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La caratteristiche, nonché la scelta di un Exchange Traded Fund che risulti in linea con le esigenze dei risparmiatori, è un passo cruciale per il gestore. Tale scelta oltre essere condizionata, come visto prima, dalla metodologia di replica, è di fatto influenzata da quelli che sono i costi, interni ed esterni, dell’ETF e dal regime fiscale ad essi applicato.

Come per ogni investimento in prodotti finanziari, la valutazione dei costi è un passo cruciale, e maggiormente attenzionato dagli investitori.

Le variabili che influenzano il costo totale dell’ETF, sono legate all’indice replica e alle politiche di prezzo attuate dall’emittente. Per tali ragioni, per ETF di diverso emittente, replicanti il medesimo indice, si possono riscontrare TER significativamente differenti. Il costo totale di un ETF, può scindersi in due distinte componenti: i costi interni (o fattori interni) e i costi esterni (o fattori esterni).

I costi interni riguardano: a) il Ter,

b) il costo di ribilanciamento, c) ricavi derivani dal prestito titoli.

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Il Total Expense Ration (TER) è un indicatore utilizzato nell’ambito del risparmio gestito per valutare il costo complessivo annuo di un investimento in fondi comuni. Il TER, comprende una serie di voci di costo che possiamo definire con certezza, tra i quali figurano:

- Costi di amministrazione - Costi di custodia

- Costi di revisione e spese legali

- Costi di registrazione dovuti all’organo di vigilanza

Tale indice, viene calcolato ex-ante dall’emittente, rappresentando, pertanto, una componente esplicita di costo. Al fine di migliorare le performance dell’investimento, è di per se importante ricercare fondi con bassi costi. Bisogna essere consapevoli della presenza di una serie di voci di spesa che rimangono nascoste agli occhi dell’investitore, ma che di fatto pesano sul rendimento netto.

Una di queste, può riguardare le operazioni di investimento o disinvestimento di somme di denaro da parte del gestore del fondo, queste operazioni, infatti, prevedono il pagamento di commissioni di negoziazione per Borse, Banche o Broker. Queste spese di transazione, verranno poi addebitate direttamente sul patrimonio del fondo. l’ammontare preciso di tali commissioni rimane solitamente celato all’investitore. Queste spese, che possiamo definire “invisibili”, sono difficilmente evitabili, poichè numerosi fondi rivedono le loro politiche d’investimento, cambiando periodicamente le posizioni in portafoglio, generando così ulteriori spese. E tramite queste operazioni da parte del gestore vengono motivati i costi di transazione.

Inoltre, le società di gestione sono anche chiamate ad affrontare il “market- impact costs”, ovvero i costi legati al funzionamento del mercato. Per esempio, se il gestore sta tentando di comprare o vendere una grossa somma di azioni,

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sarà probabilmente costretto ad accettare delle condizioni meno vantaggiose rispetto a quelle che avrebbe ottenuto con volumi inferiori44.

Tutto ciò comporta, in particolare, per quei gestori molto attivi, maggiori ostacoli nella replica, e ancor di più nel sovraperformare il benchmark (in caso di fondi comuni).

Questi costi così descritti, non sono tenute in cosiderazione dal TER, diventa difficile per l’investitore monitorarli, non avendo così le cifre esatte dei “c.d. costi invisibili” in capo ad ogni investimento.

La soluzione più semplice per ridurre al minimo le spese nascoste è quella di prendere in cosiderazione dei fondi con volumi di trading contenuti e con bassi tassi di turnover, segni che il gestore opta per una strategia di tipo buy&hold (compra e aspetta).

Mantenere un profilo di rischio costante ed aumentate i potenziali rendimenti nel lungo periodo con ribilanciamenti mirati, può risultare una manovra ottimale.

Una generale struttura di portafoglio, col passare del tempo può deviare dall’originario piano scelto, il ribilanciamento di portafoglio fa parte delle migliori pratiche consigliate da molti rinomati investitori, tuttavia tale pratica non è a costo zero. Il costo di ribilanciamento, è il secondo fattore interno che influenza il costo totale dell’ETF.

Nel precedente paragrafo, si è posta la distinzione tra replica fisica e replica sintetica, è proprio da questa differenza che partiremo per descrivere i costi che concorronoa al ribilanciamento dell’ETF. Infatti, per i fondi a replica fisica vanno considerati delle voci di costo che variano a seconda della struttura dell’ETF,

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il ribilanciamento può definirsi come un’operazione di cambiamento degli indici benchmark, che viene effettuato periodicamente dagli index provider45.

