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Analisi della rappresentazione, delle immagini, del se, nella filosofia di Louis Marin.

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI CIVILTÀ E FORME DEL SAPERE

CORSO DI LAUREA IN FILOSOFIA E FORME DEL SAPERE

Tesi di Laurea

Analisi della rappresentazione, delle immagini, del sé,

nella filosofia di Louis Marin

Relatore:

Chiar.mo Prof. Alfonso Maurizio Iacono

Candidato:

Chiara Bugliani

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Indice

Introduzione ... 2

Capitolo I La critique du discours sur la “logic de Port-Royal” et “les Pensées” de Pascal ... 4

1.1 Il gioco del nome ... 10

1.2 La rappresentazione del “Moi” ... 16

Capitolo II Visibilità e presenza delle immagini ... 22

2.1 Semiotica della rappresentazione ... 27

2.2 Presenza ed assenza ... 30

2.3 Spazialità e temporalità ... 34

Capitolo III Semantica della rappresentazione ... 40

3.1 Comunicare per immagini ... 46

3.2 Immagini e simboli ... 58

3.3 Corrispondenze in pittura ... 64

Capitolo IV Corporeità e spiritualità delle immagini ... 71

4.1 La rappresentazione per una morale ... 79

4.2 Nuovo modello della rappresentazione ... 87

Conclusioni ... 96

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Introduzione

L’obiettivo di questo studio non è univoco. Ciò è legato soprattutto al fatto di voler restare fedeli alla filosofia di cui si occupa, cioè quella di Louis Marin, il cui stile è stato definito spesso energico e polivalente, poiché non si ferma mai a un unico punto di vista, riguardante i concetti più importanti della semiotica, ma affronta diversi argomenti operando una vera e propria breccia all’interno dei quesiti più complessi, che hanno interessato la filosofia di metà e fine Novecento. Per questo si ritiene giusto mantenere tale aspetto e affrontare il suo pensiero con sguardo obliquo, partendo specificatamente dalla prima opera La Critique du discours, per poi ampliare a quelle successive più specifiche riguardanti pittura e linguaggio. Marin da studioso di semiologia a grande conoscitore di pittura ed ammiratore di Pascal, lascia aperti numerosi spunti per una comprensione del suo punto di vista e si situa a precursore di quegli argomenti d’interesse contemporaneo sulla rappresentazione, sulle parole e sulle immagini, mantenendo sempre attivi i riferimenti a diversi ambiti di studi: sociologia, psicologia, scienza, teologia, logica e storia dell’arte. Il presente studio, da un lavoro di traduzione dal francese, della sua prima opera risalente al 19751, si è proposto di analizzarne in maniera specifica gli argomenti e i riferimenti espliciti e impliciti, per poi compararli con i suoi successivi sviluppi e quelli di alcuni grandi pensatori a lui contemporanei e precedenti. Un fine è certamente dare uno sguardo d’insieme sul suo modo di interpretare la semiotica e in generale sulla sua filosofia, anche se si preferisce mantenere una pluralità di argomenti, per fornire anche un discorso sulle problematiche sociali e patologiche legate al linguaggio, e in generale sulle sue funzioni, assunte nella cultura occidentale. La “novità” di Marin nel proprio contesto filosofico, fornisce la possibilità di intraprendere numerosi ripensamenti sul concepire un messaggio sia esso linguistico o pittorico, ma anche sullo stesso modo di concepire il rappresentare, attività che la mente umana possiede a ogni livello cognitivo. Lo scopo seppur plurale, della presente tesi è dunque dimostrare, mantenendo aperte diverse prospettive, arricchimento per la comprensione dell’argomento trattato, che la rappresentazione possa costituire un mezzo per migliorare la comunicazione umana e la composizione di discorsi scientifici o filosofici, e quindi anche di sistemi ideologici, perché essa ha la capacità di fornire

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3 “portali” per aprire nuovi sensi d’indagine, e dunque migliorare in positivo, senza pretese di assoluta verità o l’assunzione di principi dati per certi. Dalla rappresentazione come strumento della mente per arrivare gradualmente a un discorso scientifico corretto e valido fino alla visione stessa, come potente mezzo per arricchire la nostra percezione sensoriale, si affrontano argomenti di filosofia estetica, logica, pratica e teoretica, e come induce lo stile di Marin, senza creare barriere, piuttosto confini riconoscibili e per questo oltrepassabili. Egli affronta i temi più ostili già per la logica del Seicento, come lo studio delle proposizioni, dei nomi e dei giudizi, per uscire da una visione ben consolidata del mondo e dei suoi sistemi di senso, e per arrivare a comprenderne il funzionamento e i punti di crisi, nei quali egli intravede sempre uno spiraglio per una nuova teoria semiotica e dunque un miglioramento della conoscenza in generale. Quello che il presente studio si propone, infine, è di illustrare le nozioni interne alla filosofia di Marin, come trasparenza e opacità, visibilità e assenza, fino a giungere a una concezione della soggettività diversa e vedere come esse permettano non solo un approccio ricco all’estetica, ma anche alla stessa filosofia. Passando in rassegna la sua opera iniziale ci si è focalizzati sull’ottica generale del pensiero del filosofo francese per giungere a un’applicazione pratica su due esempi di opere pittoriche molto diverse tra loro, e per comprendere come egli abbia svolto il ruolo, condiviso con altri, di spartiacque per la filosofia del Novecento e abbia per questo aperto la strada a numerosi concetti che hanno permesso un approccio diverso e un arricchimento anche per la pedagogia, in cui sono applicati i metodi e gli sviluppi del linguaggio, e per la psicologia, che si trova a fare i conti con casi di problemi legati al linguaggio ma anche alla percezione e comprensione di un Io da parte del paziente e dei suoi rapporti sociali.

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Capitolo 1

La critique du discours sur la “logique de Port-Royal” et

“les Pensées” de Pascal

Il presente studio intende entrare nel pensiero di Louis Marin attraverso la critica alla

logica di Port Royal rappresentata da Arnauld e Nicole.2 Per affrontate tale analisi è necessario avere dei punti chiave, che sono utili come griglia per orientarsi nel suo pensiero filosofico; infatti nella “Critique” egli affronta gli argomenti più complessi per la logica dell’enunciazione, che nel corso della storia della filosofia, sono stati considerati punti critici per la stabilità e correttezza del modello in uso. In primo luogo si tratta di aspetti come i termini primitivi o il rapporto tra senso e significato, oppure tra

cose e idee, che secondo Marin , nella logica di Port Royal , sono da integrare da alcuni

importanti concetti del pensiero di Pascal.3 Entrando nel merito si può affermare che la

Logique consideri il linguaggio provvisto di un doppio valore, formale e descrittivo, del

mondo e delle sue relazioni, per questo si parla di logica come “arte di pensare”, concernente un’eterogeneità, che riscopre l’equivalenza di Natura e di Ragione dentro il linguaggio, ma che allo stesso tempo mette in crisi l’equivalenza stessa su cui si fonda. Il fine di quest’arte dunque, non è solamente costruire un modello funzionalista fatto di ragionamenti deduttivi, ma permettere all’uomo di conoscere i meccanismi della mente e le idee chiare e distinte. Il punto critico è indicato da Marin come trasgressione del linguaggio stesso, ed è ricondotto all’influenza sulla logica del pensiero di Pascal.4 Per prima cosa si mettono in luce gli aspetti più tecnici del modello segnico della logica, dai due poli direzionali presenti in esso. Il primo è quello in analogia col segno linguistico, che manifesta la relazione tra cose e qualità sensibili, che le rappresentano all’esprit dentro il sentimento. Il secondo è in analogia col segno pittorico, per ricostruire il piano epistemologico, in cui si sviluppi la scienza nuova. Il concetto chiave per affrontare

2 L. Marin fa riferimento a A. Arnauld e P. Nicole, La Logique ou l’Art de penser contenant outre les règles communes plusieurs observations nouvelles propres à former le jugement, 1° édition, Paris, 1662.

