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3.1 STORIA DEL LARDO: IMMAGINAZIONE E LEGGENDE

3.1.3 IN COSTANTE EVOLUZIONE

Le citazioni di autori antichi e moderni che, a titolo diverso, hanno affrontato tematiche inerenti alla figura del maiale, del suo grasso, del suo allevamento e della conservazione delle sue carni, sono numerosissime, ma sostanzialmente tutte ricollegano l’origine di questo animale a due grandi civiltà che rappresentano i capisaldi della storia.

Si ricava infatti che il maiale, allevato o allo stato brado o del tutto selvatico era, in Grecia e successivamente a Roma, l’animale più utilizzato per l’alimentazione e che le sue carni venivano consumate solo da una piccola porzione di popolazione, probabilmente non spesso e in occasioni di feste e cerimonie religiose (Montanari, 2010).

I “barbari” di origine germanica, grandi mangiatori di carne, conquistando i territori francesi, tedeschi, italiani e del nord-Europa, impongono i loro modelli alimentari, ma, nello stesso tempo, finiscono per venir influenzati a loro volta dai tipi di alimentazione e di prodotti che vi trovano (Flandrin, 1983).

30 Nel sesto secolo, a causa delle devastanti guerre tra ostrogoti e bizantini e per la conquista e il dominio militare da parte dei bizantini, i territori italiani coltivati intensivamente vengono abbandonati, con il ritorno di molte aree allo stato paludoso; questo radicale cambiamento porta ad uno sfruttamento estensivo di prati naturali che vengono impiegati per l’allevamento allo stato brado di animali, in particolare maiali (Montanari, 2010).

Dopo il 1000 la situazione si ribalta radicalmente, il consumo di carne diminuisce a causa dell’aumento della popolazione e dell’appropriazione da parte delle classi dominanti dei diritti sui terreni aperti, fino a raggiungere il suo culmine, secondo quanto afferma Flandrin (1983), tra il 1700 e il 1800.

L’atteggiamento nei confronti del maiale, dall’antichità fino a tutto il medioevo e l’età moderna (1700), è ambivalente. Si va dall’incondizionato apprezzamento dei poemi omerici e dall’esaltazione dei “mangioni barbarici”, alle riserve romane nei confronti del consumo delle carni e all’esaltazione della frugalità e delle diete vegetariane di molti imperatori; al trionfo della carne come fondamento dell’alimentazione, almeno per le classi dominanti, dopo le invasioni “barbariche”, alle proibizioni severe della Chiesa di mangiare carne e grassi di origine animale in molti periodi e giorni dell’anno. Le norme dietetiche dei “nutrizionisti”, tra il 1200 e il 1700, appaiono costantemente oscillare tra condanne e promozioni dei consumi della carne e dei grassi di origine animale (Montanari, 2010; Flandrin, 1983).

Dopo queste osservazioni storiche, si può ragionevolmente sostenere che il lardo sotto sale, da consumare come companatico e non da utilizzare come condimento, come appunto anche quello di Colonnata, non sembra avere antenati né in Grecia né a Roma né per molti dei secoli successivi. Non è facile neanche o forse è impossibile, individuare il momento in cui il lardo abbia assunto la caratteristica di alimento a sé e non sia stato più considerato solo come condimento (Flandrin, 1983). La storia del lardo quindi può solo essere immaginata, sognata e ipotizzata fantasticamente (Montanari, 2010).

Le origini del paese di Colonnata si pensa risalgano all'insediamento romano, sorto intorno al 40 a.C., in seguito all'alloggio degli schiavi destinati allo sfruttamento intensivo delle cave per l'impiego a Roma del marmo locale, in sostituzione dei più costosi marmi bianchi greci

(http://www.festadellardodicolonnata.it/index.php/colonnata/la-storia.html?jjj=1502272096867). La loro presenza è stata attestata dal ritrovamento di numerosi reperti archeologici, tra cui una lapide rinvenuta nei siti di lavorazione nel 1810, che riporta i nomi dei comandanti di una colonia di schiavi impiegati nell’escavazione dei marmi (il nome stesso dell’insediamento sembra derivi dalla columna di schiavi); non è escluso inoltre che risalga proprio all’epoca della dominazione romana l’introduzione sul posto delle metodologie di conservazione delle carni di maiale. Gli stessi romani,

31 profondi conoscitori dell’arte della “salmestria”, erano grandi estimatori delle carni suine; le sue virtù sono così decantate dallo scrittore romano Plinio: “Da nessun altro animale si trae maggior materia per la ghiottoneria: la carne di maiale ha quasi cinquanta sapori diversi, mentre per gli altri animali il sapore è unico”.