Questi cambiamenti sono conseguenza della selezione dei titoli seguiti dal provider dell’indice, delle operazioni societari e di altri eventi. Invece, nei fondi a replica sintetica, figurano le commissioni legate allo swap, che rappresentano il costo che l’emittente deve corrispondere alla controparte di tale contratto. Per chiudere con i fattori interni, o costi interni, vediamo l’impatto dei rendimenti derivanti dal prestito titoli sul costo totale dell’ETF.

Come accennato prima, gli emittenti hanno la possibilità di contenere il costo effettivo dell’ETF impegnandosi in un’attività collaterale di prestito titoli. I rendimenti derivanti da suddetta attività (securities lending), consente una riduzione del costo interno degli ETF. Tale attività si estrinseca con la concessione in prestito dei titoli da parte del gestore, in cambio di un rendimento che andrà a beneficio di tuti gli azionisti del fondo. Una porzione di rendimento, infatti, andrà ad impattare nul NAV giornaliero. C’è da ricordare, però, che non tutti gli ETF possono ricorrere a tale pratica46 (del prestito titoli).

I costi esterni, invece, riguardano: 1) Spred bid/ask

2) I costi di creation/redemption 3) Costi di negoziazione

4) Imposte

Come nelle negoziazioni di qualsiasi attivo in borsa, esiste un differenziale di prezzi, a cui l’ETP può essere acquistato o venduto. Bid è il prezzo a cui un acquirente desidera acquistare un attivo, mentre Ask è il prezzo a cui un venditore desidera vendere un attivo. La differenza tra questi due prezzi, viene

45Index Provider: Società che attuano standard di elevata qualità nella composizione, nel calcolo e

nella gestione degli indici da loro offerti mediante l'applicazione coerente di regole trasparenti e costanti.

46 In base alle linee guida del CESR sulla misurazione dei rischi, il rischio per singola controparte netto

generabile da operazioni di prestito titoli deve essere incluso nel limite del 20% previsto dal comma 2 dell’articolo 52 della direttiva UCITS mentre i requisiti relativi alla composizione del collaterale sono lasciati alla regolamentazione nazionale di domiciliazione del fondo (Cfr. Borsa Italiana).

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definito bid/ask spread. I prezzi bid/ask sono quotati dai market maker, i quali garantiscono che esista sempre un prezzo a cui un’attivo può essere acquistato e venduto.

Il bid-ask spread è la differenza tra best ask e best bid47, con riferimento

all'operatività del dealer, il bid-ask spread è il margine di profitto lordo di tale intermediario, che negozia strumenti di proprietà appartenenti al proprio portafoglio. Con riferimento all'investitore, invece, il bid-ask spread rappresenta un costo di transazione implicito, che si differenzia dal principale costo di transazione esplicito, ovvero dalla commissione pagata48. Ai concetti di bid ed ask, si collega la seconda delle voci di costo esterno, le commisisoni di creation e redemption, che è la commissione per il fornitore di ETP che viene addebita per creare o redimere quote agli investitori. I costi di creazione/riscatto, vengono considerati dal market maker per la definizione dei costi degli ETP. Come mostra anche la figura 6, ci sono tre valori che il market maker utilizza per offrire prezzi competitivi, e cioè:

- Costo di creazione e riscatto - Differenziale del market maker - Differenziale sottostante

Il market maker, con l’aumento di uno di suddetti costi, tenderà a ampliare il differenziale bid/ask nel tentativo di realizzare un utile.

In genere, una presenza maggiore di market maker su un ETP genera un differenziale bid/ask ridotto. Una maggiore concorrenza tra market maker, tende a far allineare il prezzo dell’ETP a quello dell’attivo sottostante che intendono replicare. A sua volta, l’investitore pagherà meno per acquistare il prodotto e riceverà somme più elevate nelle operazioni di vendita.

47 Best ask e best bid: Il più basso prezzo ask e il più alto prezzo bid presenti sul book 48 Cfr. Bid Ask spread, Glossario di Morningstar

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Figura 5. Schema dei meccanismi concorrenziali tra market maker

Fonte: etfsecurities.com

La seguente figura 7, può definire una visione più chiara dei costi finora descritti.

Figura 6 composizione del costo totale dell’ETF

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Per chiudere l’argomento costi, analizziamo alcuni retroscena. Si è detto che vi sono costi invisibili che di il Ter tende a non considerare, e che l’investitore, nell’andare a valutare gli strumenti disponibili sul mercato non considera. Il TER, infatti, comprende il costo annuale di gestione dell’ETF più varie spese, tra cui, le commissioni di licenza dell’indice, le spese legali, le spese amministrative, le spese di marketing, le spese regolamentari, le spese di revisione contabile e così via.

