• Non ci sono risultati.

Esperienze e prospettive sul riutilizzo delle acque reflue depurate in Italia

4. Sessione 2 – Riuso in agricoltura delle acque reflue: sfide e opportunità

4.2 Esperienze e prospettive sul riutilizzo delle acque reflue depurate in Italia

Dott.ssa Marta Valente, Direzione generale Tutela del territorio e delle risorse idriche del Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare

Dott. Giorgio Pineschi, Segreteria tecnica del Ministro dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare

Il contributo del Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare all’iniziativa dell’INEA si pone l’obiettivo di inquadrare l’approccio italiano al riutilizzo delle acque reflue depurate, con particolare riferimento agli aspetti ambientali. Una parte dell’intervento è dedicata al quadro normativo e alle prospettive a livello comunitario e nella parte conclusiva sono evidenziati alcuni elementi di discussione relativi a sfide e criticità sul tema del riutilizzo.

Il riutilizzo delle acque reflue depurate è uno strumento attuato al fine di produrre risorse idriche non convenzionali (ovvero quelle risorse non prelevate direttamente in natura), limitare il prelievo di acque superficiali e sotterranee e ridurre l’impatto degli scarichi sui corpi idrici recettori (fig. 1). I risultati associati al riutilizzo sono anche la produzione di risorse aggiuntive, il risparmio idrico e la disponibilità di acqua in situazioni di carenza. In questo quadro, si perseguono quindi obiettivi integrati di tutela qualitativa e quantitativa dei corpi idrici.

53

Figura 1 – Obiettivi del riutilizzo

È utile evidenziare alcuni aspetti legati al potenziale impatto negativo connesso con il riutilizzo delle acque reflue depurate che vanno attentamente valutati in fase di progettazione e gestione:

 ambientali: legati alla possibilità di inquinamento delle acque per lisciviazione in falda o ruscellamento e di degradazione del suolo per modifica della salinità, per riduzione della permeabilità idraulica o per accumulo di metalli e sostanza organica;

 igienico-sanitari: per l’impatto sugli alimenti, la lisciviazione o il ruscellamento in corpi idrici destinati all’uso potabile, presenza di batteri, virus, parassiti;

 agronomici: in relazione alle caratteristiche dei suoli agricoli.

Due altri elementi si sono rivelati nel tempo particolarmente importanti per lo sviluppo di tale misura:

 gli aspetti infrastrutturali, connessi alla realizzazione di infrastrutture per realizzare il riutilizzo. In particolare, l’adeguamento degli impianti di trattamento delle acque reflue urbane per raggiungere gli standard di riutilizzo richiesti dalla normativa e i collegamenti tra la produzione di acqua recuperata e l’utilizzatore finale;

 gli aspetti economici, connessi alla fattibilità tecnico–economica degli investimenti e alla gestione del riutilizzo. Un elemento particolarmente critico è, infatti, rappresentato dai costi da sostenere per il recupero delle acque usate e, più in particolare, come tali costi sono ripartiti tra i diversi soggetti coinvolti (il gestore dell’impianto, gli utenti del servizio idrico integrato, il gestore della rete di distribuzione e l’utilizzatore finale). Va osservato che, visto che l’acqua recuperata ha un costo (di produzione e distribuzione), può accadere in molti casi che il riutilizzo non risulti economicamente vantaggioso rispetto all’approvvigionamento con altre tipologie di acque “convenzionali” erogate a minor prezzo e spesso anche di qualità superiore. Al fine di indagare questi aspetti delicati e complessi si sono recentemente svolti degli studi nel territorio nazionale: uno studio dell’INEA in cui si effettua un’analisi multicriteriale di varie ipotesi e

54

potenzialità di riutilizzo irriguo dei reflui depurati: il caso della Valpadana”, Zucaro R. et al., INEA

giugno 2012); uno studio dell’ISPRA svolto insieme alla Università di Brescia che, invece, analizza la

fattibilità tecnico-economica e di redditività di specifiche soluzioni di riutilizzo (“Modello di indagine per la valutazione della fattibilità del riuso delle acque reflue depurate, ISPRA, Manuali e Linee guida

80/2012).

