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ETF E FONDI COMUNI D'INVESTIMENTO: UNO STUDIO QUALI-QUANTITATIVO IN TERMINI DI PERFORMANCE E DI CONVENIENZA

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA DI PISA'

Corso di Laurea Magistrale in Banca, Finanza Aziendale e Mercati Finanziari Dipartimento di Economia e Management

ETF e FONDI COMUNI D’INVESTIMENTO

UNO STUDIO QUALI-QUANTITATIVO IN TERMINI DI PERFORMANCE E DI CONVENIENZA

CANDIDATO Enrico Occhipinti

RELATORE Maria Cristina Quirici

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I INDICE GENERALE

INTRODUZIONE………....1

CAPITOLO 1 1. Il risparmio gestito: un quadro normativo alla luce del recepimento MIFID 1.1.La gestione collettiva del risparmio: quadro normativo…………...3

1.2. Il risparmio gestito………...4

1.3. I mercati finanziari e gli strumenti del risparmio gestito………7

1.4. Fondi comuni d’investimento e OICR: caratteristiche e struttura………....11

1.5. Novità derivanti dal recepimento delle direttive MIFID I e MIFID 2……….….………...17

1.6.Il portafoglio diversificato: il profilo rischio/rendimento………...26

1.7. La gestione attiva e passiva dell’investimento………...…………...29

CAPITOLO 2 2. Gli Exchange Traded Funds 2.1.Cosa sono gli Exchange traded Funds………….………...33

2.1.1. Caratteri peculiari………...33

2.1.2. Le diverse tipologie di ETF………36

2.2.La replica del sottostante: il benchmark………..42

2.2.1. Il quadro normativo………50

2.3.I costi dell’ETF e il regime fiscale………..52

2.4. La domanda e l’offerta: Il meccanismo di formazione dei prezzi...61

2.5.Il segmento di mercato ETFplus: la negoziazione ………....63

2.6.L’asset allocation …………...………74

2.6.1. Caratteri introduttivi………...74

2.6.2. Gli ETF Azionari………....78

2.6.3. Gli ETF Obbligazionari………..…81

2.6.4. Gli ETF sulle materie prime………...83

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CAPITOLO 3

3. Considerazioni di confronto tra fondi comuni d’investimento ed exchange traded funds

3.1.I fondi d’investimento e l’asset allocation………..81

3.1.1. Il mercato dei fondi: meccanismi di formazione dei prezzi……..…..85

3.1.2. Le differenze in termini di costi e regime fiscale………....89

3.1.3. Le differenze gestionale………..94

3.1.4. Le Differenze tra ETF SRI e Fondo SRI………...97

3.1.5. L’impatto del recepimento MiFiD sull’operatività dei gestori di fondi ed ETF………. ………..……….…………..102

CAPITOLO 4 4. Calcolo e confronto delle misure di performance e di rendimento 4.1.Una panoramica del mercato degli ETF e dei fondi comuni: i criteri di selezione………...119

4.2. Presupposti metodologici dell’analisi………..124

4.3. Analisi degli strumenti e andamento dei prezzi…………...………131

4.4.Gli indici di performance………...163

4.4.1. Sharpe ratio………164

4.4.2. Traynor ration……….…...165

4.4.3. L’alfa di Jersen………...165

4.5.Analisi delle performance realizzate dal portafoglio ETF….……..166

4.6.Analisi delle performance realizzate dal portafoglio fondi……...168

Appendice al capitolo 4………....186 Elenco Tabelle………...188 Elenco Grafici………...188 Elenco Figure……….190 Conclusione………...192 Bibliografia/Sitografia………....III

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INTRODUZIONE

Negli anni settanta il mercato mobiliare avanzava dimensioni modeste, c’erano pochi prodotti da collocare e il sistema presentava poche regole da rispettare. Il recente processo di trasformazione dei mercati finanzia ha ampliato le opportunità d’investimento, incrementando il livello di competitività tra gli intermediari, definendo nuove regole sull’attività di collocamento e di gestione. Tutto questo ha reso lo scenario più complesso e articolato.

Lo Sviluppo del mercato finanziario ha consentito la nascita del risparmio assistito, che rappresenta uno dei più importanti cambiamenti intervenuti nei sistemi finanziari dei paesi industrializzati. Questa crescita ha modificato il ruolo dei mercati e degli intermediari finanziari nel processo di allocazione delle risorse e ha indotto cambiamenti nella struttura competitiva dell’industria finanziaria, determinando un ampliamento senza precedenti della gamma di prodotti finanziari a disposizione degli investitori.

All’inizio degli anni Ottanta il desiderio di sicurezza è ancora la molla fondamentale delle scelte d’investimento; tuttavia, si delinea una tendenza a un maggior equilibrio tra sicurezza e redditività come espressione della crescita del consumatore e dell’avvio di un processo non congiunturale di diversificazione del risparmio, ciò porterà alla nascita e alla diffusione delle gestioni patrimoniali e dei fondi comuni

Gli “Exchange Traded Fund” e i fondi comuni di investimento, in particolare, sono due strumenti finanziari della categoria del risparmio gestito, le differenze che si hanno nelle due tipologie di investimento non sono però da trascurare, infatti, gli ETF e fondi comuni di investimento sono due modi simili per investire sia sull’azionario che sull’obbligazionario, tuttavia, Il funzionamento è ben differente e le funzionalità di questi strumenti portano il risparmiatore ad operare sul mercato in modo diverso.

Il fondo, in generale, raccoglie i risparmi da una pluralità di investitori (privati) e si occupa della gestione finanziaria di tale patrimonio.

