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La corrispondenza di Innocenzo III con Alessio III Angelo e Giovanni X Camateros (1198-1202).

La corrispondenza di papa Innocenzo III con Costantinopoli (1198-1202)

B. La corrispondenza di Innocenzo III con Alessio III Angelo e Giovanni X Camateros (1198-1202).

La corrispondenza tra Roma e Costantinopoli che prese il via dall’iniziativa di Alessio III Angelo si protrasse fin quasi alla vigilia della quarta crociata. Tra il 1198 e il 1202 ci furono una serie di ambascerie e scambi epistolari che, oltre alle questioni di ordine politico, diedero l’occasione ad entrambe le parti di avere un ricco confronto ideologico ed ecclesiologico così come non lo si era avuto fin dallo scontro del 1054. Infatti, «alcune di queste lettere daranno l’occasione all’una e all’altra parte, proprio alla fine del secolo, di fare il punto sulla loro rispettiva dottrina riguardante il primato del vescovo di Roma»507, fornendo ad Innocenzo III sia la possibilità di inaugurare la sua politica orientale, sia di esporre una «dimostrazione in regola del primato papale (…) frutto della speculazione teologica del secolo XII»508.

Da un punto di vista di rilevanza dottrinale ed ecclesiologica, il dossier epistolare di Innocenzo III verso il basileús e il patriarca è composto da cinque lettere509: le prime due risalgono all’agosto del 1198, in risposta alla prima ambasceria di Alessio III; le successive sono del novembre 1199, le quali rappresentano gli scritti teologici ed ecclesiologici più ricchi e importanti; ed infine l’ultima epistola del 1201/1202 diretta ad Alessio III, nella quale il pontefice riprese le proprie teorizzazioni a proposito del rapporto tra imperium e sacerdotium. La prima missiva di Alessio III Angelo, inviata presumibilmente a Roma nella primavera del 1198 nella quale si chiedeva (secondo il Norden) la corona imperiale d’Occidente510, non è pervenuta sino a noi. La documentazione epistolare inizia allora con le risposte di Innocenzo III che inviò nell’agosto 1198 ad Alessio III e al patriarca Giovanni X Camateros.

507 Spiteris, La critica bizantina, p. 250.

508 Così si trova in Spiteris, Ecclesiologia ortdossa, p. 219 senza però il riferimento bibliografico all’opera del Grumel. 509 Per la cronologia della corrispondenza epistolare si veda Fedalto, La Chiesa latina in Oriente, I, pp. 225-234.

510 In base alla risposta del 1198 di Innocenzo III, il Norden tenta di ricostruire alcune argomentazioni del basileús: «Wir sind die beiden einzigen Welmächte: die eine römische Kirche und das eine Keisertum der Nachfolger Justinians, deshalb wollen wir uns zusammenschliessen und das Wiederemporkommen der abendländischen Kaisergewalt, unser beider Rivalin, verhindern uns bemühen» (Norden, Das Papsttum und Byzanz, p. 134).

Entrambe le lettere, seppur con differenti toni e prospettive, affrontarono il tema del soccorso alla Terra Santa, dell’unità ecclesiale e della necessità del ritorno della Chiesa greca nella comunione con la Chiesa romana, radicalizzando ulteriormente i criteri d’ecclesialità già esposti dai papi del secolo XII. Ne forniscono una testimonianza anche i Gesta di Innocenzo III, che riportarono parte del dossier epistolare verso il mondo greco:

«Saputo dell’elezione del signor Innocenzo, l’imperatore di Costantinopoli Alessio gli mandò illustri messaggeri con doni preziosi, pregandolo di visitare il suo impero tramite suoi legati. Egli allora vi inviò il suddiacono Alberto e il notaio Albertino, e avvertì per loro tramite l’imperatore, con una lettera, di dedicarsi al soccorso della terra santa, alla quale fra tutti i principi cristiani poteva più facilmente portare aiuto per l’abbondanza delle sue ricchezze e per la vicinanza dei luoghi, e anche di riportare la Chiesa dei Greci all’obbedienza della sede apostolica, sua madre, dal cui magistero si era separata, persistendo per lungo tempo nel suo orgoglio. Altrimenti saprebbe per certo di non poter nascondere che a tal riguardo non avrebbe potuto esercitare il suo ufficio, quando acquistasse giustizia nel giudicare. In proposito scrisse al patriarca di Costantinopoli e lo invita a indurre a questo l’imperatore.»511