Sotto l’aspetto normativo, i punti di partenza sono, essenzialmente, la direttiva concernente il trattamento delle acque reflue urbane (direttiva 91/271) e la direttiva quadro acque 2000/60, che presentano dei richiami generali al riutilizzo, rispettivamente all’art. 12 “Le acque reflue che siano state sottoposte a trattamento devono essere riutilizzate, ogniqualvolta ciò risulti appropriato” e all’Allegato VI parte B che annovera tra le misure supplementari da inserire nei Piani di gestione delle acque la misura “x) misure tese a favorire l’efficienza e il riutilizzo, tra le quali l’incentivazione delle tecnologie efficienti nell’industria e tecniche di irrigazione a basso consumo”.

In materia di riuso delle acque reflue depurate, in Italia vige il decreto ministeriale n. 185 del 12 giugno 2003 Regolamento recante norme tecniche per il riutilizzo delle acque reflue. Il decreto, emanato dal Ministro dell'Ambiente e della tutela del territorio di concerto con i Ministri delle Politiche agricole e forestali, delle Attività produttive e della Salute, regola il riutilizzo definendo le tipologie ammesse e le relative modalità. Il riutilizzo per uso civile comprende il lavaggio delle strade nei centri urbani, l’alimentazione dei sistemi di riscaldamento o raffreddamento, l’alimentazione di reti duali di adduzione, separate da quelle delle acque potabili, con esclusione dell’utilizzazione diretta di tale acqua negli edifici a uso civile, ad eccezione degli impianti di scarico nei servizi igienici. Il riutilizzo industriale è previsto per l’acqua ad uso antincendio, di processo, di lavaggio o usata nei cicli termici dei processi industriali, esclusi gli usi che comportano un contatto tra acque reflue recuperate e gli alimenti o i prodotti farmaceutici e cosmetici. Il riutilizzo irriguo è ammesso per colture destinate sia alla produzione di alimenti per il consumo umano ed animale sia a fini non alimentari e per aree destinate al verde o attività ricreative o sportive.

Il decreto fornisce ulteriori importanti definizioni:

 recupero: riqualificazione di un’acqua reflua mediante adeguato trattamento depurativo, al fine di renderla adatta alla distribuzione per uno specifico riutilizzo;

 riutilizzo: impiego di acqua reflua recuperata di determinata qualità per specifica destinazione d'uso, per mezzo di una rete di distribuzione, in parziale o totale sostituzione di acqua superficiale o sotterranea;

 impianto di recupero: strutture destinate al trattamento depurativo (incluse le eventuali strutture di equalizzazione e di stoccaggio delle acque reflue recuperate presenti all’interno dell'impianto) prima dell’immissione nella rete di distribuzione delle acque reflue recuperate;

 rete di distribuzione: strutture destinate all’erogazione delle acque reflue recuperate, incluse le eventuali strutture per la loro equalizzazione, l’ulteriore trattamento e lo stoccaggio, diverse da quelle dell’impianto di recupero. Sempre secondo il decreto n. 185/03, il sistema di distribuzione delle acque reflue recuperate (incluse le eventuali strutture per equalizzazione,

55

ulteriore trattamento e stoccaggio) deve essere distinto da altri sistemi di approvvigionamento e ben riconoscibile (marcato).

La parte più importante del decreto è la tabella recante i requisiti di qualità chimico-fisici e microbiologici che l’acqua recuperata deve rispettare per essere riutilizzata (tab. 1).

