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“Corpo e anima”: la formazione infermieristica camilliana

Nel documento Sofferenza e suicidio (pagine 177-185)

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La relazione che ci è stata affidata ha per titolo: “Corpo e anima: la formazione infermieristica camilliana”. Questa relazione non pre- senterà la storia dell’Infermiere né parlerà di tutti i passaggi legisla- tivi; non parleremo del Codice Deontologico e neppure parleremo di Florence Nightingale che noi tutti conosciamo. Proveremo solo ad illustrare molto semplicemente la missione che il Signore ci ha affidato nella Chiesa e in seno all’Istituto delle Figlie di San Camillo, quella cioè di accogliere dei giovani, amarli e insegnare loro come ci si prende cura dell’uomo quando è malato e come gli si sta vicino nell’ultima tappa della vita. Ma certamente anche quello che dirò non sarà esaustivo per illustrare una realtà così dinamica, a volte misteriosa.

“Corpo e anima”: la formazione infermieristica camilliana. Al primo impatto, leggendo “corpo e anima” immediatamente si pensa alla cura del corpo e dell’anima del malato da parte dell’infermiere. In realtà questo titolo si presta ad entrambi i significati e cioè fa pensare sia al corpo e all’anima del malato ma chiama in causa anche chi assiste, e nel nostro caso specifico lo studente infermiere. Dunque questo titolo dice in sintesi tutto quello che ora diremo con le nostre povere parole. Dire corpo e anima è come dire “tutto l’uomo”, infatti la formazione infermieristica camilliana parte dalla formazione di tutto l’uomo, di quell’uomo/donna (giovani e meno giovani) che dovrà prendersi cura di “tutto l’uomo” che vive il tempo della sofferenza e del dolore.

Direttrice della Scuola Infermieristica “P. Luigi Tezza”, Università Cattolica del

Sacro Cuore di Roma, Congregazione delle Suore Figlie di San Camillo.

 Filomena Piscitelli

L’olismo che si studia nelle scienze infermieristiche in relazione ai malati, vale anche per ciascuno di noi: noi assistiamo il malato con tutto noi stessi, con tutte le dimensioni della “nostra Persona”, quindi è fondamentale formare la Persona “Infermiere”, l’uomo/la donna “Infermiere”.

A questo punto è quasi d’obbligo aprire e chiudere una parentesi facendo un brevissimo cenno sulla formazione infermieristica in gene- rale partendo dal Decreto Ministeriale /, art. , in cui si dice che “L’Infermiere è l’operatore sanitario responsabile dell’assistenza gene-

rale infermieristica. L’assistenza infermieristica preventiva, curativa, palliativa e riabilitativa è di natura tecnica, relazionale ed educativa. Le sue principali funzioni sono la prevenzione delle malattie, l’assistenza dei malati e dei disabili di tutte le età e l’educazione sanitaria”.

Questo Decreto disegna la figura dell’Infermiere, definisce i contorni del suo profilo, appunto è definito “Profilo Professionale”; gli Ordinamenti Didattici offrono i piani di studio, le sedi formative attraverso i docenti, i tutor e tutto il corpo professionale preparano lo studente e cercano di dargli quella “forma” prevista dal Profilo Professionale.

La formazione infermieristica camilliana si inserisce in tutto questo discorso con la sua peculiarità caratterizzata fondamental- mente dalle sue radici evangeliche, prima di tutto, e dalla spiritualità camilliana.

Dopo questa brevissima ma doverosa premessa sulla formazione infermieristica in ambito accademico, ci sembra più che opportu- no citare alcuni articoli delle Costituzioni e Disposizioni Generali dell’Istituto Figlie di San Camillo, sulle quali si basa la nostra vita religiosa camilliana. Nella parte prima che tratta del carisma, al- l’articolo  si legge: “La Chiesa ha riconosciuto a san Camillo e al suo Ordine dei Ministri degli Infermi il carisma della misericordia verso i malati e ha indicato in esso la fonte della missione propria, definendo l’opera del fondatore “nuova scuola di carità”. Noi Figlie di San Camillo, abbracciamo con gioia il carisma della misericordia a lui riconosciuto dalla Chiesa e ci riconosciamo oggi nella sua scuola di carità”.

