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Arrivati a questo punto si ritiene di aver posto le nozioni più importanti estrapolate dal pensiero di Marin necessarie per comprendere in che modo la rappresentazione, con le sue potenzialità possa offrire alla filosofia non solo un metodo per comprendere un

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80 codice espressivo che utilizza le immagini, e quindi in un certo senso interagire nella storia dell’arte e nell’estetica per la comprensione aggiornata di quello che è il senso artistico di un determinato periodo storico o di quello di una precisa opera d’arte; ma anche un modo con cui arrivare a comprendere come l’utilizzo da parte dell’uomo della rappresentazione sia una vera tipologia di ricerca epistemologica, da un lato che permette di andare oltre la diretta esperienza del mondo fattuale, dall’altro un modo per affermare una certa moralità o per costruirne una che sia legata alla scienza, come si è già affermato ripreso dall’empirismo. Un concetto che appare fondamentale a questo punto è quello di alterità107, poiché grazie ad esso si può comprendere come attraverso i diversi modi con cui l’uomo si relaziona alle immagini possa costruire delle altre strade da percorrere, possa cioè rendere possibile il passaggio da esperienza sensibile a quella del pensiero, senza che il mezzo che utilizza sia ridotto ad ognuna di esse. L’alterità rimanda a molti filosofi che ne hanno parlato per opposizione o in concomitanza con la negazione. Qui ci si accosta ad essa intendendola come simbolo di ciò che presenta delle somiglianze o delle differenze con il punto di partenza. Quando si parla di rappresentazioni si applichi questa concezione poiché non si intende fornire, come si è già sottolineato, un’unica accezione, anche perché tutte quelle possibili sono senza dubbio degne di nota a seconda del punto di vista assunto; qui si voglia prendere come generale e riassuntiva una definizione di rappresentazione come uno strumento utile all’uomo per vedere il mondo in immagini e per poter andare oltre a questi stessi dati, aprendo dunque la possibilità di pensiero. È la stessa funzione simbolica che garantisce questa possibilità e che già Kant sosteneva quando vedeva nella qualità di quest’ultimo di far apparire la bellezza e quindi indicare un percorso morale. Quello che qui ci si propone è di far vedere come oggi sia possibile mantenere questo aspetto in un mondo in cui le immagini sembrano aver perso questa forza espressiva capace da un lato di raccontare storie e dall’altro di educare l’uomo attraverso un indirizzamento morale positivo. Il fatto per cui si crede di aver perso la stessa funzione delle immagini è per il fatto che si tende erroneamente ad allontanare l’aspetto simbolico o iconografico dalle stesse per accentuare un aspetto referenziale, legato ad una spazialità bidimensionale e dunque non profonda. È chiaro che si è già espressa la concezione di una sorta di indebolimento delle immagini dovuta alla continua proliferazione di esse, alla mercificazione che tende più ad avvicinarle a uno statuto di copia, dunque di qualcosa