Tabella 1 – Standard qualitativi per il riutilizzo

I requisiti di qualità vanno posseduti all’uscita dell’impianto di recupero e i valori sono medi su base annua o, nel solo caso del riutilizzo irriguo, della singola campagna irrigua. Nel caso di riutilizzo

56

irriguo, i limiti per fosforo e azoto totale possono essere elevati rispettivamente a 10 e 35 mg/l, fermo restando quanto previsto all’art. 10 relativamente alle zone vulnerabili da nitrati di origine agricola. In particolari casi, le Regioni hanno facoltà di fissare standard e limiti diversi a seconda del tipo di utilizzo, con la possibilità di derogare ad alcuni parametri.

Nel decreto il sistema di monitoraggio e controllo del riutilizzo ha un ruolo importante, in quanto il programma di controllo a livello di impianto di recupero è parte integrante del dispositivo di approvazione: l’autorità competente è incaricata di eseguire i controlli e il gestore dell’impianto è obbligato ad effettuare l’attività di autocontrollo. Per quanto riguarda la rete di distribuzione delle acque recuperate, si evidenzia che non esistono delle linee guida per il monitoraggio e controllo; a 10 anni dall’emanazione del decreto n. 185/03 è possibile e utile approfondire gli aspetti tecnici risultati rilevanti nelle numerose esperienze effettuate in diverse Regioni, nonché indagare quali siano gli effetti ambientali, agronomici e sul suolo in termini di accumulo di sostanza organica e di impatto igienico-sanitario.

Il contesto programmatico che ha promosso il riutilizzo in Italia si compone di:

 Piani di gestione delle acque e Piani di tutela delle acque (decreto legislativo n. 152/06 art. 117 e art. 121);

 Piano irriguo nazionale (approvato dal MIPAAF);

 Programmazione negoziata Stato-Regioni.

Nei Piani di gestione delle acque e nei Piani di tutela delle acque è riportata la strategia di scala definita sulla base delle peculiarità ambientali e infrastrutturali nonché delle esigenze idriche del territorio (attraverso i cosiddetti Piani di riutilizzo previsti dal decreto n. 185/03 all’art. 5). Gli Accordi di programma tra Stato e Regioni allocano le risorse che supportano gli interventi previsti nelle strategie di riutilizzo.

Gli esempi più significativi di riutilizzo irriguo in Italia si collocano in Sardegna, dove la Regione ha adottato una specifica direttiva “Misure di tutela quali-quantitativa delle risorse idriche tramite il riutilizzo delle acque reflue depurate”6. La Regione ha individuato 34 impianti prioritari per un totale

150 milioni m3/anno di acqua riutilizzabile, di cui 114 sono già disponibili. I maggiori impianti di

trattamento sono Cagliari Is Arenas (557.000 abitanti equivalenti, di seguito anche AE), Cagliari

Macchiareddu (297.000 AE), Serramanna (200.000 AE) e Sassari (180.000 AE). Di seguito alcuni

esempi7:

1. Comune di Villasimius

L’impianto fornisce circa 1 milione m3/anno di acqua reflua depurata destinata all’irrigazione

(per agricoltura e verde pubblico). Un apposito Regolamento comunale regola la distribuzione e la fornitura dell’acqua rigenerata.

6 Approvata con deliberazione della Giunta regionale n. 75/15 del 30 dicembre 2008 7 http://www.regione.sardegna.it/j/v/1725?s=1&v=9&c=389&c1=336&id=25435

57

2. Impianto di trattamento di Alghero

Fino al mese di ottobre del 2011 l’impianto ha fornito 2 milioni m3 di acqua reflua depurata

destinata all’irrigazione. La fornitura è regolata da un apposito regolamento comunale e da un accordo tra gestore dell’impianto/ATO e Consorzio irriguo.

La Regione Sardegna richiede, per ogni singolo impianto di depurazione destinato al riutilizzo (o gruppo di impianti), l’elaborazione di un Piano di gestione del sistema di riutilizzo che garantisca:

• il coinvolgimento di tutti gli attori: attraverso la creazione di un Consorzio e la sottoscrizione di un protocollo d’intesa;

• la consultazione dei portatori di interesse;

• i contenuti: filiera del riutilizzo, soggetti coinvolti, caratteristiche impianto/refluo, portata destinata al riuso, sistemi di controllo, piano di monitoraggio effetti, conto economico e analisi costi benefici, piano operativo per la gestione delle situazioni di emergenza.

