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La lenta, ma costante agonia del Parlamento Il 1993 è un anno cruciale per le sorti del Parlamento perché vengono al pettine i nodi di un sistema politico

Funzione legislativa e qualità della normazione.

2. La lenta, ma costante agonia del Parlamento Il 1993 è un anno cruciale per le sorti del Parlamento perché vengono al pettine i nodi di un sistema politico

istituzionale che era stato immaginato dai Costituenti per funzionare in un certo modo, ma che stava andando in tutta un’altra direzione.

In realtà, i sintomi di un Parlamento agonizzante erano già stati percepiti da più parti nel corso degli anni precedenti, tant’è che vennero realizzati degli interventi di riforma dei regolamenti parlamentari per (ri)collocare il Parlamento al “centro della

forma di governo e del sistema istituzionale”301 attraverso un potenziamento dell’attività

istruttoria e legislativa in Commissione, il riconoscimento di alcune garanzie alle minoranze – tanto che si parlò di statuto dell’opposizione – l’introduzione del principio della programmazione legislativa e lo sviluppo di un Servizio studi che da sempre ha supportato in maniera ottimale l’attività legislativa: elementi che vengono introdotti formalmente nella modifica dei regolamenti parlamentari portata a termine nel 1971 che si inseriva in un contesto in cui il Parlamento tentava di (ri)costruirsi il ruolo delineato

dai Costituenti quale “detentore assoluto del potere normativo”302 “non solo verso

l’esecutivo, ma verso l’intero assetto dei poteri pubblici e delle forze sociali”303.

Tali elementi innovativi combinati con alcuni importanti interventi di manutenzione avviati e conclusi nel corso degli anni ’80 – in particolare l’introduzione del voto segreto – hanno mostrato le difficoltà di un Parlamento a limitare e a circoscrivere il ruolo centrale del Governo negli equilibri istituzionali e sociali che proprio in quegli anni inizia ad essere particolarmente attivo sul fronte della produzione normativa e sui rapporti con le parti sociali.

301 Cheli, La <<centralità parlamentare>>: sviluppo e decadenza di un modello, cit., p. 345.

302 A. Manzella (a cura di), I regolamenti parlamentari a quarant’anni dal 1971, Bologna, Il Mulino,

2012, p. 82.

La lenta agonia del Parlamento ha avuto un momento di indubbia accelerazione a partire dagli inizi degli anni ’90 quando il referendum elettorale e la crisi dei partiti ha messo a nudo definitivamente un sistema che non riusciva a reggere i cambiamenti e le pressioni che provenivano dall’esterno; ciò amplificava alcune criticità delle funzioni del Parlamento che erano già note in passato, ma che fino a quel momento erano ridotte e circoscritte alla relazione strettamente intesa tra esecutivo e legislativo.

Peraltro, il 1993 è una data significativa perché vengono spazzati via i partiti storici da un intervento a gamba tesa e ad ampio raggio della magistratura e cambia il sistema elettorale ad opera di un referendum; non sono in partiti politici che si autoriformano, ma subiscono una modifica radicale del loro impianto strutturale e delle regole del gioco sotto dettatura.

Da quel momento si è iniziato a prendere coscienza che il problema non era solo giuridico, ma anche politico; su questo ha pesato evidentemente il peccato originale dell’Assemblea Costituente, cioè quella profonda divisione ideologica che divideva il blocco socialcomunista da un lato, e la democrazia cristiana dall’altro e che ha portato alla frammentazione politica generatrice, peraltro, di accordi tra forze politiche al di fuori delle aule parlamentari e tradotti in governi a geometria variabile e convenzioni non rette da alcun fondamento giuridico, ma basate su effimeri equilibri politici.

Questi sono dati di cui il Paese non si è mai liberato e che sono venuti prepotentemente alla ribalta nel momento in cui il complessivo sistema politico- istituzionale inizia a modificarsi non per sua volontà, ma tramite fattori esterni.

