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La cooperazione FAO-Italia sul riutilizzo di acque reflue in sistemi agroforestali di zone aride del Nord-Africa

4. Sessione 2 – Riuso in agricoltura delle acque reflue: sfide e opportunità

4.4 La cooperazione FAO-Italia sul riutilizzo di acque reflue in sistemi agroforestali di zone aride del Nord-Africa

Dott. Alberto Del Lungo, FAO

A nome dei mie colleghi presenti, il Prof. Salvatore Masi e il Prof. Paolo De Angelis e della FAO

vorrei ringraziare l’INEA per averci dato l’opportunità di descrivere brevemente un esempio concreto

di cooperazione sul trasferimento di conoscenze e tecnologie di uso delle acque reflue in sistemi agroforestali da Paesi più avanzati a Paesi in via di sviluppo.

Il progetto FAO “Forest restoration in Algeria, Egypt, Morocco and Tunisia using treated

wastewater to sustain smallholders’ and farmers’ livelihoods” nasce dalle esigenze riportate

all’attenzione dell’Italia da quattro Paesi della sponda sud del bacino Mediterraneo: Algeria, Egitto, Marocco e Tunisia; è coordinato dalla FAO e ha ricevuto il supporto economico finanziario dell’Italia e quello tecnico scientifico da una serie di istituzioni di ricerca italiane, tra cui l’Università della Basilicata e l’Università della Tuscia.

Il progetto è attivo in quattro Paesi della sponda sud mediterranea che sono caratterizzati da condizioni climatiche ed ambientali simili, con precipitazioni ridotte o praticamente assenti durante

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gran parte dell’anno ma con regimi pluviometrici brevi e intensi di tipo alluvionale concentrati in pochi giorni dell’anno e falde acquifere molto profonde. In questi Paesi si pratica anche l’uso delle acque fossili per irrigazione che, essendo però ricche di sali, aumentano i rischi di sterilizzazione e ossidazione della sostanza organica in terreni già fortemente impoveriti e degradati. Infine, in questi Paesi si hanno grandi accumuli di acque reflue che costituiscono un serio problema ambientale in quanto sono spesso disperse nei terreni marginali delle zone peri-urbane (lagunizzazione) e contribuiscono all’inquinamento dei terreni e delle falde acquifere.

Anche le superfici forestali hanno caratteristiche comuni: si sono sviluppate in condizioni di aridità o semi-aridità, hanno una bassa densità arborea e suoli con scarsa o assente fertilità. Sono spesso percorse da incendi e degradate dalla pressione antropica e dal carico del pascolo (fig. 1).

Figura 1 - Condizioni di aridità o semi-aridità

Nonostante le zone forestali siano oramai degradate, impoverite e sempre più allontanate dagli insediamenti urbani, ancora oggi svolgono un ruolo di supporto alle popolazioni locali per il pascolo e l’approvvigionamento di legna, che ad oggi rimane la principale risorsa energetica.

Da qui l’importanza del progetto FAO GCP/RAB/013/ITA sul riutilizzo delle acque reflue,

considerato innovativo perché, per la prima volta, coinvolge il settore forestale sulle tematiche dell’uso delle acque reflue a supporto dell’agricoltura.

L’idea del progetto nasce dalle necessità e alle priorità identificate da esperti e rappresentanti dei governi di Algeria, Egitto, Marocco e Tunisia sull’uso delle acque reflue trattate a supporto della forestazione di sistemi agroforestali in zone aride (fig. 2). L’obiettivo è quello di promuovere l’uso sicuro delle acque reflue trattate in sistemi agroforestali di zone aride. Il progetto, che è stato al momento finanziato dal Governo italiano per un anno, con un budget di 600.000 dollari, ha operato per conseguire i seguenti risultati:

• aumentare la disponibilità e la qualità delle acque nei sistemi agroforestali di zone aride; • incrementare la sicurezza alimentare nelle zone agricole;

• fornire nuove opportunità di lavoro;

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• migliorare le reti di scambio di informazione sull’uso delle acque reflue trattate;

• migliorare il trasferimento di conoscenze tecnico-scientifiche fra i Paesi mediterranei delle due sponde anche attraverso il finanziamento di un dottorato di ricerca dell’Università di Marrakech coordinato scientificamente dall’Università della Basilicata.

