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Moderatore Giuseppe De Filippi, Redattore capo del TG5

Partecipanti: Giuseppe Blasi Capo dipartimento Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali, Massimo Gargano Presidente ANBI, Vera Corbelli Segretario generale dell’Autorità di bacino nazionale

Liri-Garigliano Volturno – Coordinamento Autorità di Distretto idrografico Appennino meridionale, Shaddad Al Attili Ministro Autorità dell’Acqua della Palestina, Esmat AlKaradsheh, coordinatore del programma ENPI CBC Med

De Filippi

Nella tavola rotonda che chiude la prima sessione del workshop, prendendo spunto da quanto è stato detto in mattinata, vi sono temi importanti da affrontare. Innanzitutto, emerge che lo sguardo italiano al problema acqua può essere mutuato anche nelle esperienze internazionali, in particolare mi ha colpito in concetto “trasformare la risorsa acqua non soltanto in un bene che va pagato per obblighi di legge e che va distribuito rispettando i vincoli di legge, ma anche in un’occasione di sviluppo per l’economia, in particolare nel settore agricolo”. Si impone, quindi, il tema dello sviluppo e del settore agricolo come utilizzatore primario delle risorse idriche che, però, restituisce alla società, attraverso la disponibilità di prodotti essenziali.

Chiedo quindi a Massimo Gargano di partire dall’esperienza italiana dei Consorzi di bonifica ed irrigazione per farne poi, tramite un ragionamento e eventuali miglioramenti, un modello trasferibile in altre realtà e situazioni, anche a partire dai cambiamenti che ci arrivano dalle nuove regole europee.

Gargano

Ringrazio per la parola e porto i saluti dell’ANBI a tutti i presenti. Sulla base di dati FAO, si calcola

che nel 2050 la richiesta mondiale di cibo aumenterà del 70%. Inoltre, l’Unione europea stima che nel 2030 ci sarà il 40% di acqua in meno rispetto alla richiesta. Si può, quindi, immaginare la gravità dei problemi che ci attendono, non solo quelli legati alla dipendenza e all’autonomia alimentare, ma anche alla coesione sociale. Ricordo come in un incontro, promosso dall’INEA e dal Ministero dell’Agricoltura,

con rappresentanti diplomatici dell’Iraq, l’ambasciatore di questo Paese ha affermato che le acque dei due grandi fiumi della Mesopotamia non sono di proprietà irachena, rimane pertanto la grande questione circa la disponibilità di acqua nel tempo. Questo è un esempio di come poter disporre di acqua irrigua a sufficienza risulti una questione fondamentale e non di poco conto rispetto al problema della coesione e della autonomia alimentare. In Italia, la scarsità idrica è in parte attribuita ai cambiamenti climatici. Esistono però problemi legati ad un modello di sviluppo di questo Paese ove le istituzioni ancora immaginano soluzioni di crescita legate ad uno sviluppo urbanistico a tutti i costi, con i molteplici problemi che questo genera.

I Consorzi di bonifica e irrigazione hanno grande esperienza in materia di gestione delle risorse idriche ed auspicano che essa possa venire riconosciuta in quanto utile all’economia, alla crescita e all’occupazione. Fra le più recenti esperienze, si cita il sistema “IRRIFRAME”, che da iniziativa

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sperimentale è divenuto un progetto nazionale, che fornisce indicazioni agli agricoltori sui tempi e sui quantitativi di acqua necessari per una irrigazione razionale e si pone, quindi, obiettivi di miglioramento della gestione della risorsa idrica, con un conseguente importante risparmio.

Un’ulteriore innovazione che si sta cercando di diffondere nei Consorzi è quella dei “pozzi bevitori”. Nell’idea di tutti, un pozzo è un foro nel terreno scavato per prelevare acqua, mentre in questo caso i pozzi non arrivano in profondità ma su terreni che sono in grado di riceverla e quando c’è, come in inverno, l’acqua in eccesso viene immessa nei pozzi tramite rogge e canali evitando che vada in mare o nei fiumi. Questo processo è estremamente utile perche si è dimostrato che la falda immagazzina l’acqua e il suo livello risale, migliorandone le condizioni e aumentando le disponibilità idriche per quando se ne ha bisogno nella stagione irrigua. Queste iniziative rispondono anche a un’altra emergenza creata dall’Uomo, cioè l’inquinamento delle falde. Tale innovazione costituisce, infatti, una possibile risposta all’inquinamento e all’aumento di sostanze nocive come, ad esempio, l’arsenico che è anche elemento di contrasto alla salinizzazione delle acque di falda. Di tutte queste iniziative svolte sul territorio si dovrebbe avere una maggiore percezione proprio perché utili al territorio stesso, alla sicurezza dei cittadini e alle attività economiche che su di esso si svolgono.