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Gli ETF, invece, sono fondi di investimento quotati in Borsa, aventi come obiettivo una gestione patrimoniale passiva, ovvero la replicazione esatta del loro benchmark (indici dei mercati azionari o obbligazionari). Ciò significa che se investo in un dato ETF, indicizzato su un dato benchmark, il rendimento del mio investimento tenderà a replicarlo in modo piuttosto preciso. Diversamente, i fondi comuni di investimento hanno una gestione attiva (possono avere anche una gestione passiva); cercano cioè, di far rendere l’investimento in modo che superi il benchmark di riferimento. In tal senso è evidente che non c’è alcuna garanzia nel rendimento superiore e anzi, non è raro che i fondi gestiti performino meno degli ETF omologhi.

Il lavoro di seguito esposto ha come mission principale la comparazione dell’investimento in ETF con quello in fondi comuni; si descriveranno: il quadro normativo di riferimento, le caratteristiche, i costi, le componenti che concorrono alla formazione del prezzo, i vantaggi e gli svantaggi di tali strumenti, giungendo ad un’analisi quali-quantitativa che illustri, mediante l’ausilio di indici di performance, la convenienza o meno nell’utilizzo di tali strumenti.

Per rendere il quadro quantitativo più chiaro a lettore, si procederà, infine, a selezionare un campione di strumenti del risparmio gestito, implementandolo con una valutazione del binomio rischio-rendimento ed una analisi empirica che metta in luce l’evoluzione di un loro possibile utilizzo tra gli investitori in un dato orizzonte temporale, e le performance ottenute dagli stessi, si prenderanno in esame tre distinti portafogli con i medesimi strumenti che evidenzino tre distinti livelli di rischio.

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CAPITOLO 1

IL RISPARMIO GESTITO

1.1. La gestione collettiva del risparmio: caratteri introduttivi

La gestione collettiva del risparmio è una delle due forme della più ampia famiglia del risparmio gestito. Il risparmio gestito si estrinseca, infatti, in due modi:

- Attraverso la gestione individuale di portafogli d’investimento - Attraverso la gestione collettiva del risparmio

La prima si realizza attraverso la stipula di un contratto in forma scritta contenente alcune disposizioni fissate dalla legge con il quale i soggetti abilitati a svolgere il presente servizio, si impegnano a gestire in modo individuale, ovvero esclusivamente a favore di un dato cliente, il portafoglio dello stesso. La seconda definizione, invece, è contenuta nel D.lgl. 24 febbraio 1998 n.58 (Testo unico della finanza-TUF). L’art.1, comma 1, lett. n, afferma che è ≪il servizio che si realizza attraverso:

1. La promozione, l’istituzione e organizzazione di fondi comuni d’investimento e l’amministrazione dei patrimoni ei rapporti con i partecipanti;

2. La gestione del patrimonio di OICR, di proprietà o altrui istituzione mediante l’investimento avente ad oggetto strumenti finanziari, crediti, o altri beni mobili o immobili≫.

Il regolamento Banca d’Italia 19 gennaio 2015, nella sezione II (contenuto minimo del regolamento di gestione) punto 2, definisce gli Exchange Traded Funds (“ETF”) come Gli OICR le cui parti sono scambiate per tutto il giorno in un mercato regolamentato o in un sistema multilaterale di negoziazione, con almeno un market maker che assicuri la non significativa divergenza tra il valore di quotazione e il valore complessivo netto dell’OICR, recano la denominazione

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“ETF” o “UCITS ETF” a seconda che siano, rispettivamente, FIA o OICVM. Per tali ragioni, prima di addentrarsi nel tema si è ritenuto opportuno approfondiremo il quadro normativo in materia di OICR, capire con esattezza che cosa si intende per risparmio gestito e quali sono i prodotti che fanno parte di questa più ampia famiglia.

1.2. Il risparmio gestito

Quello delle gestioni patrimoniali dei fondi comuni, delle polizze vita e dei fondi pensione è la forma di investimento più evoluta, cioè quella che consente alle famiglie di soddisfare i propri bisogni finanziari, previdenziali, di gestione della liquidità e di crescita del capitale per vari scopi, e contemporaneamente ai mercati dei capitali di diventare efficienti allocatori di risorse tra i vari emittenti. La gestione collettiva del risparmio è definita dall'art. 1, comma 1, lett. n) del TUF come:” il servizio che si realizza attraverso la gestione di OICR e dei relativi rischi”1.

Gli OICR sono gli organismi di investimento collettivo del risparmio, quali, fondi comuni di investimento, SICAV e SICAF. La nozione di OICR la troviamo alla lettera k) dell’art. 1, comma 1, del TUF, e cioè Organismo di investimento collettivo del risparmio (OICR), quale: “L'organismo istituito per la prestazione del servizio di gestione collettiva del risparmio, il cui patrimonio è raccolto tra una pluralità di investitori mediante l'emissione e l'offerta di quote o azioni, gestito in monte nell'interesse degli investitori e in autonomia dai medesimi nonché investito in strumenti finanziari, crediti, inclusi quelli erogati a valere sul patrimonio dell'OICR, partecipazioni o altri beni mobili o immobili, in base a una politica di investimento predeterminata”. Come si evince, la raccolta viene effettuata tramite l’emissione e l’offerta di quote o azioni, che sono strumenti finanziari (cioè quote di fondi comuni o azioni di SICAV o di SICAF). Anche dal lato dell’impiego, viene in gioco

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normalmente, ma non necessariamente, la nozione di “strumento finanziario”, in quanto, a seconda della tipologia di OICR potremmo avere come oggetto dell’investimento strumenti finanziari o anche altri tipologie di beni (crediti, beni mobili o beni immobili).

La nozione di strumento finanziario, quindi, entra a far parte anche della nozione di gestione collettiva del risparmio, perché l’attività degli OICR si realizza tipicamente tramite la raccolta effettuata mediante l’emissione di strumenti finanziari e normalmente, ma non necessariamente, anche l’impiego nell’investimento in strumenti finanziari.