Al fine di garantire l’attuazione della strategia regionale di riutilizzo delle acque reflue trattate, le risorse dedicate sono:

• 5 milioni di euro per l’attivazione del sistema del riutilizzo delle acque reflue depurate8;

• 1 milione di euro nel 2011 e 1 milione di euro nel 2012 per la redazione dei Piani di gestione degli impianti prioritari (l.r. n. 12/2011).

Ulteriori importanti esperienze sono state promosse in Emilia-Romagna, dove l’agricoltura ha un fabbisogno idrico elevato (1,4 milioni m3/anno), è presente una fittissima rete di canali di bonifica e

irrigazione (oltre 20.000 km), 220.000 ettari di superficie agricola irrigata attraverso reti consortili e importanti Consorzi irrigui, tra cui il Canale Emiliano Romagnolo, che da diversi anni effettua studi e sperimentazioni sul riutilizzo irriguo. Molti depuratori scaricano in corpi ricettori utilizzati per l’irrigazione. La regione ha anche un elevato numero di impianti di trattamento delle acque reflue che garantiscono uno standard qualitativo elevato (il 98% degli agglomerati afferisce ad impianti con trattamento almeno secondario). Il Piano di tutela delle acque regionale del 2006 individua 24 impianti di dimensione appropriata per il riutilizzo con una capacità di trattamento totale di 560.000 m3/d (2 milioni AE).

Va, poi, citato un importante progetto per il disinquinamento della Laguna di Venezia, il Progetto integrato Fusina (PIF) (fig. 2), realizzato dalla Regione Veneto attraverso un project finacing, che prevede la realizzazione di una complessa rete di collettamento e la trasformazione di un vecchio impianto di depurazione civile in centro di trattamento polifunzionale che consente:

58

• il trattamento degli scarichi civili (fino a 400.00 AE) e delle acque di prima pioggia di Mestre (aree

sud-orientale), di Marghera, di Porto Marghera e del Mirese, e il loro riutilizzo a fini industriali, previo finissaggio in un apposito impianto di fitodepurazione;

• il trattamento degli scarichi industriali e delle acque meteoriche dell’area industriale di Porto Marghera;

• il trattamento delle acque di falda inquinate drenate nel corso delle operazioni di bonifica attuate nel sito di interesse nazionale di Porto Marghera.

Nello specifico, il riuso delle acque depurate per scopi non potabili all’interno dell’area industriale di Porto Marghera ammonta a circa 30 milioni di m3/anno, con punte estive di 75.000 m3/d

che vanno a sostituire risorse idriche di qualità superiore prelevate del fiume Sile, che possono così essere immesse nella rete acquedottistica regionale (MOSAV).

Figura 2 – Il progetto Fusina

Infine, è importante illustrare gli sviluppi a livello europeo in tema di riutilizzo delle acque reflue depurate. Nel novembre 2012 è stata pubblicata la comunicazione della Commissione europea contente il “Piano per la salvaguardia delle risorse idriche europee”9, il cosiddetto Blueprint. Gli

obiettivi della futura politica delle acque europea enunciati nel Blueprint sono: il miglioramento dell’uso del suolo, la lotta contro l’inquinamento delle acque, l’aumento dell’efficienza nell’uso delle risorse idriche, la diminuzione della vulnerabilità delle risorse idriche, l’ottimizzazione della

governance dei soggetti coinvolti nella gestione delle risorse idriche. Il Piano non indica un’unica

soluzione universale, ma propone una serie di strumenti con cui gli Stati membri possono migliorare la gestione idrica a livello nazionale, regionale o a livello di bacini idrografici.

