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Si è ritenuto importante a questo punto approfondire le corrispondenze in pittura che Marin ha individuato nel corso del suo lavoro di analisi delle opere d’arte di disparati periodi storici. Il contesto di partenza è sicuramente quello di un interesse a rivalutare quella critica all’arte separata dalla filosofia fino a un certo momento, e che costituisce per molti filosofi la spinta ad un nuovo interesse, ad una ricerca di un metodo più approfondito che spazi tra i diversi linguaggi artistici e trovi in definitiva uno sguardo d’insieme che tenga conto delle differenze presenti, per un riaggiornamento dei concetti se si vuole più antichi della filosofia. Aristotele infatti già sosteneva che è impossibile per l’uomo formarsi concetti senza le immagini, e anche se la critica è molto dibattuta sull’argomento, si da grande importanza alla funzione che svolge l’immaginazione nel processo di creazione di idee ma anche in genere all’agire umano.85

Il dibattito nell’antichità era già aperto e ha costituito un enorme problema per tutta la filosofia occidentale, il fatto che interessa è quello di determinare quale sia la concezione dominante nel pensiero di filosofi, in primis Marin, che hanno cercato di dare ulteriori

84 J. Bruner e altri, La sfida pedagogica americana, op. cit.

85 Si è preso come riferimento lo studio di A. Linguiti, “Immagine e concetto in Aristotele e Plotino”, in Incontri triestini di filosofia classica 4, 2004-2005, pp. 69-80 dal sito:

65 contributi, sicuramente diversi da quelli del passato e legati ad un ambito specifico: l’arte.

Marin come si è già ricordato si è occupato di diverse correnti artistiche, ricercando in ognuna un diverso modo di interpretazione del concetto di rappresentazione come segno. Avendo già affermato che il concetto stesso di soggetto è stato formulato tenendo conto del cambiamento radicale avvenuto nel corso del pensiero del Novecento, si tratta di comprendere in che modo l’immagine a livello artistico fornisce il contesto per comprendere il funzionamento dell’immaginazione, sicuramente legata ad aspetti tecnici e scientifici, ma anche quelli dell’emotività e sensibilità.

Come primo approccio a Marin si parta dall’arte rinascimentale, sempre considerata modello e unica nel suo genere per il ruolo che svolse nel suo contesto storico; essa infatti segna un profondo cambiamento nella rappresentazione del mondo e nella fruizione delle idee, soprattutto per l’introduzione della prospettiva e di nuove tecniche pittoriche, ed anche per il modo di rappresentare i soggetti e la figura umana. Essa è analizzata da Marin in modo analitico, applicando le regole della semiotica e il suo metodo di analisi dell’opera come insieme di enunciati. Quello che è chiaro in Opacità

della pittura86 è che ogni opera ha in sé le sue regole e la chiave di interpretazione, infatti vi è un distacco dalla tradizionale storia dell’arte come sfondo di comprensione totale, per evidenziare piuttosto la singolarità di ognuna e la lettura del contenuto. Ogni opera è guardata con un doppio sguardo, superficiale e profondo, per cogliere il punto di vista dell’artista fondamentale per la creazione di un significato, inoltre per poter individuare la maggior parte delle proprietà enunciative e figurative dell’opera. In un certo senso Marin si avvicina alla semiotica di Schapiro quando valuta ogni proprietà da un punto di vista comunicativo e rappresentativo, infatti attribuisce molta importanza a quelle di frontalità e profilo, vere e proprie coordinate fornite dall’autore per far arrivare il suo messaggio; anche la prospettiva è analizzata per far emergere il doppio aspetto di presentazione e ripresentazione, in quanto essa fornisce un movimento all’interno dello sfondo e quindi una lettura, applicando anche al suo livello la doppia intenzionalità tipica degli enunciati e della rappresentazione di riflessività e transitività. Si prenda a questo punto un esempio tra i tanti per comprendere in che modo avvenga la lettura profonda dell’opera da parte di Marin, e si applichi la sua metodologia che si potrebbe

86 L. Marin, Opacità della pittura. Saggi sulla rappresentazione nel Quattrocento, tr. di Elisabetta

66 definire di semiotica strutturalista ed ermeneutica. Si tenterà di evidenziare in che modo lo studioso affronta un’opera e di applicare quelle chiavi di lettura che ci sono state fornite da lui stesso, e più che arrivare ad una comprensione univoca dell’opera lo scopo è quello di renderne esplicite le strutture e interpretarle con le metafore di trasparenza ed opacità che, si è visto, accompagnano il suo studio dagli inizi di questa indagine.