Arnauld e P. Nicole furono due famosi chierici, filosofi ma soprattutto logici, del XVII secolo che sono considerati coloro che composero la fonte per lo studio della Logica in Francia, appunto con L’Art de Penser, pubblicata anonima. Numerosi e fondamentali i rapporti con B. Pascal.

3 Il testo di riferimento per il confronto con Pascal è les Pensées

4 Si riconosce nelle analisi di Marin, la volontà di estendere il modello a diversi tipi di linguaggi, ma

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5 questi due aspetti è la similarità, infatti, s’intende contrappore la stessa nozione dal punto di vista cartesiano e da quello pascaliano. Il primo rappresenta la deduttività e l’analiticità del modello; l’altro la totalità, intesa come esplicazione analitica o atomistica che la rappresentazione implica, cioè rappresentazione e suo contenuto, ma anche come Natura, cioè infinità doppia, non traducibile in un sistema di segni a due dimensioni. Per fare un esempio si potrebbe dire che la fisica di Descartes si scontra con il Don Chisciotte della Mancia di Cervantes, che è allo stesso tempo il romanzo della rappresentazione, ma anche della distruzione delle fantasie arcaiche dentro la rappresentazione. Tornando ai due poli è fondamentale dire che quello della scienza nuova è il contesto su cui ci si concentra per ricostruire il rapporto del visibile e del senso nella similarità. La nuova epistemologia vede l’alternarsi del testo Cartesiano e quello Pascaliano, per una teoria del discorso della fisica, confrontabile col modello del segno in generale e del segno naturale. L’allargamento del punto di vista è secondo Marin un contributo Pascaliano, soprattutto per quanto riguarda la nozione di doppia

infinità. Essa da un lato indica l’impossibilità di stabilire i principi delle cose, come

anche inserirli in una conoscenza totale; dall’altro lato è immagine stessa della Natura, che fa scoppiare la rappresentatività del segno naturale e la porta al suo limite. Marin intende servirsi della nozione pascaliana per accentuare la trasgressione della chiusura del modello, attuata dalla rappresentazione. Si potrebbe affermare che essa è “illusione dell’illusione”, infinito doppio della grandezza e della piccolezza e che tramite i significanti, si traccia il ritratto della Natura. È noto come si sia cercato di distaccarsi dall’approccio cartesiano e dall’ideale di perfetta oggettività e la conseguente perfezione terminologica, che permette che tutto sia definibile e lo debba essere necessariamente. Ciò si basa sui due criteri fondamentali espressi da Descartes che sono quelli di chiarezza e distinzione.5 Da qui si considerano i due concetti di assenza e presenza della totalità, molto importanti per Marin, che arriva ad affermare che la totalità è dentro ciascun segno ed è ciascun segno, in altre parole è infinito e doppiamente infinito.6 Da questo punto di vista non vi è alcuna differenza tra segno linguistico e segno naturale. Il discorso scientifico, che è il vero fine su cui sia la Logica sia Pascal si sono diretti, diventa perciò definibile come una tensione dinamica verso le due estremità del doppio

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Si fa riferimento alla più che nota Prima Regola del Discours de la Méthode di R. Descartes, opera pubblicata per la prima volta nel 1637.

6 Abbiamo soltanto delineato quella che risulta essere una problematicità complessiva del modello

enunciativo, che viene attraversato dal paradosso dopo l’introduzione della doppia infinità come criterio, non solo valutativo, che mette al vaglio le numerose criticità del modello linguistico.

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6 infinito; la trascendenza di esse determina le condizioni della trasgressione del limite proprio del significante, che proprio in quel momento “si insignifica”. Il paradosso sarebbe allora quello di avere un continuum e su di esso la possibilità di articolazione rettificata dei discorsi scientifici; la fisica è dunque un discorso tutto umano, un atto arbitrario di finitudine e la filosofia ne tiene conto, soprattutto quando si tratta, per esempio ai giorni nostri, di poter garantire la validità di un modello psicanalitico. In esso la corrispondenza di significanti e significati porta problemi dall’inizio alla fine, sia per il completamento sia per l’archiviazione del sapere dentro a un sistema. E’ in un simile ambito problematico, sia legato alle definizioni dei termini primitivi, sia ai problemi derivanti dalla struttura del modello logico, che con Pascal si giunge a inserire la figura di Dio, che si ritira impenetrabile alla vista dell’uomo e costituisce l’ultimo scarto di significato, che fonda e interdice la totale significanza dei segni. La teologia ha una posizione paritaria all’interno del pensiero di Marin ed è interessante vedere come questa presenza non sia in qualche modo dovuta al bisogno di un supporto esterno o superiore, come sicuramente poteva essere intesa in passato, ma sia un successivo arricchimento e una fonte di chiarimenti per la logica e per la teoria del segno e della rappresentazione poiché è utilizzata metaforicamente per comprendere come dal segno si passi al concetto di figura. Essa assume ad un certo punto, le caratteristiche del simbolo, di ciò che permette alla logica di ampliare la comprensione delle relazioni tra assiomi, termini, ragionamenti e del sacro, che si potrebbe avvicinare meglio a quegli ambiti legati all’intuizione che spesso sembrano mettere in crisi i modelli. Ci si potrebbe stupire del fatto che la figura sia inserita in un testo di critica alla logica e al suo modello, ma si arriva a comprenderne la presenza invisibile già nel sistema di riferimento giansenista, non è solo questione di fede da dover tener presente, ma anche un utile argomento per la chiarificazione di alcune criticità del metodo logico di Port Royal e come punto di vista differente. In generale i logici francesi volevano applicare il metodo cartesiano alla logica, che ovviamente doveva fare i conti con tutte le strutture logiche da lui individuate e soprattutto tenere conto del cogito. La forza critica Pascaliana sta nel fatto di introdurre un’altra teoria per la questione del senso, partendo dalle corrispondenze tra parola e linguaggio, che tenga conto di quelle eccezioni alla logica, che però hanno una propria logica, e vanno perciò introdotte nel sistema a parità di valore. In un certo senso si reintroduce Plotino, che con “l’Uno” permetteva di comprendere che non è un concetto speculativo: è l’assolutamente primo. E come fare per operare questa riconnessione? Secondo gli antichi la filosofia non è speculazione

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7 astratta, ma in primo luogo esercizio e terapia7. Il metodo indicato da Plotino è:”afele

panta” ossia “abbandona tutto”. Ma questa sospensione radicale, questo lasciar andare

tutto, è possibile solo se fondato sull’Uno. Quando si hanno problemi sulla proprietà del nome, per esempio la parola “campagna” che apre numerose possibilità di senso, il linguaggio garantisce la validità di una massima politica o scientifica proprio grazie al fatto di basarsi su un “Uno”, tuttavia dovrebbe utilizzare in maniera precisa le parole ed evitare fraintendimenti, poiché la realtà è forse più simile a quei fraintendimenti. L’utilità di tale precisazione nasce dalla questione del senso che è dentro la significazione ideale, che si dona alla logica, anche se le corrispondenze che il modello costruisce appaiono come difficoltà più che soluzioni. Pascal critica il segno come rappresentazione, perché si basa sull’opposizione tra senso generale del segno e il suo designato, a volte nel concetto a volte nel referente. Si possono allora distinguere diversi piani alternativi a quelli di Port Royal: quello linguistico contrastante con quello del segno; il piano epistemologico con quello metalinguistico, il piano del sapere con quello degli oggetti di sapere e infine la scienza teologica rispetto all’uomo e alla natura. È a questo punto che si può introdurre il concetto di diversità, che risulta fondamentale per lo studio del nome, ma non solo. La diversità è il criterio per distinguere tre diversi approcci alla conoscenza: quello teologico, volto alla comprensione di Dio, quello umano, come totalità biologica, e quello linguistico, come termine riguardante un designato che significa. La diversità nel metodo conoscitivo insiste fino a toccare poli opposti tra loro; da un lato si rivolge all’infinità, dall’altro alla parola, rimanendo in una continua tensione tra percezione della totalità e percezione della stabilità nella forma del significante. L’uomo a tal proposito ha un ruolo di mediatore, essendo per natura un essere capace di prospettiva ed è grazie a essa che si mette in movimento il punto di vista fisso della rappresentazione; grazie a ciò si può decostruire l’ideologia della presenza e della sua riproduzione.8 La questione della prospettiva non è tenuta molto in considerazione da Cartesio, importante per la logica di Port Royal, poiché affronta il problema del nome come qualcosa visto in dettaglio o nella sua totalità secondo la lontananza o vicinanza a esso. Per Pascal, invece, ciò non è possibile, perché secondo

