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La tesi di Marin di introdurre una metodologia dell’analisi della rappresentazione è lo specchio di un interesse collettivo di una filosofia, che sicuramente deve prendere le mosse dalle posizioni che si sono occupate della rappresentazione, per comprendere i vari processi del funzionamento della produzione di immagini. Il principale interesse semiotico di Marin è sicuramente specchio di posizioni come quelle di E. Cassirer a proposito del simbolo. Egli fornisce lo spunto per approfondire una concezione di immagine che si può estrapolare dalla filosofia di Marin, ma anche quello di un concetto di coscienza, che molti hanno cercato di rendere oggettivabile attraverso analisi specifiche del segno e del linguaggio, per approfondire infine un concetto di soggettività altrimenti di difficile collocazione teorica. Come si è detto in precedenza, l’individuo con la propria capacità di formare immagini, concetti e una condizione di coscienza del mondo, ha perso in questi filosofi, la propria capacità di individuarsi da un punto di vista unico e perciò è consapevole della necessità di attuare una suddivisione sostanziale ed oggettiva delle proprie capacità gnoseologiche per comprendere quali siano i livelli della propria interiorità. Il richiamo a Cassirer risulta utile per comprendere come la filosofia appunto detta delle forme simboliche, costituisca il processo tramite il quale la conoscenza dell’Io risulta avvicinabile. In primo luogo si tratta di individuare nel flusso cosciente una pluralità di processi o modalità che permettono l’esplicazione dei metodi per l’attuarsi di percezione e scienza; da questi si individuano i vari livelli che comprendono anche la rappresentazione ad uno stadio intermedio e che non sono scollegati tra loro, ma in un fluido complesso, come quello della coscienza, che non è unità composta di parti, e neppure facoltà totale, di volta in volta le varie componenti entrino in relazione tra loro e formino dei simboli, i quali assumono nei contesti le

75 Questo studio ritiene di poter affermare che in generale l’approccio della semiotica di Marin sia più

Spinoziano o Pascaliano, che Cartesiano o Hegeliano, perché è in grado di sentire che non vi è la chiusura, ma la necessità di un ulteriore punto di vista per procedere nella totalità complessa.

59 caratteristiche che sono meglio applicabili e funzionali.76 I simboli sono concetti molto ampi, tramite cui vi è “realizzazione significativa del sensibile, in cui un elemento

sensibile, nella fattispecie del suo esistere e del suo esser-così, si presenta al tempo stesso come differenziazione e materializzazione, come manifestazione e incarnazione di significato.”77

.

La rappresentazione a questo livello insieme a ciò che è presente vi è “polarità” per Cassirer, una sorta di opposizione ma non unicamente quella, senza cui il rapporto simbolico perderebbe il suo significato. Si può sostenere allora che anche per Marin vi sia una sorta di comunione tra parola e rappresentazione a livello simbolico, ma se si vuole compiere un passo ulteriore si potrebbe dire che Marin deve compiere un annullamento del senso per attuare una definizione nominale reale, ma ciò appare già nel suo discorso un’azione di finzione, un “fare come se” non avesse un senso. Da un certo punto sembra che la filosofia delle forme simboliche non sia abbastanza per spiegare quei processi necessari per attuare una comprensione dei livelli percettivi e cognitivi della mente, le componenti in gioco sono molteplici e collocarne qualcuna significa far rientrare in schemi preconcetti, come per esempio quello di causa-effetto, che precludono le possibilità di apertura e fluidità. Si ritorna per Marin a uno schema cartesiano di rappresentazione della cosa e della rappresentazione del me pensante e ciò comporta una sorta di meta-discorso fittizio, necessario per spiegare l’origine del linguaggio e del senso, sottomessi a un pensiero originale che è principio di senso che è ancora un “voler dire”78

, che non soddisfano da un punto di vista di un nuovo sistema di comprensione del linguaggio e delle immagini. Si comprende come la chiave di svolta che Marin individua nella rappresentazione, come mezzo di maggior trasparenza per evitare gli schematismi sia in realtà la stessa funzione per cui essi si debbano creare a livello di spiegazione teorica. Tuttavia essa appare ancora come quel qualcosa di privato e originale, nel senso di presociale, che possa spiegare a un livello iniziale del linguaggio, il modo con cui gli oggetti rappresentati nel linguaggio, deciso per autorità di qualcuno che definisce nell’uso particolare, diventino un universo di oggetti rappresentati in un sistema di linguaggio comune a tutti. Si tratta di ciò che Marin chiama philosophie commune, cioè un discorso che impiega filosoficamente il

