La scoperta di Hubel e Wiesel poté dunque essere facilmente rubricata come parziale eccezione alla teoria localizzazionista la quale fu scossa nelle sue fondamenta solo quando si riuscì ad appurare l'esistenza di fenomeni
riorganizzativi dipendenti dall'esperienza anche nel cervello adulto grazie agli studi sul cortical remapping. Il termine designa la tendenza delle mappe di rappresentazione somatosensoriali ad andare incontro a una più o meno vasta riconfigurazione in base agli stimoli ricevuti; ogniqualvolta si verifichi
un'alterazione della quantità di input che la corteccia riceve o che venga introdotta una modifica comportamentale, il cervello registra il cambiamento e risponde allocando una quantità di spazio corticale congruente alle mutate esigenze a scapito di aree meno attive. Tale proprietà fu elegantemente provata da una serie di esperimenti di deafferenziazone condotti da Michael Merzenich e dai suoi collaboratori all'inizio degli anni '80. Merzenich, attivo alla Johns Hopkins più o meno negli stessi anni di Hubel e Wiesel, aveva intravisto la possibilità che le
mappe corticali rispondessero agli stimoli esterni studiando la rigenerazione dei nervi periferici, durante la quale – questa la versione diffusa all'epoca – si può verificare un errato "ricablaggio" dei nervi tale da alterare la perfetta
corrispondenza tra ogni punto della superficie corporea e il relativo centro rappresentativo sulla corteccia. Così uno stimolo sul dito pollice può finire con l'essere avvertito sull'indice e viceversa. L'esito della mappatura di follow-up effettuata su una scimmia sottoposta a deafferenziazione di un nervo della mano mostrò, con sorpresa dello stesso Merzenich, sostanziale normalità, nonostante fossero state prese misure per favorire lo "sparigliamento" delle cellule nervose. Benché l'esperimento suggerisse una certa riorganizzazione della corteccia, capace di rimettere ordine tra gli input e ri-rappresentarli correttamente, Merzenich ebbe poco sostegno e tornò a occuparsi dell'argomento solo dieci anni più tardi, quando su esemplari adulti di scimmia venne effettuata una mappatura preliminare alla resezione del nervo mediano della mano, ripetuta tra i due e i nove mesi dopo l'intervento. Coerentemente alle aspettative, nessun segno di attività neuronale venne riscontrato toccando la parte centrale dell'arto, solitamente controllata appunto dal mediano; nondimeno la nuova mappatura mostrava un'espansione topografica delle aree attigue, quella per il nervo ulnare e quella per il nervo radiale, solitamente responsabili dell'elaborazione delle informazioni provenienti dalle parti esterne della mano. Stimolando queste ultime si otteneva ora
l'attivazione anche dell'area corticale che, a seguito della lesione al nervo centrale, sarebbe dovuta rimanere per sempre silente. Dal momento che, prima della deafferenziazione, non sussistevano prove di rappresentazione in questa parte di
corteccia somatosensoriale delle porzioni laterali, Merzenich concluse correttamente che lo spazio corticale non è assegnato in via definitiva alla chiusura dei periodi critici ma viene costantemente conteso e ridistribuito tra le diverse funzioni secondo la logica di allocazione delle risorse neuronali già parzialmente messa in luce da Hubel e Wiesel con le analisi sulla dominanza oculare e oggi sinteticamente enunciata attraverso l'espressione “use it or lose it”. Nel paper che dà avvio agli studi diretti sulla plasticità (termine che viene
esplicitamente utilizzato dagli autori), si legge:
Topographic representations of the skin surface in adult monkeys are maintained dynamically. They [these studies] clearly reveal that this projection system retains a self-organizing capacity in adult monkeys. They suggest that processes perhaps identical to a part of the original
developmental organizing processes (by which details of field topographics are established) are operational throughout life in this projection system in primates.107
Uno studio dello stesso anno108 confermò la natura dinamica delle mappe e ne
delineò le modalità di riorganizzazione, seguendone l'evoluzione lungo un arco di circa quattro mesi. Dopo aver effettuato una prima mappatura della corteccia delle cavie – esemplari adulti di scimmie gufo e scimmie scoiattolo – e aver sottoposto queste ultime a resezione del nervo mediano, Merzenich e collaboratori rilevarono a intervalli regolari la struttura delle mappe corticali della mano, riscontrando cambiamenti sia subito dopo l'intervento sia nel lungo periodo. Il primo dato fu ovviamente la sostanziale inattività delle aree corticali connesse al mediano;