7 P. Hadot, Esercizi spirituali e filosofia antica, Einaudi, Torino, 1988

8 Marin è consapevole del fatto che sia complesso liberare un’ideologia attraverso un ragionamento che è

esso stesso ideologia; tuttavia una volta compreso ciò si può ancora comprendere come mai sia molto importante mantenere aperti e molteplici punti di vista in modo da cercare di uscire dal “gioco” per eccellenza. Inoltre per Marin è utile il contributo della filosofia Pascaliana che distaccandosi da Cartesio, cerca di liberare il soggetto parlante in primis da sé stesso, facendo in modo che sia un ulteriore passo di libertà dalle fissità e dalle certezze ideologiche.

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8 la misura con cui ci si approccia, “villa” e “campagna” svaniscono come “villa” e “campagna”; detto in altre parole non basta prendere in considerazione la distanza tra il nome e ciò che significa, poiché si tratta di metafore per cui il segno è il rappresentante o sostituto di un’altra cosa, presente o assente, ma che da tutte le parti dissimula portando alla visibilità. È una sorta di paradosso, perché da un lato la distanza permette di pensare e di determinare giustamente una qualità dell’oggetto, come un pittore che si allontana dalla tela per giudicare, tuttavia si ha bisogno di far oscillare il visibile nella sua parte di invisibile e di oscurità, che accompagna sempre ogni rappresentazione, ma che non è mai percepita come tale. Ciò ricorda allora il funzionamento della sensibilità, e per tale ragione è necessario rivalutare quegli aspetti legati alle passioni, che stanno a

cuore, sembra quasi un gioco di parole, a Pascal. A questo punto Marin, che ha

delineato le spinte differenti all’interno del sistema logico in crisi, sposta il discorso sul piano della morale, chiedendosi se sia possibile, come avviene in pittura, assegnare un punto indivisibile in cui si situi la verità.9 Si può introdurre allora l’ironia della metafora, che all’interno del modello segnico porta dei punti certi, ma che per verità e morale non permette di giudicare correttamente. Esse non sono riconducibili al modello della rappresentazione, che funziona in modo negativo, in altre parole la verità è l’altro della rappresentazione. L’altro è l’infinito della diversità, non della grandezza o della piccolezza. Per fare un esempio, l’illusione scenica del teatro esprime la doppiezza del segno: l’elemento differenziale dietro è una contraddizione tra i termini.10

Ci si può chiedere come mai la metafora entri in gioco al momento di dover parlare di una morale; potremmo dire che a seconda di come vogliamo intraprendere lo studio di essa, non si ritiene di poter evitare di riconoscere sociologicamente e antropologicamente che l’uso per l’uomo svolga un ruolo di guida nei comportamenti e nelle azioni. Si voglia a questo punto asserire il fatto che essa è un mezzo di cui ci si è sempre serviti nella storia, per convincere, per colpire ed interessare e come ci ricorda già Platone nel

9 Si assiste ad una strategia tipica del pensiero di Marin, cioè quella di far slittare il punto critico in altri

contesti in cui si possa constatare la validità della posizione assunta nel modello. Si potrebbe contestare al filosofo che la ricerca di una validità assoluta porti dei problemi all’interno della visione di partenza, poiché risulta abbastanza intuitivo non ricercare una visione unitaria di diversi modelli epistemologici. Tuttavia si deve tener presente che l’approccio è in un certo qual modo ermeneutico e più che voler trovare una chiave di lettura unitaria, si cerca di apportare nuovi punti di vista per mettere in questione i concetti di un’ideologia già ben affermata.

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In Pascal si trova il grande problema dell’indiscernibilità dell’assolutamente discernibile. La differenza pura è un essere che è un gioco differenziale, che obbedisce alle esigenze della rappresentazione, che mira a portare un’evanescenza dentro l’essere per i segni. Pascal fa rientrare la rappresentazione dentro il gioco infinito della differenza. Per questo si parla di proliferazione della differenza, che è erede della retorica quando parla di complicatio ed explicatio.

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9 Timeo, la persuasione riguarda quell’ambito del sensibile e delle opinioni, anche se fondato sulla verità delle idee, ma c’è quella presenza della necessità “ananke”11, che è importante collegare alla metafora che diventa mezzo d’azione.12 Essa dunque non solo permette di comprendere come certi concetti siano al di là del modello della rappresentazione, ma mette in evidenza il funzionamento con cui ciò avviene. Per esempio già l’intuitivo dover ricorrere a delle metafore per esprimere qualcosa di molto complesso, non è un caso, ma è necessario, e ciò a seconda dell’aspetto che gli uomini hanno privilegiato di volta in volta, ha permesso la creazione di mondi di senso diversi, ha comportato azioni e modi di pensare ben precisi. Blumemberg chiama quelle metafore che rimangono “di base” nella cultura, metafore assolute e attribuisce loro una rilevanza storica e pragmatica, nel senso che il loro contenuto determina un comportamento, una struttura del mondo, una rappresentazione del tutto della realtà, che non è facilmente sperimentabile e dominabile. Se vogliamo allora vedere un discorso di continuità e vicinanza di pensiero tra quello che si è detto di Marin e insieme Pascal e questi sviluppi, si può affermare che in generale sia un fatto di interesse storico riconoscere una metaforica dei concetti principali e una pragmatica della conoscenza, nel senso di volontà di progresso e di rispondere a quegli interrogativi ingenui cui non si è data e non si continua a dare risposta; dall’altro lato però essi ci portano a comprendere quanto sia spesso sottovalutato l’aspetto pratico, dell’agire, che interessa linguaggio e rappresentazioni, in una sorta di interazione spontanea e necessaria per la vita dell’uomo. Non si può distaccare o dividere questi aspetti in maniera netta o definitiva, ci insegna Pascal e riprende Marin, poiché verranno a crearsi delle problematiche di senso, che non sono intaccano il linguaggio, ma la stessa fisica. Ciò a dimostrare che a differenza di un metodo cartesiano sarebbe preferibile optare per una logica che tenga conto dei processi collegati tra loro siano essi legati alla razionalità siano quelli dell’emotività. Ovviamente quel che oggi appare come un processo in corso, nel passato era un obiettivo, dato che la sfera delle passioni era considerata, per la morale dominante cristiana, qualcosa di peccaminoso e inferiore. Quello che da un punto di vista storico appare chiaro come tentativo, porta Marin a considerare più da vicino gli aspetti che già ai logici francesi portavano alcune difficoltà, proprio a partire dal loro aspetto duplice e non riducibile a qualcosa di nettamente razionale e oggettivo.

11 Ananke (gr. ἀνάγκη). Voce greca antica che significa «la necessità», «il fato», www.Treccani.it

12 Per un approfondimento ulteriore si rimanda a H. Blumemberg, Paradigma per una metaforologia,

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10 Si passi a considerare in che modo Marin ha espresso quella che era la necessità di cambiamento, che i logici di Port Royal si trovarono a dover affrontare nei confronti della logica tradizionale scolastica, facendo si che la rappresentazione entri nel sistema proprio in relazione agli elementi principali del linguaggio e ne costituisca il modello di funzionamento. Naturalmente gli anni in cui Marin si occupa di linguaggio, sono quelli in cui la logica vera e propria ha compiuto passi avanti per poter ristabilire all’interno del sistema, il ruolo importante della psicologia, che invece agli inizi del secolo scorso era stata tenuta a distanza. La logica nel Novecento ha assunto delle caratteristiche totalmente nuove e complesse e all’interno dello studio del linguaggio, da quello scientifico a quello comune, sono avvenuti dei grandi cambiamenti, che si risentono nello stesso studio di Marin, quando si approccia con la logica Seicentesca e che sono imprescindibili se si vuole procedere in un’analisi dei meccanismi del linguaggio e del mondo fattuale.