Quindi, la nozione di strumento finanziario ha uno specifico rilievo normativo, in quanto utile ad applicare la disciplina dello statuto degli intermediari, che di fatto integra entrambe le nozioni di “attività rilevante”, e cioè i servizi d’investimento e la gestione collettiva del risparmio.

Infine, l'art. 1, comma 1. lettera r), del TUF elenca chi sono i soggetti abilitati allo svolgimento professionale dei servizi d’investimento, quali:

“le Sim, le imprese di investimento comunitarie con succursale in Italia, le imprese di investimento extracomunitarie, le Sgr, le società di gestione armonizzate con succursale in Italia, le Sicav nonché gli intermediari finanziari iscritti nell'elenco previsto dall'articolo 107 del testo unico bancario e le banche italiane, le banche comunitarie con succursale in Italia e le banche extracomunitarie, autorizzate all'esercizio dei servizi o delle attività di investimento”.

I risparmiatori, investendo negli strumenti del risparmio gestito, attribuiscono a un intermediario2 (broker dealer) un mandato per la gestione di un portafoglio

di strumenti finanziari. L'intermediario incaricato della gestione, in nome proprio e per conto del cliente, effettua tutte le operazioni di acquisto e vendita di attività finanziarie o reali necessarie a costruire un portafoglio di investimento

2 Possiamo distinguere tre diverse tipologie di operatori: i Dealer, autorizzato ad immettere ordini

esclusivamente per conto proprio, il Broker, autorizzato invece ad immettere ordini per conto terzi, ed in fine il dual-capacity (o Broker-Dealer), autorizzato ad immettere ordini sia in conto proprio che in conto terzi. (Cfr. Borsa Italiana)

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diversificato, caratterizzato da un profilo di rischio/rendimento coerente con quanto stabilito nel mandato di gestione. Per compiere questa operazione, il broker dealer, si avvale di un market maker3 che va sul mercato a reperire gli

strumenti richiesti dall’investitore che li restituirà all’intermediario.

Questo mandato può riguardare un patrimonio collettivo o individuale e vincolare l'attività di gestione a specifiche attività finanziarie e sedi di negoziazione.

Fig. 1 – Schema sintetico di acquisto di un ETF

Secondo un’analisi dei dati condotta da “Assogestione”, l’associazione di categoria delle società di gestione fondi, il risparmio gestito ha raggiunto, nel terzo trimestre del 2016 un valore pari a 19.671,76172 miliardi di euro di patrimonio raccolto di cui l’81,5% mediante gestione collettiva e il restante 18,5% in gestione di portafoglio.

Tra i vari strumenti offerti in questo ambito alla clientela, preponderante è l’incidenza dei fondi comuni aperti che, alla fine del 2016, supera il’40% dell’intero risparmio gestito.

3 Market Maker: sono operatori che svolgono un ruolo rilevante sui mercati, dove sono previsti,

contribuendo ad aumentare la loro liquidità e migliorando l’efficienza del processo di price discovery. Ad oggi sono presenti sul mercato più di 20 market maker, che quotano prezzi in acquisto/vendita su base continuativa o rispondono a richieste di quotazione immesse dai soggetti negoziatori.

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Tabella 1 - Report- Risparmio gestito: sintesi del 3° trimestre del 2016

Fonte: Assogestione

1.3. I mercati finanziari e gli strumenti del risparmio gestito

I mercati finanziario risultano una componente del sistema finanziario e sono il luogo dove è possibile vendere e comprare strumenti finanziari (azioni, obbligazioni, derivati, quote di fondi ecc.). Una prima distinzione è fra:

- mercato primario – dove si acquistano i titoli al momento dell'emissione;

- mercato secondario – rappresentato dai mercati finanziari dove si acquistano titoli da chi li ha già sottoscritti.

I mercati finanziari non sono più luoghi fisici ma piattaforme informatiche dove si incrociano le proposte di acquisto e di vendita di strumenti finanziari immesse nel sistema telematicamente. I mercati operanti in Italia possono essere suddivisi in tre categorie:

✓ Mercati regolamentati;

✓ Sistemi multilaterali di negoziazione ("MTF") ; ✓ Internalizzatori sistematici (IS)

I Mercati regolamentati, sono sistemi dove, nel rispetto di un regolamento,

vengono immesse da più intermediari, per conto proprio o dei loro clienti, proposte di vendita e di acquisto di strumenti finanziari. Le proposte trovano esecuzione l'una contro l'altra, abbinandosi con

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le proposte di segno contrario (ma compatibili per prezzo e quantità) immesse nel sistema da altri intermediari, senza l'interposizione del gestore del mercato (questo sistema di negoziazione è detto di tipo multilaterale).

Sono gestiti da società di gestione del mercato, autorizzate dalla Consob, che ne approva il regolamento.

Un’importante caratteristica risiede nell'ampiezza delle informazioni disponibili per gli investitori, relativamente all'emittente gli strumenti finanziari negoziati (situazione finanziaria, fatti rilevanti che lo riguardano, maggiori azionisti, soggetti che esercitano il controllo sulla società) e agli stessi strumenti (caratteristiche, vendite allo scoperto significative di azioni, azioni acquistate o vendute dal Top Management dell'emittente).

I Sistemi multilaterali di negoziazione (MTF), per molti aspetti sono simili ai mercati regolamentati in quanto sono sistemi di negoziazione multilaterale, autorizzati dalla Consob e disciplinati da regole sottoposte alla stessa Consob. Possono però essere gestiti anche da soggetti diversi da società di gestione del mercato (ad esempio banche o SIM) purché autorizzati allo specifico servizio di investimento della gestione di sistemi multilaterali di negoziazione.

Anche il set informativo a disposizione è meno ampio; non sono ad esempio previsti meccanismi di pubblicità relativamente ai maggiori azionisti, al controllo della società e alle operazioni compiute da amministrazioni, sindaci e dirigenti su titoli dell'emittente (Top managers).