107 M. M. MERZENICH et al. (1983), p. 33. 108 M. M. MERZENICH et al. (1983a).
tuttavia, fu immediatamente evidente come una parte di esse continuasse ad elaborare degli input, prendendo parte alla rappresentazione delle superfici dorsali delle dita (nello specifico 1, 2, 3, ovvero mignolo, anulare e medio). Ciò permise di inferire l'esistenza di percorsi neuronali già esistenti prima della resezione ma in qualche modo mascherati dalla normale attività del nervo mediano. Persino più clamorosi furono i segni di un più vasto processo di riassegnazione dello spazio corticale, con l'espansione delle aree di rappresentazione legate al nervo ulnare e a quello radiale a scapito di quelle inutilizzate dopo la deafferenziazione del
mediano e lo slittamento di interi siti di rappresentazione, in nome di un aggiustamento continuo delle mappe interne in risposta all'attività esterna.
L'esperimento permise, inoltre, di stabilire due principi che guidano il processo di riorganizzazione: in primo luogo, la «remarkable plasticity» del cervello
impedisce che prezioso materiale corticale vada sprecato e favorisce l'oscillazione delle mappe (attraverso espansione o contrazione) pur di garantire un'occupazione pressoché piena; secondariamente, essa rispetta – anzi, in qualche modo
promuove – il mantenimento della continuità topografica delle rappresentazioni. Quando a essere rimosso non fu soltanto un nervo ma addirittura un intero dito109 i
risultati furono, se possibile, ancora più netti. Attraverso microelettrodi fu esaminata a intervalli regolari la mappa della mano di scimmie gufo adulte, sottoposte all'amputazione di una o due dita. In tutti i casi si osservò, in linea con quanto riportato negli articoli precedenti, un'espansione topografica delle
rappresentazioni delle dita adiacenti a quello amputato, la cui corrispondente area corticale venne quasi interamente rioccupata in due mesi. Da un punto di vista
neurologico, un'interessante implicazione fu l'acuita sensibilità tattile attorno alla zona del moncone, che confermava la bontà delle conclusioni di Merzenich:
The same cortical neurons can signal, without localization errors, localizations of inputs from different skin surfaces at different times. The "cortical map" cannot be regarded, then, as the substrate of a fixed-address "perceptual map".110
Risultati complementari furono ottenuti da Allard111. Così come lo spazio corticale
per la rappresentazione di un dito amputato, risultando inattivo, finisce con l'essere inglobato in altre mappe, allo stesso modo gli input sensoriali provenienti da due dita legate tra loro cominciano, nel corso del tempo, ad essere interpretati dal cervello come provenienti dal medesimo punto. Allard dimostrò come inducendo chirurgicamente sindattilia si determinasse congiuntamente la fusione in un'unica mappa corticale di quelle delle dita cucite insieme, contribuendo a mettere in luce la relazione tra momento dell'elaborazione dell'input sensoriale e sua collocazione spaziale sulla corteccia. La grande competizione per lo spazio corticale fu ulteriormente confermata dall'analisi di Alvaro Pascual-Leone sulle mappe corticali di pazienti ciechi intenti ad apprendere a leggere in Braille. Un primo studio112 rilevò un aumento delle dimensioni dell'area corticale utilizzata
nella rappresentazione del dito utilizzato per la lettura, che risultava decisamente più grande se confrontata con quella delle altre dita non coinvolte nel compito, nonché un proporzionale incremento nel numero di parole per minuto che i soggetti riuscivano a leggere. In un secondo momento, Pascual-Leone mostrò
