Tralasciando i presupposti che portarono la Corona d’Aragona a volgere lo sguardo, nel suo piano espansionistico del Mediterraneo, verso la Sardegna, basti dire che nei primi anni del Trecento ebbe inizio una lunga ed intensa attività diplomatica del re d’Aragona Giacomo II, volta al raggiungimento di un accordo con le forze esistenti nell’Isola, in vista della concretizzazione dell’infeudazione pontificia del 1297. La situazione si presentava tutt’altro che priva di difficoltà, per gli interessi politici e commerciali che ruotavano attorno alla Sardegna, in cui nessuno era disposto a perdere le proprie prerogative di potere senza una consistente contropartita. Era in gioco, in effetti, il controllo dei traffici nel Mediterraneo occidentale, da tempo sotto il controllo di Pisa e Genova. La prima, con la sua consistente presenza nell’Isola, costituiva il principale ostacolo alla realizzazione del progetto di Bonifacio VIII. Pisa controllava, infatti, direttamente o indirettamente (signoria dei conti di Donoratico), gli ex giudicati di Gallura e Cagliari, mentre il regno d’Arborea, unico giudicato superstite, costituiva un solido alleato di Pisa stessa. Genova controllava il comune di Sassari ed aveva sotto il suo dominio la Corsica intera. Inoltre i Doria, genovesi, ma non sempre alleati con la repubblica ligure, erano a capo di gran parte del Logudoro, ed i Malaspina, che, in una posizione critica tra Pisa e Genova sia in Sardegna, con i territori di Osilo e Bosa, che nella penisola Italica, potevano guardare ai Catalano-Aragonesi con moderato favore.
Durante la primavera del 1323, Giacomo II (detto il Giusto), sovrano della Corona d’Aragona e primo re di “Sardegna e Corsica”, finito di distribuire i compiti si accingeva col figlio Alfonso - che il 22 dicembre del 1319, per abbandono del fratello primogenito Giacomo, divenne Infante ed erede al trono - a dare inizio all’impresa sarda. Il sovrano sarebbe rimasto a Barcellona ad occuparsi dei problemi organizzativi della spedizione, mentre in Sardegna si sarebbe recato il figlio Alfonso267.
Alfonso, nel giorno della rinuncia del fratello Giacomo, aveva vent’anni e da pochi mesi era padre di Pietro (il futuro Pietro IV il Cerimonioso). L’infante non aveva per niente pratica di governo dato che non ricoprì, fino ad allora, nessuna carica che fosse di pertinenza statale. Tuttavia, nel compiere mansioni amministrative e giudiziarie in nome del padre e nel risolvere problemi di carattere sociale, si dimostro abbastanza capace. Quello che, forse, lo sminuiva era la sua natura gentile e bonaria (che gli guadagnò l’appellativo di Benigno)268.
267
F. C. CASULA, La Sardegna aragonese, vol. I, pp. 138-141.
268
Cinzio Cubeddu: Bosa, Planargia e Montiferru: storia e istituzioni, geografia e toponomastica. Tesi di Dottorato in Scienze Umanistiche e Sociali - Università degli Studi di Sassari
Alla vigilia della partenza per l’impresa in Sardegna l’infante aveva sotto il suo comando una flotta militare, forte di cinquantatre galere, venti cocche, cinque legni e molte altre navi da guerra.
Grazie alla documentazione d’archivio, si conosce quasi tutto sull’organizzazione dell’armata aragonese di Sardegna: costi, materiali, lavoranti, tempi d’esecuzione, difficoltà, merci di carico e ingaggi269.
Per incoraggiare l’arruolamento, il Sovrano aveva emanato “ordini di grazia” per tutti i criminali fino a quindici giorni prima dell’editto, compresi i giocatori, gli eretici ed i falsari; esclusi i rei di lesa maestà.
A capo della flotta c’era l’ammiraglio generale Francesco Carròs, un personaggio rilevante la cui discendenza riempirà di se tutta la successiva storia della Sardegna catalano-aragonese270. Secondo le stime degli esperti, dovevano partecipare all’impresa circa 11.000 uomini, di cui almeno 1.000 cavalieri, 4.000 fanti serventi, 2.000 balestrieri, 3.000 scudieri, 100 cavalieri leggeri con celata, 200 armati delle galere.
In realtà, alla fine i cavalieri e gli uomini a cavallo furono precisamente 1018: 157 dei primi e 861 dei secondi, provenienti dalla Catalogna, Valenza e Aragona, assistiti da 4.000 fanti che non si consideravano veri combattenti ma scorta di sostegno dei cavalieri.
La fanteria vera e propria era formata dagli almogàvers, organizzati in squadre di venticento guerrieri271.
I cavalieri erano tutti nobili appartenenti a famiglie di feudatari che aiutavano il re nell’impresa per dovere di vassallaggio contando di guadagnare in Sardegna onori e privilegi. Infatti, prima ancora di salpare per l’Isola si era stabilito d’infeudare le campagne del Cagliaritano e della Gallura, e d’assegnare le rendite dei paesi e dei territori da conquistare, ai partecipanti all’impresa secondo gli investimenti e le spese sostenute da ciascuno272.
A tutti i cavalieri che si recavano in Sardegna Giacomo II aveva concesso, fra l’altro, la proroga di loro eventuali debiti per tre-quattro anni.
Non si hanno le cifre certe di quanto venne a costare, alla fine, l’impresa catalano-aragonese in Sardegna. I documenti parlano di più o meno 202.000 lire barcellonesi per una campagna militare prevista di quattro mesi, esclusi gli extra, le paghe militari e gli incentivi ai nobili.
269
A. ARRIBAS PALAU, La conquista de Cerdeña por Jaime II de Aragón, Barcellona, 1952.
270
F. C. CASULA, La Sardegna aragonese, vol. I, p.143.
271 F. C. C
ASULA, La Sardegna aragonese, vol. I, p. 144.
272
Cinzio Cubeddu: Bosa, Planargia e Montiferru: storia e istituzioni, geografia e toponomastica. Tesi di Dottorato in Scienze Umanistiche e Sociali - Università degli Studi di Sassari
Nel 1321 vennero approvati nelle Corti di Gerona i “donativi”, che vennero dati controvoglia e con molte resistenze dalle città, arcivescovadi, vescovadi, priorati ed abbazie dei regni. Ma, ci si rese conto, a spedizione ormai più che avviata, che le spese stavano diventando esorbitanti a causa del prolungarsi della guerra. Così Giacomo II si vide costretto a chiedere aiuti all’estero rivolgendosi al papa, al cognato Dionigi di Portogallo, agli Angioini, ai re di Tunisi, al sultano d’Egitto, Tremecén273 e Marocco; ma la richiesta non ebbe i risultati sperati. L’unico che rispose alle richieste d’aiuto del re d’Aragona fu Federico di Sicilia con un ridotto contingente di uomini inviati in Sardegna a campagna militare inoltrata274.
L’armata catalano-aragonese, agli ordini dell’ammiraglio generale Francesco Carròs, lasciò Port Fangós il lunedì 30 maggio 1323, dando concretamente inizio alla spedizione275.