1.1 Il gioco del nome

La parola e l’idea costituiscono i due elementi primitivi, secondo la Logique, ed esse si oppongono ma allo stesso tempo si implicano reciprocamente, infatti, per i logici la parola è l’esteriorità dell’idea, una rappresentazione che si chiama segno e la loro relazione è necessaria. Nel corso del Novecento la logica ha dovuto prendere atto dei modelli psicanalitici e delle teorie del linguaggio che hanno dovuto dare i propri contributi per la comprensione del funzionamento del conoscere e del parlare. Lo sviluppo della logica ha permesso di ribaltare per certi aspetti delle certezze, facenti parte del linguaggio scientifico, per assumere un carattere fenomenologico e intuizionale. Pensare è un parlare a se stessi ed il mondo non è composto da realtà oggettive descrivibili tramite categorie logiche, ma è composto da eventi, e ciò conferma la visione di un modello non solo descrittivo delle operazioni della mente, ma anche di analisi del linguaggio, in cui segno e idea si trovano in un’equivalenza, che articola un’unità di coerenza che si espande anche alla relazione tra idee e cose. Quest’ultima si presenta alla mente come rappresentazione, in un sistema di relazioni

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11 grazie cui si può affermare cose per idee e dire idee per segni. Parlare allora di mimesi13 diventa importante, quando si cerca di capire se a livello delle immagini ci sia una corrispondenza totale o parziale con il significante linguistico. È a questo proposito che Marin ritiene di dover affrontare le proprietà del nome e afferma:

“Il segno sia la rappresentazione adeguata del rappresentato, quali che siano la natura o i processi di tale adeguatezza, il nome deve essere proprio. Esso rappresenterà senza surplus né residui, esattamente e per definizione”.14

Tale proprietà di derivazione pascaliana, è rinviata all’infinito, perché il nome non coglierà mai l’essere nella sua totalità, cioè il significante non sarà mai coalescente con il significato, poiché l’essere designato fluisce all’infinito verso il nulla senza mai annullarsi. La proprietà del nome dentro il suo significato è tutta risolta dentro l’improprietà delle parti: il nome è figura metonimica della totalità, fino a uno zero di significato che è rappresentato dal nome neutro o neutralizzato. Ciò rimanda a una visione della logica che risente delle teorie di Wittgenstein, soprattutto per quanto riguarda il concetto di crisi del fondamento e di giochi linguistici. A tal proposito è d’obbligo ricordare che le proprietà dei termini fin da Aristotele, costituiscono ancora la base per le riflessioni della Logica, ma entrano profondamente in crisi soprattutto per quanto riguarda la visione corrispondentista di linguaggio e oggetti del mondo. Per chi si occupa di logica la questione non è affatto semplice, anche perché oggi si intrecciano agli ambiti scientifici sia gli aspetti convenzionali del linguaggio, sia quelli riguardanti sentimenti e emozioni, ambiente e cultura e così via. Quello che interessa del nome e di quello che si vuol chiamare “gioco del nome”, sempre per richiamare Wittgenstein, è il fatto che si tratti di comprendere non solo il senso della logica in sé, che grazie al linguaggio è espresso in una grammatica, ma quel senso essenziale che, per dirla con Vico, proviene dalla logica della fantasia. Per Vico infatti ciò che resta all’uomo non è il fatto bruto, ma ciò che egli produce con la fantasia, e in ciò potremmo dire consiste il gioco. Il nome infatti, sia esso preso in ognuna delle sue caratteristiche, permette di mettere in risalto il senso produttivo dell’attività umana, qualsiasi essa sia, anche

13 Mimesi intesa qui nel senso di riproduzione, mantiene in Marin un significato legato al teatrale,

all’azione dell’attore sulla scena, come l’immagine o il segno farebbero per il rappresentato. Proprio perché si è parlato di illusione teatrale e di gioco, si ritiene a questo punto fondamentale mantenere questo aspetto dell’etimologia della parola greca che consente di percepire la presenza di paradossi all’interno del modello.

14 La critique du discours, Les Editions de Minuit, Paris, 1975; che verrà da questo punto in poi citata

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12 totalmente inventata. È per questo che Marin compie una riflessione sul nome e di conseguenza sull’uomo come totalità biologica: egli è da un lato soggetto o sostanza, dall’altro chi compie certe funzioni per il servizio del corpo, cioè parte della sostanza. La metonimia è funzionale nell’organismo biologico e rappresenta il processo della diversità infinita; il modello cartesiano è compromesso poiché è impossibile creare una lista delle parti della macchina e dunque è impossibile ricomporre l’uomo dentro ad un modello automatico che è il doppio. Si mette in questione un certo tipo di concezione secondo cui l’uomo è un soggetto sostanziale, un corpo, inoltre il modello rappresentativo analitico dell’uomo dentro la sua natura è diventato figura discorsiva di soggetto e sostanza che ha nome “uomo”. Appare evidente che si tratta di una decostruzione del modello rappresentativo su se stesso. Perché si possa dire che il nome gioca con ciò cui si riferisce, è necessario capire in che modo è intesa la sostanza e in particolare la sostanza “Moi” e in che modo l’ambito degli oggetti abbia assunto le caratteristiche di “spazio”. Prima di cercare di dare un chiarimento, è utile seguire il percorso intrapreso da Marin riguardante le componenti atipiche del linguaggio, che tuttavia ne fanno parte come elementi ben definiti. Si tratta di termini che allo stesso tempo trasgrediscono le regole del gioco del sistema e ne fanno parte, e che sono caratterizzati dalla confusione.15 Essa permette a certi termini di esprimere qualcosa di non detto, dunque di sottrarsi alle regole della chiarezza, ma anche di avvicinarsi maggiormente alla realtà delle cose. Un termine neutro, un dimostrativo neutro o un aggettivo indefinito, rientrano in una grammatica certa e determinata, ma ne sfuggono giocando nella loro relazione con il pensiero. Quando ci si accosta a esso, il problema diventa quello di stabilire la validità delle regole che permettano al modello linguistico di funzionare in modo corretto, e soprattutto di avvicinarsi il più possibile alla verità. Secondo Marin il funzionamento del linguaggio è garantito se vi è una corrispondenza, che esiste già nell’essere, tra totalità e singolarità di esso. È la polisemia e la possibilità di diversi punti di vista che permettono di garantire la correttezza del modello linguistico, perciò il segno, la parola rinviano alla cosa per una convenzione, ma la sostituiscono grazie a una pseudo visibilità della relazione arbitraria della rappresentazione. Le parole sono diventate per una speciale relazione, senso di ciò che significano e sono lo stesso senso.16 Risulta chiaro che il contesto che abbiamo volutamente chiamato all’attenzione, si muove in diversi ambiti di realtà e irrealtà, dove

15 L. Marin, Critique, p. 191 16

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13 i termini hanno una valenza doppia di giocatori e di regole. Come avviene nel gioco dei bambini, il senso e il referente giocano con il pensiero, in una trasparenza talvolta limpida, altre opaca e ci si trova sempre di fronte a rappresentazioni che possono sia dissimulare il pensiero, sia rappresentarlo, esattamente per quello che esprime. In altre parole, lo strumento linguistico diventa sostituto della cosa, perché ne è la rappresentazione e l’essere. Tale identificazione è utile a Marin per capire il funzionamento della rappresentazione, che appare come qualcosa in grado di assumere diversi ruoli in contesti diversi, in particolare di mantenere in se stessa la validità garantita dal modello e di infrangerla. Si potrebbe chiedere come sia possibile per certe idee confuse e oscure far parte di tale gioco. Come possono essere rappresentazioni di sentimenti non facilmente descrivibili, se non per un atto di ragionamento successivo? A questo punto Marin introduce la questione della metafora del sentimento, in cui la rappresentazione effettivamente si sostituisce alla cosa come sua proprietà; il segno ne garantisce la validità per omologia strutturale e la coerenza del modello resta garantita. In un certo senso egli si avvicina molto a Kant, che lega i concetti di simbolo e metafora, non ancora distinti, per affermare in generale che la realtà dei concetti è esibita solo tramite intuizioni17; ed anche così quel rapporto difficile tra fantasia e logos si arricchisce.