Gli internalizzatori sistematici, invece, sono intermediari (soprattutto banche)

abilitati al servizio di investimento di negoziazione per conto proprio che, in modo organizzato, frequente e sistematico, negoziano strumenti finanziari per conto proprio, eseguendo gli ordini dei clienti.

Si tratta di un sistema di negoziazione bilaterale (e non multilaterale) perché l'unico intermediario presente è proprio l'internalizzatore sistematico che si interpone in ogni operazione, acquistando, al prezzo da esso stesso stabilito, dai clienti che vogliono vendere e vendendo a quelli che vogliono acquistare. Non sono previste norme particolari per quanto riguarda le informazioni sugli emittenti i titoli negoziati esclusivamente su tali sistemi.

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In definitiva possiamo dire che il mercato finanziario è un’entità complessa, che riscontra numerose dinamiche, tali dinamiche vengono misurate con degli indici finanziari, come ad esempio il FTSEMIB4.

I prodotti del risparmio gestito possono sintetizzarsi in: a. Fondi comuni d'investimento,

b. Gestioni patrimoniali,

c. Exchange Traded Products (ETP)

“I fondi comuni d’investimento”, sono da considerarsi come una cassa

collettiva dove confluiscono i risparmi di una pluralità di investitori privati, il denaro viene investito in valori mobiliari da società di gestione del risparmio (SGR) iscritte ad un apposito albo. L’obiettivo per cui nascono i fondi è ottenere, vantaggi in termini di rendimento e di minori costi, offrendo in aggiunta maggiore potere contrattuale agli investitori, operando, in fine, un processo di diversificazione del proprio portafoglio. L’obiettivo appena citato è ottenuto attraverso una gestione collettiva.

C’è da premettere che, il fondo comune non garantisce alcun rendimento, a meno che non sia dichiaratamente un fondo a capitale garantito, il ritorno per il sottoscrittore dipende soprattutto dalle attività in cui è investito. Il portafoglio di un fondo comune è unico per tutti i sottoscrittori che vi partecipano ed è diviso in quote, i risparmiatori acquisteranno quote del fondo stesso, il cui valore è reso noto quotidianamente dalla SGR. Il patrimonio del fondo è gestito in monte (a differenza delle gestioni patrimoniali, dove ogni cliente resta proprietario di titoli ben identificati) ed è ripartito in quote. Nel fondo comune l’investitore è quindi proprietario di una fetta del patrimonio, che è pari al versamento effettuato più o meno la plus/minusvalenza realizzata dal gestore.

“Le gestioni patrimoniali”, invece, sono forme di investimento che permettono

al risparmiatore di affidare, tramite un mandato, l'investimento del proprio

4Le società quotate su MTA sono rappresentate dalla serie italiana FTSE, revisionata su base

trimestrale in modo da permettere alle società di essere sempre nell’indice più adatto a rappresentarle. le prime 40 società per dimensione e liquidità appartengono al FTSE MIB.

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patrimonio a un gestore (SGR, SIM e banche autorizzate a prestare questo servizio). A differenza dei fondi comuni, la gestione patrimoniale non viene effettuata "in monte" ma separatamente per ogni cliente del gestore.

Trattandosi di un servizio di investimento personalizzato, e non dell'acquisto di un prodotto standard, il portafoglio di ciascun cliente è potenzialmente diverso da quello di ogni altro e definito sulla base di un'analisi accurata delle sue esigenze e dei suoi obiettivi di investimento.

È possibile distinguere due tipologie principali di servizi di gestione patrimoniale:

- Gestione Patrimoniale Mobiliare (GPM): il patrimonio viene investito prevalentemente in strumenti finanziari “classici” (azioni, obbligazioni...); - Gestione Patrimoniale in Fondi o SICAV (GPF/GPS): il patrimonio viene investito prevalentemente in quote di organismi di investimento collettivo del risparmio (fondi comuni, SICAV, ETF, ecc.).

La scelta per compiere un investimento, nel nostro caso, ricade su due possibili alternative:

a. Utilizzare un fondo d’investimento b. Acquistare Exchange Trade Funds (ETF)

Nel primo caso, il fondo investe sul mercato che si è scelto (es. la Borsa italiana) e ha l’obbiettivo di fare meglio del mercato nel suo complesso; questo perché:

a) Utilizza dei gestori

b) Effettua delle costose analisi

c) Basato sul concetto che i professionisti “dovrebbero” fare meglio della media

Purtroppo non è cosi, qualche fondo riesce a batte il benchmark, cioè fa meglio del mercato nel suo complesso (l’indice di mercato è un benchmark cioè un parametro oggettivo con cui il gestore si misura), ma la stragrande maggioranza

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dei fondi non riesce a fare meglio del mercato, per cui, se il mercato cresce il fondo crescerà meno del mercato, tutto ciò è legato:

- alla presenza di errori gestionali - sfasamento temporale

- i costi (il fondo costa moltissimo)

allora si può dire; se il fondo d’investimento ha due anime quella della diversificazione e quella della gestione, quello che dovrà fare l’investitore e tenere l’anima della diversificazione e lasciare quella legata alla gestione. A tale proposito ci potremmo chiediamo, se esiste un modo per acquistare l’indice di mercato. In definitiva, l’investitore si potrà chiedere se risulta possibile replicare un determinato indice di mercato; la risposta, a tale domanda, risiede nell’ utilizzo degli ETF.

La seconda via, quella per noi di maggiore interesse, si orienta, infatti, nell’utilizzo degli ETF.

Gli ETF, sono fondi d’investimento e ne possiedono le caratteristiche, cioè:

- hanno un patrimonio separato da quello della società - non possono fallire (protetti dal rischio di default)

Quello che caratterizza tali strumenti, e che in questo caso non cercano di battere il mercato, ovvero fare meglio di esso, perché di fatto tendono a replicarlo. Questo significa che se il mercato sale del 10% anche l’ETF salirà del 10% se perderà il 3% anche l’ETF perderà il 3%. Gli ETF vengono acquistati presso istituti bancari, gli stessi vengono di fatto negoziati in Borsa (mercato EFPplus di Borsa Italiana), come una qualsiasi strumento quotato.