De Filippi

E secondo lei perché si fa fatica a parlare di questi temi nel dibattito pubblico? Quando si parla di acqua, come con il referendum, l’interesse esplode, ma in termini tecnici non ci si riesce.

Gargano

Secondo la mia esperienza, questo accade perché è solo l’emergenza a fare notizia, la prevenzione invece no. Alla stampa non interessa la notizia sulla realizzazione di una vasca di compensazione per il fiume Tevere che può consentire alla città di Roma, in caso di piena, di non andare sott’acqua. Non interessa a nessuno, nemmeno alla classe politica. Si tratta di operazioni che richiedono tempo per essere realizzate e non c’è un nastro da tagliare. Nel caso invece di emergenza, c’è notizia, emozione, partecipazione, commozione.

Questo della comunicazione e dell’informazione è un problema serio: bisognerebbe convertire la cultura dominante e imperante nel nostro Paese, quella dell’emergenza. Non a caso, come ho già avuto modo di evidenziare nei giorni scorsi, nessuno dei programmi elettorali dei vari partiti candidatisi a governare il Paese lo scorso febbraio presentava una sola parola sulla sicurezza idrogeologica, o sulle risorse idriche. Se invece si fa un referendum, anche su temi ambigui, l’attenzione cresce.

De Filippi

Su questo punto si spera si riesca a fare qualche passo avanti, anche nell’ambiente della stampa. Il Dott. Gargano ha introdotto una questione legata all’esperienza della Dott.ssa Corbelli sul Mezzogiorno, la cui situazione sul tema delle risorse idriche è particolarmente complessa, interessante e mutuabile a livello nazionale.

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Corbelli

Grazie per la parola. Ben ritrovati a tutti coloro con cui, da tempo, stiamo portando avanti un lavoro di condivisione e compartecipazione al processo per il governo della risorsa idrica. Porto innanzitutto i saluti del Dott. Puma dell’Autorità di bacino del Po e coordinatore del Distretto Idrografico del fiume Po, che non è potuto essere qui presente per problemi personali.

Per dare un contributo alle questioni emerse, vorrei partire da alcune parole chiave più volte richiamate: cooperazione, partecipazione, conoscenza, etica, programmazione. Parole che rientrano appieno nei processi di pianificazione e programmazione territoriale che in Italia sono stati già da anni affrontati, poi ripresi e ampliati, nei vari strumenti di pianificazione predisposti e realizzati successivamente alla direttiva quadro acque 2000/60, recepita nel nostro Paese con il decreto legislativo n. 152/06 e la legge n. 13/09.

La cooperazione si deve fondare sulla conoscenza e sul sapere, anche se ultimamente la conoscenza è stata trascurata quale elemento base di qualsiasi governo e gestione delle risorse naturali si voglia attuare. Quando si parla di sapere, di metodologie, di percorsi scientifici e tecnici, di sovente questi annoiano il grande pubblico, ma rappresentano il punto di partenza su cui radicare le decisioni e strategie politiche da parte delle istituzioni, nonché di processi sapienti e virtuosi da parte dei cittadini.

Un altro aspetto importante richiamato e su cui focalizzare l’attenzione riguarda i “diritti” all’acqua, ma va evidenziato che ci sono anche “doveri” verso l’acqua, nel rispetto di un bene comune, dal quale non si può prescindere e sul quale è indispensabile non sorvolare. Pertanto, il discorso della programmazione tecnico-economica risulta efficiente solo se, basandolo sulla conoscenza e sulla cooperazione, vengono applicati entrambi i principi etici dei diritti e dei doveri.

Il termine “gestione” nel senso classico del termine può creare confusioni nei processi di pianificazione e programmazione della risorsa idrica, processi che richiedono un’azione strategica di governo nella sua più ampia accezione. In Italia, gli 8 Distretti idrografici definiti, rappresentano l’unità di riferimento per “governare la risorsa acqua” strettamente connessa alla risorsa suolo, “beni” che non possono essere considerati separatamente nel sistema di riferimento e, pertanto, l’una non esclude l’altro.