L’opera scelta è L’Annunciazione di Pinturicchio nella Cappella Baglioni di Loreto, che è assolutamente ricca di architettura ed elementi strutturali molto accentuati, i quali per Marin costituiscono dei veri e propri segnali di lettura, anche se fosse divisibile in architettura reale o di elementi fittizi, essi rappresentano il tentativo dell’artista di direzionare lo sguardo dell’osservatore in certe sezioni altre dell’opera, lo accompagna per così dire da una narrazione in primo piano ad un’altra. Quello che si può vedere è che ogni aspetto è rappresentato in maniera tale da dirigere lo sguardo in successione, sia per importanza sia per necessità, dalle figure in primo piano a quelle sullo sfondo, molto dettagliate quasi ad indicare all’occhio la volontà di focalizzarsi su aspetti ulteriori, come avverrebbe in un racconto scritto che si ferma per la descrizione di un paesaggio o un personaggio. Non è un caso l’utilizzo del verbo “fermare”, poiché Marin da molta importanza alla struttura spaziale e alla rappresentazione così come essa si presenta per determinare la temporalità in gioco, che è descritta mediante la tecnica della prospettiva e della posizione e grandezza dei personaggi e ne fa affiorare il significato. Trattandosi di arte legata al sacro ovviamente si caratterizza la scena anche con i valori stessi del messaggio biblico, ed essa oltre a rappresentare ciò a livello transitivo, lo esplica in modo riflessivo, con l’utilizzo delle stesse tecniche per affermare con le figure ciò che le parole comportano. Facendo riferimento alla semiotica in particolare a Schapiro87, l’artista ha avuto nel corso della storia la possibilità di libertà della rappresentazione, in quanto non è necessaria la totale aderenza al testo, ma vige una certa libertà che riesce a far passare un messaggio in modi diversi; ne è prova la grande varietà che si può trovare nelle diverse Annunciazioni, sia nelle figure sia nelle architetture. Per quanto riguarda le proprietà di trasparenza e opacità esse sono espresse nell’opera dalla grande capacità di nascondere il segno pittorico, dalla grande attenzione ai dettagli e ai particolari, che danno l’idea di trovarsi di fronte a una scena reale, come davanti ad una finestra; mentre l’opacità in

87 M. Schapiro, Per una semiotica del linguaggio visivo, a cura di G. Perini, Meltelmi editore, Roma,

67 questo caso è quell’aspetto che ha funzione di presentare all’osservatore una determinata costituzione dell’opera e quindi lo guidano nella comprensione del significato tramite il segno; può essere qui individuato nel raggio di luce che scende dalla nuvola direttamente sul capo della Vergine. Entrambe comunque concorrono a chiarire il messaggio artistico e comprendono l’aspetto transitivo e riflessivo in generale della rappresentazione. A conferma dunque dell’individuazione dell’equivalenza densa di parola e figura, Marin è capace di far emergere i funzionamenti soggiacenti e di chiarirli per avere in definitiva un significato più fluido e completo dell’opera e del messaggio. Qualcuno potrebbe chiedersi se la tipologia di analisi strutturalista di Marin sia capace di leggere anche quelle opere d’arte moderne e anche contemporanee che sono così diverse da quelle di natura sacra. Per rispondere a ciò si può far riferimento allo studio sull’artista J. Pollock88, il quale è sicuramente un esempio di arte che non utilizza determinati schemi tecnici o teorici ma si lascia piuttosto guidare dal colore e dall’emozione in senso più astratto89

