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Corporate Social Responsibility: International Perspectives

1. LE IMPRESE SOCIALI NELLA TRADIZIONE ECONOMICO-AZIENDALE

1.4. La letteratura internazionale in materia di Social Entrepreneurship

1.4.6. Corporate Social Responsibility: International Perspectives

presentano una rapida panoramica delle posizioni assunte da vari ricercatori in merito alla RSI nel corso degli anni, evidenziando come il concetto di RSI si sia evoluto nel tempo e prestando particolare attenzione alle difficoltà che ostacolano la globalizzazione degli attuali concetti di RSI.

In concomitanza con il dilagare degli scandali che hanno investito il settore aziendale e le organizzazioni globali, i ricercatori hanno iniziato ad osservare le responsabilità etiche e sociali da una prospettiva più globale. Questo processo, tuttavia, è stato ostacolato dalla mancanza di una ricerca che abbia una prospettiva globale. Gran parte della letteratura esistente al riguardo, infatti, è stata elaborata sulla base di una prospettiva statunitense o europea, e ciò non deve sorprendere, se si considera la diversità di culture, leggi ed istituzioni che caratterizzano l'ambito della responsabilità sociale.

In occasione del workshop sulla RSI tenutosi nella primavera del 2005, co-ospitato presso la Nottingham University Business School e la University of Illinois, vari ricercatori provenienti da Stati Uniti, Messico ed Europa hanno presentato documenti elaborati sulla base di una prospettiva più globale della RSI, alcuni dei quali sono stati selezionati e pubblicati proprio in quanto offrono una prospettiva internazionale della RSI.

Questo documento introduttivo è suddiviso in due parti: la prima evidenzia alcune importanti aree di ricerca sulla RSI, che contribuiscono

ad inquadrare gli aspetti più importanti di questa materia, mentre la seconda presenta una breve descrizione dei documenti selezionati indicando in che modo essi contribuiscano allo sviluppo di una prospettiva internazionale sulla RSI.

McWilliams e Siegel definiscono la RSI come quelle situazioni in cui l'azienda va oltre e si impegna in azioni che favoriscono un certo benessere sociale, travalicando gli interessi dell'azienda stessa e la mera osservanza delle disposizioni di legge. Si tratta soltanto di una delle interpretazioni della RSI, che consente però di svolgere la ricerca oltre la semplice definizione e identificazione delle relative attività, esaminando seriamente il ruolo della RSI nell'ambito delle organizzazioni.

Uno dei primi e più frequentemente citati punti di vista sulla RSI è stato quello esposto da Friedman – e richiamato in precedenza –in un articolo pubblicato nel 1970 sul New York Times, nel quale sosteneva che la responsabilità dei manager è quella di massimizzare gli utili a beneficio degli azionisti e che qualsiasi azione intesa a favorire il benessere sociale, scavalcando gli interessi degli azionisti può essere considerata come derivante da un problema aziendale interno. Ciò significa che i manager che utilizzano le risorse aziendali per favorire il benessere sociale lo fanno a scopo personale, ad esempio per promuovere la propria immagine.

La teoria di Friedman è stata messa in discussione inizialmente da Carroll117, che nel 1979 ha tracciato un quadro schematico della RSI, il quale include la filosofia della reattività sociale, gli aspetti sociali interessati e le categorie di responsabilità sociale. Tale schema ha

117 A. CARROLL, A three dimensional model of corporate performance, in “Academy of Management

consentito ai ricercatori di testare il rapporto che intercorre tra responsabilità sociale e performance finanziaria dell'azienda.

Successivamente verso la fine degli anni’90, diversi ricercatori hanno applicato detto quadro per esaminare una problematica globale relativa alla RSI, quella dell'apartheid. In ciascun caso, i ricercatori hanno stimato l'impatto finanziario sulle imprese che hanno deciso di ritirarsi dal Sudafrica. McWilliams e Siegel118 nel 1999 hanno criticato questo approccio, sostenendo che in 'azienda vi sono diverse parti interessate, quindi occorre valutare l'impatto su ciascuna di esse (dipendenti, clienti, fornitori, altre aziende sudafricane, comunità locali, ecc.) per cui è inadeguato tenere conto unicamente della parte interessata finanziariamente.

Un’alternativa simile alla teoria di Carroll è quella elaborata da Freeman nel 1984 – e più volte richiamata nel presente lavoro –, il quale sostiene che la RSI costituisce un elemento basilare nel ruolo del management, in quanto in un'azienda vi sono diverse parti interessate i cui interessi vanno tenuti in considerazione, dato che l'azienda stessa non potrebbe sopravvivere senza il sostegno delle medesime. Detta tesi è stata ulteriormente ampliata da Donalsdon e Preston119 nel 1990, introducendo la teoria della "stewardship" (conduzione aziendale), secondo la quale esiste un imperativo morale che orienta i manager a “fare la cosa giusta”, indipendentemente dal modo in cui le loro decisioni potrebbero influire sulla performance finanziaria dell’azienda. Ovviamente, a livello internazionale è difficile stabilire quale sia “la cosa giusta da fare”.