Gli eventi successivi a questo terremoto di così grandi dimensioni avrebbero dovuto far acquisire la consapevolezza per cui è il sistema elettorale, in primis, che concorre ad evitare le degenerazioni del parlamentarismo; da quel momento cambia totalmente lo scenario: le leggi n. 276 e 277 del 4 agosto 1993 hanno permesso la realizzazione di due eventi fino ad allora mai verificati nella storia repubblicana: un Governo di legislatura (Berlusconi II) e la caduta di un Governo per un voto di fiducia parlamentare (Prodi I), concretizzando ciò che veniva auspicato già da tempo: consentire al Governo di portare a termine il suo programma che intanto veniva formalmente annunciato innanzi agli elettori assieme a quella che, nel caso di vittoria alle elezioni, sarebbe diventata la coalizione di maggioranza; far sorgere eventuali crisi all’interno del Parlamento che diventava, così, il luogo in cui si sarebbe ucciso il

Governo che prima di allora veniva pugnalato alle spalle nei pertugi delle case private e nelle sezioni di partito.

Una consapevolezza che, tuttavia, non sembra è stata fatta propria dal legislatore del 2005 che ha ulteriormente modificato la formula elettorale inaugurando un sistema

bipolare “coatto”304 e muscolare “con la conseguenza che la coalizione vincente

conserva elementi di eterogeneità tali da influire negativamente sulla governabilità”305

spingendo il baricentro delle decisioni al di fuori delle aule parlamentari, in particolare presso le segreterie dei partiti che determinano le liste elettorali e presso l’esecutivo che si appoggia alla propria maggioranza composta dai parlamentari tendenzialmente più

accondiscendenti in quanto sempre esposti alle esigenze di autoconservazione306 nella

prospettiva di una ricandidatura.

Non a caso, il ritorno ad una formula proporzionale fortemente corretta non soltanto non ha contribuito ad una (ri)legittimazione dei partiti sulla scena politica riducendo la frattura che si era creata tra elettori ed eletti – soprattutto a causa delle liste bloccate che, di fatto, violavano la libertà di scelta dell’elettore – ma ad accentuare la debolezza di un Parlamento che andava a comporsi di maggioranze politiche di colore diverso tra Camera e Senato sorrette, nel secondo ramo, dai voti dei Senatori a vita che, peraltro, non potrebbero nemmeno essere considerati espressione della scelta degli elettori rappresentando la Nazione solo per meriti scientifici e non certo politici.

A ciò si aggiunga una considerazione che non va sottovalutata e che ha accompagnato recentemente la crisi della rappresentanza politica, riducendo ancora di più gli spazi e le funzioni del Parlamento; le decisioni cruciali del nostro tempo vengo assorbite dall’Unione Europea, riguardano aspetti evidentemente decisivi nelle politiche interne e dipendono sempre di più da scelte economiche e finanziarie: essendo il Governo il vero attore che contratta le opzioni politiche da tradurre in scelte regolatorie, è inevitabile

che le attribuzioni storiche del Parlamento vengano “smantellate”307 in ambito interno e

304 E. Cuccodoro, “Comunicazioni del Governo in Parlamento”, cit., p. 5.

305 F. Nugnes, Il ruolo del Parlamento tra crisi della rappresentanza e governabilità incerta, in Studi

parl. pol. cost., n. 173-174/2, 2011, p. 151.

306 P. Pinna, La crisi di legittimazione del governo rappresentativo. Riflessioni sulla sentenza della Corte

costituzionale n. 1 del 2014, in Rivista AIC. Osservatorio costituzionale, marzo 2014, p. 5.

307 L. Elia, Aspetti problematici del referendum e crisi della rappresentanza politica, in F. Zanon e F.

Biondi (a cura di), Percorsi e vicende attuali della rappresentanza e della responsabilità politica, Atti del convegno di Milano, 16-17 marzo 2000, Milano, Giuffrè, 2001, p. 106.

sovranazionale dove l’unico soggetto che deve riscuotere credibilità e fiducia è proprio il Governo.

