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Gerusalemme e la maternità ecclesiale della Sede apostolica.

La corrispondenza di papa Innocenzo III con Costantinopoli (1198-1202)

C. Teologia del primato ed ecclesiologia in Innocenzo III I Pietro, Roma, il papa.

II. Gerusalemme e la maternità ecclesiale della Sede apostolica.

Nella lettera a Giovanni X del 1199 Innocenzo III, per rispondere alle sollecitazioni del patriarca, scriveva:

«Licet autem ex premissis intelligatur et huic inquisitioni responsum, cum ecclesia Romana mater dicatur non ratione temporis sed ratione potius dignitatis - nam etsi secundum Ioh(ann)em Andreas prius venerit ad fidem quam Petrus, prelatus est tamen Petrus Andree, cum et in apostolorum cathalago semper primus quasi precipuus premittatur, non quod Petrus sit prior tempore sed potior dignitate -, ad omnem tamen dubietatem tollendam tua fraternitas debet distinguere secundum diversas nominis rationes inter Romanam et Ier(oso)limitanam ecclesias, quod illa dicenda sit mater fidei, quoniam ab ea sacramenta fidei processerunt, ista vero dicenda sit mater fidelium, quoniam privilegio dignitatis universis fidelibus est prelata.»590

La distinzione tra mater fidei e mater fidelium non tendeva solamente a sottolineare una differenza di ambiti nella maternità ecclesiale, bensì una dimensione propriamente causale nel definire il primato ecclesiale. Infatti, la puntualizzazione che Gerusalemme fosse mater…ratione temporis, mentre Roma lo era ratione dignitatis, poneva una diversificazione netta e sostanziale delle rispettive primazialità; cioè fu distinta una dimensione temporale da una dimensione di efficienza causale591, la quale (nella mentalità innocenziana) doveva di conseguenza trasferire le prerogative gerosolimitane a Roma attraverso Pietro. Fu una distinzione carica di significati e implicazioni ecclesiologiche, poiché venne esplicato in modo lampante il parametro romano su cui si determinava il primato di una sede apostolica rispetto alle altre, e che risultava ovviamente inconciliabile con l’ecclesiologia greca. Ciò fu compreso perfettamente Demetrio Tornikes, quando nella sua lettera del 1193 a papa Celestino III in nome del patriarca Giorgio II non ammise neppure per Gerusalemme un primato ecclesiale sulla base causale, ma solo in virtù della sua precedenza in ordine di tempo:

«Nessuna chiesa è madre d’un'altra chiesa, a meno che questo titolo non lo si voglia dare alla santissima chiesa di Gerusalemme, poichè essa fu santificata dalle opere, dalla morte e resurrezione del Signore.

590 Die Register, II, 200 (209), p. 386-387. 591 Spiteris, Ecclesiologia ortodossa, p. 236, n° 57.

Questo titolo, però, non significa causa dell’esistenza delle chiese, ma una semplice origine temporale. Nessuna chiesa, infatti, prò rivendicare la causalità propria delle madri a detrimento delle altre chiese.»592

Se fosse stato diversamente invece, come l’ecclesiologia romana sosteneva, tale principio di casualità efficiente avrebbe distrutto l’ontologica dignità di qualunque Chiesa particolare ad esistere a prescindere da Roma, ovvero (secondo il pensiero orientale sulla base d’ecclesiologia eucaristica) ad esistere di per sé in quanto Chiesa.

Il papato, al contrario, già da tempo vedeva il rapporto Chiesa romana-chiese particolari in un’ottica di forte dipendenza esistenziale delle seconde dalla prima: la chiese potevano considerarsi tali solo se rapportate alla Sede apostolica, loro genetrix et mater. Tali espressioni erano alla base di un pensiero ecclesiologico occidentale (non solo papale) di lunga tradizione, e la formula usata da Innocenzo III (mater fidelium ratione dignitatis) si pose come punto di arrivo di un’evoluzione di tale lessema primaziale fin dalla tardo-antichità593.