I concetti fondamentali che Marin introduce in questo ambito, sono assenza e visibilità, e presenza e invisibilità18. Si comprende come costituiscano la griglia interpretativa del

modello rappresentativo e siano la chiave di lettura, individuata da Marin, in cui si possono ammettere la coesistenza di elementi contrastanti all’interno dello stesso modello. Egli tramite la Logique richiama quel tipico atteggiamento del filosofo greco, di far si che i rapporti tra termini cose e idee siano utili da un lato per affermare il vero nei ragionamenti, dall’altro per comprendere che l’oscurità di alcuni passaggi di senso e di referenti, sono la prova del fatto che i piani ontologici, logici e linguistici siano separati e quindi manchi la corrispondenza di struttura della realtà e del linguaggio19.

17 Ci si riferisce alla Critica del Giudizio di I. Kant, in particolare al par. 19 in cui egli definisce il

concetto di simbolo come una “ipotiposi”, cioè come una “esibizione”

18 È interessante notare come tutti questi criteri siano legati alla visione e alla corporeità, come se Marin

intendesse richiamare il “Dasein” Heideggeriano, ovvero l’esserci , che non va confuso però con il soggetto. In questo momento si assume un punto di vista in Marin prettamente fenomenologico, che richiama Heidegger ma anche come vedremo Husserl.

19 Si prenda atto del fatto che Aristotele considerasse la verità corrispondente alla realtà, ma qui si vuol

far notare come nella filosofia francese si tendesse a separare i vari piani del sapere proprio forse per una perdita della centralità della verità.

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14 Da un punto di vista Aristotelico le difficoltà tra definizione ed enunciazione si possono evitare attuando delle scelte precise nell'utilizzo di soggetto e predicato, affinché non ci si disperda nell'indeterminatezza dell'infinito.20

Si deve ricordare che il tratto convenzionale del linguaggio, come patto tra uomini è sempre tenuto presente da Aristotele, non solo perché è la stessa mente che funziona così, e ciò risulta molto moderno e da un certo punto di vista anche vicino alla concezione di quei filosofi citati in precedenza e di Marin, ma anche perché si ha l’intenzione di non sottovalutare quei presupposti ingenui, spesso considerati per via di una certa storia dei concetti e di ideologie, come inferiori. Si intende forse dire che nonostante si sia spesso ritenuto che le parole siano superiori se rispecchiano la correttezza, in altre parole se esse sono logos, si può aumentare la propria concezione con il mito, con la fantasia, che fa si che l’efficacia delle idee non perda mai la propria funzionalità. Se volessimo dunque dire che la parola a contatto con le idee attua un meccanismo molto simile al gioco, e che questo avvenga a più livelli, si può però affermare che ciò che li differenzia è il fatto che il gioco è fine a sé stesso, non rimanda a un fondamento, e le parole, le immagini hanno un ruolo attivo nella vita e nella modulazione di essa in ogni ambito. Si potrebbe vedere in ciò una scia della concezione teleologica del mondo e quindi il fatto di cercare di vedere un’utilità e un fine, potrebbe per così dire essere sia considerato vano, sia essere trovato anche nell’attività di gioco. Quello che risulta più utile è forse concentrarsi sul fatto che le strutture procedano in modo simile, con alcune differenze, e che nella struttura si attuino dei procedimenti che sono fissi ma anche costruttivi, tanto da garantire l’efficacia della reazione delle persone e del potere che si esercita su di esse. In effetti senza indugiare su aspetti troppo razionalizzanti, quello che alla fine risulta è uno strumento di potere, e ciò ovviamente non può che richiamare Foucault ma non solo, già tutta la filosofia antica si occupava di retorica, di inganno, proprio a dimostrare che le parole sono qualcosa che ha la capacità di formare menti e oggetti e aumentare convinzione del potere. Ciò può far anche pensare al fatto che grazie proprio a certe idee e parole, si è arrivati a dire che l’uomo in generale abbia il ruolo di osservatore dei fatti e sia in grado di “assoggettare” tutto ciò che voglia. Per rispondere a quel continuo bisogno di sapere, di felicità e conoscenza miste, l’uomo come un bambino curioso che osserva e poi crea nel gioco, attua la sua rappresentazione con audacia e sempre cambia le regole, per non sentirsi affranto, senza

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15 speranza di riuscita, oppure senza nessuno scopo, o ancora per imporsi sugli altri. In ogni caso è possibile che tutto ciò avvenga, anche nello stesso momento. In un certo senso il concetto di corporeità in senso fenomenologico è importante perché nel corso della storia è avvenuto un passaggio importante, per dirlo brevemente da “tomba

dell’anima” in Platone a relazione ontologica tra soggetto e sostanza, in cui non vige

una dicotomia fisa ma una processualità di relazioni tra interno ed esterno. Platone affermava nel Cratilo che:

“Dicono alcuni che il corpo è séma (segno, tomba) dell’anima, quasi che ella vi sia sepolta durante la vita presente; e ancora, per il fatto che con esso l’anima semaínei (significa) ciò che semaíne (intende esprimere), anche per questo è stato detto giustamente séma. Però mi sembra assai più probabile che questo nome lo abbiano posto i seguaci di Orfeo; come a dire che l’anima paghi la pena delle colpe che deve pagare, e perciò abbia intorno a sé, affinché sózetai (si conservi, si salvi, sia custodita), questa cintura corporea a immagine di una prigione; e così il corpo, come il nome stesso significa, è séma (custodia) dell’anima finché essa non abbia pagato compiutamente ciò che deve pagare. Né c’è bisogno mutar niente, neppure una lettera.”21

Non è un caso comunque che si faccia riferimento al significare, al linguaggio, perché già Platone aveva compreso che era molto più di così, l’espressione di qualcosa smorzato dal corpo magari, ma comunque familiare. Reazioni in tutti simili e diverse, di sensi e sentimenti, che non escludono il razionale, cognitivo, spirituale, anzi ne inventano sensi e interpretazioni nuove, anche di se stessi. Non è forse privo di rilevanza sottolineare la corrispondenza di corpo e segno, di conservazione di significato e di espressione e il riferimento ai seguaci di Orfeo, e dunque alla duplicità (infatti secondo il mito è sia protettore delle spoglie di Apollo sia rappresentante della conoscenza intuitiva, sensibile, legata alla natura) ne è emblema. Si affronti a proposito di queste contraddizioni legate sicuramente all’umano, l’argomento dell’Io, che per una scelta interpretativa non è stato tradotto dal francese “Moi” per mantenerne nella definizione vivi più aspetti.