Art. : “Il Padre Luigi Tezza, mosso dallo Spirito, aperto ai segni dei tempi e fedele alla fondamentale ispirazione di San Camillo, fu

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scelto da Dio per trasmettere il carisma della misericordia verso gli infermi alla nostra Congregazione. Nata dal tronco fecondo e bene- detto dell’Ordine Camilliano, la nostra famiglia religiosa, a imita- zione e nella volontà dei Fondatori, si riconosce costituzionalmente unificata nel carisma con i ministri degli Infermi”.

Art. : “Il carisma dunque della nostra Congregazione, trasfuso direttamente dall’Ordine di San Camillo e che ne stabilisce l’indo- le e il mandato, si esprime e si attua nelle opere di misericordia spirituali e corporali verso gli infermi”.

Dal Capitolo sul ministero all’Art. , leggiamo: “Il nostro Isti- tuto [. . . ] si adopera per animare il maggior numero possibile di laici all’amore e al servizio degli infermi”.

E all’art. : “Cooperiamo affinché l’uomo venga posto al centro dell’attenzione nel mondo della salute. Contribuiamo perché la società promuova l’umanizzazione delle strutture e dei servizi sanitari e garantisca, nel migliore dei modi, i diritti del malato e il rispetto della sua dignità personale”.

Infine, dalle Disposizioni Generali, sempre al capitolo sul Mini- stero, all’art.  leggiamo: “Nei limiti del possibile, si aprano scuole proprie per scienze infermieristiche perché danno la possibilità di realizzare, secondo l’intendimento dei fondatori, l’insegnamento di San Camillo la cui opera è stata definita dalla Chiesa “nuova scuola di carità”.

Passiamo ora a mettere a fuoco alcune frasi di san Camillo a noi molto care, pilastri che sostengono tutta la nostra struttura formativa: “È molto poco quello che io faccio! Vorrei avere cento braccia per arrivare a fare molto di più”. Questa espressione uscita dalle labbra e dal cuore ardente del Santo Padre Camillo, è la molla che spinge alla fondazione delle nostre scuole. L’Istituto delle Figlie di San Camillo ha fatto suo questo ardente desiderio del Gigante della carità e davanti all’immenso bisogno dell’uomo che soffre, ha osato gettare nel suo terreno, il seme di questa “nuova scuola di carità”. L’Opera è ancora una volta, opera di Dio ed è per questo motivo che a suo tempo produce frutti buoni.

Diceva san Camillo: “perché desideriamo con la grazia di Dio servir a tutti gli infermi con quell’affetto che suol un’amorevol madre assistere il suo unico figliolo infermo”.

 Filomena Piscitelli

Ai giovani che entrano in questa fucina per diventare infermieri, si insegna ad assistere gli ammalati con l’affetto di una madre che assiste il suo unico figlio infermo, quindi “come una mamma”.

Il concetto di “assistere il malato con lo stesso affetto con cui una madre amorevole assiste il suo unico figlio infermo” non si può dare per scontato in ragazzi di – anni. Ci possono anche essere casi in cui a  anni il giovane/la giovane sono più maturi di un quarantenne, ma normalmente non è così, anzi è tutt’altro. Per cui ciò che sembra scontato, scontato non è! Non è scontato che un infermiere si avvicini ad un malato con rispetto; ma cos’è il rispetto! e cosa significa rispettare la dignità del malato, e cosa significa guadagnarsi la fiducia di colui che si assiste e come si guadagna questa fiducia? Non è scontato pensare che quando esco dalla stanza mi premuro di raccomandare al paziente che se ha bisogno mi può chiamare e quindi gli avvicino il campanello; non è scontato capire che un paziente immobilizzato a letto può essere bisognoso di avere a portata di mano il comodino, l’acqua, il telefono, il fazzoletto, ecc.; neppure è scontato che prima di compiere qualsiasi procedura su di lui, gli si chieda il permesso!”

Qualcuno potrebbe dire, a ragione, che tutto ciò è contenuto nei testi della disciplina infermieristica e che tutti gli studenti infermieri di tutte le sedi formative del mondo studiano queste cose.

Il passaggio fondamentale è proprio quello di far passare, un concetto che si studia, dalla mente al cuore e dal cuore alle mani. Solo così possiamo chiedere a noi stessi e a chi formiamo, ciò che chiedeva Camillo ai suoi religiosi: “Più anima, figlioli miei, in quelle mani, più cuore!”

Dunque una formazione non solo tecnica ma profondamente umana. Un ambiente familiare dove i formatori si prendono cura dello studente e del suo percorso, non trascurando nulla di quello che è il comportamento manifesto per poterlo correggere e/o indirizzarlo.

