturare” l’istituto codicistico richiamato dall’art. 29 Cost., sul quale, peraltro, era già intervenuto lo stesso costituente, imponendo l’eguaglianza morale e giuridica tra i coniugi, in tal modo superando la tradizionale discriminazione di genere e di subordinazione femminile. Anche legislatore ordinario è intervenuto nel 1970 con una riforma a dir poco rivoluzionaria che introdusse nel nostro paese il divorzio (legge n. 898) e, successivamente, nel 1975, con la riforma del diritto di famiglia.

olti interpreti, quindi, sulla base di tali considerazioni, e facendo leva sul carattere paritario dei coniugi, inteso come non subordinazione della donna, e sulla non indissolubilità del matrimonio civile, sono giunti ad affermare che la stessa mancanza di rigore si potrebbe estendere anche al profilo della eterosessualità.

Su tale aspetto, emblematica è la pronuncia della Corte Suprema degli Stati Uniti che nella sentenza Obergeffel v Hodges ha sottolineato che il matrimonio si fonda sia sulla continuità che sul cambiamento, come dimostra il fatto che l’istituzione si sia evoluta nel tempo in modo rilevante, con il superamento di norme relative al consenso dei genitori, al sesso e alla razza. Questi, infatti, secondo le parole della Corte, non furono semplici cambiamenti superficiali, bensì profonde

93

Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, 21 luglio 2015, Oliari e altri c. Italia (ricorsi nn. 18766/11 e 36030/11), traduzione a cura del Ministero della Giustizia, in www.giustizia.it, par. 185. Tra i numerosi commenti alla decisione, si veda: ALICINO, F. Le coppie dello stesso sesso. L’arte dello Stato e lo stato della giurisprudenza (22 agosto 2015), in www.forumcostituzionale.it; NARDOCCI, C., Dai moniti del Giudice costituzionale alla condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo. Bre i note a commento della sentenza Oliari e altri c.Italia (3 settembre 2015), in www.forumcostituzionale.it; ZAGO, G., A victory for Italian same-sex couples, a victory for European homosexuals? A commentary on Oliari v Italy (21 agosto 2015), in www.articolo29.it.

(30)

30 trasformazioni della struttura stessa dell’Istituto del matrimonio, che ne hanno tuttavia rafforzato le fondamenta giuridiche94.

Quest’ultima affermazione costituisce senz'altro un argomento positivo rispetto all'interpretazione più tradizionalista di una parte della dottrina circa la sentenza della Corte costituzionale italiana del 201095. Grazie a tale argomentazione, molti altri autori, infatti, hanno sostenuto un adeguamento “ragionevole” della Costituzione al mutare dei contesti storico-sociali96, così come affermato dalla Corte nordamericana che sottolinea come siano proprio la storia e la tradizione a guidare l’indagine del giudice nella identificazione e nella tutela dei diritti fondamentali97.

Nella sentenza della Corte americana vengono individuati, in particolare, quattro princìpi tradizionali relativi al matrimonio, che possono essere applicati ugualmente alle coppie omosessuali: 1) autonomia individuale; 2) peculiarità del matrimonio rispetto ad ogni altra forma di unione di due persone; 3) salvaguardia dei figli e della famiglia98; 4) “i precedenti e la tradizione della azione rendono

palese che il matrimonio un fondamento del nostro ordine sociale”.

94

Sentenza 26 giugno 2015, 576 US, in www.articolo29.it (traduzione italiana di R. De Felice). Sulla decisione vedi WINKLER M.M:, l matrimonio un diritto. Di tutti e di tutte (30.06.2015), in www.lavoce.info.

95

MASSA PINTO I., TRIPODINA, C., Sul come per la Corte costituzionale «le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio». Ovvero tecniche argomentative impiegate per motivare la sentenza 138/2010, in www.dircost.unito.it, 10 ss.

96

LUCIANI M., Dottrina del moto delle costituzioni e vicende della Costituzione repubblicana, in Dalla Costituzione “inattuata” alla Costituzione “inattuale”? Potere costituente e riforme costituzionali nell’ talia repubblicana, a cura di G. Brunelli e G. Cazzetta, ilano, Giuffrè, 2013, 31.

97

La Corte si esprime in questi termini: “Se i diritti fossero definiti da chi li ha esercitati nel passato, allora pratiche invalse servirebbero come loro stessa perdurante giustificazione, e nuovi gruppi non potrebbero invocare diritti una volta negati”.

98Va precisato che l’interesse superiore dei figli non significa “che il diritto al matrimonio sia meno significativo per coloro che non hanno o non possono a ere figli , dal momento che l a capacità, il desiderio o l’impegno a procreare non e non stato mai un prerequisito per un matrimonio alido in un solo Stato” (sentenza n. 138 del 2010, punto 9 del considerato in diritto).