21

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16 1.2 La rappresentazione del “Moi”

Si ritiene utile a questo punto fare un altro passo per comprendere come il funzionamento del linguaggio, che appare da una tale prospettiva così simile a un gioco, ma anche alla stessa composizione della natura umana, sia serio e fondamentale per l’educazione e l’ideologia, sia che esso sia legato alla sfera del mito e della fantasia, sia che presenti scoperte scientifiche e tecniche e arti pratiche che si affermano in una società. Dall’uso del linguaggio da bambini si passa, attraverso un continuo esercizio, a uno tutto razionale, denaturalizzato, che porta a un’altra natura umana, a una specie di spontaneità acquisita.22 Si comprende come ci sia una sorta di critica di Marin al sistema pedagogico in uso, che risulta fondato sull’uniformità dei concetti e delle strategie di comunicazione, impedendo la libera circolazione delle idee. Tuttavia ne riconosce un aspetto naturale, in altre parole quello di far appartenere i soggetti a una cultura, e quindi di formare dei soggetti in grado di comunicare con gli altri a più livelli di rappresentazioni condivise. Il rischio è di omologazione e uniformità, ma anche di una società che essendo in grado di formare individui potenzialmente simili, li porta a competere tra loro più che a scambiare idee e creare relazioni positive. Mettendo da parte commenti che richiamano una situazione a noi oggi ben nota, si arrivi a questo punto a considerare la rappresentazione del “Moi”. Secondo la Logique con l’idea del “Moi” il modello segnico e rappresentativo acquista una garanzia naturale per il suo funzionamento. La strategia dei logici fu di scindere la percezione del soggetto di sé, istituendo così un nuovo parallelismo con il modello linguistico e rappresentativo. Per Arnauld e Nicole il soggetto si considera come sostanza pensante e come altro, dentro la sua rappresentazione e si potrebbe indicare questa doppia concezione come un processo dovuto all’inversione dell’immaginazione, che da un lato permette la rappresentazione del “Moi” dall’altro riconosce la forza del desiderio che muove il soggetto. Il primo aggregato che Marin riconosce a questo punto è di un sé che si concepisce come

principio di piacere23 spinto al possesso delle cose; interviene in seguito una legge di contiguità che fa considerare buoni gli oggetti desiderati. Da ciò deriva tutta la scala di valori di una società, dovuta per esempio al ritenere buono qualcosa di grande e cattivo qualcosa di piccolo; intuitivamente si comprende come l’immaginazione intervenga nel rendere possibile che qualcosa di invisibile come un desiderio si traduca in una

22 L. Marin, Critique, p. 211 23

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17 rappresentazione visibile e ugualmente faccia nascere nell’individuo la convinzione di attualità del desiderio. L’immaginario è reale e il “Moi” risulta un simulacro visibile non solo “a me” ma anche agli altri. Il rapporto circolare che si crea con gli altri gioca un ruolo principale nella concezione del sé, senza il quale non si costituirebbe l’idolo che si crede di essere e cui si aspira. Citando la Critique:

“L’idea-idolo del me, il suo spazio ottico è il centro cui l’uomo dentro la sua vanità rapporta tutto. Il suo me è l’idea del suo me.”24

Anche qui è chiaro come si tratti di una sorta di gioco ottico, con cui l’uomo guarda se stesso, gli altri e l’idea che ha di sé e il definirsi soggetto dipenda in qualche maniera dal decidere quale punto di vista prendere sulla molteplicità di sguardi possibili25. È interessante comprendere come Marin non voglia assolutamente tenere in disparte il modello linguistico ed egli continui a passare da un ambito all’altro facendo notare come la rappresentazione sia in un certo qual modo priva di confini, adatta a spiegare e caratterizzare diversi ambiti dell’umano, dalla scienza alla psicologia e in definitiva possa riguardare la filosofia e il concetto di corpo come si è visto già in Platone. Marin prosegue e definisce il “Moi” un abisso, un mostro che cerca a tutti i costi di comprendersi e di rappresentarsi in maniera oggettuale, ma non riesce a comporre un ritratto di sé, vista la quantità di segreti che nasconde e non può svelare. Quello che può fare è creare un sistema fratturato e fratturabile che gli permetta di esprimere le proprie contraddizioni e sia utile all’esistenza. Con il modello rappresentativo l’uomo può rendere visibile ciò che non può comunicare, sia a livello metalinguistico sia a livello di immagine e di esempi. È lampante come torni a essere fondamentale la visione psicanalitica freudiana ma anche la definizione di Logica come “arte di pensare”, composta di discorsi che sono sia logici ed esistenziali sia espressivi della scissione del loro soggetto. Tale è la sua composizione, quella di una sostanza come nozione neutra caratterizzata dalla serie infinita di qualità, che la rappresentazione realizza ontologicamente; partendo dal suo background neutro. A questo punto il “Moi” è una figura, si potrebbe dire aperta ad assumere su se stessa gli effetti emotivi e comportamentali che magari vengono dall’esterno. Potremmo dire che avvenga una sorta di identificazione poiché vi è empatia, memoria ed educazione, e la critica

24 L. Marin, Critique, p. 226

25 Il richiamo a una teoria psicanalitica è molto forte in queste pagine, anche se si affronta il problema più

da un punto di vista linguistico, è chiaro che Marin risenta delle influenze di psichiatri e filosofi che stavano proponendo una teoria alternativa a quella Freudiana dell’Io.

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18 pascaliana che si sottende, consiste nell’esibirla per attuare una critica del “Moi” come sostanza. Si avvertono in essa le tracce di una diversità infinita lasciate per una forza di differenziazione; avviene per Pascal e dunque Marin, una messa in questione del soggetto sostanziale, per tale forza. La differenza è un rapporto diacritico di due paradigmi e la sua forza è di far emergere una dinamica della mancanza e colmare la mancanza simbolicamente. Per giungere a definire l’essere, Marin quindi passa attraverso Pascal e quella che può essere definita con la filosofia di Husserl

neutralizzazione; dunque si intende dire che il nostro essere proprio è una mancanza di

un me stesso, che è segnalato come figura dalle sue qualità, attraverso una metonimia. L’essere comporta una mancanza, che è contrassegno di un nulla, e quindi è legato necessariamente all’apparire, giacché comporta la sua differenza ed anche perché è già divenuto apparenza “nell’altro”, che ne è la soddisfazione simbolica. Infine il “Moi” è privazione, è sua illusione ed è allo stesso tempo nome proprio e gioco. È una totalità che si distribuisce nelle sue parti nel gioco senza fine dello scambio, della sostituzione di qualità dentro il mezzo dell’alterità. Come altra chiarificazione è buona norma centrare storicamente e filosoficamente il pensiero di Pascal, per comprendere quali sono le sue influenze su Marin a proposito dell’individuo. Il Seicento è un secolo di grandi intuizioni e idee, ci si domanda, in generale, quale sia il metodo giusto per costruire un percorso di ricerca della verità e dall’altro lato ci si interroga sulla mente dell’uomo e soprattutto sul modo per conoscere le emozioni. Si pensi principalmente a Cartesio e a Spinoza, grandi pensatori che offrono una fondazione alla conoscenza tenendo insieme i due aspetti sopra introdotti. Pascal cerca invece di distinguere nettamente tra due tipi di formazioni della conoscenza, anche perché egli è un esponente del Giansenismo, quella teologica e quella filosofica: la prima prevede una fonte esterna che sono le Scritture, e un’interna, che è il cuore dell’uomo; la seconda invece è dovuta alle facoltà umane che comunque dipendono dal doppio ordine della natura, quello materiale e quello spirituale di cui l’uomo è espressione. Oltre all’interesse gnoseologico va tenuto presente che il fine principale di Pascal è di comporre “un’apologia del Cristianesimo” per convincere gli uomini, soprattutto quelli più viziosi a convertirsi e a dominare le passioni. Anche se un’opera completa non è mai stata prodotta da Pascal, se ne rintracciano le intenzioni nelle sue parole e nelle sue idee riguardo all’uomo. Si potrebbe parlare di “groviglio umano”, nel senso che le diverse facoltà sono eterogenee e non gerarchiche nell’uomo che, attraverso l’immaginazione, ragione, cuore e sensi, arriva a formarsi degli esiti conoscitivi esterni e interni.

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19 Nonostante ci sia una ricerca di armonia nelle facoltà, bisogna ammettere che la grande garanzia di questa prospettiva è comunque Dio, ma è importante sottolineare che non ci sia una reale condanna della condizione umana, anzi il discorso di Pascal risulta evidentemente a favore dell’imperfezione o perfezione delle sue qualità.