1.4. Fondi comuni d’investimento e OICR: caratteristiche e struttura

Negli ultimi anni, i fondi comuni d’investimento hanno assunto un peso rilevante nell’offerta del risparmio gestito. Un fondo comune di investimento, in Italia, è un istituto d'intermediazione finanziaria, la loro istituzione è avvenuta con la legge 23 marzo 1983, n. 77. Il d.lgs 24 febbraio 1998, n. 58, che

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attualmente li regolamenta, li definisce come "il patrimonio autonomo, suddiviso in quote, di pertinenza di una pluralità di partecipanti gestito in monte".

Si tratta di strumenti finanziari che raccolgono somme da più risparmiatori, investendole successivamente in forma collettiva, come fosse un unico patrimonio. Tutti i sottoscrittori parteciperanno agli utili (e alle perdite) in proporzione al numero di quote possedute.

È infatti importante ricordare che, seppure il fondo sia uno strumento finalizzato ad ottenere una valorizzazione del patrimonio, non garantisce sempre e comunque un rendimento. Le caratteristiche dell’OICR, fanno sì che, lo stesso, risulti come patrimonio separato da quello della società di gestione che da quello dei singoli partecipanti o sottoscrittori. Inoltre, i creditori della società di gestione non possono “aggredire” il fondo per soddisfare i propri crediti, non potendo quindi pregiudicare i diritti degli stessi partecipanti. Tra i vari criteri adottati dal legislatore per mettere ordine nell’insieme dei prodotti presenti sul mercato vi è quello della struttura, per tale ragione possiamo distinguere i fondi aperti da quelli chiusi ed i fondi dalle SICAV e dalle SICAF. I fondi aperti consentono di sottoscrivere quote o chiedere il rimborso, in ogni momento. Il loro patrimonio, infatti, non è fissato in un ammontare predefinito, ma può continuare a variare, in aumento per le nuove sottoscrizioni o in diminuzione per i rimborsi, oltre che aumentare o diminuire in relazione al variare del valore dei titoli in portafoglio.

I fondi chiusi, invece, hanno un patrimonio predefinito, che non può variare a seguito di nuove sottoscrizioni e rimborsi, ed è suddiviso in un numero predeterminato di quote, il rimborso avviene di norma solo alla scadenza. La diversa struttura è funzionale alle diverse politiche d’investimento; infatti, ai fondi chiusi sono riservati investimenti poco liquidi e di lungo periodo, mentre i fondi aperti investono generalmente in azioni, obbligazioni e altri strumenti quotati che possono essere in qualsiasi momento negoziati sul mercato.

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Infine abbiamo le SICAV e le SICAF, società di investimento a capitale variabile o a capitale fisso, che sono delle vere e proprie società di cui i sottoscrittori sono soci con tutti i relativi diritti.

Le SICAV - Società di investimento a capitale variabile, sono disciplinate dall’art. 1, comma 1, lett. i) del TUF come: “l’OICR aperto costituito in forma di società per azioni a capitale variabile con sede legale e direzione generale in Italia avente per oggetto esclusivo l'investimento collettivo del patrimonio raccolto mediante l'offerta di proprie azioni”.

Le SICAF - Società di investimento a capitale fisso, sono disciplinate dall’ art. 1, comma 1, lett. i-bis) del TUF come: “l’OICR chiuso costituito in forma di società per azioni a capitale fisso con sede legale e direzione generale in Italia avente per oggetto esclusivo l’investimento collettivo del patrimonio raccolto mediante l’offerta di proprie azioni e di altri strumenti finanziari partecipativi”. Quindi, fondi comuni e SICAV assolvono entrambi alla medesima funzione economica, e cioè gestire collettivamente le somme affidate dai risparmiatori, con alcune differenze.

Figura 2 La dinamica della struttura dell’offerta degli OICR

Fonte: M. Liera, Tutti gli strumenti del risparmio

Dal punto di vista organizzativo, quindi, la legge prevede due tecniche per organizzare l’OICR: La prima tecnica per isolare il patrimonio investito e destinarlo all’investimento collettivo è data dalla costituzione di un OICR in

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forma di S.p.A., creando, in tal modo, una SICAV o una SICAF, cioè un nuovo soggetto a cui imputare il patrimonio destinato all’investimento collettivo. La seconda tecnica per isolare il patrimonio investito e destinarlo all’investimento collettivo è quella che viene utilizzata nel fondo comune di investimento, definito all’art. 1, comma 1, lett. j) come “l’OICR quale patrimonio autonomo, suddiviso in quote, di pertinenza di una pluralità di partecipanti gestito in monte”.

Nel caso del fondo comune, l’investimento collettivo è costituito semplicemente come patrimonio autonomo rispetto all’intero patrimonio del gestore del fondo e, quindi, non viene imputato ad un nuovo soggetto giuridico come nel caso di SICAV o SICAF.

Il Ministro dell’economia e delle finanze, con regolamento adottato, sentite la Banca d'Italia e la Consob, determina i criteri generali cui devono uniformarsi i fondi comuni di investimento con riguardo:

a) all'oggetto dell'investimento;

b) alle categorie di investitori cui è destinata l'offerta delle quote;

c) alle modalità di partecipazione ai fondi aperti e chiusi, con particolare riferimento alla frequenza di emissione e rimborso delle quote, all'eventuale ammontare minimo delle sottoscrizioni e alle procedure da seguire;

d) all'eventuale durata minima e massima;

d-bis) alle condizioni e alle modalità con le quali devono essere effettuati gli acquisti o i conferimenti dei beni, sia in fase costitutiva che in fase successiva alla costituzione del fondo, nel caso di fondi che investano esclusivamente o prevalentemente in beni immobili, diritti reali immobiliari e

partecipazioni in società immobiliari

Il regolamento del Ministro dell’economia e delle finanze n. 30 del 2015 disciplina gli OICR, in relazione alla politica di investimento.