. In che modo Marin può leggere un’opera come queste, le quali intuitivamente non presentano, almeno per il senso comune, una direzionalità precisa, una guida da parte dell’artista? Sicuramente si può affermare che la composizione stessa e il metodo usato da Pollock abbiano già nell’atto creativo un’intenzione di direzionalità e quindi un significato, dovuto sia al procedere con le colature di pittura sia alla scelta particolare del colore e degli accostamenti. È ovvio che non è paragonabile a certi stili pittorici lineari che permettono all’osservatore di cogliere un immediato senso di spazio e di orientamento, tuttavia anche esso li presenta, solo in maniera diversa. L’approccio all’arte spesso fa a meno di quella consapevolezza che per esempio ci guida nella lettura di diversi autori di opere letterarie, quasi come se la visione necessitasse di un aiuto in più rispetto alla lettura, ma se per esempio pensiamo alla diversità che vi è tra la scrittura di Kafka e quella di Mann, notiamo che potrebbero essere tratte le stesse conclusioni. In questo senso il quadro di Pollock è privo delle coordinate tipiche di lettura dell’arte, ma allo stesso tempo inserisce l’osservatore in uno spazio diverso, delimitato e spesso coincidente con la tela e i suoi bordi, che delimita un contesto e dunque da possibilità di un significato. L. Corrain afferma che:

88 L. Corrain, Semiotiche della pittura, in http://www.ec-aiss.it

89 Questo studio considera “astratto” in un senso molto ampio, come la concezione tipica della semiotica

della pittura, che non condivide la divisione netta delle opere d’arte in realistiche ed astratte, piuttosto ritiene che questi aggettivi siano utili per un collocamento storico e un approccio intuitivo all’arte, ma non la definiscano in quanto limiti insuperabili. Come si nota soprattutto in Schapiro, si potrebbe considerare assolutamente astratta anche un certo tipo di tecnica pittorica quattrocentesca, per esempio alcune architetture totalmente inventate possono essere definite come astratte.

68 Nelle opere di Pollock manca uno spazio strutturato prospetticamente: si assiste infatti alla sostituzione della focalizzazione centrale con una moltiplicazione dei centri, e al venir meno dell’opposizione profondità/superficie grazie a una “distribuzione relativamente uniforme degli elementi cromatici sull’intero quadro (all-over)”. Lo sguardo dell’osservatore davanti all’opera si trova così privato di un luogo proprio, “senza che l’evidenza di un motivo o la forza di un effetto gli impongano una collocazione o una direzione nella quale muoversi”, in una “posizione u-topica”: in uno stato di non-luogo, senza tuttavia essere realmente in

movimento.

Il presente studio si trova d’accordo nell’affermare la pluralità dei punti di riferimento del quadro, che destabilizzano l’osservazione ma allo stesso tempo la tela sostituisce con verticalità e orizzontalità le griglie direzionali tipiche, in un certo senso vi è un cambiamento nel linguaggio, tutto il significato dunque è permeato di incertezza e ombra, e per utilizzare Marin, l’opacità sovrasta la trasparenza.

Lo stesso Marin afferma:

Questa linea si espande lateralmente, si allarga in escrescenze, è un’impronta lasciata da un passaggio sulla tela (...) un’impronta paradossale, poiché ciò che è accaduto e che ha lasciato traccia del suo passaggio non ha mai toccato la tela, né direttamente né indirettamente per il tramite di uno strumento, pennellessa, pennello, spatola o coltello. Solo il liquido che cola, o cade goccia a goccia, tocca la tela; di fatto non la tocca, vi si espande e vi si deposita come indice di ciò che è passato, di ciò che è accaduto. La linea di Pollock è la traccia di un evento.90

Anche in questo caso si sottolinea la temporalità, determinata dalla linea che si sussegue su sé stessa e sulle altre, è movimento e come si è visto, non è separato dal tempo, dunque è narrazione. Lo stesso approccio alla tela, vista dall’alto e posizionata a terra, costituirebbe un certo modo di proporre il messaggio artistico, e in un certo senso, la stessa perdita di coordinate spaziali nette è un messaggio relativo al suo contesto di appartenenza.