A questo punto è necessario distaccarsi dal discorso del “Moi”, come avviene quando ci si allontana da un quadro per capirlo meglio. Per Marin passare da considerare le parti del discorso alla sostanza concreta del suo nocciolo non è strano; proprio per la fluidità del suo ragionamento, è possibile affermare che ogni aspetto che entri in gioco, anche se apparentemente distante da una critica al discorso della logica o dall’analisi del nome nello specifico, sia utile per comprendere il funzionamento della rappresentazione. È chiaro che appiattire i diversi punti di vista non è lo scopo del metodo di Marin, ma egli si serve di diverse tipologie di funzionamento dei processi mentali umani, per affermare che in un certo modo tutte le differenziazioni che avvengono nei diversi contesti, sono dovute a una sorta di struttura che regola il gioco. Si potrebbe affermare che tutto è riducibile al linguaggio e con una specie di distacco critico, vedere, come per alcuni aspetti fa Marin, delle figure retoriche in gioco in diversi ambiti. Quello che per questo studio è di primaria importanza non è solo il meccanismo di funzionamento metalinguistico, che risulta intuitivo dalla lettura del testo di Marin, ma far vedere come si possano cogliere delle omologie strutturali in ognuna delle questioni affrontate .26 L’ideologia della rappresentazione si completa se si considera come chiave di lettura ancora la nozione di confusione27, che permette al modello e alle sue regole di creare un sistema funzionante. Se per esempio si considera il sistema monetario si vede che a volte indica le cose, altre le rinvia come altro dal sistema, che si costruisce come puro elemento di scambio, facendo sì che esso trovi in lui stesso la propria finalità e la propria autonomia.28 L’elemento di confusione presente all’interno di codici o di altri sistemi è per Marin il punto chiave grazie al quale la Logica riesce a tenere presente la grammatica del linguaggio e ciò che sembra sfuggirle, ma senza il quale essa non si formerebbe. Da un lato la confusione risponde al problema dell’equivoco dei termini complessi, facendo si che anche in tali casi sia la corrispondenza tra senso e referente a determinarne la validità; inoltre si tratta di un alternarsi di visibilità e opacità della

26

Si procede con un’analisi del tema della rappresentazione di Marin ne La Critique alle pp. 201 e seguenti.

27 Per confusione si intende la dissimulazione del rapporto della pratica trasformatrice che si attua dalle

cose ai segni, per cui si accetta che lo scambio avvenga invertendo o dissimulando i rapporti stessi.

28

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20 relazione, che permettono di considerare un rapporto come reale o irreale. Seguendo lo sviluppo della logica, che arriva a individuare criteri di verità indecidibili, si afferma che il senso oltre ad essere rappresentante di una cosa, diventa la rappresentazione reale di tale oggetto, mentre si identifica con la cosa, diventa anche l’identificazione di una cosa con l’idea. In una fluidità di processi entra in gioco dall’altro lato, il concetto di confusione dei pensieri e dei termini. Risulta intuitivo dall’analisi di Marin accorgersi della difficoltà di ricondurre certi sentimenti a idee, che sono le idee confuse problematiche nel linguaggio, ma da un certo punto di vista si tratta di un funzionamento simile a quelli descritti in precedenza, poiché l’ambiguità è risolta tramite metafora, che riesce a esprimere alcune proprietà del sentimento. La rappresentazione del sentimento è oggettivazione come proprietà di esso, senza che sia però privato della sua ambiguità. Il mantenimento di assenza e visibilità rendono le idee confuse molto simili alla struttura del segno come rappresentazione, che è in definitiva ciò che Marin cerca di mostrare. La rappresentazione con assenza e visibilità da una parte e presenza e invisibilità dall’altra in continuo scambio, rende maggiormente evidente la costruzione e la decostruzione del modello segnico. Si potrebbe intendere ciò come qualcosa di diverso dal modello in uso nella Logica di Port Royal, tuttavia si vuole concepire la critica proprio come presenza simultanea di quei due aspetti; in un certo senso anche Pascal ne costituisce un esempio rispetto alla Logique. Con critica dunque non si definisce qualcosa di esterno al modello o di totalmente opposto, ma un aspetto che ne rientra nel funzionamento e ha anche la capacità di uscirne, creando su se stesso un punto di partenza per nuovi spunti interpretativi.

In definitiva quello di Marin potrebbe essere un tentativo quasi assimilabile alla tendenza presa dalla logica nel Novecento e alla filosofia analitica ad occuparsi di possibilità e necessità della logica modale. È da ciò che il “Moi”, dunque, visto come processualità e necessità, ha la capacità stessa di creare strutture, ogni volta che abbia la necessità di esprimersi. In un certo senso potremmo capire meglio quella che soggiace nel funzionamento della rappresentazione umana, se si fa riferimento alle immagini, soprattutto perché è con esse che avviene forse in maniera più esplicita, la liberazione di ciò che si prova e pensa e si comprende del mondo; in un certo senso ci si interessa di un altro codice comunicativo e per dirla con Nietzsche “l’arte è un’attività

autenticamente metafisica di questa vita”29 e ha la capacità di oltrepassare i limiti stessi

29

(22)

21 che possono sorgere se si cerca, invece, di dare una portata storica e dunque una validità al discorso basata unicamente sul riproporsi di certi concetti.

(23)

22

Capitolo 2

Visibilità e presenza delle immagini

Si è già convenuto a proposito del tema della visibilità, che esso sia uno strumento per capire come le rappresentazioni si rapportano agli oggetti, alle parole e al modello stesso. Si forniscono a questo punto, alcuni degli aspetti di questo concetto che possono aiutare nel nostro studio. In primo luogo si tratta di un modo di concepire la rappresentazione legato alla vista, ma si ritiene ulteriormente chiarito il concetto se a essa si accosta il fatto che si parla di ragionamento e che non si tratta solamente di vedere qualcosa. Inoltre è importante inserire la presenza, che a seconda dell’essere visibile possiede le caratteristiche di realtà o di invisibilità, come può avvenire nelle parole; per esempio la parola “gatto” è presenza invisibile di qualche gatto cui ci si riferisce. In terzo luogo la visibilità è definita in relazione al piano teologico, infatti Marin arriva a concludere il capitolo sul ragionamento30 dopo una serie di considerazioni che vanno oltre la grammatica del linguaggio, e che assumono la loro validità grazie a frasi bibliche, le quali costituiscono spesso delle eccezioni. La frase “Questo è il mio corpo e il mio sangue” costituisce per il filosofo un esempio di proposizione che fa parte del sistema della Logica, ma ne costituisce un’eccezione.31 Un altro elemento da sottolineare è che la visibilità rende possibile un dialogo tra parola e

immagine e quindi rispetta e rende coerente il pensiero del filosofo, senza far si che ciò

risulti circolare. Infatti, come è sempre utile ricordare nel corso della lettura dei testi di Marin, non si cerca di assoggettare sotto schemi o nozioni il funzionamento di diversi campi d’indagine, piuttosto di evidenziare i punti di contatto per renderli espliciti e ampliare la conoscenza di più punti possibili appunto tramite un dialogo. Secondo questo studio la nozione di visibilità e quelle a essa unite, presenta dei tratti plastici, fluidi, qualcosa allo stesso tempo di fisico e di astratto, aspetto grazie cui riesce a ricoprire diversi ruoli all’interno del modello segnico ed anche a contraddirlo.32 Ciò non è dovuto solamente al modo di procedere del filosofo francese, ma alla costituzione

30

L. Marin, Critique, pp. 275-299

31 Ivi, p. 181

32 Marin sembra ricondurre schematicamente la questione al piano linguistico e teologico; le sue

considerazioni risultano meglio comprensibili se si cerca di tenere presente il funzionamento del modello segnico e il concetto di totalità, già affrontato nel cap1 di questo studio.