La lettera ad Alessio III Angelo, dopo un incipit teso ad esaltare la dignità imperiale512, cercò di fornire delle veloci ed essenziali giustificazioni alle sue richieste. E per quanto riguarda la necessità di appoggiare una spedizione per soccorrere i Luoghi Santi si fece leva sulla vicinitas locorum e sulla habundantia divitiarum e sulla potentia imperiale:

«Verum, ut non ad detractionem, sed tuam potius correctionem loquamur, miramur non modicum: murmurat etiam adversum te populus christianus, immo etiam ipse Jesus Christus verbis illis te increpat: «Hospes fui, et non collegisti me; infirmus, et non visitasti me; in carcere, et non venisti ad me.» Cum enim peccatis nostris exigentibus venerint gentes in hereditatem Domini et coinquinaverint templum sanctum eius, immo etiam ipsum Iesum Christum quodammodo, captivaverint lignum sancte crucis, in qua salus mundi pependit et delevit cirographum mortis antique, in qua etiam apostolus se asserit gloriari, - «Michi absit» inquiens «gloriari, nisi in cruce Domini nostri Jesu Christi» -, nec Christo exuli subvenire nec ad liberationem terre nativitatis ipsius intendere hactenus - sicut debueras - curavisti; cum tam ex vicinitate

511 Gesta di Innocenzo III, p. 109.

512 «Illustri Constantinopolitano imperatori. Imperialis excellentie magnitudo - si se coram eo humiliaverit, qui humilia respicit et alta a longe cognoscit, et super eo sui stabilieri imperii fundamentum, preter quod aliud poni non potest, quod est Christus Jesus, et super quo ipse Dominus noster nascentis ecclesie posuit fundamentum, «Super hanc petram», inquiens, «edificabo ecclesiam meam» - exaltabitur et elevabitur, quoniam ornnis, qui se humiliat, exaltabitur secundum testimonium Ueritatis et firmabitur et non flectetur: quoniam edificium, quod super hoc fundamentum consistit, nec casum timet nec ad machinas formidat hostiles. Ut autem firmius et fortius imperium tuum in huius fundamenti firmitate persistat, oportet, ut Deum universistuis affectibus anteponas et sponsam eius, Romanam ecclesiam, cuius ipse fumdamentum et fundator existit, precipue venereris: ut dum in dilectione sponsi et sponse perstiteris unitate, ex nulla parte celsitudinis tue sublimitas quatiatur.» (Die Register, I, 353, p. 526)

locorum quam habundantia divitiarum tuarum et potentia, qua inimicos crucis munere divino precellis, id potueris commodius et expeditius aliis principibus adimplere.»513

Mentre per introdurre il tema del ritorno della Chiesa greca all’obbedienza della Sede apostolica vennero riprese alcune immagini metaforiche dell’unità ecclesiale:

«Est etiam aliud, propter quod [non] solum adversus te, immo etiam adversus Romanam ecclesiam, que id hactenus quasi sub dissimulatione transivit, murmurat populus christianus: Cum enim Dominus noster unam sibi sponsam elegerit, non habentem maculam neque rugam, iuxta quod in Canticis protestatur: «Una est» inquiens «dilecta mea, sponsa mea, columba mea, et in Evangelio dicit: «Alias oves habeo, que non sunt ex hoc ovili, et illas oportet me adducere, ut fiat unum ovile et unus pastor, cum etiam inconsutilis tunica Christi divisa non fuerit et in Simbolo contineatur expresse: «Credo unam sanctam catholicam et apostolicam ecclesiam», Grecorum populi ab unitate apostolice sedis et Romane ecclesie recedentes, que disponente Domino cunctorum fidelium mater est et magistra, sibi aliam ecclesiam confinxerunt, si tamen, que preter una est, ecclesia sit dicenda.»514