La necessità di adeguare le scelte normative alla velocità imposta dai mercati e alla necessità di superare la crisi economica ha inevitabilmente dilatato il ruolo del Governo in Parlamento chiamato ad un utilizzo spregiudicato di una serie di prassi (vedi infra, par. 3 ss.) che un po’ i regolamenti parlamentari concedono e un po’ la Corte

Costituzionale ha avallato308.

In particolare il potere legislativo è ridotto ad “organo meramente correttivo

della volontà legislativa primaria”309 espressa dall’esecutivo perché “non appare più

adeguato alle esigenze decisorie contemporanee e viene, quindi, forzato fino al punto di stravolgere i caratteri essenziali alterando le modalità ordinarie di esercizio della

funzione legislativa”310.

È evidente come la legge abbia perso le sue caratteristiche essenziali della generalità ed astrattezza a causa di fattori esterni: crisi della rappresentatività, spinte sovranazionali, centralità del Governo.

Le trasformazioni della società avvenute negli ultimi anni hanno impattato in maniera incisiva sulla funzione e sulla natura della legge che ha perso le sue caratteristiche tipiche dello stato liberale: non più generalità, astrattezza e disposizioni limitate a garantire l’esercizio delle libertà fondamentali, bensì strumento principale di intervento dello Stato orientato alla realizzazione di obiettivi specifici soprattutto in campo economico.

La trasformazione fisiologica dei connotati della legge è amplificata con l’avvento dello stato sociale dove le diverse categorie di individui chiedono ulteriori spazi di azione pretendendo altresì difesa e promozione di emergenti interessi settoriali di cui sindacati e lobby si fanno promotori privilegiati nelle loro azioni di pressione sulle istituzioni, tra cui il Governo rimane senza dubbio l’interlocutore privilegiato.

La pluralità e la disomogeneità di tali bisogni ed interessi ha inevitabilmente condotto ad una trasformazione della tradizionale funzione legislativa e del suo

308 Cfr. L. Di Majo, La costruzione giurisprudenziale della qualità della legislazione, in M. Cavino e L.

Conte (a cura di), Tecniche normative tra legislatore e giudici, cit.

309 G. M. Salerno, La decretazione d’urgenza: evidenti criticità e possibili riforme, in federalismi.it, n.

1/2014, p. 3.

310 C. Deodato, Il Parlamento al tempo della crisi. Le prospettive di un nuovo bicameralismo, in giustizia-

prodotto, la legge, che diventa articolata, settoriale, contrattata e sensibile alla moltiplicazione dei rapporti, dei conflitti, dei bisogni e degli interessi; stratificazione sociale, progresso scientifico e tecnologico, globalizzazione, crisi economica ridefiniscono ogni tipo di procedimento regolativo, alimentando fenomeni di

autoregolamentazione311 che trovano la loro naturale sede di esplicazione al di fuori

delle aule parlamentari312 e si concretizzano in una produzione normativa “occasionale,

sovrabbondante, disordinata e non riconducibile ad una ragione comune313.

Si rileva da tempo che le leggi hanno perso la loro rappresentatività, la propria “funzione simbolica nella quale una collettività si riconosce e riconosce in larga misura

i propri interessi nelle decisioni legislative”314 divaricandosi per contenuto in leggi-

provvedimento, leggi di sanatoria, leggi rinforzate, leggi atipiche, leggi-contratto, leggi- incentivo, leggi speciali, ecc.

Ora, al netto di quanto fin qui sostenuto, è chiaro che dal punto di vista quantitativo, la legge ordinaria pura è ridotta al lumicino; in un contesto del genere, inoltre, viene incentivata una legislazione contingente e straordinaria in settori cruciali dove il Governo si è saputo inserire con autorevolezza sfruttando al massimo tutti gli strumenti che, pur legittimamente previsti, sono stati calati in una particolare realtà che negli equilibri della forma di governo non sempre appaiono rispettosi del dettato costituzionale, inaugurando una serie di prassi che hanno alimentato una generale crisi di sistema dove “i tradizionali circuiti della rappresentanza politica da soli non risultano

più sufficienti e soprattutto adeguati alla necessità della complessità odierna”315.

3. Come si misura la “centralità” del Parlamento. Il fattore tempo è stato da

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