107 Concetto filosofico che nel linguaggio scolastico si oppone a quello di identità e che ha interessato

81 che non ha nulla da dire sui fenomeni della vita dell’uomo. Non si ritiene però che ciò sia possibile o totalmente avvenuto, anche facendo riferimento a certe tipologie di immagini artistiche che forse hanno solamente cambiato linguaggio o contesto d’azione più che il loro scopo, e quello che risulta importante è comprendere il cambiamento e non tirare conclusioni affrettate. L’arte moderna e contemporanea sicuramente ha visto un notevole cambiamento della rappresentazione in questo senso, già a partire dalle tecniche artistiche che da un lato possono prediligere il realismo (si pensi alla corrente dell’iperrealismo e alla grande importanza della fotografia nell’ultimo secolo) oppure un l’astrattismo (per fare un esempio i quadri monocromatici che spesso accendono il dibattito di cosa sia arte oppure no) e infine alle contemporanee installazioni dove performers e contesto spaziale, aperto o museale, rivelano una tendenza ancora diversa che potrebbe apparire un tentativo di recuperare ciò che sembra appiattito nella ricezione della rappresentazione pittorica. Oltre a questi cambiamenti che sicuramente hanno fatto sorgere numerose associazioni ad artisti moderni e contemporanei, c’è anche da valutare il fatto che l’arte oggi potrebbe aver cambiato messaggio, da un lato potrebbe rivolgersi più a una conoscenza approfondita dell’interiorità dall’altro aprirsi alla scoperta dell’ignoto, dello spazio e di ciò che rappresenta l’oltre questo mondo di fenomeni. Per quanto riguarda dunque la riscoperta di un messaggio morale la domanda da porsi è se interessi veramente all’artista e al suo pubblico valutare gli aspetti legati all’umano in un momento in cui la cultura occidentale sembra assopita in un continuo benessere della vita che non assume più il costume di un’urgenza, ma è piuttosto un dato certo, che sembra essere stato superato dalla volontà di esplorare mondi immaginativi, futuri invece di concentrarsi sul presente e sulle sue problematiche. Ciò potrebbe essere dovuto al fatto che ogni disciplina che si occupi di etica in modo specifico ha assunto un ruolo deciso per il proprio campo d’azione e sembra che non ci sia solamente un unico punto di vista morale da considerare accettabile, ma in una sorta di relativismo etico e rappresentativo, tutto concorra a delimitare i propri confini senza voler modificare il benessere generale. Non sembra facile arrivare a delle conclusioni, che forse non si ricercano in generale come metodo, ma si cerca piuttosto di aprire nuove domande, per far partire da quell’eccedenza che fornisce l’immagine un nuovo modo di pensare, più ricco e prolifico, capace di immaginare altre dimensioni, per comprendere come si possa sostenere il disincanto attuale. La sensazione arrivati a questo punto del lavoro è che la filosofia di Marin ci sia d’aiuto quando si voglia capire la profondità dell’immagine e la sua enorme potenzialità per l’uomo, sia perché si tratta

82 di un linguaggio sia perché è qualcosa di più; ma come si può mettere in atto le sue direttive senza cadere nell’errore di decifrare solamente un messaggio, oppure di non catalogare qualcosa che risulta altrimenti come un ribelle che ha la capacità di infrangere la realtà per aprire qualcosa di irreale? Ebbene abituati alla realtà virtuale che non ha completamente sostituito il “mezzo immagine”, ma ne fa uso sicuramente per la comunicazione, si pensa che il primo passo da affrontare sia quello di regolamentare la fruizione di immagini, e che ciò sia assolutamente avvenuto, attraverso il controllo del potere che si attua su queste e quindi sugli uomini e in qualche modo, la scelta di quelle determina il modo di pensare di questi, facendo si che l’ideologia si affermi. Anche il fatto di veder fruire un’enorme quantità di immagini anche opposte tra loro con la conseguente perdita di coordinate per la valutazione morale delle stesse, costituisce per questo studio un modo con cui offuscare la capacità di utilizzo delle immagini da parte dell’uomo, non per cadere in un catastrofismo generale, ma per far capire come sia possibile evitare ciò educandoci nell’approccio con le immagini. Perché forse l’unico mezzo che porta alla vera espressione delle potenzialità di esplorare l’invisibile tramite il visibile, come insegna Marin già nella Critique, non è solo quello di costruire una retorica corretta, ma una vera teoria pedagogica funzionale e libera. Ed è quello che appunto lo accomuna a Pascal in definitiva, in quanto egli già a suo tempo cercava di indirizzare l’uomo lontano dal divertissement108

, appunto distrazione che allontana l’uomo dal suo vero scopo ovvero quello della salvezza. Questo concetto è molto vicino a quello che potremmo intendere oggi per comprendere in che modo l’uomo vive in un mondo di comunicazioni di massa, è chiaro che gli intenti di Pascal erano legati anche a una descrizione e rilevazione delle passioni umane, dunque una conoscenza del corporeo che doveva essere il punto di partenza per un avvicinarsi a Dio; oggi potremmo dire che la volontà di capire le passioni umane e di farne uso al meglio sia avvenuta anche se non del tutto, ma la distrazione rimanga una caratteristica umana difficilmente evitabile.