Il concetto di Roma come ecclesia mater, seppur inteso in modo differente in relazione ai tempi594, nasce nel VII secolo, o meglio l’espressione è riscontrabile per la prima volta in una fonte greca, Massimo il Confessore. In una sua lettera del 639 riferisce infatti come gli apocrisari romani nel 639, cercando di ottenere la ratifica imperiale per l’elezione di papa Severino, teorizzarono la preminenza della Sede apostolica Ecclesiarum principem matrem 595. E successivamente in una lettera del 682 di papa Leone II al regno visigoto, esaltando le prerogative ecumeniche di Roma, quest’ultima fu appellata Ecclesiarum (omnium) mater apostolica sedes596.

Collaterali a tale espressione furono, inoltre, altri appellativi primaziali (taluni più antichi della categoria mater ecclessiarum) che determinarono le autorappresentazioni romane: ad esempio i titoli di caput, magistra, genitrix, cardo, Ecclesia senior, spesso accompagnati alla parola mater.

592 Darrouzès, Georges et Démétrios, p. 346. Trad. it. in Spiteris, La critica bizantina, p. 217.

593 Si vedano Congar, L’ecclésiologie du haut Moyen Âge, pp. 230-234; De Lubac, Corpus mysticum, p. 122; Maccarrone,

Gerusalemme e Roma, pp. 3-17; Id., La teologia del primato, in part. pp. 546-549; D’Agostino, Il primato della Sede di Roma,

pp. 318-327.

594 Non bisogna ,infatti, su questo confondere o leggere in modo unitario le testimonianze. Le immagini di maternità alla Chiesa che venivano date nel primo millennio riguardavano la Chiesa universale nel suo aspetto mistico e teoretico come Chiesa sposa di Cristo (per una raccolta di fonti si veda Rahner, Mater Ecclesia). Ed anche quelle testimonianze dirette alla sede romana tramandateci dalla tardo-antichità all’alto medioevo non deboono essere intepretate secondo l’estensiva e giuridica ermeneutica papale dei secoli XI e XII.

595 «(…) hac de causa tanto tempore manere viduam Ecclesiarum principem matrem et Urbem coegissent (…) utpote senior cunctarum quae sub sole sunt Ecclesiarum, omnibus praeest» (PL 129, coll. 585A, 586A). Cfr. Maccarrone, La teologia del

primato, p. 547, n° 14.

596 Garcia Goldaraz, El Codice Lucense, I, p. 350. Cfr. Maccarrone, Gerusalemme e Roma, pp. 9-10; Conte, Chiesa e Primato

Il titolo di caput omnium ecclesiarum, legato a doppio filo con la genesi e l’uso ecclesistico del termine cristologico κεφαλὴ da applicare al corpo mistico della Chiesa, appare già nel V secolo con papa Innocenzo I597, ed ancora prima al concilio di Sardica598. L’uso cancelleresco della

formula venne poi ripreso da papa Bonifacio I nel 422599 (Hunc ergo ecclesiis toto orbe diffusis

velut caput suorum certum est esse membrorum), e ribadito dal vescovo di Cartagine Eugenio alla fine del V secolo600 (Romana ecclesia, quae caput est omnium ecclesiarum). Ulteriori testimonianze sono riscontrabili nelle parole del legato papale al concilio di Efeso del 431, in cui assimilò Cristo e Pietro al termine caput601, e in quelle dell’apocrisario romano Pascanisio al concilio di Calcedonia del 451602 (Beatissimi atque apostolici (…), viri papae urbis Romae, quae (qui) est caput omnium ecclesiarum praecepta habemus).

Sono invece del IX secolo le testimonianze delle combinazioni tra l’espressione mater e quelle di caput et magistra, e tra quelle di caput e cardo, in cui tali metafore primaziali iniziarono a conoscere un loro più massiccio e consapevole uso. Per la prima ritroviamo un esempio proprio nella corrispondenza verso Costantinopoli, quando papa Leone IV nell’853 scrisse al patriarca Ignazio «non est mos istius ecclesiae, cum magistra et caput omnium videatur ecclesiarum existere, aliunde pallium erogatum accipere, sed per totam Europam, ad quod delegatum est, tradere»603; o Incmaro di Reims nel suo De divortio Lotharii et Teutbergae604, che aggiunse anche i titoli di nutrix ac doctrix. Ancora papa Leone IV, in una lettera indirizzata a Carlo il Calvo, aveva espresso l’idea che la Chiesa romana fosse appellata caput et principium omnium605, ove il lessema affondava la sua tradizione anche nell’antico concetto occidentale di Petrus initium episcopatus606.