Così, dato che i Greci si separarono dall’unità della Chiesa romana, maestra, madre di tutti i fedeli e sponsa eius (il Cristo), Innocenzo III espose le proprie richieste, poiché «non possumus ulterius sub dissimulatione transire, quin nostrum exequeremur officium, cum per Dei misericordiam tempus acceperimus iusticiam iudicandi»515:

«Ut igitur in utroque predictorum murmur sileat populi christiani, immo ut Christum tibi reddas propicium, celsitudinem tuam rogamus, monemus et exhortamur in Domino et in remissionem iniungimus peccatorum, quatinus postpositis aliis sollicitudinibus viriliter ac potenter assurgas in adiutorium Jesu Christi et ad terram illam, quam ipse proprio sanguine comparavit - de qua in Psalmo habetur: «Homo factus est in ea et ipse fundavit eam Altissimus» et alibi: «Deus, rex noster, ante secula operatus est salutem in medio terre» -, liberandam de manibus paganorum et restituendam pristine libertati, ut in ea nomen Domini glorificetur in secula, sicut tantus princeps manum extendas et exercitum dirigas copiosum, sperans in eo qui est spes omnium, qui non deserit sperantes in se, quod paganorum multitudinem a facie tui exercitus effugabit. Nos enim remissionis et protectionis, quam propter hoc aliis principibus christianis indulsimus, te volumus esse participem, dummodo ad succursum terre sancte potenter assurgas. Studeas etiam, immo sicut potes efficias, ut Grecorum ecclesia redeat ad sedis apostolice unitatem et ad matrem filia revertatur, ut oves Christi ab uno pastore regantur, sicut ei mandatur a Domino: «Si diligis me, Symon Petre, pasce oves meas», ut et sub uno capite cuncta membra corporis connectantur, ilio videlicet, cui Dominus ait: «Tu vocaberis Cephas, quod caput interpretatur»516.

513 Ibid.

514 Ibid., pp. 526-527. 515 Ibid., p. 527. 516 Ibid.

Tuttavia, i due pilastri su cui si fonda la percezione della Chiesa greca di Innocenzo III, ovvero il carattere esclusivo della Sede apostolica quale vera Chiesa di Cristo e la conseguente necessità del ritorno della cristianità greca in seno ad essa, vengono esposti con maggior incisività teologico-scritturistica nell’altra lettera inviata a Costantinopoli nel 1198. L’epistola al patriarca Giovanni X trattò infatti delle medesime tematiche, ma con un approccio più diretto:

«…Patriarche Constantinopolitano.

Reprobata quondam propter ingratitudinis vicium perfidia Iudeorum et oblato sinagoge, quia non cognovit tempus visitationis sue, libello repudii, unam sibi ecclesiam ex gentibus congregatam, non habentem maculam neque rugam, Dominus noster elegit, iuxta quod legitur in Canticis canticorum: «Una est electa mea, sponsa mea, immaculata mea». Ipse quoque Dominus Jesus Christus unum esse ovile ovium et unum pastorem in evangelio protestatur et in apostolorum Symbolo unam esse catholicam et apostolicam ecclesiam fides catholica profitetur. Hanc autem idem Dominus Jesus Christus in seipso lapide angulari funda vit et eius magisterium apostolorum principi beato Petro, cui licet insufficientes in apostolatus successimus dignitate, concessit: «Tu es», inquiens, «Petrus et super hanc petram edificabo ecclesiam meam», et paulo post subdidit: «Et tibi dabo claves regni celorum». Ei etiam curam ovium suarum eodem verbo tercio repetito commisit dicens: «Pasce oves meas». Et quod eius fides numquam deficeret se orasse fatetur, loquens ad eum in evangelio: «Ego pro te rogavi, Petre, ut non deficiat fides tua, et tu aliquando conversus confirmas fratres tuos.» Preterea, licet universis apostolis dixerit in commun: «Accipite Spiritum sanctum, ut quorum remiseritis peccata, remittantur eis» ad eum tamen verbo utitur speciali, dicens: «Quodcumque ligaveris super terram_erit ligatum et in celis quodcumque solveris super terram erit solutum et in celis.» Hoc autem Grecorum populus non attendens aliam sibi confinxit ecclesiam - si tamen, que preter unam est, ecclesia sit dicenda - et ab apostolice sedis unitate recessit, nec constitutionem Domini nec Petri magisterium imitatus, et inconsutilem vestem Domini, cui crucifixorum manus in aliarum vestium divisione pepercit, scindere usque hodie - licet frustra - conatur: non attendens, quod una tantum extitit archa, intra quam sub uno rectore quicumque fuerunt leguntur in cataclismo salvati, qui autem extra ipsam inventi sunt, omnes in diluvio perierunt.»517