Figura 2 – Campi sperimentali

Come appena accennato, tra gli obiettivi principali del progetto c’è il trasferimento di conoscenze e tecnologie italiane sull'uso delle acque reflue trattate per il ripristino di coperture forestali in sistemi agroforestali di zone aride. A questo proposito, il progetto, beneficiando della collaborazione con molte istituzioni italiane tra cui l’Università della Basilicata e l’Università della Tuscia, ha implementato due sistemi innovativi per il trattamento delle acque:

1) un sistema di ferti-irrigazione che utilizza le acque reflue parzialmente trattate per fornire al terreno acqua ricca di sostanza organica e favorire lo stoccaggio del carbonio nel suolo;

2) un sistema di fitodepurazione per filtrare le acque reflue con il supporto della vegetazione palustre, giudicato particolarmente conveniente e sostenibile per comunità rurali di zone aride dove le condizioni economiche non permettono la realizzazione di impianti standard per il trattamento delle acque reflue.

Sempre nell’ambito del trasferimento di conoscenze tecnico-scientifiche fra i Paesi mediterranei delle due sponde, il progetto ha finanziato un dottorato di ricerca dell’Università di Marrakech, coordinato scientificamente dall’Università della Basilicata, che sta seguendo la realizzazione del progetto a Marrakech.

Per le attività svolte nel recupero di zone aride, marginali e degradate, il progetto FAO risponde

alle esigenze della Convenzione per la Biodiversità in quanto fornisce una serie di benefici tra cui l’aumento della redditività degli agricoltori, la disponibilità di legname per le piccole industrie e per le comunità locali, la lotta ai cambiamenti climatici, l’approvvigionamento di una maggiore quantità di acque e l'uso ricreativo delle zone riforestate. Il progetto è anche conforme alla Convenzione delle

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Nazioni unite sul controllo della desertificazione e alla Convenzione di Bonn il cui obiettivo è quello di ripristinare 150 milioni di ettari di foreste nel mondo entro il 2020.

Prof. Salvatore Masi, Università degli studi della Basilicata

Sistema di ferti-irrigazione implementato in Marocco e in fase di progettazione in Tunisia ed Egitto

L’applicazione consiste in un sistema innovativo di trattamento delle acque reflue in grado di rimuovere selettivamente i macroinquinanti. Nei sistemi di trattamento convenzionali si cerca di raggiungere gli stessi standard qualitativi delle acque naturali superficiali o di falda. Questo, che si giustifica in particolare per la rimozione degli elementi patogeni, comporta la perdita pressoché totale delle sostanze agronomicamente utili contenute nelle acque reflue ed in particolare del carbonio organico, dell’azoto (in forma nitrica ed ammoniacale) e del fosforo, sostanze che normalmente sono utilizzate in agricoltura per le concimazioni.

L’idea innovativa nell’impianto di ferti-irrigazione sta quindi nell’operare una rimozione controllata di queste sostanze assicurando, nel contempo, i necessari standard di sicurezza sanitaria ed ambientale. Lo schema impiantistico è una variante nel classico “fanghi attivi” in cui le acque sono avviate a recupero dopo la fase di pre-denitrificazione, nella quale è stata ossidata la frazione organica rapidamente biodegradabile. Questo metodo è stato sperimentato per la prima volta in Italia in un uliveto, con lo scopo di arricchire di sostanza organica suoli impoveriti da anni di coltivazione convenzionale condotta con uso di fertilizzanti chimici: in 10 anni il contenuto di sostanza organica è passato dall’1 a circa il 3%. Complessivamente sono stati ridotti gli apporti esterni di fosforo e azoto sfruttando proprio la capacità fertilizzante delle acque reflue. Ovviamente, in Italia il progetto è sperimentale poiché nel nostro Paese la normativa non permette l’irrigazione di colture agronomiche con acque reflue che non rispettino i limiti normativi relativi anche a sostanza organica e nutrienti.