597 In una lettera ai vescovi di Macedonia nel 414 la Sede apostolica fu descritta, appunto, caput ecclesiarum (PL 20, col. 526). 598 Maccarrone, La teologia del primato, p. 547, n° 13.

599 PL 20, col. 526.

600 Cfr. Victor, Historiae persecutionis Africanae provinciae, p. 41.

601 «Gratias agimus sanctae venerandaeque synodo, qui litteris sancti beatique papae nostri vobis recitatis, sancta membra sanctis vestris vocibus sancto capiti, sanctis etiam vestris acclamationibus vos adiunxeritis. Non enim ignorat vestra beatitudo totius fidei, vel etiam apostolorum caput sese beatum apostolum Petrum (…)» (Mansi, IV, col. 1290). Cfr. Maccarrone, La teologia del

primato, p. 547, n° 13.

602 Mansi, VI, col. 579.

603 MGH, Epistolae, V, 3, p. 607. Cfr. Maccarrone, La teologia del primato, p. 548, n° 15.

604 Nella prefazione alla sua opera l’arcivescovo di Reims scrisse: «De omnibus dubiis vel obscuris, quae ad rectae fidei tenorem vel pietatis dogmata pertinent, sacra Romana ecclesia, ut omnium ecclesiarum mater et magistra, nutrix ac doctrix, est consulenda, et eius salubria monita sunt tenenda (…)» (PL 125, col. 623A).

605 JL 2625.

Sempre nel medesimo periodo, all’interno delle Decretali pseudo-Isidoriane, ritroviamo nella titolatura di un testo attribuito a papa Anacleto l’unione delle espressioni titoli cardo e caput, guarda caso proprio riferito alla sede di Pietro in rapporto alle gerarchie della Chiesa universale607. Non solo: anche il titolo di mater è spesso presente nello pseudo-Isidoro «tanto da

poter dire che furono proprio le sue decretali a diffonderne l’uso e a far sì che, in seguito, tale termine giocasse un ruolo importante nello sviluppo della dottrina del primato papale»608.

Tale tradizione di titolature venne poi ereditata dalle collezioni canonistiche dei secoli XI e XII, da Ivo di Chartres fino a Graziano, e riutilizzata nuovamente (ma con diverse consapevolezze e interpretazioni) anche nel confronto ecclesiologico con la Chiesa greca. Ho sostenuto come Innocenzo III fosse il culmine dell’iperbole ermeneutica che enfatizzò il concetto di mater omnium ecclesiarum verso l’Oriente; ebbene, la sua evoluzione nella polemistica papale adversus Graecos non può non tenere in conto l’uso massiccio che ne fece Leone IX verso il patriarca di Costantinopoli Michele Cerulario e verso il patriarca di Antiochia Pietro III609. Nella lettera del 1053 al Cerulario i passi che richiamano il ruolo di genitrix, fons, origo, caput et mater sono molteplici. L’ecclesiologia romano-occidentale riteneva Roma come la madre che genera in utero suo tutte le altre chiese particolari, in alcuni casi appellate come filiae (soprattutto come fece Leone IX verso Costantinopoli) in altri come sorores (nel riferimento del patriarca Domenico Marango ad Antiochia in virtù della sua fondazione petrina610). «Iam nunc filia recordetur gemitus piae genitrix et quod vel quanta pericula propter eam seu propter soreres ipsius in utero hactenus vidit»611 è scritto al patriarca Cerulario; mentre a Pietro III fu ribadito che Roma era la maxima mater, prima sede…in toto orbe terrarum ecclesiis sancta Romana et Apostolica sedes caput praeponitur612. E durante lo scontro del 1054 anche Domenico di Grado

607 «De patriarchis et primatibus ac reliquis episcopis quod ecclesia romana cardo et caput omnium sit ecclesiarum» (Decretales

pseudo-isidoriane, p. 81). In un’altra decretale fatta risalire a papa Vigilio è detto come la Chiesa romana fosse fundamentum et sors ecclesiarum, poiché ecclesia quae prima est (Decretales pseudo-isidoriane, p. 712). Cfr. Maccarrone, La teologia del primato, p. 548, n° 16.

