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Nel corso degli anni si è acceso un forte dibattito tra i sostenitori di tesi più liberali, che non

Nel documento A che gioco ... gioca... il crimine...? (pagine 44-48)

ritengono che l’inasprimento delle sanzioni possa determinare un significativo effetto deterrente, e sostenitori di tesi opposte.

Block ed Heineke sottolineano che, come risulta della condizione di primo ordine (5), il livello di criminalità è determinato dal rendimento netto dell’attività criminale dalla propensione ad assumere atteggiamenti rischiosi e dalla sensibilità ad osservare comportamenti legalmente ed eticamente corretti.

Pertanto l’inasprimento delle sanzioni secondo tale ragionamento, può garantire la tendenza ad annullare il livello di criminalità nella misura in cui si ipotizzi che tutti i soggetti siano avversi al rischio ed orientati all’osservanza di norme legali e/o all’adesione a principi etici.

45 Non essendo possibile applicare tali limitazioni i due autori affrontano la questione nei termini di variazioni marginali della penalità ottenendosi quanto segue:

δT/δF=E(UW a) Θ’/FTT+ Θ E{ a[UT−UL+UW(V− aF) Θ −r)]}/ FTT (9)

Ancora una volta non è possibile determinare il segno della differenzazione, sia per l’incertezza relativa al segno dell’ effetto ricchezza, sia per la carenza delle informazioni relative alla predisposizione del soggetto verso il rischio.

Risultati altrettanto incerti emergono nel modello completo di Heineke (1978), il quale stabilisce che non è possibile stabilire il segno di nessuna delle derivate di statica comparata a meno che non si ricorra ad ipotesi estreme sulle preferenze dei potenziali delinquenti.

Queste analisi pertanto non conducono a risultati certi e definiti ed in ogni caso esse stesse riconoscono la necessità di ricorrere a fondate ed affidabili informazioni relative alle preferenze dei soggetti presi in esame.

Questi aspetti confermano i limiti del modello neoclassico, che assegna un ruolo assolutamente marginale alle componenti personali, caratteriali e motivazionali dell’agire criminoso, allontanandosi dagli studi tradizionali di tipo sociologico, psicologico e criminologico incentrati sulla peculiarità delle motivazioni del criminale da ricondurre a fattori di carattere psicosociale. In sintesi la spiegazione del crimine in termini di differenze durature tra criminali e non criminali o tratti della personalità, esula da tale prospettiva (McCarthy, B.; 2002).

1.3.5. I limiti del modello neoclassico nell’analisi del comportamento criminale

L’analisi economica tradizionale è rimasta per anni ancorata all’idea secondo la quale la decisione di compiere azioni illegali derivi dal confronto tra i benefici ed i costi conseguenti, rendendo la valutazione economica del crimine, con una corrispondente domanda ed offerta di reati, non diversa da quella che avviene nell’ambito di un qualsiasi altro mercato.

Essa pertanto non ha mai tentato di valutare come fenomeni, quali le preferenze individuali (attitudine al rischio, autostima, capacità cognitive, ecc.), quelle socialmente condizionate (reciprocità, altruismo, invidia, avversione alla disuguaglianza, propensione alla cooperazione) o aspetti relativi all’adesione alle norme sociali (affidabilità nei rapporti individuali, identificazione con gruppo sociale di appartenenza), possano condizionare, al di là del profitto, la probabilità individuale di adesione ed il successo economico dell'attività criminosa stessa.

Non a caso negli stessi anni in cui il paradigma neoclassico esercitava un’influenza predominante, si è assistito al suo stesso interno ad una proliferazione di contributi che tendevano, anche se in genere non in maniera sistematica, a metterne in discussione alcuni aspetti al fine di evitare

46 l’interpretazione unilaterale dei comportamenti umani solo in termini di scelte ottimizzanti, per realizzare invece contaminazioni tra categorie economiche e categorie mutuate da altre scienze sociali come la psicologia, la sociologia o la political science.13

Inoltre i modelli economici presentati, prefigurerebbero un comportamento individuale autonomo che può essere riferito solo alle attività criminali minori ma non può essere applicato alle grandi organizzazioni illegali (si pensi al caso delle potenti organizzazioni criminali esistenti in Italia, rappresentate dalla camorra, dalla mafia , dalla n’drangheta e dalla sacra corona unita), poiché non tiene conto delle relazioni che qualificano un’attività complessa.

Ma al di là di questa e di ogni altra specifica critica si ritiene nel complesso che la teoria dell’utilità non possa escludere che esistano preferenze per l’agire sulla base di principi e valori morali o preferenze per l’assunzione di comportamenti non necessariamente egoistici e pertanto che la teoria dell’utilità possa esclusivamente corrispondere al principio del self- interest.

Purtroppo però la teoria economica è sempre stata restia a formulare assunzioni specifiche in merito alle preferenze umane e si è limitata a richiedere che fossero soddisfatti gli assiomi della teoria delle preferenze rilevate, avvalendosi dell’ipotesi forte che le preferenze individuali siano esclusivamente auto-interessate (Fehr, E. et al.; 2005).

Infatti, si è finito sempre per identificare il concetto di “razionalità economica”con una forma specifica di razionalità, quella cosiddetta strumentale, orientata al perseguimento del solo benessere personale, nonostante già da diversi anni autorevoli autori (Hahn, F., Hollis, M.; 1979) sostenessero che “ l’egoismo rappresenta solo una specifica interpretazione del concetto puro di razionalità e il postulato in forza del quale un agente è caratterizzato da un sistema di preferenze non esclude né il Santo né Gengis Khan”.

Per queste ragioni l’economia per anni si è preclusa la possibilità di accogliere al proprio interno un ampio spettro di opzioni comportamentali, in quanto non riconducibili all’assunto del self interest in senso materiale, lasciandone lo studio e l’analisi alle cosiddette scienze sociali (psicologia, sociologia, psichiatria antropologia culturale).

Finalmente di recente questa lunga fase di “rimozione della socialità” da parte dell’economia ha cessato di proseguire, grazie alla diffusione degli studi teorici, empirici e soprattutto sperimentali riconducibili all’economia comportamentale.

I risultati più interessanti sono stati ottenuti proprio da quest’ultimo filone, centrato sull’analisi in laboratorio dei comportamenti individuali in contesti strategici, nei quali si è riscontrato con una certa frequenza che almeno una parte dei soggetti studiati non agisce conformemente ai canoni dell’homo oeconomicus.

47 Tale ambito di ricerca, attraverso la conduzione di esperimenti basati sulla tecnica della teoria dei giochi ed eseguiti su soggetti potenzialmente eterogenei dal punto di vista delle attitudini verso gli altri, ha riconosciuto che le preferenze individuali non possono essere limitate nell’alveo del perseguimento del solo interesse personale ma possono essere anche non auto-interessate.

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CAPITOLO 2

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