76 Si fa riferimento a K.M. Wogau e E. Cassirer, Disputa sul concetto di simbolo. La discussione sulla rivista “Theoria” (1936-1938), a cura di A. d’Atri, Unicopoli, Milano, 2001, pp. 60-64

77 K.M. Wogau e E. Cassirer, Disputa sul concetto di simbolo. La discussione sulla rivista, op. cit., p. 64 78

60 linguaggio ordinario e riceve lo statuto di un linguaggio scientifico79. Il fatto di scindere però due soggetti che possano l’uno attuare un discorso di scienza e l’altro un discorso pratico e legato all’esperienza, costituisce per Marin uno schematismo da superare, come ideologico appunto, e il mezzo è individuato nell’utilizzo del pronome o aggettivo neutro come meta-soggetto. Da un punto di vista teorico rispecchia la metodologia pascaliana, che tuttavia scindendo tra scienza e teologia risolve il problema dicendo che è inutile se non impossibile riuscire a definire tutte le parole, e quindi si trova il limite stesso dell’atto linguistico, che tuttavia non arresta il movimento di trasgressione, piuttosto lo riconosce in quanto limite anche dal punto di vista della ragione, che vede il rapporto di nominazione non come fondamento ma limite, che gli uomini non devono abbandonare ma superare a vantaggio della conoscenza. A questo punto sembra che il tentativo in atto per la semiotica sia anche quello di tentare attraverso le categorie fondamentali di spazio, tempo, movimento e numero una comprensione del modo primitivo con il quale la sensibilità si crea un linguaggio. Il rapporto tra corporeità e formazione di immagini e concetti risulta comprensibile se vi si applicano le categorie fondamentali in uso nel discorso scientifico e ordinario umano, tuttavia non è ancora chiaro in quale modo superare il paradossale limite dell’espressione del senso, che fluttua tra gli estremi dell’infinitezza e comprende i suoi stessi limiti. Quello che Marin individua nell’approccio di uno sguardo d’insieme sui funzionamenti della sensibilità e della percezione per così dire originaria e l’oggettività di un discorso scientifico, è la presenza di un limite illimitante, che da allo stesso tempo la possibilità del discorso e della sua rottura. Ciò avviene attraverso un salto nell’ambito dei valori, quindi un passaggio da scienza a teologia, che nasce proprio dalla trasgressione di quei limiti per sua costituzione. Lo strutturalismo che si può vedere qui è sicuramente aperto, non finalizzato alla chiusura di un discorso unico, ma onnicomprensivo di meta-discorsi differenti, tutti comunque originali per la stessa condizione della natura umana. Si potrebbe dire dunque che il concetto di stile80 entri di diritto a questo punto per via della sua importanza nella formulazione di diversi discorsi che riguardano tutto lo scibile umano, dal quale appunto dipenderebbero le scelte retoriche e concettuali perfino le stesse ideologie che si trovano a plasmare il mondo. In una sorta di gioco artistico

79 Ivi, p 250 80

Il concetto di Stile è stato molto dibattuto dai filosofi di semiotica soprattutto, in quanto è da un lato una componente destabilizzante per la creazione di una teoria generale legata ad argomenti artistici, dall’altro vista la sua polisemia non rappresenta un unico significato e dunque può essere inteso in molti modi, che si legano o al linguaggio scritto o a quello figurativo . Anche questo concetto dunque è legato a una lunga tradizione ideologica, che difficilmente può venir eliminata o sostituita.