608 Marchetto, Episcopato e Primato pontificio nelle decretali pseudo isidoriane, p. 134. Riccorrono molti esempi nelle decretali di papa Vigilio (Decretales pseudo-isidoriane, p. 712), in quelle dello pseudo-Callisto (Ibid., p. 136), dello pseudo-Fabiano (Ibid., pp. 156-157), dello pseudo-Lucio (Ibid., p. 179) e dello pseudo-Giulio (Ibid., p. 459).

609 Su questo periodo rimando all’analisi di D’Agostino, Il primato della Sede di Roma, pp. 318-327.

610 «Admonet nos, ut omnis desiderii ac reverentiae voto cum proposito fidelissimi obsequii tuam sanctitatem revereamur et colamus reverentia et amicitia vestrae ecclesiae, quae nostrae matris Romanae ecclesiae soror (la Chiesa antiochena, mio) esse cognoscitur atque fundatoris sui meritis, Petri videlicet Apostolorum principis, post secundam praedicatur» (Will, Acta et scripta, XVI, pp. 205-206).

611 Ibid., II, p. 79. 612 Ibid., XII, p. 169.

Nuova Aquileia sottolineò al patriarca di Teopoli quanto la sede veneziana e quella antiochena fossero entrambe figlie nostrae matris Romanae613.

Così, riferendoci alle immagini della Sede apostolica come mater, caput del corpo ecclesiale in cui sussistevano tutti i sensi fisiologici che governano le singole membra614 (le chiese

particolari), nei confronti dell’Oriente greco si passò da un loro forte utilizzo con Leone IX ad una più esclusiva e stringente riprosizione tra XI e XII secolo. La corrispondenza successiva mette in luce, infatti, come la maternità ecclesiale fu riproposta dal papato con sempre maggior radicalità, sia perché ritenuta (probabilmente) un assioma ecclesiologico che riassumeva in pieno le teorizzazioni del primato, sia perché (rimanendo ancora nel campo delle ipotesi interpretative) poteva spostare il dibattito ecclesiologico sul terreno di una tradizione che, come abbiamo appena visto, poteva vantare una storia antica.

Dallo scontro del 1054, quasi tutti i pontefici che intrattennero scambi epistolari con Bisanzio non omisero mai (anche qualora fosse stato l’unico accenno al primato della sede di Pietro) di ribadire quanto Roma fosse l’ecclesia mater della filia Costantinopoli. Ritroviamo questo in Gregorio VII quando, scrivendo nel 1073 a Michele VII Ducas, si diceva desideroso di ristabilire la concordia tra Roma e Costantinopoli, sua antica figlia:

«Nos autem non solum inter Romanam, cui licet indigni deservimus, Ecclesiam et filiam eius Constatinopolitanam antiquam Deo ordinante concordiam cupimus innovare, sed, si fieri potest, quod ex nobis est, cum omnibus hominibus pacem habere.»615

Pasquale II, dal canto suo, nell’epistola del 1112 ad Alessio Comneno aveva invece reso l’idea della inferiorità della sede costantinopolitana attraverso un lessema collaterale, ma collegato, a quello di mater, ovvero attraverso la necessità che le membra si dovessero ricollegare al capo:

«Prima igitur unitatis huius via haec videtur, ut confrater noster Constantinopolitanus patriarcha primatum et reverentiam Sedis Apostolicae recognoscens sicut in religiosi principis Constantini sanctionibus institutum et sanctorum conciliorum consensu firmatum est, obstinatiam praeteritatem corrigat sicut ex legatorum nostrorum suggestione cognosces (...) Ea enim, quae inter Latinos et Graecos fidei vel consuetudinum (diversitatem) faciunt, non videntur aliter posse sedari, nisi prius capiti membra cohaereant.»616