Considerando gli svariati contesti di provenienza dei nostri gio- vani, sempre più ci si rende conto dell’importanza di un accom- pagnamento individuale, umano prima di tutto e poi anche tec- nico–professionale. Come passare da una sponda all’altra? Come raggiungere il cuore? Come provocare il cambiamento? Come far

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emergere tutto il bene che portano dentro questi giovani che, con- trariamente a quello che si può pensare, sono ricchi di sensibilità, desiderosi di sincerità, aperti alla diversità? Da dove si parte?

Dalla Relazione! Se la relazione è uno degli aspetti fondamentali dell’esercizio della Professione Infermieristica (come recita il DM /) che abbiamo visto precedentemente, si deve necessariamente formare il giovane a vivere bene la Relazione in tutte le sue mille sfumature. Ci insegnava P. Giuseppe Cinà nei nostri anni di formazione in noviziato, che è nella relazione con gli altri che noi diveniamo! Noi siamo il frutto delle relazioni con gli altri, ogni relazione, ogni incontro, contribuisce al cambiamento, trasforma, matura.

La conoscenza della figura e della vicenda di san Camillo e della sua rivoluzione assistenziale e la messa in pratica dei suoi insegnamenti è dunque l’humus in cui lo studente che viene nella nostra sede cresce giorno per giorno nell’alternanza dell’aula e della corsia; dei rapporti con i compagni, i docenti, i tutor, il personale ausiliario e di segreteria e dei rapporti con i malati, con gli Infermieri, con le suore, con le altre figure professionali che ruotano attorno al malato; si cammina e si cresce insieme, in una vita che si svolge, giorno dopo giorno, nella semplicità e nella verità dei rapporti anche quando sono difficili! Questa vita che si svolge qua dentro, sia quando la accettano consapevolmente che quando no, li forma, li forgia, li cambia, li fa diventare uomini e donne più maturi!

Tante sono le esperienze vissute insieme in collaborazione tra studenti dei  anni di corso, oltre alle attività ordinarie costituite dalla didattica frontale e dal tirocinio professionale: convegni, semi- nari, lavori di gruppo, gita di fine anno, svaghi, sport, ritiri spirituali, Celebrazioni liturgiche (specialmente le feste di san Camillo e dei beati p. Luigi Tezza e Madre Giuseppina Vannini), l’accoglienza delle matricole, le giornate universitari, il pellegrinaggio a Bucchia- nico, il coro e le prove di canto, il saluto ai laureandi, ecc. E poi le emozioni di ogni giorno visibili in queste foto.

A questo punto, se io fossi al vostro posto chiederei: ma . . . tutto bello? Sarà tutto vero?

Vi assicuro che non è tutto bello, ma è tutto vero! Accade pro- prio come in una famiglia dove, nonostante tutta la cura che si è messa nell’educare ben i propri figli, si vivono purtroppo dei

 Filomena Piscitelli

fallimenti. Perché c’è lo studente difficile, quello che va fuori corso e non lo accetta, quello che ti si rivolta contro perché le Regole e la disciplina gli stanno strette, quello che è giù di morale e non viene a tirocinio, quello che vive problemi e disagi familiari, quello che non è mai contento e si lamenta di tutto. . . Per non parlare poi dei nostri limiti, tanti!. . . . i nostri errori nella comunicazione, la nostra stanchezza, quando non riusciamo a raggiungerli, a comprenderli e ad aiutarli nel modo giusto.

E allora, come procedere? Quale il percorso?

Con la gradualità dell’amore, Dio si prende cura di loro attraver- so di noi, affinché loro siano capaci, un giorno, di prendersi cura di Lui, che si nasconde nell’uomo infermo. E poi ci viene in aiuto la pedagogia del Beato Padre Luigi Tezza, una pedagogia che non etichetta nessuno, che sa attendere, che fa leva sul positivo, perché possano dare il meglio di sé.

Quando un giovane arriva nella nostra scuola, egli non sa, non può sapere cosa sia la Professione che ha scelto, l’inizio del percorso formativo gli cambia letteralmente la vita. L’infermiere che egli diventerà si costruisce giorno per giorno, non si improvvisa dall’ul- timo giorno d’aula, alla laurea come per incanto! E nel rapporto quotidiano con il formatore, in una relazione di fiducia, che non crea le distanze tra i ruoli, si insegna a servire, prima tra di loro, ad andare in profondità nelle cose, nelle scelte, si invita a rinnovare la motivazione, si incoraggia, si supporta, si dialoga, soprattutto si ascolta.