L’impianto logico della lettera è teso a riproporre la Chiesa di Roma come unica e vera Chiesa attraverso metafore sull’unità ecclesiale a partire dalle classiche immagini veterotestamentarie presenti nel Cantico dei cantici (5, 2) e in Genesi 6-8. La Sede apostolica è pertanto la sponsa Christi, la foederis arca, realtà visibile e salvifica dell’unica Chiesa fondata da Cristo su Pietro. Infatti, «tutta l’argomentazione del papa si fonda sul fatto che esiste una sola Chiesa fondata su Cristo e su Pietro, cioè sull’istituzione papale»518, in cui solo uno è l’ovile, solo uno il pastore

517 Die Register, I, 354, pp. 528-529. 518 Congar, Désunion et Affrontement, p. 140.

che insieme e per volontà stessa di Cristo, ha la dignità e l’autorità di guidare la Chiesa universale, ovvero Pietro e i pontefici romani suoi successori.

In tale epistola, pertanto, Innocenzo III reintrodusse inizialmente i due pilastri ideologici con cui si volevano giustificare le pretese primaziali romane verso l’Oriente greco, frutto della tradizione papale dei secoli XI e XII: l’assolutizzazione della figura del capo degli apostoli e l’unicità mistica e giuridica della Chiesa universale. Tali fondamenti erano stati già alla base di alcune lettere della seconda metà del secolo XII, proiettate verso una sistematizzazione del primato romano che facesse leva sull’essenziale ma incisiva proposizione di tali lessemi primaziali. Le lettere di Adriano IV a Basilio d’Ocrida e di Alessandro III a Michele III d’Anchialos avevano già esposto sia le metafore scritturistiche per proporne l’assioma dell’unicità della Chiesa: «Nam una sola est Ecclesia et una sola sanctificationis arca, in quam unumquemque fidelium a diluvio servari oportet» scrisse papa Adriano IV, in cui la Chiesa greca era simboleggiata come la dracma perduta, la pecorella smarrita, ribadendo di conseguenza la necessità del ritorno all comunione con il beato Pietro «ut Ecclesia Dei non possit divisa consistere, ut omnem animam viventem e praesentis diluvii procellis intra unam arcam Ecclesiae congregari oporteat ad beatum Petrum omnium fidelium gubernatorem»519.

Furono argomentazioni che verranno poi riprese da papa Alessandro III nel 1173 al patriarca Michele III: «Καὶ ἡ σοφία ἐν τοῖς ἄσµασι τῶν ᾀσµάτων περὶ τῆς ἐκκλησίας λέγει· µία ἐστὶ περιστερά µου, µία ἐστὶ καλή µου», identificando la figura femminile e la colomba nella sede del beato Pietro in virtù delle disposizioni divine presenti in Mt. 16, 18 e Lc. 22, 32:

«Οἶδας γὰρ πάντως ὡς ἀνὴρ προσεκτικὸς καὶ διακριτικός, ὅπως ἡ τοῦ θεοῦ ἐκκλησία οὐδεµίαν ὑποφέρειν ὀφέλει κατατοµὴν καὶ πῶς µόνῳ τῷ Πέτρῳ εἴρηται παρὰ τοῦ κυρίου· σὺ εἶ Πέτρος καὶ ἐπὶ ταύτῃ τῇ πέτρα οἰκοδοµήσω µου τὴν ἐκκλησίαν, καὶ ἀλλαχοῦ· ἐγὼ ἐδεήθην περὶ σοῦ, Πέτρε, ἵνα µὴ ἐκλείπῃ ἡ πίστις σου, καὶ σύ ποτε ἐπιστρέψας, στήριξον τοὺς ἀδελφούς σου»520.