Si prenda ad esempio uno dei passi in cui Pascal descrive il suo punto di vista a riguardo:

“359. Distrazione. La dignità regale non è forse di per sé così grande per se stessa da render felice chi la possiede con la sola visione di quel che è? Bisognerà distrarlo da quel pensiero, come la gente comune? Vedo bene che, per render felice

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83 un uomo, basta distrarlo dalle sue miserie domestiche e riempire tutti i suoi pensieri della sollecitudine di ballar bene. Ma accadrà il medesimo con un re, e sarà egli più felice attaccandosi a quei frivoli divertimenti anziché allo spettacolo della sua grandezza? E qual oggetto più soddisfacente si potrebbe dare alla sua mente? Non sarebbe far torto alla sua gioia occupare il suo animo a cercare di adattare i suoi passi al ritmo d'una musica o di mettere a segno una palla, invece di lasciarlo godere tranquillo la contemplazione della gloria maestosa che lo circonda? Se ne faccia la prova: si lasci un re completamente solo, senza nessuna soddisfazione dei sensi, senza nessuna occupazione della mente, senza compagnia, libero di pensare a sé a suo agio; e si vedrà che un re privo di distrazioni è un uomo pieno di miserie. Così si evita con cura un tal caso, ed esso ha sempre intorno a sé un gran numero di persone che badano a far seguire agli affari di Stato gli svaghi e che predispongono piaceri e giuochi per riempire tutto il tempo in cui resterebbe altrimenti in ozio, dimodoché non resti mai un vuoto. Ossia, i re son circondati da persone che si prendono una cura singolare di evitare che restino soli e in condizione di pensare a loro stessi, ben sapendo che, se ci pensassero, sarebbero infelici, nonostante che siano re. In tutto questo discorso, parlo dei re cristiani non in quanto cristiani, ma solo in quanto re.”109

In questo breve riferimento alla vita del re, si può notare come Pascal abbia perfettamente asserito delle costanti dell’uomo che sono in gran parte valide anche oggi. L’ironia è tagliente, ma ci può far riflettere sul motivo per cui l’uomo si sia distaccato dal pensiero e dalla speculazione al di là potremmo dire del visibile: perché ciò lo renderebbe infelice. E dato che l’uomo di oggi gode di una discreta e condivisa felicità generale tende inesorabilmente a svalutare e ritenere superflui tutti quei meccanismi più profondi e complessi, per preferire la superficialità e la velocità. Ci si è concessi questa piccola critica perché spesso si tende a voler definire un concetto filosofico senza volerlo accostare al senso comune, come se esso avesse la capacità di rendere in definitiva svalutato l’intero lavoro, in realtà quello che si vuole esprimere è che nonostante si segua la tendenza e tutti facciano parte del meccanismo, si possa comunque prendere del tempo per questo tipo di crescita e che non ci sia niente di sbagliato nel voler intraprendere una valutazione comune per rendere meglio una posizione filosofica; forse il pessimismo e il nichilismo non costituiscono più delle problematiche sentite ma si cerca piuttosto di rimediare allo status quo, cosa che