613 Ibid., XVI, p. 205.

614 Cfr. Naccari, Tra Roma e Costantinopoli?, pp. 55-56. 615 Reg. I, 18, pp. 29-30.

Ed anche Adriano IV ed Alessandro III ripresero il concetto di Roma quale mater et caput omnium ecclesiarum. Il primo, come si può dedurre dalla critica che ne fece Giorgio Tornikes nella sua lettera al papa in nome dell’imperatore Manuele Comneno, con molta probabilità enfatizzò il dato materno del carisma ecclesiale romano a partire dall’apostolicità petrina617.

Mentre nel 1154 scrisse esplicitamente a Basilio d’Ocrida, vescovo di Tessalonica, che su istigazione del maligno la Chiesa di Costantinopoli aveva separato se stessa dall’obbedienza alla Sede apostolica, come i figli si seperarano dall’obbedienza alla madre:

«Ex quo per invidiam hostis antiqui Constantinopolitana Sedes a sacrosancta Romana et apostolica (quod sine lacrymarum inundatione vix famur) Ecclesia seipsa separavit et hominis inimicus proprium malitiae venenum effudit et a matris oboedientia liberi secesserunt unitatisque locum binarius subiit (...)»618

Quasi vent’anni più tardi Alessandro III, nella sua lettera del 1173 al patriarca Michele d’Anchialos, puntò sulla forza essenziale dei medesimi lessemi primaziali, descrivendo la ῥωµαϊκῇ ἐκκλησία madre e maestra di tutte le chiese (µήτηρ καὶ διδάσκαλος) per diretto ordine del Signore:

«Ἀνέφερεν ἡµῖν ὁ ἀγαπητὸς υἱὸς Πέτρος ὁ ὑποδιάκονος ἡµῶν, ὁ ἀποκοµιστὴς τῶν παρόντων γραµµάτων, σὲ διακαῆ ἐπιθυµίαν ἐν τῷ στήθει φέρειν, τοῦ τὴν ἀνατεθεῖσάν σοι ἐκκλησίαν τῇ ῥωµαϊκῇ ἐκκλησία, ἥτις πασῶν ἐκκλησιῶν ὑπ᾽αὐτοῦ τοῦ Κυρίου µήτηρ κατέστη καὶ διδάσκαλος, καθὼς εὐσεβὲς καὶ δίκαιον καὶ κανονικόν ἐστιν, ἑνωθῆναι.»619

Non da ultimo papa Celestino III, che nelle sue lettere indirizzate a Costantinopoli aveva sicuramente riaffermato con enfasi le categorie ecclesiologiche romane. I documenti pontifici sono andati perduti, ma dalle risposte di Demetrio Tornikes del 1193, soprattutto dalla lettera a Celestino III in nome del patriarca Giorgio II, si evincono chiaramente le precedenti argomentazioni papali grazie alla forte critica che il redattore della lettera patriarcale fece della categoria ecclesia romana mater620. Infatti il Tornikes sostenne le tesi bizantine seguendo una più rigida dissertazione teologica nella critica alla maternità di Roma e nella conseguente

617 Cfr. supra, pp. 100-102.

618 Acta Romanorum Pontificum, p. 799. 619 Hofmann, Papst und Patriarch, p. 76. 620 Cfr. supra, pp. 128-129.

riproposizione (al contrario, eventualmente) della maternità, solo temporale, della Chiesa di Gerusalemme621.