L’articolo 4, comma 1. Del regolamento chiarisce quali possano essere gli oggetti dell’investimento degli OICR, affermando che il patrimonio dell’OICR può essere investito in una o più delle categorie dei seguenti beni:

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a) strumenti finanziari negoziati in un mercato regolamentato; b) strumenti finanziari non negoziati in un mercato regolamentato; c) depositi bancari di denaro;

d) beni immobili, diritti reali immobiliari, ivi compresi quelli derivanti da contratti di leasing immobiliare con natura traslativa e da rapporti concessori, e partecipazioni in società immobiliari, parti di altri FIA immobiliari, anche esteri;

e) crediti e titoli rappresentativi di crediti, ivi inclusi i crediti erogati a valere sul patrimonio dell’OICR;

f) altri beni per i quali esiste un mercato e che abbiano un valore determinabile con certezza con una periodicità almeno semestrale.

Questa norma delinea in linea generale, a prescindere dalle scelte effettuate con riferimento agli altri elementi determinanti, i beni in cui gli OICR possono investire, e li individua con un elenco. In particolare, abbiamo sei categorie di beni, in cui un OICR astrattamente può investire. La lettera a) e la lettera b), riguardano gli strumenti finanziari, con una differenza, all’interno di questa categoria, a seconda che lo strumento finanziario sia quotato in un mercato regolamentato o meno.

Quindi, l’oggetto dell’investimento possono essere strumenti finanziari, quotati in un mercato regolamentato (lett. a)) oppure non quotati in un mercato regolamentato (lett. b)). L’art. 4 classifica separatamente le due specie di strumenti finanziari, perché è evidente che questo prelude una scelta che riguarda l’impatto delle modalità di partecipazione al fondo sull’oggetto dell’investimento, nel senso che è evidente che, pur essendo entrambi strumenti finanziari, il grado di rischio di liquidità o realizzabilità dell’investimento è sensibilmente diverso nei due casi, a seconda che lo strumento sia quotato in un mercato regolamentato oppure no. Il concetto, quindi, è ancorato legato alla nozione di mercato regolamentato, non basta che lo strumento sia negoziato in un qualsiasi sistema di scambio organizzato, ma deve essere quotato in un mercato regolamentato.

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La lett. c) invece, parla dei depositi bancari in denaro, mentre la lett. d) riguarda la categoria generale di beni immobili, all’interno della quale rientrano sia i diritti reali su un bene immobile (titolarità diretta del bene), sia le forme che consentono una titolarità indiretta del bene immobile, cioè le partecipazioni in società c. d. immobiliari, o quote di altri fondi alternativi immobiliari. Nella lett. d), cioè nella categoria degli investimenti immobiliari, rientrano sia gli investimenti diretti tramite l’acquisto della proprietà o di altri diritti reali su beni immobili, sia quelli indiretti, cioè l’acquisto di partecipazioni in società il cui patrimonio è formato da beni immobili o in fondi che presentano la stessa caratteristica.

Un’ulteriore categoria di beni, sono crediti e titoli rappresentativi di crediti, ivi compresi i crediti erogati a valere sul patrimonio dell’OICR (lett. e)) e, infine, l’ultima categoria di beni su cui effettuare l’investimento è la c.d. “categoria di chiusura”, rappresentata dalla lett. f), la quale afferma che è possibile investire anche in altri beni per i quali esiste un mercato e che abbiano un valore determinabile con certezza con una periodicità almeno semestrale.

L’oggetto dell’investimento per gli OICR non è determinato in modo tipico, ma da un’elencazione che presenta un margine di apertura nella lettera f), spiega che l’OICR può investire in beni diversi da quelli elencati, a condizioni che per essi esista un mercato e che ci sia un valore predeterminabile con una periodicità semestrale.

Movendo da questa perimetrazione generale dell’oggetto dell’investimento, è possibile individuare i diversi tipi di OICR, che sono fondamentalmente tre:

- Gli OICR aperti - Gli OICR chiusi - Gli OICR riservati

Gli OICR aperti, rappresentano la forma più comune di fondo d’investimento utilizzato. Il valore e la composizione tendono a variare continuamente, in relazione agli acquisti e alle vendite realizzate sul mercato a opera dei gestori del fondo.

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L’OICR aperto, è disciplinato dall’art. 8 del regolamento, e si caratterizza per una scelta negoziale o organizzativa fatta nello statuto o nel regolamento del fondo, con riguardo alle modalità di partecipazione, e quindi la presenza di un diritto ad ottenere il rimborso a valere sul patrimonio del fondo, senza limitazioni predeterminate. L’OICR aperto, dal punto di vista delle caratteristiche, ha alla base questa facoltà, e cioè di prevedere il rimborso delle quote o azioni a vantaggio dei partecipanti (lett. k-bis) art. 1, comma 1 del TUF). Questa scelta si riverbera in un vincolo, che come sappiamo riguarda l’oggetto dell’investimento, in quanto l’art. 8 del regolamento dice che gli OICR italiani aperti, non possono investire in tutta la latitudine degli oggetti espressi dall’art. 4, ma l’oggetto dell’investimento degli OICR aperti subisce delle limitazioni, derivanti dall’esigenza di garantire la stabilità di un OICR che è costantemente soggetto alle richieste di rimborso dei partecipanti. Quindi, riprendendo l’art. 4, i beni in cui potrà investire il fondo aperto sono i primi tre: strumenti finanziari, quotati e non quotati nei mercati regolamentati, e i depositi bancari in denaro, in quanto gli altri sono investimenti di non pronta liquidazione e quindi incompatibili con un fondo che deve garantire la pronta liquidità per rimborsare i partecipanti che lo richiedano.