110 Op. cit., p.602.
111 T. ALLARD et al. (1991).
tutto il potenziale adattativo del cervello umano riscontrando che nelle persone affette da cecità la corteccia visiva viene reclutata per l'elaborazione di stimoli sensoriali, quelli tattili, di natura radicalmente diversa, al punto che, simulando l'effetto di una sua lesione tramite stimolazione magnetica transcranica, si blocca la capacità di lettura del Braille.113
2.3 Neurogenesi
L'esempio più forte di quanto il cervello sia plastico è dato dalla continua formazione di nuove cellule neuronali, processo non limitato al periodo immediatamente post-natale ma attivo per tutta l'età adulta. Il fenomeno della neurogenesi costituisce, d'un tempo, un principio cardine del modo in cui viene concepito il cervello oggi e un settore specialistico ancora in gran parte
inesplorato di un campo, quello della neuroplasticità, a sua volta relativamente giovane. Ancora sino a poco meno di venti anni fa si riteneva che il cervello umano disponesse unicamente delle cellule con cui viene alla luce, in ossequio al lapidario commento di Ramón y Cajal menzionato nel capitolo precedente: « todo
puede morir, nada renacer».
Solo molto lentamente quindi l'idea che nuovi neuroni venissero generati venne accettata, malgrado le prime evidenze nei roditori fossero state raccolte già a partire dagli anni '60 da Joseph Altman114115116. In particolare, egli aveva
sottolineato come l'obiezione comunemente mossa all'ipotesi della neurogenesi – il fatto che i neuroni, a differenza di cellule di altre parti del corpo come le ossa,
113 A. PASCUAL-LEONE et al. (1999). 114 J. ALTMAN (1962).
115 J. ALTMAN, G.D. DAS (1965). 116 J. ALTMAN, G.D. DAS (1967).
non siano in grado di duplicarsi – fosse in realtà facilmente aggirabile:
It is commonly stated that in higher vertebrates neogenesis of nerve cells is restricted to the early stages of embryonic development. This belief is based on the observation that neurons with mitotic figures are absent in the central nervous system of most higher vertebrates. However, this does not definetely rule out the neogenesis of neurons in the adult, for new neurons might arise from nondifferentiated precursors […]. 117
La conferma della nascita di nuove cellule nel cervello di vertebrati venne dalle osservazioni dello zoologo Fernando Nottebohm. Nottebohm notò che alcune specie di uccelli, come il canarino, fanno ricorso a un repertorio melodico sempre differente ogni anno, non sorprendentemente legato a modifiche nella struttura anatomica del loro cervello. Nello specifico, egli ravvisò un aumento ciclico delle aree responsabili per il controllo del canto e ipotizzò che esso dipendesse dalla formazione di nuove connessioni sinaptiche.118 Facendo ricorso alla timidina come
marcatore per le cellule neonate, secondo una tecnica già utilizzata da Altman, Nottebohm potè appurare innanzitutto che precursori dei neuroni esistono nella zona ventricolare, da cui migrano, differenziandosi e giungendo a maturazione; quindi che le cellule così formate non rimangono inerti ma entrano a far parte attivamente dei circuiti cerebrali. 119120
Nonostante le premesse incoraggianti, l'ipotesi che un simile processo si
verificasse anche negli esseri umani venne accantonata. Pasko Rakic, per esempio,
117 J. ALTMAN (1962), p. 1127. 118 F. NOTTEBOHM (1981).
119 S.A. GOLDMAN, F. NOTTEBOHM (1983). 120 J.A. PATON, F. NOTTEBOHM (1984).
si espresse così dopo uno studio effettuato su delle scimmie rhesus:
The large, synaptically interconnected adult brain may not normally permit redistribution of new neurons and subsequent growth of axons to distant destination. Indeed, postdevelopmental neurogenesis is most prominent in species having a considerable capacity for axon regeneration, such as fish and amphibians, or in the avian brain with particular seasonal changes in brain structures related to song production. However, the brain of primates as well as some other species may be uniquely specialized in lacking the capacity for neuronal production once it reaches the adult stage. One can speculate that a prolonged period of interaction with the enviroment, as pronounced as it is in all primates, especially humans, requires a stable set of neurons to retain acquired experiences in the pattern of their synaptic connectivity.121
Nelle parole di Rakic sembra sottintesa la convinzione che l'aggiunta continua di nuovo materiale neuronale si tradurrebbe più in un costo che in un beneficio per cervelli altamente organizzati e specializzati come quelli dei primati. In qualche modo, le cellule neonate finirebbero per guastare il delicato equilibrio necessario per il funzionamento di organi tanto complessi e raffinati. Sharon Begley 122
individua in quest'idea uno dei fattori che resero difficile l'accettazione degli elementi a sostegno della neurogenesi nei primati, uomo compreso, adulti. E' curioso come, accettando questa interpretazione, sembri riproporsi, su scala ridotta rispetto al tema della plasticità in senso lato, l'esigenza da parte degli scienziati di disporre di un modello statico, quanto più possibile chiuso di cervello. Mentre in quegli stessi anni gradualmente si apriva alla possibilità che esso fosse malleabile funzionalmente, non si era disposti a fare altrettanto per la