118 A.MCWILLIAMS,D.SIEGEL, Issues in the use of event study methodology: a critical analysis of

corporate social responsibility studies, in “Organizational Research Methods”, 2, 1999.

Tale teoria è stata ripresa da Jones120 il quale ha concluso che le aziende che mantengono un rapporto commerciale continuativo con le diverse parti interessate sulla base della fiducia e della cooperazione sono motivate ad essere oneste, affidabili ed etiche, perché adottando questo comportamento il ritorno è alto. Lo stesso concetto è ampliato da Fombrun e Shanley121, i quali sostengono che il ritorno di un comportamento socialmente responsabile si calcola in termini di reputazione aziendale. In quest’ottica, perciò, la RSI può considerarsi un elemento della strategia aziendale, e in tal caso, occorre esaminarne le attività attraverso le lenti dell'approccio fondato sulle risorse (Resources Based View - RBV). La RBV presume che le aziende siano insiemi di risorse e capacità eterogenee imperfettamente mobili nell’ambito dell'azienda stessa e che l'imperfetta mobilità delle risorse eterogenee possa generare vantaggi competitivi per quelle aziende che dispongono di risorse e capacità superiori.

McWilliams e Siegel – in un lavoro del 2001122 – hanno utilizzato un modello basato sulla RBV per studiare l'investimento ottimale in RSI. In questo modello le attività e gli attributi connessi alla RSI possono essere utilizzati in una strategia di differenziazione per cui i manager possono determinare il livello appropriato di investimenti da effettuare in RSI conducendo un'analisi costi-benefici, allo stesso modo in cui si analizza la fattibilità di altri investimenti.

Applicando la RBV alla RSI si arriva naturalmente alla questione centrale, se cioè le aziende possono avvalersi della RSI per ottenere un

120 T. JONES, Instrumental stakeholder theory: A synthesis of ethics and economics, “Academy of

Management Review”, Vol. 20, 1995.

121 C.FOMBRUN, M.SHANLEY, What’s in a name? Reputation building and corporate strategy, in

“Academy of Management Journal”, Vol. 33, 1990.

122 A.MCWILLIAMS,D.SIEGEL, Corporate social responsibility: A theory of the firm perspective, in

vantaggio competitivo sostenibile. Reinhardt123 ha affrontato l'argomento concludendo che un'azienda che si impegna in una strategia basata sulla RSI potrebbe sostenere un ritorno fuori dalla norma solo se riuscisse ad impedire ai concorrenti di imitare la sua strategia. Tale conclusione è in linea con la formulazione VRIS di Barney124, secondo la quale il vantaggio competitivo sostenibile prevede che le risorse siano di Valore (V), rare (R), inimitabili (I) e non sostituibili (S). Nei mercati competitivi è improbabile che un'azienda riesca ad impedire alla concorrenza di imitare la propria strategia basata sulla RSI, quindi il vantaggio competitivo basato su attività/attributi connessi alla RSI ha vita breve. Tuttavia, ciò significa anche che le aziende concorrenti devono imitare le attività in termini di RSI per raggiungere la parità competitiva. Alla luce di ciò, sarebbe quindi opportuno stabilire se tali attività vadano considerate "responsabili", piuttosto che semplicemente strategiche. Questa domanda è stata formalizzata da Baron125, il quale afferma che: “it

is the motivation for the action that identifies socially, as opposed to privately responsible action” (è la motivazione dell'azione che la

identifica come socialmente responsabile, piuttosto che come privatamente responsabile): se la motivazione è quella di offrire un servizio alla società, anche penalizzando gli utili, l'azione è socialmente responsabile; se invece la motivazione è quella di generare profitti, l'azione è privatamente responsabile, come Friedman sostiene che dovrebbe essere sempre. In ogni caso, ciò non toglie che alcune attività, seppure motivate dall'interesse a generare profitti, generino comunque benefici sociali. Ad esempio, vi sono alcune forme di assistenza sociale

123 F. REINHARDT, Environmental product differentiation, in “California Management Review”, Vol.

40, 1998.

124 J. BARNEY, Firm resources and sustained competitive advantage, in “Journal of Management”, Vol.

17, 1991.

che producono benefici sociali riducendo la criminalità giovanile e limitando l'assenteismo scolastico. È difficile talvolta distinguere tra attività socialmente e privatamente responsabili.

2. LE IMPRESE SOCIALI NELLA DISCIPLINA