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La chiesa di S. Pietro sorse come cattedrale della nuova diocesi di Bosa, istituita verso il 1060. Alcuni anni prima, nel 1054, si era verificato lo scisma tra la chiesa d’Oriente e quella d’Occidente, e i pontefici, per impedire che anche le regioni occidentali fino ad allora sotto l’influenza dei bizantini, come l’Italia

FIGURA 18: EPIGRAFE LATINA POSTA SUL PILASTRO SINISTRO DELL'INGRESSO PRINCIPALE DELLA CHIESA

Cinzio Cubeddu: Bosa, Planargia e Montiferru: storia e istituzioni, geografia e toponomastica. Tesi di Dottorato in Scienze Umanistiche e Sociali - Università degli Studi di Sassari

meridionale e in parte la Sardegna, si staccassero da Roma, presero diverse iniziative, coinvolgendo anche i principi locali124. Nel Regno di Torres, che era rimasto sempre vicino alla chiesa romana più di quello di Cagliari, non ci fu alcuna difficoltà e furono create, ad iniziare dal 1060 circa, ben sette nuove diocesi, tra cui quella di Bosa, tutte ovviamente di rito latino125.

Stando ad una iscrizione su un coccio di tufo, ora scomparso, che l’archeologo G. Spano afferma di aver letto, l’inizio della costruzione della cattedrale di San Pietro risalirebbe

al 1062126. La chiesa fu consacrata nel 1073 e dedicata a San Pietro dal vescovo

Costantino de Castra, come recita un’scrizione latina oggi collocata sul primo pilastro a sinistra di chi entra nel tempio.Di Costantino de Castra sappiamo poco: fu probabilmente il primo vescovo di Bosa e godeva della fiducia del Pontefice dato che, nello stesso anno della consacrazione della cattedrale bosana, venne nominato arcivescovo di Torres e legato pontificio127.

La costruzione fu probabilmente finanziata dal giudice di Torres Barisone I, lo stesso che nel 1062 chiese all’abate di Montecassino, Desiderio, che poi divenne papa col nome di Vittore III, l’invio nel suo giudicato dei monaci cassinesi128.

Il progetto fu curato, stando a quanto lo Spano lesse nell’iscrizione sopra ricordata, da Sisinnio Etra, che seguì i canoni del romanico longobardo arcaico.

La chiesa, che sorse quindi nello spazio di circa dieci anni, comprendeva soltanto la parte centrale dell’attuale, con pilastri massicci e conci di calcare. Verso il 1112 iniziò così una seconda fase di lavori, durante la quale vennero costruite verso oriente delle false arcate più basse e strette delle precedenti su pilastri in trachite, e l’abside romanico-pisana. Venne innalzato anche il campanile129.

A metà circa del secolo XIII secondo R. Delogu, ma nel secolo XIV secondo lo Scano, si diede l’avvio ai lavori della terza fase, con la costruzione di altre arcate verso occidente, di parte del fianco settentrionale e della facciata. Questa, costruita secondo lo schema gotico franco-borgognone dai cistercensi, che erano in quei tempi anche a Sindia, presenta anche elementi romanici, come gli archetti a tuttosesto intrecciati e posti a coronamento della facciata, l’edicola sulla cuspide e le figure dell’architrave. È

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Normalmente si indica il 1054 come anno dello scisma, ossia quando il Papa Leone IX, attraverso i suoi legati, lanciò la scomunica al patriarca Michele I Cerulario.

125

A. F. SPADA, Storia della Sardegna cristiana e dei suoi Santi, Oristano 1998, vol. II, pp. 15-20.

126

G. SPANO, Bosa Vetus, Bosa 1878, p. 6.

127

G. MASTINO, Un Vescovo della riforma nella diocesi di Bosa, 1591, Cagliari 1976, p. 231.

128 F. C. C

ASULA, La Storia di Sardegna, lemma 239.

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formata da blocchi di trachite rossa di piccole dimensioni e ben squadrati, disposti in filari regolari. Essa appare giustapposta al resto della costruzione poiché i due rosoni laterali quadrilobati non si inseriscono in modo perfetto nelle navate laterali corrispondenti. L’edicoletta sulla cuspide, formata da colonne ofitiche che sostengono un baldacchino a piramide, al cui centro è presente un basamento, rimanda al maestro Anselmo da Como. L’architrave del portale in origine era probabilmente altrove e induce a credere ciò la stessa lastra che a destra è asimmetrica e presenta un incavo per l’incastro, mentre a sinistra il motivo vegetale è interrotto. Le figure umane, alternate con bassorilievi di tipo arcaico, bizantino e proto-romanico, rappresentano da sinistra: S. Paolo apostolo, S. Costantino Magno, la Vergine col Bambino, S. Pietro con le chiavi130. Esse sono inserite in scomparti archiacuti trilobati, mentre motivi fitomorfi separano le due figure centrali degli Apostoli. L’insieme ricorda l’usanza dei Greci di raffigurare l’Imperatore Costantino tra gli Apostoli131.

FIGURA 19,20,21: DA SINSTRA, LA FACCIATA, L'INTERNO E LA LASTRA SOPRA L'ARCHITRAVE DEL PORTONE.

La facciata è scandita da tre grandi archi acuti, che terminano con quattro doccioni raffiguranti i quattro evangelisti: di questi ormai usurati dal tempo, restano il leone di San Marco, lo zoccolo del bue di S. Luca, un’ala dell’aquila di San Giovanni, mentre l’angelo di San Matteo è quasi scomparso. Da notare la simbologia certamente voluta dall’architetto: l’acqua che significa la grazia della fede, scorre sulla parete della chiesa e sgorga dalla bocca degli evangelisti, quasi a ricordare il detto fides ex auditu132.

Presso la chiesa sorgeva l’episcopio, distaccato però da essa, sul lato settentrionale, verso il fiume.

Quando la popolazione si trasferì nel nuovo centro sorto alle falde del castello e l’antica città venne quasi del tutto abbandonata, forse nel secolo XIV-XV, la chiesa non fu dimenticata. I sacerdoti continuarono a celebrare le liturgie e probabilmente durante una

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R. DELOGU, L’Architettura del medioevo in Sardegna, Roma 1953, pp. 72-73; 143-144.

131

A. F. SPADA, Santu Antine. Il culto di Costantino il Grande da Bisanzio alla Sardegna, Nuoro 1989, p.

89.

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di esse alla fine del secolo XVI avvenne un fatto di sangue, per cui il Vescovo Giovanni Francesco Fara sentì il dovere di riconsacrarla e di riaprirla al culto, come egli stesso disse nella relazione al papa Gregorio XIV in data 28 agosto 1591: antiquam bosanen

ecclesia cathedralem S. Petri violatam reconciliavi133.

Nel XVII sec., mentre in tutta l’isola si cercavano reliquie di ogni genere, anche Bosa venne colpita da tale frenesia e il Vescovo Giorgio Sotgia (1682-1701) scrisse alla Santa Sede che nell’antichissima chiesa dei Santi Pietro e Paolo Corpora SS. Martyrum Aemili

et Priami inventa sunt134.

Nello stesso secolo qualcuno tentò di modificare l’iscrizione di Costantino de Castra sostituendo la M della data con una C in modo da leggere 173, invece di 1073. Il risultato del lavoro fatto a scalpello non fu felice ma, la falsa data, fu accolta perfino dal sinodo del Vescovo Nicolò Cani del 10 gennaio 1729135.

Dall’inizio del XX sec. furono eseguiti diversi restauri fino agli ultimi del 1998-99.