61 l’uomo plasma ciò che vede fuori, dentro e oltre a e per farlo a bisogno della rappresentazione; essa è il mezzo di trasparenza e trasgressione per eccellenza, una sorta di paradosso funzionale alle diverse necessità. Questo studio lungi dal voler risolvere la nozione di rappresentazione con quella di un paradosso, cerca qui di comprendere come più che di approccio inspiegabile, sia una confusione dovuta alle diverse componenti, che per dirla con Cassirer, si susseguono e si condizionano, plasmando una certa visione delle cose. Forse la sua visione di un pensiero fatto di diversi linguaggi risulta già superata in Marin, che sembra riferirsi maggiormente a un tipo di semiotica che presupponga una concezione di testo molto vasta e non solamente legata alla parola ma soprattutto alle immagini e al loro linguaggio, sebbene come mostrano le varie aree specialistiche della semiotica, ognuna si occupi del proprio ambito, quello delle immagini e dunque dell’arte hanno costituito un terreno fertile nel quale comprendere meglio i rapporti tra visione e molte categorie fondamentali, solo per citarne alcune quella di spazio, di soggetto, di corpo, di bordo, di cornice e così via. Le immagini sono diventate un concetto molto poliedrico, e interessano moltissimi filosofi contemporanei, tuttavia senza voler arrivare a definire ogni aspetto del loro essere in questo momento, quello che interessa è approfondire il loro rapporto con la pittura e vedere in che modo si può pensare ad un sistema di linguaggio pittorico fatto appunto attraverso lo studio delle immagini. Marin da appassionato conoscitore e studioso d’arte si è occupato soprattutto di arte rinascimentale, ma anche di arte contemporanea e con il solito stile che lo caratterizza, ha analizzato in che modo la rappresentazione si esplica in pittura. Quando si legge la sua opera “Opacità in pittura” pubblicata per la prima volta nel 1989, si ha l’impressione di ritrovare a livello più specifico quelle considerazioni che egli intuì già nello studio della logica di Port Royal, in altre parole di quel rapporto necessario tra parola e rappresentazione. Qui Marin arriva all’applicazione del suo metodo su numerose opere d’arte rinascimentali e quattrocentesche, ma più che un tentativo di critica artistica, è chiaro che si tratta di voler scoprire il meccanismo in atto nel messaggio artistico. Attraverso analisi approfondite della struttura delle opere si afferma di nuovo che la rappresentazione ha la doppia capacità in arte di riferirsi a ciò che esprime e di auto riferirsi, ossia mette in luce le proprie strutture riflessive; in un certo senso si vuole andare a cercare il meccanismo di funzionamento del processo di comunicazione ideografica, esprimendo che nell’arte la rappresentazione svolge il ruolo della parola nella comunicazione scritta, poiché si avvale di regole che sono rintracciabili anche in essa. In questo senso le immagini e la loro disposizione in arte

62 seguono lo stesso meccanismo della parola, però a un livello potremmo dire sotterraneo; l’argomento richiama sicuramente lo studio di altri filosofi degli anni settanta del novecento, come Michael Fried81 che esprime il punto di vista di una critica all’arte profonda, legata al concetto di oggettività come forma; essa è nell’ambito della pittura ma anche della scultura ciò che molti artisti hanno cercato di superare o di eludere, ed anche ciò che si avvicina per questo studio alla concezione di Marin sulla rappresentazione, poiché appunto essa da un lato esprime le proprietà degli oggetti dall’altro è un medium, un mezzo tramite cui essa si esprime. Anche in Fried dunque si rileva l’intenzione di trovare dietro al messaggio artistico un funzionamento più profondo, quello che egli rileva nel concetto di esperienza82 dato da certe rappresentazioni, e che Marin coglie in un certo punto del suo discorso quando vuole approfondire la questione dell’autocritica, come metodo per comprendere in che modo l’arte comunica utilizzando mezzi espressivi diversi. Un certo tipo di arte lo fa utilizzando appunto un messaggio che esplica la doppiezza di certe situazioni, esteriori o interiori, che permettono o di cogliere l’oggetto in sé o di comprendere il nostro ruolo di oggetti/soggetti; per fare un esempio chiarificante se prendiamo un quadro che rappresenta un viaggio in macchina in autostrada, proprio per la situazione proposta, in un luogo preciso è possibile raggiungere una comprensione del messaggio artistico da un punto di vista plurale, grazie al doppio funzionamento della rappresentazione.