(31)

31 Quanto alla sentenza n. 138 del 2010 della Corte costituzionale italiana, essa non giunge ad affermare l’incompatibilità con la Carta fondamentale del matrimonio tra persone dello stesso sesso, in virtù di alcuni profili che possono essere così sintetizzati:

1. la Corte afferma che la Costituzione presuppone la nozione civilistica di matrimonio, la quale non può essere superata in via ermeneutica ma solo attraverso lo strumento legislativo che può naturalmente mutare nel tempo;

2. se si ragionasse in maniera opposta si commetterebbe un grave errore giuridico, in quanto “in tutte le sedi giurisdizionali (e quindi non

solo in quella costituzionale) occorre interpretare le leggi ordinarie alla luce della Costituzione, e non ice ersa” (sentenza n. 1 del 2013);

3. la Corte ha altresì affermato la necessità di una revisione costituzionale, facendo richiamo alla sentenza n. 262 del 2009, sulla legge n. 124 del 2008 relativa alla sospensione dei processi penali per i titolari di quattro alte cariche dello Stato, dichiarata incostituzionale proprio perché solo una fonte di rango costituzionale sarebbe

idonea...ad escludere il contrasto [della legge impugnata] con la Costituzione»;

4. la pronuncia della Corte costituzionale si inserisce in un contesto in cui i diritti fondamentali sono tutelati anche alla luce dei principi indicati nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo, dalla Corte EDU, dalla Carta europea dei diritti fondamentali (Carta di Nizza-Strasburgo) i cui dettami hanno acquisito lo stesso valore giuridico dei Trattati europei successivamente all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona il 1° dicembre 2009, e dei dei diritti fondamentali previsti dal sistema dell’Unione europea (sentenza n. 80 del 2011)99

. Recentemente la Corte Edu, nella sentenza Schalk e Kopf c. Austria del 2010 (di poco successiva alla pronuncia n. 138 della Corte italiana) ha,

99

Questa protezione giurisdizionale si è senz'altro rafforzata dopo che la Corte costituzionale ha chiarito il rapporto fra tutela convenzionale e tutela costituzionale dei diritti, attraverso la massima espansione delle garanzie (sentenza n. 317 del 2009)

(32)

32 tra l'altro, reinterpretato l’art. 12 Cedu alla luce dell’art. 9 della Carta di Nizza-Strasburgo, riferendolo anche al matrimonio omosessuale (pur riconoscendo il margine di apprezzamento degli Stati circa l’introduzione nell'ordinamento interno del matrimonio same-sex)100

. Dal quadro appena delineato si evince, dunque, che la nozione di matrimonio accolta nel sistema della Convenzione europea non esclude il matrimonio omosessuale, riconosciuto in numerosi Stati membri del Consiglio d’Europa. Ed infatti, a partire dalle sentenze nn. 348 e 349 del 2007 della Corte costituzionale, le norme della Cedu integrano, quali norme interposte, il parametro espresso dall’art. 117, primo comma, Cost., diventando in tal senso parte del complesso normativo cui deve conformarsi la legislazione ordinaria. Se ne deduce, nello specifico, dopo la sentenza Oliari e altri c. Italia, che conferma la linea interpretativa della Schalk e Kopf c. Austria circa la conformità del matrimonio tra persone dello stesso sesso all’art. 12 della Convenzione (par. 191), che tale parificazione è “diritto

consolidato generato dalla giurisprudenza europea” a cui il giudice

interno, anche quello costituzionale, è tenuto a riferirsi nel corso del proprio iter logico-interpretativo101.

Sul punto, tra l'altro, non può omettersi di considerare quanto aveva affermato la Corte di cassazione con l'ordinanza n. 14329 del 2013: “la scelta di estendere il modello matrimoniale anche ad unioni

diverse da quella eterosessuale rimessa al legislatore ordinario. on sussiste un incolo costituzionale art. 29 Cost. o pro eniente dall’art. 12 della Cedu in ordine all’esclusi a applicabilità del modello matrimoniale alle unioni eterosessuali (Corte cost. n. 13 del 2010 Cedu caso Schal e opf e come del resto desumibile dalla stessa

100

In questo senso anche la citata sentenza Oliari e altri c. Italia del 2015, nella quale si ribadisce che l’art. 12 CEDU “non pu essere interpretato come se esso ponga in capo agli Stati contraenti l’obbligo di concedere l’accesso al matrimonio alle coppie omosessuali” (par. 191).

101

Sul punto, COLACINO N., Convenzione europea e giudici comuni dopo Corte costituzionale n. 49/2015: sfugge il senso della «controriforma» imposta da Palazzo della Consulta, in Rivista OIDU, n. 3/2015.

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