A testimonianza di quanto detto riporto alcune testimonianze di ex studenti:

All’inizio avevo il terrore di ritrovarmi dispersa all’interno di un sistema troppo complicato, freddo e rigido; dove ognuno doveva essere in grado di gestire le proprie attività, (lezioni, esami, ecc..) proprio come avviene in tutte le università. Al contrario, ho trovato un ambiente familiare e tranquillo, dove potevo sempre contare su qualcuno per qualsiasi dubbio. Il percorso sarà stato anche duro, ma ne è valsa la pena. Oggi posso dire che esercito la mia professione non solo con le mani ma anche con il cuore e ne vado fiera. (C.M.)

Dal primo giorno di tirocinio abbiamo quella voglia di imparare le procedure, come si incanula una vena, come si posiziona un catetere

“Corpo e anima”: la formazione infermieristica camilliana  vescicale. Ma questo percorso ci permette di soffermarci sulla Persona che abbiamo di fronte, sui bisogni primari che ha bisogno di soddisfare. Allora, prima di fare qualsiasi cosa, prima di imparare ad incanulare una vena, comprendiamo dei principi più profondi, umani, come per esempio il pudore, la persona, il corpo, l’anima che hanno bisogno di rispetto, di assistenza, di delicatezza, di carità. (S.S.)

Se posso dirle una cosa . . . . Vi ringrazio per tutta l’umanità che mi avete insegnato perché non ne ero a conoscenza. E Vi ricordo sempre e Vi ringrazio per tutti gli insegnamenti sia teorici che umani che mi avete insegnato verso la persona malata. (P.S.)

Il malato quando entra in ospedale ha bisogno di essere rassicurato, ha bisogno di gesti di affetto, di gentilezza e di cortesia e ne hanno bisogno anche i suoi familiari; donare un sorriso o strappar loro un sorriso deve diventare un impegno quotidiano. Io, grazie agli insegnamenti ricevuti durante gli anni di formazione infermieristica in questa scuola, penso di aver acquisito e maturato anche quegli atteggiamenti umani che mi permettono di svolgere il mio lavoro, accanto a chi soffre, non solo con professionalità ma anche con dedizione e rispetto. Nei confronti di altri colleghi, non penso di essere superiore o di lavorare meglio ma penso di avere una marcia in più e penso di ritenermi fortunato di avere incontrato la misericordia, affascinato dall’atteggiamento di Gesù, quello di chinarsi sull’uomo e sulla donna malata, per fasciare non solo le ferite fisiche ma anche quelle dell’anima. (C.A.)

Lungo il percorso formativo siamo cambiati, siamo cresciuti, siamo maturati, siamo diventati uomini e donne nuovi. Insieme alle discipline teoriche e pratiche da apprendere per formare il proprio bagaglio pro- fessionale, la nostra scuola ci ha dato la possibilità di conoscere lo spirito di san Camillo che ha contribuito affinché noi potessimo diventare dei professionisti dell’assistenza. Concludo riportando il mio pensiero sul- l’assistenza infermieristica: “L’assistenza infermieristica è un’arte: l’arte del prendersi cura, l’arte del dare la vita, l’arte del preservare la vita, l’arte del ricevere la vita e di poterla vivere anche con delle sofferenze. (S.S.)

Sentiamo forte dentro di noi una spinta a ringraziare il Signore perché si è degnato di servirsi di noi per donare amore a questi giovani e accompagnarli per un breve tratto di vita verso una Pro- fessione che può essere vissuta pienamente solo se vissuta come una missione, quella della misericordia.

 Filomena Piscitelli

Grazie Signore

per i tuoi innumerevoli benefici! Chiama ancora operai alla tua messe

e rendici capaci di accoglierli come tuoi tesori messi nelle nostre mani e affidati ai nostri cuori. Fa’ che possiamo essere guide valide

nella formazione di queste cento braccia di misericordia,

perché imparino a servire con amore le membra sofferenti del Tuo Corpo.

Mi sento di concludere con questa Solenne Promessa del Santo Padre Camillo: “Mando a tutti mille benedizioni non solamente ai presenti ma anche ai futuri” (Roma,  luglio . Camillo de Lellis).

Camillianum. Anno XVII, III quadrimestre, n. 51/2017

ISBN 978-88-255-1294-6 DOI 10.4399/978882551294615 pag. 185–193 (aprile 2018)

Nel documento Sofferenza e suicidio (pagine 177-185)