La nozione di OICR chiuso, invece, è individuata dall’art. 1, comma 1, lett. k-ter) del TUF, il quale afferma che sono chiusi tutti gli OICR che non sono aperti, cioè tutti gli OICR in cui non è previsto un diritto al rimborso predeterminato delle quote ai partecipanti.

1.5. Novità derivanti da recepimento delle direttive MIFID1 e MIFID2 La direttiva dell'Unione Europea 2004/39/CE, conosciuta anche come MiFID, che è l’acronimo di Markets in Financial Instruments Directive, nasce dall’intento del legislatore europeo di dettare una disciplina sui mercati e sugli strumenti finanziari in esso negoziati, offrendo alla clientela, che entra in contatto con imprese che offrono servizi di investimento in Europa, una maggior tutela in termini di trasparenza delle negoziazioni, sia nelle fasi pre-trade che post-trade, per le sole azioni ammesse a negoziazione sui mercati regolamentati

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UE, che in termini di vigilanza e regolamentazione degli stessi mercati finanziari5.

la MiFID, e le relative misure di esecuzione, si occupano, quindi, di intermediari che prestano servizi di investimento (negoziazione, raccolta ordini, gestione, collocamento, consulenza) e di mercati. Peraltro, oggi il mercato europeo è diventato più complesso e il confine tra mercati ed intermediari è diventato più labile. In particolare, sono nati sistemi alternativi sia all’esecuzione delle transazioni6 e sia ai mercati regolamentati. Obiettivo della direttiva è garantire

la concorrenza tra i diversi meccanismi di esecuzione degli ordini, prevenendo la frammentazione dei mercati con alti obblighi di trasparenza, garantendo un elevato standard di tutela degli investitori. La direttiva si pone l’obiettivo di formare un mercato finanziario integrato, efficace e competitivo nell'Unione europea (level playing field).

La MiFID, la si può vedere come una delle prime applicazioni della procedura di Lamfalussy, con l’emanazione di suddetta direttiva, è stata dettata la regolamentazione generale dei mercati e degli strumenti finanziari, inquadrabile nel livello I della procedura Lamfallusy. La direttiva, che in realtà doveva contenere esclusivamente solo i principi quadro, è in realtà molto dettagliata. Le misure di esecuzione di secondo livello, sono state dettate rispettivamente, dalle direttive n. 2006/73/CE del 10 agosto 2006 e dal regolamento n. 1287/2006 del 10 agosto 2006. La scelta delle autorità di utilizzare il regolamento come strumento che disciplina le misure di esecuzione, e nata dal fatto che tale strumento è direttamente applicabile negli Stati membri, garantendo così un regime armonizzato per quelle disposizioni che promuovono l’integrazione dei mercati7.

5 La direttiva MiFID: Guida per il consumatore, CESR,2008

6 I cosiddetti Alternative Trading Systems - ATS, o, per usare una categoria nota al Tuf, i Sistemi di

Scambi Organizzati – SSO

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L’entrata in vigore, a partire dal 1° novembre 2007, della nuova disciplina degli intermediari e dei mercati, disegnata dalla MiFID, conclude un lungo e incisivo processo di innovazione normativa, nel quale si sono intrecciati interventi sia di fonte nazionale che comunitaria. La riforma del risparmio e la produzione legislativa europea hanno definito un nuovo quadro di regole che si pone l’obiettivo di rispondere, da un lato, ai profondi e continui mutamenti nelle attività di intermediazione mobiliare, dall’altro, alle nuove esigenze di tutela del risparmio conseguenti sia a tali mutamenti sia ai problemi emersi nelle relazioni tra intermediari e investitori. Ci troviamo di fronte ad uno snodo cruciale della disciplina dell’intermediazione dei prodotti finanziari che produrrà effetti significativi anche sugli assetti strutturali e competitivi dell’industria europea e nazionale e sugli assetti e l’articolazione dell’architettura dei sistemi di vigilanza.

In conclusione, possiamo dire che la MiFID abolisce definitivamente l’obbligo di concentrazione degli scambi sui Mercati Regolamentati, prevedendo l’introduzione di due nuove tipologie di sedi di esecuzione che vanno ad affiancarsi ai mercati regolamentati: i Sistemi Multilaterali di Negoziazione e gli Internalizzatori Sistematici.

Inoltre, la MiFID introduce una nuova disciplina per la classificazione della clientela degli intermediari finanziari, basata sulle seguenti categorie di clienti, ai quali si associa un grado di tutela decrescente:

- Clienti al dettaglio; - Clienti professionali;

- Controparti Qualificate (un sottogruppo dei clienti professionali). La tutela sopra citata consiste, in primo luogo, nella comunicazione al cliente della sua classificazione in una delle tre succitate categorie e della natura generale e/o delle fonti dei conflitti di interesse tra la Banca e il cliente non diversamente evitabili, ed in grado di arrecare un pregiudizio per il cliente stesso. In secondo luogo, con esclusivo riferimento ai clienti al dettaglio e professionali, la MiFID prevede l’obbligo per gli intermediari di adottare tutte