Il Distretto dell’Appennino meridionale comprende numerosi bacini idrografici superficiali, acquiferi sotterranei, sistema costiero e di transizione ed è caratterizzato da condizioni geologiche e morfologiche idrostrutturali complesse. La distribuzione delle disponibilità idriche è eterogenea, per cui il problema si pone in termini di non omogenea allocazione. La Puglia è una regione che riceve acqua da altre tramite grandi trasferimenti interregionali, basti pensare che il trasferimento tra Regioni del Distretto ammonta a 900 milioni di m3 anno e si tratta di trasferimenti non regolati da

nessun accordo, ad eccezione di quello del 1999 tra Basilicata, Puglia e Ministero delle Infrastrutture. Da questi dati emerge l’impegno che è stato profuso per la definizione del Piano di gestione, redatto in soli 9 mesi per un territorio vastissimo che, tra l’altro, non conosceva un’esperienza e un percorso

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innovativo di questo tipo, per cui solo la passione, che ha enfatizzato le esistenti competenze tecniche, quella voglia di conoscere, di fare e che caratterizza le nostre aree ci ha permesso di costruire il percorso con successo in una brevissima fase temporale. La grande sfida di questo piano è quella di definire un accordo unico tra Regioni per governare in modo razionale e unitario un bene patrimonio di tutti. Mettere insieme intorno a un unico tavolo più Regioni, come quelle del Centro Sud, non è risultato per niente facile. Ad oggi è stato firmato il primo documento di intenti, propedeutico all’accordo unico e che pone le basi sulle azioni, le strategie comuni e condivise in materia di risorse idriche per tutte le Regioni interessate. Il Piano redatto, che costituisce la prima parte di un vasto processo di pianificazione, è oggetto di attenzione per la prossima programmazione finanziaria 2014- 2020; purtroppo, nonostante i riscontri positivi, non ha avuto la giusta diffusione e risonanza pubblica, mentre un tale processo, visto il tema trattato, trasversale a tutti gli scenari territoriali, ambientali, sociali ed economici, dovrebbe avere dedicata molta attenzione dai mezzi di comunicazione.

Sempre in ambito di Distretto, l’Autorità di bacino nazionale, le Regioni e le Autorità di bacino interregionali e regionali stanno realizzando il Piano di gestione rischio alluvioni, in linea con i contenuti della direttiva 2007/60 e del decreto legislativo n. 49/10. Lo strumento prevede vari step di realizzazione (il prossimo è relativo alla predisposizione degli scenari di pericolosità e rischio idraulico a livello di Distretto), che diano la possibilità di avere un “quadro unitario ed omogeneo” su cui individuare e predisporre programmi di misura per la gestione del rischio e di verifica delle interrelazioni delle problematiche idrauliche con le altre componenti fisiche, ambientali, territoriali, sociali ed economiche. In particolare, si sta procedendo, fatti salvi i vigenti Piani stralcio per l’assetto idrogeologico:

 alla redazione delle mappe di pericolosità e rischio secondo il percorso rappresentato negli indirizzi operativi del MATTM;

 alla integrazione della cartografia di cui sopra, laddove si è in possesso di ulteriori elementi omogenei per il Distretto;

 alla configurazione a livello di Distretto di macroscenari di rischio idraulici al fine di fornire un quadro di informazione che dia contezza delle problematiche e quindi delle azioni da porre in essere (programma di misure) anche attraverso la prossima programmazione comunitaria.

De Filippi

Cercavamo prima un esempio virtuoso da offrire al dibattito e l’abbiamo dato. Vorrei ora chiedere al Capo dipartimento del Ministero Dott. Blasi di porsi, se possibile, dal punto di vista di chi rappresenta l’utenza, cioè l’agricoltore, e parlare delle prospettive per il futuro e delle scelte da parte di chi governa i processi decisionali.