90

69 Le corrispondenze in pittura tra diversi stili artistici è dunque possibile se affrontata con un approccio semiotico, possiamo infatti vedere in tale modalità di interpretazione una possibilità in più di tenere separati i vari livelli presenti, ma allo stesso tempo di mantenerli tutti uniti per una comprensione più profonda di quello che è in generale una narrazione. Marin in questo senso aiuta a capire che la semiotica anche se si occupa di rappresentazione e di linguaggio, non è mai separata dagli aspetti legati all’agire umano, all’esperienza al contesto sociale e storico, ed è questa che potrebbe essere definita la sua forza. Le possibilità di interpretazioni sono molteplici, ma non ovvie, poiché come si è visto in questo lavoro, tengono conto o addirittura sono conseguite da un metodo analitico, che si basa su strutture logiche determinate, e in un altro piano, sui valori condivisibili da una società, senza per questo considerarli positivi o negativi. La semiotica come una vera e propria filosofia sembra distaccarsi dagli argomenti presi naturalmente in modo centrale da altri filoni di studio, tuttavia non li elude, ma si aggiorna con essi e si rende aperta al cambiamento. Ci si potrebbe chiedere tuttavia se sia giusto utilizzare tale metodo di critica artistica e interpretazione del messaggio potenziale, attraverso una possibile sterilizzazione dell’opera dalle emozioni in gioco sia nella produzione sia nell’osservazione dell’opera. Questo è ciò che sembra avvenire una volta che l’opera sia letta in tale modo per una sorta di scienza dell’arte, che però deve cercare di non perdere quegli aspetti vitali che derivano dalle esperienze estetiche. In risposta a ciò si potrebbe dire che quello che può essere considerato una mancanza, in realtà fa parte di ciò che si tenta di trovare, ovvero quel substrato invisibile, quella profondità in senso filosofico, che comprende anche le emozioni e le metafore originarie, che permettono all’uomo di trasformare ciò che vede in qualcos’altro, come per esempio un’idea o un’azione. Cercando di decifrare il codice artistico si tenta in un secondo livello anche di capire in che modo giochino le emozioni e come sia possibile che tutti gli uomini traggano simili formulazioni da un’opera. Forse quest’idea del mito di una forza che ci lega, appunto costituisce uno degli idoli della nostra cultura, difficili da eliminare, ma che forse non è necessario fare. Alla fine quella che è la credenza, la fede in operazioni della vita basate sull’abitudine, risentono di quell’aspetto negativo che veniva già evidenziato in Platone, con la condanna della “doxa” come inferiore. Questo pur influenzandoci ancora non è detto sia nettamente preso in considerazione, ovvero che la stessa assuma un ruolo importante nella filosofia dell’esperienza estetica, poiché non può non tenere conto di cosa gli uomini guardando un immagine, un quadro o formandosi una propria rappresentazione, pensano e credono. Nella concezione di

70 Dewey91, l’arte non deve essere considerata come un’esperienza a se stante, bensì essa va messa in relazione alla psicologia dei singoli individui e alle realtà socio-culturali da cui scaturisce. Il filosofo sottolinea che essa stimola la capacità di osservazione, le abilità mnemoniche e l’immaginazione, che l’arte contribuisce a sviluppare, e che conferiscono all’individuo buone capacità critiche e di risoluzione dei problemi. In Italia, quasi contemporaneamente a lui, Maria Montessori elaborò un analogo concetto di “esperienza”, in cui il fare e l’azione rappresentano la manifestazione esterna del pensiero.92 È interessante notare come, se si considera il grande lavoro filosofico dietro all’introduzione dell’arte nella pedagogia, esso lavora proprio sui concetti di esperienza in uno scambio tra interiorità e ambiente esterno molto elaborato, che non conduce a scegliere una via preferibile, ma fa si che si mantenga l’aspetto plurale del rapporto, che spesso non si è disposti a mantenere, ma si rilega solo a certe fasi cognitive.

91 John Dewey (Burlington, 20 ottobre 1859 – New York, 1º giugno 1952) è stato un filosofo e

pedagogista statunitense.