Innocenzo III ripropose allora la medesima struttura logica e ideologica, argomentando la necessità del ritorno della Chiesa greca nell’unica arca di salvezza, nell’unico ovile rappresentato dalla inconsutilis vestis di Cristo non lacerata al momento della sua crocefissione. E dato che il Graecorum populus…ab apostolice sedis unitate recessit, e come scrisse ad Alessio III «sibi aliam ecclesiam confinxerunt, si tamen, que preter una est, ecclesia sit dicenda»521, essi dovevano ritrovare la comunione con il successore di Pietro e la sua sede, maestra e madre di tutti i fedeli,

519 Acta Romanorum Pontificum, p. 799. 520 Hofmann, Papst und Patriarch, p. 76. 521 Die Register, I, 353, p. 527.

in quanto unico criterio, unica condizione necessaria e indispensabile per poter sopravvivere in ambito ecclesiale522 e far parte dell’economia di salvezza così come l’ecclesiologia romana la concepiva.

Come vedremo successivamente, e come il Maccarrone aveva già messo in luce, Innocenzo III tende a identificare l’unicità ecclesiale non solo da un punto di vista mistico-sacramentale, bensì anche da un punto di vista disciplinare- giurisdizionale (lo si noterà in modo inequivocabile nella corrispondenza successiva), che implicava una totale sottomissione ed obbedienza a Roma523. Le risposte bizantine alle due lettere papali sono dell’anno successivo, e la lettera di Giovanni X Camateros del febbraio 1199 rappresenta la più importante dal punto di vista ecclesiologico, in cui il patriarca rispose in modo diretto, puntuale ed argomentato alle sollecitazioni provenienti da Innocenzo III, una risposta che ci aiuta «a capire l’enorme divario che si era aperto tra i due mondi per quel che riguarda il primato della Chiesa»524. Le due lettere di Giovanni X (quella del 1199 e la successiva del 1200), le quali «costituiscono una sintesi completa degli argomenti bizantini contro il primato romano»525 dall’XI secolo in poi, sono state edite e analizzate dallo Spiteris nel 1979, poi riprese nel 2003526.

Il patriarca, dopo un incipit estremamente cortese come era in uso nella corrispondenza ufficiale del periodo527, iniziò la sua serrata critica alle argomentazioni primaziali esposte da Innocenzo

522 Spiteris, Ecclesiologia ortodossa, p. 220.

523 «Innocenzo III, pertanto, concepisce la separazione della Chiesa bizantina unicamente sotto il profilo disciplinare, mettendola alla pari della insubordinazione di un vescovo (…) vede la questione sotto l’aspetto disciplinare e giudica impossibile ogni trattativa senza il ristabilimento del tradizionale rapporto verso il papa, che non può non essere considerato il capo della Chiesa, al quale si deve reverenza ed obbedienza.» (Maccarrone, La ricerca dell’unione con la Chiesa greca, p. 253, 255). L’idea che ogni trattiva o discussione con la Chiesa greca dovesse essere anticipata preliminarmente dal riconoscimento del primato e delle reverenza verso la

Sede apostolica era una tematica che aveva già esposto (in modo molto più blando) Pasquale II ad Alessio Comneno. Infatti, come si evince dall’epistola del 1112, il pontefice mise come condizione non negoziabile alla convocazione di un concilio per discutere delle differenze tra le due chiese, che il patriarca di Costantinopoli riconoscesse l’obbedienza e la reverenza dovuta al papa: «Prima igitur unitatis huius via haec videtur, ut confrater noster Constantinopolitanus patriarcha primatum et reverentiam Sedis Apostolicae recognoscens sicut in religiosi principis Constantini sanctionibus institutum et sanctorum conciliorum consensu firmatum est, obstinatiam praeteritatem corrigat sicut ex legatorum nostrorum suggestione cognosces» (Acta

Romanorum Pontificum, p. 797).