Blasi

Grazie a tutti e all’INEA in particolare. Mentre parlavano i due interlocutori precedenti pensavo a

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purtroppo abbia influenzato le nostre scelte e la possibilità di incidere sulle risorse messe a disposizione. Se realmente vogliamo passare da una cultura della gestione dell’emergenza a una cultura programmatoria è necessario uno sforzo immane, ma bisogna farlo, se vediamo quello che è successo negli ultimi anni: abbiamo messo a disposizione per le emergenze 1,6 miliardi di euro, tutti programmati per la realizzazione di infrastrutture di rilevanza nazionale e finalizzati all’aumento di accumulo di acque superficiali o alla riduzione dell’utilizzo dell’emungimento privato indiscriminato, alla riduzione e al miglioramento e razionalizzazione della rete di distribuzione. Il processo decisionale che ha portato alla scelta dei singoli progetti non è stato il frutto di un’attività programmatoria a monte, ma è stato il frutto di una scelta tecnico-politica su cui poi, a valle, si è verificata la conformità a quegli obiettivi che gli investimenti dovevano realizzare. E’ un approccio che non può più essere messo in atto, anche perché l’Unione europea ci impone di intervenire con nuove metodologie.

Nei giorni scorsi a Brussels si è chiuso un negoziato tra il Consiglio dei ministri per la riforma della politica agricola comune; a febbraio è stato trovato un accordo sul nuovo bilancio comunitario 2014-2020. Sono passaggi fondamentali perché in una fase di carenza di risorse e di difficoltà si va a rivedere le regole di gestione dell’intero sistema, un percorso che ci deve vedere impegnati sulla stessa direzione.

Primo aspetto: non è possibile fare nessun intervento se l’intervento non è deciso a livello di Autorità di Distretto. Anzi, il Piano di gestione è elemento fondamentale per poter incidere sulla scelta. Non è possibile fare qualsiasi intervento infrastrutturale se non si mette in atto un sistema di monitoraggio che dia la possibilità di verificare quanto ogni settore, in questo caso l’agricoltura, si impegna nella riduzione e razionalizzazione dell’uso delle acque. Quanto è stato fatto fino ad ora non si discosta molto da questo tipo di obiettivi per quanto riguarda il monitoraggio. Le risorse finanziarie utilizzate in questi anni sono state subordinate all’obbligo di rispettare la regola di riduzione del 30% del consumo di acqua e della relazione a tematiche dimostrate caso per caso. Inoltre, è difficile spiegare certe argomentazioni e necessità dell’agricoltura, la quale viene vista come consumatore e basta, come evidenziato dal fatto che la Commissione europea ha avuto difficoltà a capire e accettare che era necessario apportare modifiche alla regolamentazione, riuscendo ad ottenere delle aperture anche per aumentare la superficie irrigata. Le argomentazioni apportate non sono state legate semplicemente alla necessità di aumentare le coltivazioni, ma alla necessità intervenire con sistemi di soccorso perché altrimenti avremmo delle produzioni di qualità che vanno particolarmente in crisi: si pensi a quanto avvenuto quest’anno siccitoso nel Chianti, dove, non essendo la vite irrigata, gli impianti di vite sono entrati in crisi per mancanza di sistemi di irrigazione di soccorso, con conseguente calo produttivo e stress produttivo ed economico delle aziende.

Ancora, è necessario migliorare il nostro contributo in termini di comunicazione, perché l’agricoltura non può essere messa sul banco degli imputati come consumatore o come se non gestisse bene il territorio quando ci sono disastri. Quello agricolo è, invece, un settore fondamentale, che deve poter trovare economica la sua presenza e la gestione dell’attività in un determinato territorio per poter contribuire ai fabbisogni di tutta la collettività.

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Siamo in una situazione di grande carenza di risorse e in una fase particolarmente delicata della vita programmatoria e politica perché possiamo incidere sulla scelta che in qualche maniera andrà a disciplinare il comportamento per i prossimi 7 anni. Dal negoziato sulle prospettive finanziarie abbiamo avuto una certa soddisfazione per il settore agricolo italiano. Queste risorse sono state allocate su dei fondi e cicli programmatori e, quindi, sta a noi cercare di negoziare con chi gestirà quelle risorse, programmi che abbiano la possibilità di incidere concretamente. A seconda delle regioni, infatti, e a seconda dei fondi, oggi il settore agricolo deve essere in grado di potersi far sentire in modo tale che il problema di gestione e razionalizzazione dell’uso dell’acqua diventi un tema centrale su cui chi è chiamato a decidere prenda decisioni importanti. Prossimamente, entro questo anno, sia il nuovo Governo sia la nuova conferenza Stato-Regioni saranno chiamati a prendere decisioni importanti.