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84 seguendo la linea di questo studio non sembra una soluzione accettabile. In qual modo allora contribuire attraverso lo studio di Marin alla coniugazione di teoria filosofica e in particolare semantica con una pratica di vita che permetta il superamento di certe barriere ideologiche che sono ancora ben cristallizzate nella concezione del mondo e dei suoi fenomeni? Innanzitutto comprendere il senso delle immagini libera dalla caduta nella cecità dell’ideologia, il significato che presenta sempre un eccedenza è stato spesso usato in passato in maniera letterale o sbagliata portando per esempio i regimi totalitari all’utilizzo di immagini specifiche per avvalorare le proprie folli posizioni; si pensi soprattutto alla statuaria greca e al ruolo simbolico che i nazisti le avevano attribuito. Il simbolico dunque rappresenta qualcosa di complesso ma che deve essere chiarito in maniera più multidimensionale e corretta possibile per evitare questo tipo di conclusioni. Un aiuto può fornirlo la scienza che con le sue tecniche rappresenta il baluardo per chiarire dati tecnici e di collocazione storica e magari tecnica, dall’altro l’arte e le sue modalità espressive sempre diverse è il mezzo con cui si può comprendere il mondo e l’uomo stesso nelle sue fragilità e nella sua potenza. La loro interazione è sicuramente un metodo non nuovissimo, ma utile a garantire un modo per capire l’essenza del sensibile facendo esperienza dell’invisibile. Quello che si pensa utile in definitiva per una morale rivitalizzata che non cada in tranelli ideologici e non sia esclusivo uso del potere è in un certo senso ripercorrere il ruolo che la rappresentazione ha assunto nella storia, non solo per conoscere tutte le sue direzionalità e differenze ma per valutare se sono ancora valide per essere applicate in un secolo che è caratterizzato dall’immagine e dal virtuale in tutte le sue possibili modalità e che quindi rischia di perdere di vista il messaggio morale, non sempre espresso ma comunque possibile anche quando si consideri esso in relazione a qualsiasi aspetto dell’uomo. Inoltre da una prospettiva molto specifica, che riguarda psicologia e pedagogia, già individuate in Marin come scopi ultimi in un certo senso, in una teoria del segno come rappresentazione, si può dire che l’immagine, il simbolico in generale assumano un’ importanza centrale come strumenti di miglioramento delle conoscenze e delle capacità di insegnare le stesse. Gli studi cui si fa riferimento sono parte dei progetti di ricerca della studiosa René Zazzo110 che si occupa di chiarire in che modo la psicologia si sia scissa in numerose discipline complementari e in che modo con l’esperienza, con esperimenti e indagini sul campo, sia possibile direzionare i metodi psicologici e

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85 pedagogici verso un miglioramento e una maggior comprensione degli individui. Ovviamente si tiene conto del fatto che i protagonisti dell’indagine, sua e di altri, sono i bambini, che certamente risultano essere difficilmente circoscrivibili in un’unica porzione di conoscenze. Quello che è interessante notare è che le immagini, le rappresentazioni in generale, siano esse speculari, come l’esperimento dei gemelli111

di fronte allo specchio, o di immagini proiettate in video fatte vedere a bambini, siano sempre utile strumento d’indagine e di raggiungimento di un obiettivo nel trattamento psicologico infantile. Potrebbe risultare banale infatti già solamente affermare che le immagini sono il primo step con cui i bambini si approcciano alla conoscenza di quello che per comodità chiameremo “Altro” e che ovviamente comprende una pluralità di elementi non sintetizzabili. Detto ciò, come può essere utile lo strumento rappresentazione in modo nuovo, se nell’approccio all’infanzia solitamente si collega il processo di educazione a quello di mimesi, riproduzione di gesti, di atteggiamenti, in generale di imitazione? Sostiene Zazzo che:

“È come se il bambino ammettesse di poter essere contemporaneamente qui e altrove, per una sorta di ubiquità che d’altronde non ci meraviglia affatto quando ne facciamo esperienza noi stessi nelle nostre immagini oniriche. Il problema dell’identità, della rappresentazione di sé, ci rimanda quindi esplicitamente al problema dello spazio, della rappresentazione dello spazio.”112