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23 stessa del funzionamento del sistema segnico della rappresentazione. Il lavoro di Marin cerca di spiegare al lettore della sua critica i concetti, da quelli che creano il passaggio da rappresentazione a ragionamento. Quest’ultimo si differenzia dalla rappresentazione, nel senso in cui esso fa compiere all’uomo un passo ulteriore, un terzo proveniente da due precedenti. L’affermazione “la terra è rotonda” è un giudizio che deriva dalla conoscenza che vi è “la terra” e che vi è un qualcosa di “rotondo”.33

Secondo tale punto di vista la rappresentazione e la parola risultano elementi del ragionamento, poiché quello che conta sono i concetti, tuttavia senza di esse non sarebbe possibile per l’uomo creare dei giudizi. Si potrebbe dire che esse costituiscano un principio del ragionare, ma il nostro approccio ritiene più corretto parlare di elemento in senso doppio , come parte costituente e come punto elementare.34 Ciò permette di capire il modo con cui si formano dei ragionamenti, cioè mettendo in relazione i vari aspetti delle rappresentazioni che ci si forma, e attraverso l’affermazione suggellare questo legame. Si costituisce per Marin un atto sintetico, una volontà che unisce concetti e immagini, parole insieme per affermare o negare qualcosa, e quindi per esprimere una volontà. Da ciò si giunge a determinare il giudizio come atto di unione, il quale può partire dalla rappresentazione o dall’unione delle parole, ma necessariamente non è possibile escludere alcun aspetto, che è compreso anche se indirettamente. Il fatto che non ci sia una distinzione netta che renda lecito affermare che il ragionamento avviene in un unico modo, può far comprendere come in realtà sia proprio tale confusione a permettere all’uomo rapportarsi al reale e a creare dei giudizi su esso; si potrebbe dire che altrimenti non si potrebbero combinare numerose possibilità, se il processo non fosse volutamente confuso e aperto alla sperimentazione. La visibilità gioca a tal proposito un ruolo di guida nella formulazione di ragionamenti, che si possono definire oggettivi, come potrebbe altrimenti l’uomo descrivere o rappresentare gli oggetti della propria esperienza e comunicarli, senza un criterio di visibilità che si espande su più livelli? Si potrebbe allora ribadire che la fluidità della nozione è il garante del processo cognitivo, rappresentativo, emotivo umano, non solo per quanto concerne il primo aspetto della visibilità, legato al funzionamento ottico, ma anche a quello che introduce credenze, ideologie e aspetti culturali ben determinati.

33 L. Marin, Critique, p. 275 34

Marin sottolinea tale aspetto sdoppiando ulteriormente la rappresentazione come qualcosa che da un lato permette il giudizio fatto su e dall’altro è dove esso è composto; il presente studio è d’accordo con l’utilizzo di sdoppiamento delle nozioni, ma preferisce per mantenere la fluidità della nozione di rappresentazione suggerire di non intendere queste sue parti come qualcosa di ben definito, piuttosto come aspetti spesso mescolati tra loro.

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24 Si passano a questo punto in rassegna gli aspetti del ragionamento, legati da un lato alla teoria del linguaggio e alla pratica del discorso.35 Da un certo punto di vista la visibilità condiziona anche la formulazione di giudizi e di ragionamenti, che dai logici sono stati classificati e raggruppati nei famosi sillogismi. Il fatto di rendere visibili i collegamenti tra i vari giudizi e l’organizzazione propria del ragionamento e il suo effetto sull’uomo, porta a considerare il discorso logico anche da una prospettiva morale ed estetica. Non solo il ragionare comporta una scelta da parte del soggetto, nel seguire un criterio di verità o falsità, ma anche una scelta stilistica, che la retorica permette di organizzare nel migliore dei modi. Quando la retorica e la logica uniscono i loro mezzi si crea “l’arte di pensare” e il fine comune è di riflettere sulle operazioni che la natura fa fare a ciascun soggetto.36 All’interno della logica, la retorica assume un duplice ruolo: per prima cosa rappresenta una tipologia di discorso che allontana dalla verità, e che può essere ingannevole e persuasiva. In secondo luogo essa può rappresentare la parte pedagogica del discorso, quella che abitua i soggetti a prendere coscienza dell’ambiguità del linguaggio e a imparare a fare un buon uso delle parole per la propria formazione all’interno di una società. Marin introduce inoltre una retorica sacra, che in un certo modo è garantita dalla trascendenza divina ed è resa vera da una motivazione estetica; tutto ciò che essa esprime è sublime, vero, grande come ciò di cui parla. A tal proposito il nostro autore introduce il concetto di multidimensionalità per la retorica, che con le sue numerose caratteristiche attraversa diagonalmente il modello del segno come rappresentazione, e apportando numerose aporie al suo interno, garantisce ogni discorso possibile. La retorica mantiene l’ambiguità del discorso umano nell’alternare meccanismi psicologici e linguistici e fa si che il modello del segno come rappresentazione analizzi da un lato la figura dentro parole, frasi, idee e giudizi e dall’altro studi le regole di persuasione e normalizzazione delle maniere di discorsi.37

Si nota che Marin anche in questo caso, si serva del pensiero di Pascal, soprattutto facendo riferimento a De l’art de persuader38 in cui il filosofo si occupa di intendimento39 e

volontà; il primo è legato a un funzionamento più naturale, la seconda a uno più

ordinario. Secondo Pascal, Dio ha voluto mettere del cuore nell’intendimento, per

35 L. Marin, Critique, p. 301 36 Ivi, p. 309

37

Ivi, p. 313

38 B. Pascal, De l’esprit géométrique et de l’art de persuader, ”, in Pensieri, opuscoli, lettere, a cura di A.

Bausola e R. Tapella, Rusconi, Milano 1978

39 Si è voluto appositamente tradurre “entendement” con “intendimento” e non con “comprensione” per

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25 renderlo umile, e quindi la verità che si deve ricercare è quella a portata umana. L’arte di persuadere diversamente dall’avere dei connotati negativi, serve per convincere e per accettare, anche se gli uomini presentano desideri diversi e instabili. Le caratteristiche di tale arte sono: definire i termini, proporre principi o assiomi evidenti e infine sostituire dentro la dimostrazione le definizioni al posto dei definiti. Si da importanza dunque alle proposizioni e alle figure piuttosto che agli oggetti che si devono prendere in considerazione. Dunque l’arte sta nel considerare la figura, come ciò che rende visibile il linguaggio, infatti, grazie all’efficacia del desiderio, forza motrice dell’uomo per Pascal, lo spazio rappresentativo cessa di essere caratterizzato da una struttura logico-metafisica e diviene scena di figure, quelle del linguaggio eloquente. Alla parola allora vengono applicati significati propri (idea principale) e supplementari (idea accessoria), che fanno si che la convenzioni strabordi per suo significato. Si tratta di un gioco di scambio costitutivo del linguaggio, che mantiene ogni aspetto dallo scambio di informazioni a un ulteriore significato nascosto. Di tale surplus di significati non è possibile costituire una teoria, e i logici sono portati a considerare la retorica come ambito di possibile studio di tali aspetti, inoltre la teologia apporta un ulteriore contributo per quelle parti di linguaggio indefinite e caratterizzate dal desiderio. Il modo di formare dei discorsi, se si vuole affermare con concetti standard40, dunque, non dipende solo dal soggetto che attua delle scelte e dei ragionamenti, ma è l’oggetto stesso a possedere una certa eloquenza e si nota come i rapporti tra implicito/esplicito e interno/esterno si invertano nel processo di formulazione dei giudizi e negli stessi discorsi. Il soggetto esprime quell’implicito posseduto da un oggetto, ma attuerà un lavoro di selezione delle varie caratteristiche, degli ornamenti che corrompono la realtà dell’oggetto o meglio dell’evento, per farla apparire come essa è. Il soggetto o meglio a questo punto il “Moi”, dunque per formulare ragionamenti oggettivi è costretto a nascondersi, ed entrando nella dimensione retorica, tenta di esprimere il non detto, di dire il non pensato che è solo visto nelle frange dell’incoscienza. A questo punto è interessante approfondire il concetto di frangia di W. James poiché esso permette di chiarire il discorso finora presentato. Per frangia James intende quel senso, quella condizione che permette a una caratteristica di un suono o un’immagine di trasformarsi in altro all’interno del pensiero. Quest’analisi complessa e appartiene a un pensiero molto articolato e ricco di aspetti, infatti si percepisce in Marin, che si concentra

40 Si utilizzano i termini di soggetto e oggetto in modo tradizionale, però si tenga presente che Marin ha

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