La dissertazione del logoteta di Isacco Angelo si andava così ad inserire, con maggior puntualità, nella tradizione polemistica bizantina contro la primazialità di Roma come caput et mater, trovando in Giovanni X Camateros (come abbiamo visto) il suo finale e più incisivo detrattore. Infatti, uno dei lessemi ecclesiologici più spesso criticati dai polemisti greci del secolo XII fu proprio il concetto di Ecclesia romana mater omnium ecclesiarum. Lo Spiteris individuò le loro critiche in quattro argomentazioni622: la prima, sostenuta soprattutto da Niceta Seides, fu determinata a partire dal dato scritturistico (2Cor. 5, 17), con cui venne sostenuto che, in relazione all’antichità di Roma non tutto ciò che è più vecchio è degno di rispetto ed obbedienza, anzi, spesso il nuovo è superiore all’antico. La seconda critica riguardava invece la maternità di Roma in virtù della sua ortodossia. Contro tale pretesa si scagliarono il Seides e Basilio d’Ocrida, ma anche Andronico Camateros e Giovanni X Camateros, scrivendo che non si poteva obbedire a una madre che aveva intaccato i dogmi della Verità (con l’allusione più o meno esplicita al Filioque). Sempre questi autori criticarono inoltre (come terzo punto) l’idea che Roma fosse da considerarsi madre in virtù di una sua dignità morale e storica, nonché per la sua opera evangelizzatrice. Come contraltare bizantino venne allora inserita l’eventuale maternità di Gerusalemme, città del Signore da cui iniziò l’evangelizzazione del mondo. Infine, come quarto punto, ci sono le argomentazioni più ampie ed incisive esposte da Demetrio Tornikes e Giovanni X Camateros, con le quali i due autori (riprendendo comunque le precedenti critiche) fecero intendere come avessero colto quella causalità efficiente e tutte le gravi implicazioni ecclesiologiche che stavano dietro l’espressione mater omnium ecclesiarum.

La critica bizantina del secolo XII fu forte, progressivamente più incisiva, segno che da parte romana (come ho cercato di mettere in luce) nel confronto ecclesiologico con i Greci la categoria di Chiesa madre venne esposta con altrettanta forza ed insistenza a partire da Leone IX e dallo scontro del 1054, ma poi costantemente ripresa e resa esclusiva, imprescindibile per tutti i secoli XI e XII. Infatti, in modo più o meno diretto l’Ecclesia Romama mater è presente in quasi tutta la corrispondenza ufficiale del papato verso l’Oriente (ed anche in tutte le opere adversus Graecos), e qualora non fosse stata esplicitamente menzionata, l’impianto logico e il background

621 «Nessuna chiesa è madre di un’altra chiesa, a meno che questo titolo non lo si voglia dare alla santissima chiesa di Gerusalemme, poiché essa fu santificata dalle opere, dalla morte e resurrezione del Signore. Questo titolo però non significa causa dell’esistenza delle chiese, ma una semplice origine temporale. Nessuna chiesa, infatti, può rivendicare la causalità propria delle madri a detrimento delle altre chiese» (Darrouzès,Georges et Démétrios, p. 346. Traduzione e commento in Spiteris, La

critica bizantina, p. 217, e ss.).

ecclesiologico delle fonti romano-latine tradivano costanti rimandi ad essa623. Poiché essa era organica alla teologia del primato come si era sviluppata nei secoli XI e XII, in cui l’essenza materna di Roma era intesa nel suo significato teologico e giuridico, legandosi all’altro concetto di fons et origo omnium ecclesiarum. La Sede apostolica era la madre e il capo, che nella struttura del corpo mistico di Cristo significava che era la scintilla generante e vitalizzante di tutte le altre membra, e che poteva riassumere in sé tutte le altre parti del corpo, tutte le chiese del mondo.

E poco importava se Pasquale II aveva scritto nel 1099, esortando il clero francese alla promozione della crociata verso Gerusalemme, che era necessario festinare…ad illam matrem nostram Orientalem Ecclesiam624, o se una delle più importanti fonti occidentali di fine XI e

inizio XII secolo contro il primato papale come fu l’Anonimo Normanno aveva elevato Gerusalemme al rango di ecclesia mater in funzione anti-romana625; l’impianto ideologico papale tendeva ad un tipo di maternità differente, non basata su un aspetto mistico-sacramentale o temporale, bensì su parametri giuridici, legami di dipendenza dal carisma romano; andando di conseguenza a toccare l’ontologia stessa di ogni singola Chiesa nel suo diritto di esistere in quanto vera Chiesa, in comunione con il corpo mistico di Cristo.