Da un punto di vista energetico questo metodo si rimostra interessante con la riduzione dei fabbisogni di ossigeno per i processi ossidativi e, quindi, con un netto risparmio di energia elettrica. I minori consumi energetici, uniti alle minori emissioni di CO2 per metabolismo microbico per effetto

della minore rimozione di carbonio organico, consentono una sensibile riduzione delle emissioni di carbonio in atmosfera.

A titolo esemplificativo si riporta in tabella 1 il valore economico dei macro-elementi recuperati dalle acque reflue.

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Tabella 1 - Valore economico dei macro-elementi recuperati dalle acque reflue

Prof. Paolo De Angelis, Università degli studi della Tuscia

Sistema di fito-depurazione implementato in Algeria e in fase di progettazione in un altro sito algerino e in Tunisia

Il progetto FAO opera in Algeria in due siti, le oasi di Brézina e di Taghit, che rappresentano

sistemi ecologici chiusi e, per questo, particolarmente vulnerabili (fig. 3).

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Nell’oasi di Brézina il progetto sta dando supporto tecnico-economico al completamento di un impianto di fitodepurazione, iniziato dall’Università degli studi della Tuscia, finalizzato al reimpiego per l’irrigazione di piantagioni forestali a finalità multiple. L’oasi presenta una serie di problemi relativi alla gestione e alla disponibilità delle acque tra cui: l’esaurimento delle acque di falda a causa dell'aumento della popolazione urbana e dell'eccessiva ritenzione della diga di Seggueur, costruita a monte dell’oasi; il progressivo deterioramento del palmeto a causa dell’abbassamento della falda e al rischio di contaminazione delle acque sotterranee con il rilascio libero in superficie delle acque reflue non trattate.

Dall’oasi i reflui sono dispersi in una zona desertica, dove si è intervenuti con la realizzazione di un impianto di fitodepurazione per l’irrigazione di una piantagione forestale sperimentale/dimostrativa realizzata nelle immediate adiacenze (fig. 4).

Figura 4 – Area studio di Brézina

Nell’oasi di Taghit, il secondo sito di progetto, il fiume Zousfana, che scorre lungo la valle, è la principale fonte di acqua per la zona. Lungo la valle il deflusso delle inondazioni periodiche svolge un ruolo importante nel ricaricare le acque di falda dell’oasi, considerando anche che il periodo medio tra due grandi alluvioni è di circa due anni. Allo stesso tempo, però, le alluvioni del fiume Zousfana causano la diffusione nell’oasi delle sostanze minerali e organiche derivanti da scarichi diretti delle acque reflue non trattate. La valle ha anche problemi di allagamenti dovuti al cambiamento dei regimi pluviometrici che si stanno cercando di risolvere attraverso la creazione di uno sbarramento a monte dell’oasi che abbia la capacità di regimare le acque.

Al fine di operare azioni di recupero dell’oasi senza danneggiare il palmeto si sono definiti interventi che mirano alla bonifica di terreni marginali degradati, alla creazione di cinture verdi a protezione del palmeto, alla protezione dei suoli dall’erosione eolica per contribuire al sequestro del carbonio e ad aumentare allo stesso tempo i benefici economici degli abitanti dell’oasi (fig. 5).

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Figura 5 – Interventi nell’area studio di Taghit

Invece, per ridurre il rischio di contaminazione delle acque di falda da parte delle acque reflue, le soluzioni trovate sull’uso di risorse d’acqua non convenzionali sono: la raccolta delle acque reflue e il sistema di trattamento attraverso la fitodepurazione e il riutilizzo delle acque reflue trattate.

Le prossime attività del progetto prevedono:

• il completamento delle attività nei quattro Paesi Nord africani;

• l’espansione delle attività di progetto ad altri Paesi che hanno già mostrato interesse a partecipare;

• il coinvolgimento di altri Paesi donatori e istituzioni di finanziamento, tra cui l’Unione europea; • il rafforzamento delle conoscenze e la consapevolezza dei benefici derivanti da un uso corretto

e sicuro delle acque reflue in sistemi agroforestali di zone aride.