59

Il riutilizzo delle acque reflue depurate riveste un ruolo chiave nel suddetto Piano europeo al fine di limitare le situazioni di carenza e ridurre la vulnerabilità dei corpi idrici agli eventi estremi. Da un’analisi condotta per conto della Commissione europea il riutilizzo emerge, infatti, come importante alternativa di approvvigionamento, il cui impatto ambientale risulta minore rispetto ad altre soluzioni quali trasferimenti d’acqua o la desalinizzazione. La diffusione del riutilizzo tra gli Stati membri è, però, ancora limitata, probabilmente a causa della mancanza di standard comuni a livello europeo e di potenziali ostacoli alla libera circolazione dei prodotti agricoli irrigati con acque riutilizzate. Il

Blueprint incoraggia il riutilizzo delle acque reflue depurate e propone di valutare la definizione di

standard comuni per il riutilizzo dell’acqua (quale proposta della Commissione da presentare nel 2015), da sottoporre a specifica valutazione d’impatto su salute pubblica e protezione ambientale. Sempre il Blueprint indica le possibili fonti di finanziamento per realizzare le infrastrutture di riutilizzo: fondi strutturali e di coesione e prestiti della BEI (2014-2021).

Va, comunque, sottolineato il ruolo tecnico ma anche politico svolto da Paesi come l’Italia (Spagna, Portogallo, Grecia, Cipro e Francia), che hanno evidenziato sia come per la piena attuazione della direttiva quadro sulle acque non si possa disgiungere la tutela quantitativa e qualitativa dei corpi idrici sia quanto siano sottostimati i problemi legati ai servizi ecosistemici e alla water scarcity, rispetto ai quali il riutilizzo può avere un ruolo fondamentale.

In particolare, la discussione oggi a livello europeo si concentra su:

• l’importanza di avere standard comuni per il riutilizzo: presupposti tecnico-scientifici, criteri per l’analisi della fattibilità tecnico-economica, qualità adeguata ai vari utilizzi;

• lo sviluppo di tecnologie adeguate: risorse economiche necessarie, criteri per l’analisi costi- benefici e di efficacia, strumenti per garantire flessibilità a standard diversi;

• la definizione dei protocolli di monitoraggio: frequenza, tempistiche, diffusione dei dati;

• il riutilizzo nel Piano di gestione: indicazioni sito specifiche relative alla filiera del riutilizzo, coinvolgimento di attori e portatori di interesse, piani di emergenza.

• la definizione di metodologie per valutare effetti igienico-sanitari e ambientali e sulla qualità degli alimenti;

la divulgazione di best practice per realizzare strumenti di gestione e supporto alle decisioni; • la definizione di linee guida sul riutilizzo: contenenti criteri tecnici ed economici, indicazioni

gestionali, considerazioni sito specifiche.

L’importanza di realizzare degli standard di riutilizzo comuni è legata anche e soprattutto alla constatazione che sino a quando gli Stati membri non avranno regolamenti basati su regole e standard condivisi sarà difficile assicurare nei diversi Paesi dell’Unione un mercato per i prodotti alimentari irrigati con acque reflue recuperate. Importante è anche sottolineare il ruolo cruciale della condivisione e della divulgazione delle risultanze scientifiche e degli elementi di conoscenza

60

disponibili in merito agli impatti e alle caratteristiche della filiera sia agronomica sia ambientale acquisiti nelle diverse esperienze a scala europea.

Concludendo, in Italia esiste ormai da diversi anni un quadro di riferimento normativo e programmatico nonché un discreto bagaglio di esperienze consolidate. Questo patrimonio deve essere senz’altro migliorato e accresciuto per poter essere valorizzato nel contesto dell’evoluzione degli approcci tecnici e strategici in corso a livello comunitario in modo che qualsiasi evoluzione del quadro di riferimento nazionale in materia di riutilizzo delle acque reflue depurate sia costantemente allineato e coerente con linee di indirizzo e indicazioni comunitarie attuali e future.