Da un certo momento di questo studio si è visto come sia possibile considerare il metodo di Marin un approfondimento di certe prospettive che si sono create nello studio dell’arte in generale, legate alla semiotica, ma anche a studi filosofici sulle immagini e sul simbolo, che risultano essere chiari meccanismi di funzionamento di un modo di fare esperienza del mondo e del sé, che non si accontenta di rappresentare ma si rappresenta e si riconosce in questo; in ciò si vede come la filosofia si sia occupata di far slittare l’interesse all’antropologia kantiana, e di riformularne la domanda, cioè comprendere ciò che l’uomo fa di se stesso, come il suo agire concreto spazi dal trascendentale all’empirico nella temporalità. L’uomo è garante ed oggetto del sapere, ma ciò non costituisce un fine di scoperta della vera soggettività, piuttosto l’interesse è tutto nel rapporto che permette la trasformazione delle sue possibilità di costruzione del

81 Si fa riferimento al suo saggio: M. Fried, Art and Objecthood, 1967

82 Per Fried fare esperienza significa in generale vedere una qualche situazione e successivamente

elaborarla da un punto di vista soggettivo/oggettivo e questo aspetto è legato alla teatralità, come meccanismo che mette in relazione oggetti e la percezione o interpretazione da parte dell’uomo.

63 sé e del mondo. Le immagini in questo senso assumono un ruolo principale sia come dotate di proprietà uniche e vicine al funzionamento del corpo stesso, dall’altro sono anche il mezzo con cui si passa alla formazione di concetti e ciò che non è più corpo, a ciò che diventa storia, ideologia, cultura. Si comprende dunque come il campo d’azione delle immagini sia una sorta di spazio virtuale, in cui lì soggetto è libero ma limitato, e in esso può giocare nel senso può mettere in atto ciò che conosce per la realizzazione di nuovi sensi, nuove idee. Ciò risulta importante per la discussione di questioni legate all’apprendimento, alla pedagogia che nel corso del Novecento ha subito numerosi cambiamenti e che oggi si trova a dover fare i conti con le continue novità, da quelle scientifiche a biologiche, psicologiche e sociologiche. La pedagogia si è trovata ad affrontare una sfida notevole ai propri punti di riferimento, soprattutto negli Stati Uniti, in cui la grande potenza economica si esprime anche attraverso la qualità dell’insegnamento. Quello che si può avvicinare ai progetti di apprendimento definiti “strutturali” è un certo approccio alla linguistica che apre numerose prospettive, e che può ricordare l’approccio di Marin. Per struttura della conoscenza si intende quell’interesse al metodo e allo studio dei concetti per individuarne la struttura profonda, a livello logico soprattutto e da permettere così la comparazione tra più discipline e la risoluzione di problemi simili in campi diversi, resa possibile dalla padronanza della struttura.83

Per quanto concerne la pedagogia e l’approccio cosiddetto strutturalista all’insegnamento si possono mantenere le distanze, oppure coglierne una sfumatura quasi negativa, come se in quegli anni si sia cercato di formare giovani studenti col fine unico di una proliferazione di idee nuove a vantaggio della crescita economica, in un ideale di “adjustment” che non tiene conto di quei modelli educativi che invece hanno come fine lo sviluppo della competenza e dell’eccellenza. Quello che si chiama psicolinguistica, dunque viene applicata tramite metodi induttivi o di scoperta per l’insegnamento della lingua, con la produzione di libri di testo con impostazione organico-moderna e con programmi di studio con un andamento a spirale, in cui i concetti della scienza moderni vengono introdotti già nelle scuole elementari e poi ripresi successivamente per ampliarli. In tal maniera si evidenzia la struttura e i concetti sono collegati in maniera organica e sistematica. In un certo senso si potrebbe dire che

83 Si faccia riferimento al testo di J. Bruner e altri, La sfida pedagogica americana, a cura di G.

64 quello che si afferma è uno storicismo/umanesimo di Vico, cioè un equilibrio del pensiero analitico e di quello intuitivo. Si costruisce una pedagogia sul principio di struttura e di istruzione programmata, che come due miti si affermano nella proposta scolastica americana, ma che nascondono il pericolo, oggi forse molto più sentito, di un alienazione dell’uomo nel predominio della cosa sull’uomo, si pensi alla tecnologia e da un altro lato nell’autoritarismo scientistico. È necessario in qualche modo accentuare e difendere l’intuizione creativa per evitare di perdere un certo equilibrio, e quindi sarebbero così spiegabili i motivi per cui si cercano di bilanciare sia gli studi matematici, per esempio, sia quelli poetico-artistici, senza i quali non vi sarebbero nuove idee e la società assumerebbe le caratteristiche di un’azienda industriale tecnocratica.84

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