De Filippi

Questo ci porta diretti al secondo giro di tavolo e di nuovo al Dott. Gargano: in relazione alla disponibilità di risorse per i prossimi 7 anni e al necessario miglioramento nell’uso delle risorse, che cosa si può fare e come?

Gargano

Sulle risorse finanziarie, proprio perché in diminuzione, bisogna fare scelte precise e canalizzare la spesa verso le esigenze di sicurezza del territorio. Bisogna evitare l’emergenza e lavorare sulla prevenzione. Giorni fa abbiamo evidenziato che in Toscana l’alluvione di novembre è costata allo Stato e alle casse cittadine 110 milioni di euro stanziati dal Consiglio dei ministri più altri 100 stanziati dalla Regione. Ciononostante, ci sono aziende che comunque non potranno più riprendere l’attività, altre che quest’anno non produrranno e si avranno pertanto ulteriori riduzioni della ricchezza e della occupazione. Sui punti del reticolo idrografico in cui si sono rotti gli argini dei fiumi era già previsto un piano di messa in sicurezza che per la Toscana necessitava 96 milioni di euro, quindi meno della metà di quanto si è poi invece speso per far fronte ai danni. È indubbio che rispetto a quanto accaduto si sarebbero comunque subiti dei danni, ma altrettanto indubbio è che sarebbero stati molto più contenuti. È quindi necessaria una presa di responsabilità da parte di chi è chiamato a governare il Paese. Non si può rimanere a fare i notai e assistere alla morte del territorio italiano.

Inoltre, per quanto riguarda il Piano irriguo nazionale, si è cercato di portarlo avanti con il Ministero tenendo conto che si tratta di infrastrutture di cui il Paese ha bisogno e che può fornire risposte a tutto il territorio e all’economia, non solo all’agricoltura e alle imprese agricole. Tenendo conto dei ragionamenti e input che il Dott. Blasi lanciava sulla riforma 2014-2020 possiamo arrivare a offrire soluzioni ampie che vanno oltre l’agricoltura. È una questione di scelte, ma spesso si fa fatica nel cogliere le opportunità che vengono dalla Commissione europea, o addirittura ci si nasconde dietro essa per giustificare le non scelte. In realtà, mi pare che proprio la presenza di un meccanismo sanzionatorio a livello europea ci abbia costretti a cercare di dare risposte concrete.

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De Filippi

Questo equilibrio risorse-utilizzo che opportunità o sfide offre nelle realtà meridionali?

Corbelli

Le realtà meridionali costituiscono scenari di grandi potenzialità territoriali, ambientali ed economiche, di sovente mortificate da una strategia politica carente che ha relegato lo stesso territorio e la cultura territoriale all’ultimo posto in una scala di priorità di azioni. Quanto ad oggi sviluppato ed approvato a livello nazionale costituisce elemento importante per la prossima programmazione comunitaria 2014-2020, sulla quale il Governo si sta attivando. Ma perché tutto questo avvenga è necessario che alcuni nodi tecnico-politici siano risolti, tra cui: la revisione del decreto legislativo n. 152/06 e, quindi, l’istituzione delle Autorità di bacino dei Distretti Idrografici, i cui compiti, attualmente, sono assolti dalle Autorità di bacino nazionali che, nonostante l’assenza di risorse economiche e di direttive adeguate, hanno in corso sviluppo di azioni alquanto complesse e articolate a livello di governo delle risorse naturali, indispensabili alla vita delle comunità. È necessario lo sviluppo di una strategia complessiva sull’acqua e sul suolo e sistemi connessi, e questo può essere, in tempi rapidissimi, attuato dato il patrimonio già in possesso. Non dimentichiamo che porre in essere un programma razionale ed efficiente di interventi materiali e immateriali comporta un beneficio occupazionale e, quindi, un elemento forte di sostenibilità sociale auspicato dalla stessa Unione Europea. Il nostro Paese può fare molto, sia come definizione di prossimi interventi sia come azione propositiva a livello europeo di programmazione mirata e specifica.

Al riguardo è indispensabile il contributo dei media, che sono più penetranti e ascoltati di noi tecnici, affinché questi problemi abbiano la risonanza, l’interesse e lo sviluppo che meritano e