Affermando ciò si potrebbe dire che la rappresentazione svolga proprio per sue caratteristiche questo passaggio da uno spazio all’altro e perciò sia protagonista fin dall’infanzia dei processi di conoscenza dell’identità e dello spazio circostante. Questo avviene a più livelli, sia nella mente sia nelle relazioni con gli altri e con ciò che ci circonda, non si presenta un unico o lineare processo di apprendimento tramite rappresentazioni, ma tutto concorre alla loro formulazione tramite la loro formazione, in un qualcosa di paradossale che assomiglia a un gioco fatto di regole e riconoscimenti per orientarsi. Ciò potrebbe portare alla conclusione che la mente umana fin dai primi anni di vita cerchi in qualche modo di formulare una mappatura omogenea di ciò che in modo plurale sente e pensa, in primo luogo ci si sta riferendo al corpo, infatti le prime esperienze di immagine sono riferite al tatto, alla vista, alla condizione proprio

111 Si tratta di un esperimento che vede due gemelli messi di fronte a un vetro e poi a uno specchio, per

coglierne le differenze di comportamento e vedere se avviene già un qualche riconoscimento dell’altro diverso da sé.

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86 percettiva113, successivamente si passa all’ambiente esterno, anche solo percepito a livello di immagine diversa dal mio corpo, vista nello specchio, o di oggetti esterni. A questo punto dovrebbe avvenire una sintesi ed è quella che permette al bambino di farsi oggetto nello spazio degli oggetti e diventare percetto e rappresentazione.114 A questo punto si possono individuare due diversi approcci alla psicologia che si riassumono negli studiosi Wallon e Piaget; senza poter e voler dare una nozione specifica che dovrebbe tener conto del lavoro complessivo di entrambi si può dire che la differenza che qui interessa è il diverso punto di vista assunto: quello relativo alla genesi dell’uomo nei suoi rapporti tra uomini (Wallon) e quello della genesi della logica (Piaget). Non per forza i due approcci sono da tenere distanti, anzi lo stesso Piaget dimostrò che si trattava di aspetti conciliabili115 e non si ritiene in questo studio di dover attribuire etichette per sentirsi più legittimati a tirare conclusioni sul lavoro di entrambi. Quello che Zazzo sembra assumere dai riferimenti al loro approccio all’infanzia e più in generale alla modalità di conoscenza, è che non si può affermare che ci sia un’unica direzione neppure un momento preciso o una durata specifica in cui individuare il momento di produzione e comprensione della rappresentazione, ma che ci sia un processo legato a diverse influenze e abitudini sia interne sia esterne. Introdurre questa modalità di affrontare le conoscenze, esemplificata con il funzionamento della rappresentazione a livello mentale e corporeo, potrebbe dunque essere il metodo con cui si possa permettere un nuovo tipo di ontologia e gnoseologia legate non più a qualcosa di metafisico in senso tradizionale, ma qualcosa legato allo stessa pratica di formulazione di immagini, idee e parole, in un certo senso leggibile in chiave biologica come base della formazione di ogni individuo, ma che potrebbe garantire maggiori certezze in una scienza che affronta la realtà in questo modo, aprendosi a numerose possibilità, ma tenendo come punti di partenza e metodo qualcosa di estremamente concreto e spesso sottovalutato. Ed è poi ciò che in qualche modo sta avvenendo se si porge lo sguardo sia ad ambiti specifici come quelli clinici sia in ambiti come le terapie psicologiche e i rapporti tra le persone. Marin dunque può da un lato essere importante per uno sviluppo del suo pensiero in relazione all’educazione stessa, dall’altro in modo ampio può permettere alla filosofia morale di ricercare in pensatori, solitamente

113 Come riporta in Zazzo, per Wallon si chiama sensibilità affettiva. 114 R. Zazzo, Che ne è della psicologia del bambino, op. cit., p.186 115

87 affrontati in ambiti estetici, modi di pensiero alternativi, che possono dunque contribuire alla circolazione di nuove idee.

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