A differenza del Ter, il costo totale di possesso (TOC) comprende anche tutti quei costi che si sono visti in precedenza, si interni che esterni. Tra le voci interne abbiamo visto: le commissioni di negoziazione, gli spread, le tasse o le commissioni swap, in caso di replica sintetica, relative ai sottostanti degli ETF a cui vengono aggiunti anche i profitti derivanti dal prestito titoli. Questi costi sono un’inevitabile parte della gestione di qualsiasi fondo di investimento. I costi esterni sono maggiormente visibili all’investitore, tra questi voci di costo, troviamo quelli riconducibili alla piattaforma, le commissioni di negoziazione ed il differenziale bid-ask, che viene pagato quando si negozia l’ETF. Questi costi esterni sono relativamente trasparenti in quanto la piattaforma è obbligata a mostrare i costi e le commissioni di negoziazione nel momento in cui verificate il differenziale bid-ask, controllando i prezzi dell’ETF.

I costi invisibili, cioè quelli che il Ter di uno strumento non riesce a cogliere, possono essere determinati dall’investitore puntando al tracking difference dell’ETF. La tracking difference, che vediamo nella figura 8, è la differenza tra i rendimenti dell’ETF ed i rendimenti dell’indice che si vuole replicare. Per esempio, se i rendimenti di un indice sono pari al 10% ed i rendimenti dell’ETF sono pari al 9%, la tracking difference sarà pari a -1%. Questa differenza del - 1% è proprio il costo totale di possesso (TCO) più i costi esterni dell’investitore discussi qui sopra.

Può sembrare strano, ma la tracking difference in alcuni casi può anche essere positiva, ciò può derivare dal fatto che un ETF ottenga un profitto extra dalle sue attività, come per esempio, per il prestito dei titoli o per il fatto di poter

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beneficiare di una più favorevole tassazione, rispetto a quanto viene considerato nel calcolo del rendimento dell’indice.

Figura 7. Il costo totale di possesso per un investimento ETF

Fonte: justETF.com

Il secondo aspetto che va analizzato è il trattamento fiscale degli strumenti. Si è detto che l’ETF è uno strumento che accoglie caratteristiche sia degli strumenti azionari che dei fondi comuni, ai fini della valutazione fiscale, l’ETF viene trattato come fondo e non come azione, ed il regime applicato è quello del risparmio amministrato. I profitti derivanti da tale strumento, sono considerati come reddito da capitale, mentre le perdite costituiscono redditi diversi. Con questo meccanismo di tassazione, in vigore dall’aprile del 2014 con l’integrazione della direttiva AIFM, le plusvalenze non producono più redditi diversi, escludendo, di fatto, la possibilità di compensare le minusvalenze derivanti dalle operazioni in perdita. A seconda della “natura” degli ETF, il regime fiscale applicato varia. Per natura dello strumento intendiamo la conformità dello stesso alle direttive comunitarie, in tal senso abbiamo:

a) ETF armonizzati

b) ETF di diritto estero non armonizzati

Premesso che tutti gli ETF attualmente quotati su Borsa Italiana sono armonizzati e che quelli quotati su Borse statunitensi, in linea generale, sono non armonizzati, possiamo definire gli ETF armonizzati (contraddistinti dalla sigla UCITS IV), come quegli strumenti conformi alle direttive europee, questo consente, il regolare scambio all’interno delle della Borsa italiana e su alcune

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Borse europee. Viceversa, gli ETF non armonizzati non sono conformi alle direttive UE e perciò non possono essere quotati sulla borsa di Milano e su alcune altre Borse europee49.

Per ETF armonizzati, che si dividono a sua volta in ordinari e strutturati, è prevista una ritenuta del 26% che verrà applicata direttamente all’intermediario50, dal 1 luglio 2014, infatti, su tutti i redditi di natura

finanziaria percepiti da investitori residenti in Italia, “il ruolo di sostituto d’imposta” nella tassazione degli ETF è posto a carico dell’intermediario (Banche o SIM). Per ETF non armonizzati, invece, i proventi di capitale concorrono a formare il reddito imponibile del sottoscrittore e sono assoggettati alla tassazione progressiva IRPEF. In caso di ETF non conformi alle direttive comunitarie, l’intermediario applicherà una ritenuta a titolo d’acconto del 26% ai redditi di capitale51 e un’imposta del 26%, tipica del risparmio amministrato,

ai redditi diversi. Un breve schema in figura 9 può chiarire il trattamento fiscale applicato agli ETF in base alla loro natura.

49 Cft. www.solofinanza.it

50Ritenuta del 26%: Viene applicata una ritenuta a titolo d’imposta del 26% sui proventi periodici e sui

redditi di capitale derivanti dal Delta NAV, e un’imposta sostitutiva del 26% sui redditi diversi (capital gain) al netto delle eventuali minusvalenze accumulate

51 Redditi di capitale: dividendi incassati e il Delta Nav (Nav del giorno di vendita – Nav giorno di

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Figura 8 trattamento fiscale degli ETF armonizzati e non armonizzati

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