121 P. RAKIC (1985), p.1055. 122 S. BEGLEY (2007).
sua struttura anatomica. Tuttavia sul finire degli anni '90 le prove sperimentali raccolte non lasciarono più dubbi circa le sorprendenti capacità del cervello anche sotto questo aspetto. Tracce di neurogenesi furono rinvenute nel giro dentato di topi adulti o perfino senescenti. 123124
Elizabeth Gould ne documentò invece la presenza in altri mammiferi, dapprima studiando esemplari di tupaia belangeri 125, quindi di cercopitecidi 126.
Quest'ultimo studio in particolare fu assai significativo in quanto andava
direttamente contro i risultati ottenuti da Rakic, mostrando che la produzione di nuove cellule neuronali nella regione ippocampale è un tratto comune a molte specie di mammiferi; per questo motivo, costituì inoltre il perfetto complemento per il decisivo lavoro di Eriksson e Gage 127, che provò definitivamente il
fenomeno anche negli esseri umani. Eriksson e Gage analizzarono campioni di tessuto cerebrale provenienti da pazienti terminali di cancro sottoposti a iniezioni di bromodeossiuridina (BrdU), la stessa sostanza usata dalla Gould e utilizzata come marcatore dagli oncologi per controllare la formazione di nuove cellule tumorali. La BrdU, un analogo della timidina, traccia però ogni cellula neonata, non solo quelle malate, perciò venne ritenuta particolarmente adatta per
verificarne l'eventuale presenza nel cervello. I campioni di ippocampo prelevati confermarono la validità di quanto era già stato rilevato in altri mammiferi, permettendo di riclassificare la neurogenesi da fenomeno tipico del periodo immediatamente post-natale ad attività in corso fino alla morte dell'organismo. La
123 G. KEMPERMANN, H.G. KUHN, F.H. GAGE (1997). 124 G. KEMPERMANN, H.G. KUHN, F.H. GAGE (1998). 125 E. GOULD et al., (1997).
126 E. GOULD et al. (1999). 127 P.S. ERIKSSON et al. (1998).
scaletta delle linee di indagine successive fu dettata dagli stessi Eriksson e Gage:
Our study demonstrates that cell genesis occurs in human brains and that the human brain retains the potential for self-renewal throughout life. [...] Although our results demonstrate that cells in the adult brain undergo cell division and that some of the newly generatedcells can survive and differentiate into cells with morphological and phenotypic characteristics of neurons, we have not proven that these newly generated cells are functional. We also do not yet know the biological significance of cell genesis in the adult human brain. However, this does provide a basis to investigate a newly discovered type of ‘neuroplasticity’ in humans, one based on addition of neurons, that has not been previously considered. Studies in rodents have shown that the adult hippocampus contains progenitor cells that can be expanded in vitro and grafted back into the adult brain, where they can respond to regional cues by differentiation into site-specific phenotypes, including neurons. The presence of progenitor cells in the human dentate gyrus, reported here, indicates that these cells also may be used for in vitro and in vivo studies of cell differentiation and possibly subsequent transplantation studies.128
Senza addentrarsi nel mare magnum di letteratura specialistica dedicata a questi argomenti, vale la pena menzionare almeno l'ipotesi, avanzata da Gould129 ma
rigettata da Rakic130, che vi possa essere aggiunta di materiale cellulare anche in
alcune regioni neocorticali (nello specifico corteccia prefrontale, temporale inferiore e parietale posteriore) e che essa giochi un ruolo nelle funzioni mentali associative.
128 P.S. ERIKSSON et al. (1998), pp. 1315-1316. 129 E. GOULD et al. (1999).