92 Art. Tafterjournal n. 56, Arte e infanzia. L’importanza dell’arte nello sviluppo del bambino di Elena

71

Capitolo IV

Corporeità e spiritualità delle immagini

A questo punto si è vicini a comprendere in che modo le immagini svolgano un ruolo fondamentale per la semiotica, ma anche offrano alla filosofia nuovi mezzi per la formulazione di un sistema, che tenga conto dei concetti in gioco nel piano ontologico ed epistemologico di linguaggio e rappresentazione. La struttura che si è fin qui individuata ha permesso di capire quale sia il procedimento per affrontare ampi aspetti della vita dell’uomo; ci si avvale ovviamente dell’ermeneutica, come nuova tipologia di procedimento della disciplina, ma che non disconosce i contributi della storia della filosofia. Si può affermare che nel corso del Novecento ci siano stati numerosi tentativi di rivalutare le strutture date per certe in alcuni ambiti del sapere, e in un certo senso sia avvenuto un cambiamento di prospettiva dell’approccio filosofico, il quale si concentra soprattutto sulla spiegazione di fenomeni legati all’esperienza e alla pratica di vita. Per questo motivo lo studio sulle immagini, potrebbe sembrare in qualche modo svincolato dalla necessità di affrontare argomenti quali l’etica, la pragmatica, la bioetica, le neuroscienze in generale, tuttavia non si ritiene di poter affermare che essa ne sia totalmente lontana. In un certo senso le immagini oggi sono ciò che già Hume aveva chiamato “impressioni”93

, cioè qualcosa legato alla sensazione attuale ma anche qualcosa legato all’idea e soprattutto si riprende il tentativo empirista di ridurre in un certo senso l’etica alla scienza, almeno per quanto riguarda il metodo. Questo perché egli fornisce una visione particolare della scienza e dell’esistenza, la prima è applicazione di un metodo, la seconda come qualcosa che non è contenuto nel concetto, e di conseguenza la realtà esiste ma è indimostrabile, se non garantendone la convinzione di permanenza di certi oggetti. Si può comprendere da questo piccolo riferimento all’empirismo, quale sia la posizione di Marin nei confronti dell’immagine, che sicuramente risente di questa influenza, ma anche di quella di Pascal in contrasto al razionalismo Cartesiano che si cerca di superare. Infatti come avviene in Hume per impressioni ed idee, in un certo modo si riconosce all’immagine lo statuto di impressione principale, la quale può portare l’uomo a decidere a comprendere ad agire.

93 D. Hume, Trattato sulla natura umana. Un tentativo di introdurre il metodo sperimentale di ragionamento negli argomenti morali, Londra, 1739 (trad. it. A. Carlini, E. Lecaldano, E. Mistretta,

72 Ora è ovvio che parlare di corporeità e spiritualità in questo senso, deve tener conto di tutta una storia della filosofia che se ne è occupata, ma si vuole focalizzare l’attenzione soprattutto su Pascal e sul fatto di poter oggi riprendere la sua concezione per determinare meglio un ambito in grande espansione; si parta dunque dal definire che cosa è corpo e cosa spirito in Pascal. Innanzitutto la sua prospettiva è di concordare con la concretezza dell’uomo, in un certo senso empirista, per questo spesso chi fa lui riferimento assume una posizione di sviluppo del suo punto di vista, anche se tra i molti che si sono scontrati con lui, tra cui ricordiamo Voltaire, non è mancata una critica molto forte.94 Soprattutto per quanto riguarda la stessa concezione di uomo Hume riteneva fondamentale riconoscere quali fossero le passioni, le idee, le abitudini, le esperienze; Pascal invece vede un uomo autosufficiente, le cui passioni vanno comprese per mantenere un equilibrio e arrivare pronti alla Salvezza di Dio. Da un punto di vista teoretico non è mancato chi avvicina Pascal alle concezioni riguardanti scienza e morale, soprattutto si pensi a Goldmann, che lo caratterizza nel pensiero tragico.95 Quello che si può dire tornando a Marin è che egli non si avvicini a Pascal negli

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