524 Spiteris, Ecclesiologia ortodossa, p. 224. 525 Id., La critica bizantina, p. 251.

526 Id. La critica bizantina, pp. 261-299; Id., Ecclesiologia ortodossa, pp. 224-252. Le lettere del Camateros erano state già l’oggetto di un lavoro del 1972 ad opera di Papadakis-Talbot, John X Camateros confronts Innocent III, pp. 33-41.

527 «Ho preso visione della tua lettera e, dopo averla attentamente studiata, non ho potuto fare a meno di lodare degnamente la tua santità per zelo divino e per l'ardente disposizione (che mostra) riguardo alla nostra unione nella fede. Da questo tu mostri, infatti, alla mia umiltà il contenuto della tua virtù e la degna diligenza del tuo pontificato. In realtà, che altro si potrebbe proporre di più, oltre l'ortodossa confessione della tradizione trasmessa a noi dai padri fin dai tempi antichi, (tradizione) che Cristo stesso comune

III nel 1198, rifiutando la dottrina del primato romano attraverso dubbi e domande retoriche. Il testo è articolato in tre parti: la prima contiene le eccezioni sull’idea che la sede romana fosse da ritenere l’unica ed universale Chiesa di Cristo, in cui il patriarca chiese esplicitamente come si potesse dividere la Chiesa in caste, dato che solo uno è il pastore del gregge, il dottore comune528.

Conseguentemente, il patriarca propose che, qualora si fosse dovuto seguire il criterio della maternità ecclesiale per elevare la dignità (ἀξίωµα) di una sede apostolica, ciò avrebbe dovuto essere applicato alla Chiesa di Gerusalemme, poiché precedette tutte le altre in tempo e dignità529. Infine, come terza obiezione, Giovanni X criticò le affermazioni papali sul fatto che la Chiesa greca si fosse staccata dall’unica Chiesa di Cristo, ribaltando conseguentemente tale prospettiva e ribadendo di non poter (nel caso) seguire una madre che avesse aggiunto qualcosa agli insegnamenti di Cristo (il riferimento corre con buona probabilità alla modifica del Credo attraverso l’inserizione del Filioque)530. La lettera infine conclude con un elogio nei riguardi dell’imperatore Alessio III531.

maestro e dottore dei cristiani con le sue stese parole ci ha trasmesso? I discepoli che l'hanno visto con i loro stessi occhi, e quindi i loro successori, illuminati con l'ispirazione dello Spirito Santo, sono diventati interpreti della parola e coi loro scritti l'hanno diffusa. Così la mia umiltà non poco si è rallegrata della grande cura della tua santità per l'ortodossia» (Spiteris,

Ecclesiologia ortodossa, p. 224).

528 «Però non posso nasconderti quello che mi ha suscitato non poche difficoltà. Mi domando infatti, meravigliato, come mai hai chiamato la Chiesa romana una ed universale, come se la Chiesa si suddividesse in caste inferiori, malgrado uno solo sia il gregge di Cristo e noi, in qualunque parte della terra ci troviamo come pastori, siamo sottomessi all'unico e comune dottore e pastore universale, il Cristo. E allora, nutrendo dei dubbi su ciò, domando di sapere come mai la vostra Chiesa romana, come tu hai affermato, è madre di tutte le altre Chiese e per quali ragioni speciali e per quali cause. Quello che nutre di più il mio dubbio, lo dirò, santissimo papa e perdonami se, pur essendo da poco salito al trono patriarcale, non sono riuscito ancora a risolvere questo mio dubbio. Infatti, senti cosa dice Davide nei salmi: "L'uno e l'altro è nato in essa e l'altissimo la tiene salda", ora affinché si verifichino queste parole e per l'equità della giustizia si dovrà proclamare madre delle altre Chiese la Chiesa di Gerusalemme, perché le precede sia nel tempo che nella dignità» (Ibid., p. 225).

529 «Infatti come sappiamo tutti, Cristo è nato secondo la carne, ha vissuto, ha insegnato e predicato la salvezza e, alla fine, dopo aver sofferto la morte in croce per noi, ha lasciato a Gerusalemme la pietra, dentro la quale era stato sepolto il suo corpo, come segno evidente del suo vivere terreno. Lì (a Gerusalemme) i discepoli, dopo essere accorsi verso il Cristo, hanno in lui creduto