Anche Catone nel suo celebre “Liber de Agri Cultura”, descrive in maniera minuziosa e puntuale le diverse operazioni da eseguire per effettuare la salatura del prosciutto, e Columella si abbandona ad una approfondita trattazione sulle modalità di conservazione delle carni suine (Villano, 2000). L’abilità del popolo romano consisteva nella capacità di arricchire le proprie conoscenze, attingendo dalla cultura dei popoli sottomessi e, a loro volta, diffondendole in ogni angolo dei loro domini; pertanto non ci fu una vera e propria standardizzazione dei prodotti, ma la loro differenziazione in varianti geografiche, derivanti dall’adattamento delle tecniche alle situazioni locali: peculiarità climatiche e culturali, abilità tecniche pregresse, disponibilità di materiali, di strumenti e/o ambienti alternativi, ne hanno permesso un’evoluzione nel tempo.

E’ quindi accertato che i romani conoscessero a fondo l’importante ruolo rivestito dal lardo nella dieta quotidiana, specialmente di coloro che erano sottoposti a lavori pesanti, come l’estrazione del marmo in cava. Gli stessi legionari ricevevano, come attesta il Codice Giustiniano, una razione di lardo ogni tre giorni. La migliore qualità del materiale estratto dalle stesse cave non poteva non favorire, accanto a quella architettonica ed artistica, un’utilizzazione più ampia e diffusa di tipo manifatturiero dei mortai per la pesta del sale e delle pile di marmo, chiamate successivamente “conche”, destinate appunto alla conservazione ed alla stagionatura del lardo (Villano, 2000).

Le fonti storiche indicano che anche in epoca longobarda la lavorazione delle carni suine ricevette un forte impulso. La conferma è attestata dall’ Editto di Rotari, pubblicato nel 643, che documenta il pregiato valore che la società alto medievale rivolgeva nei confronti dei suini e delle attività ad essi correlate.

L’epoca medievale ha contribuito positivamente all’evoluzione e al consolidamento delle tecniche di conservazione di questo pregiato prodotto artigianale.

Il lardo viene rinvenuto nei registri delle scorte alimentari delle famiglie e negli inventari delle grandi aziende rurali nel X secolo; verso la metà del XII secolo vengono rinvenuti i primi statuti ufficiali “dell’arte dei Lardaroli” nei quali sono elencati tutti gli alimenti che potevano essere oggetto di preparazione e commercio da parte dei membri di tale arte e veniva fatto obbligo di tutelare, sotto ogni aspetto, la qualità dei loro prodotti, soprattutto delle carni salate (Villano, 2000).

La tecnica per stagionare e lavorare il lardo è quindi rimasta per secoli identica, anche se in alcuni periodi e in alcune zone le spezie, ingrediente raro e costoso, furono sostituite con diverse erbe profumate autoctone.

32 La storia narra che nel piccolo borgo di Colonnata si recasse abitualmente il grande Michelangelo (Figura 12), per scegliere accuratamente i blocchi di marmo statuario con cui realizzava le sue opere e per deliziarsi con questo prelibato prodotto (http://www.villanisalumi.it/arte-salumiera/storia-e-tradizioni/storia-del- salume/il-lardo-di-michelangelo/).

Questo quadro storico, caratterizzato da una molteplicità di influenze, non permette di sapere quale cultura abbia avuto un’influenza preponderante sulle tecniche di lavorazione, compresa l’introduzione delle spezie e delle erbe aromatiche.

Inoltre, per quanto sia difficile stabilire con certezza se la tradizione locale di conservare il lardo nelle conche di marmo abbia avuto origini celtiche, romane, longobarde oppure risalga all’epoca dei Comuni, non vi è dubbio che essa è antica e consolidata. Ciò è dimostrato dal fatto che sono state rinvenute in paese conche di marmo utilizzate per la stagionatura del lardo con datazioni dei secoli XVII, XVIII e XIX (Figura 13) (Villano, 2000). Alimento povero ma molto nutriente, veniva impiegato anche in ambito farmacologico per la cura del “fuoco sacro” o “fuoco di S. Antonio”, denominazione popolare dell’Herpes zoster. Le applicazioni di lardo sulla pelle degli ammalati, infatti, hanno costituito per secoli l’unico rimedio ritenuto efficace. Per tale motivo, sulla facciata di alcuni edifici del borgo sono visibili dei bassorilievi dell’ottocento rappresentanti S. Antonio Abate, Santo protettore degli animali, spesso accanto ad un maiale. La chiesa parrocchiale di Colonnata inoltre dedica alcuni dettagli e raffigurazioni al patrono dei macellai, S. Bartolomeo (Villano, 2000).

Tali affermazioni sono tutte possibili, ma accompagnate da prove di scarsa rilevanza, che gli studiosi hanno utilizzato nel

tentativo di dare loro plausibilità (Olivieri, 2003).

Figura 13 Conca di marmo per la stagionatura del lardo (http://www.salviarosmarino.c om/ospiti/il-lardo-di-colonnata) Figura 122 Michelangelo Buonarroti (1475-1567) (http://www.villanisalumi.it/arte- salumiera/storia-e- tradizioni/storia-del-salume/il- lardo-di-michelangelo/)

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