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le misure ragionevoli per ottenere il migliore risultato possibile per il cliente (c.d. best execution) in relazione ad operazioni aventi ad oggetto qualsivoglia strumento finanziario (azioni, obbligazioni, derivati, titoli di Stato, quotati o meno), individuando a tal fine, per ciascuno strumento finanziario, una strategia di esecuzione degli ordini che assicuri la realizzazione del miglior risultato possibile. Tale strategia deve tenere opportunamente conto di una serie di fattori (tra i quali le condizioni di prezzo, costo, velocità dell’esecuzione, probabilità di esecuzione e regolamento, dimensione dell’ordine, natura dell’ordine ed altre caratteristiche dell’ordine rilevanti per la sua esecuzione) e deve essere comunicata e sottoscritta dal cliente. In terzo luogo, la MiFID prevede l’obbligo, in capo agli intermediari finanziari, di valutare l’adeguatezza quando l’intermediario presta il servizio di gestione di portafogli o di consulenza in materia di investimenti, ovvero di valutare l’appropriatezza, allorquando l’intermediario presta un servizio di investimento diverso dalla consulenza in materia di investimenti e dalla gestione di portafogli (ad es. ricezione e trasmissione di ordini, collocamento di strumenti finanziari, esecuzione di ordini, ecc.). La valutazione di appropriatezza è finalizzata a valutare se il cliente abbia il livello di esperienze e conoscenze necessario per comprendere i rischi che il prodotto o servizio di investimento, offerto o richiesto, comporta. La valutazione di adeguatezza, invece, si propone di valutare la “conformità” del prodotto/servizio di investimento alle luce delle conoscenze ed esperienze in materia di investimenti, riguardanti per l’appunto, il tipo di prodotto o servizio, la situazione finanziaria e agli obiettivi di investimento del cliente. In caso di rifiuto da parte del cliente di fornire le informazioni richieste per la valutazione di appropriatezza, l’intermediario potrà comunque prestare il servizio richiesto, informando il cliente che non potrà effettuare una valutazione di appropriatezza dello stesso; diversamente, in caso di valutazione di adeguatezza, l’intermediario dovrà astenersi dal prestare i servizi di

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investimento di consulenza in materia di investimenti e di gestione di portafogli8.

Le recenti crisi finanziarie hanno più volte messo in discussione la stabilità dei mercati, generando un crollo della fiducia degli investitori. Le nuove regolamentazioni, auspicano un miglioramento del funzionamento dei mercati dei capitali, a beneficio dell’economia reale. Il mutato contesto di riferimento, ha visto in primis un’implementazione della Direttiva 93/22/CEE c.d. “ISD - Investment Services Directive” che riguarda le regole di concentrazione degli scambi sui mercati regolamentati, la sostanziale concentrazione delle informazioni, la presenza di mercati regolamentati e non regolamentati ed il regime di trasparenza sui mercati regolamentati e sui sistemi di scambi organizzati. Successivamente, il legislatore comunitario, ha implementato tale quadro normativo con la direttiva MiFID I, con una eliminazione delle regole di concentrazione, un ampliamento delle attività di banche ed imprese d’investimento, offrendo loro la possibilità di gestire MTF e svolgere l’attività di internalizzatore sistematico (SI) e concedendo alle società di gestione la possibilità di gestire mercati regolamentati(MR) e sistemi multilaterali di negoziazione (MTF)9.

Infine, l’ultimo anello della catena normativa che ha ad oggetto, per l’appunto, la regolamentazione e la trasparenza dei mercati, riguarda la Direttiva 2014/65/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014, relativa ai mercati degli strumenti finanziari, che modifica la direttiva 2002/92/CE e la direttiva 2011/61/UE (MiFID 2), ed il Regolamento (UE) n. 600/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, sui mercati degli strumenti finanziari, modifica a sua volta il regolamento (UE) n. 648/2012 (MiFIR)10.

8 UBI documento informativo per i clienti online

9 CONSOB - Commissione Nazionale per la Società e la Borsa, La disciplina dei mercati: introduzione

alla trasparenza, 2014

10 Diritto bancario: Servizi d’investimento, MiFID 2 e MiFIR: la nuova Direttiva 2014/65/UE ed il nuovo

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La Direttiva MiFID 2 stabilisce requisiti in relazione ai seguenti elementi: - autorizzazione e condizioni di esercizio per le imprese di investimento; - prestazione di servizi di investimento o esercizio di attività di investimento da parte di imprese di paesi terzi mediante lo stabilimento di una succursale;

- autorizzazione e funzionamento dei mercati regolamentati;

- autorizzazione e condizioni di esercizio dei prestatori di servizi di comunicazione dati e vigilanza, collaborazione e controllo dell’applicazione della normativa da parte delle autorità competenti.

Il Regolamento MiFIR, invece, stabilisce requisiti uniformi in relazione a: - comunicazione al pubblico di dati sulle negoziazioni;

- segnalazione delle operazioni alle autorità competenti; - negoziazione di strumenti derivati nelle sedi organizzate;

- accesso non discriminatorio alla compensazione e accesso non discriminatorio alla negoziazione di valori di riferimento;

- poteri di intervento sui prodotti conferiti alle autorità competenti, all’ESMA e all’ABE nonché poteri conferiti all’ESMA in ordine ai controlli sulla gestione delle posizioni e alle limitazioni delle posizioni; - prestazione di servizi o attività di investimento da parte di imprese di paesi terzi, in seguito a una decisione di equivalenza applicabile da parte della Commissione, con o senza una succursale.

La MiFID 2 introduce importanti modifiche nel mercato finanziario europeo, è considerata una tra le Direttive a maggiore impatto nei confronti degli intermediari finanziari (Banche, SGR, SIM, etc.); non solo riprende gli obiettivi della direttiva originale (MiFID I), ma ne amplifica il campo d’azione. In particolare, dovrà estendere l'ambito di applicazione agli strumenti finanziari non regolamentati, e riguardare anche i soggetti che attualmente operano su diverse piazze finanziarie, includendo operazioni particolari, come "over the counter" e le "commodities".

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Inoltre la MiFID 2, si collegherà con altre normative/direttive in fase di revisione ed elaborazione, quali11:

• OTC regolamentazione degli strumenti derivati;

• regolamentazione delle infrastrutture di post-trading OTC (EMIR: European Market Infrastructure Regulation);

• MAD: aggiornamento della Direttiva Market Abuse;

• SDA: regolamentazione dei Sistemi di Deposito Accentrato;

• regolamentazione delle differenze in termini di trattamento legale dei titoli (Securities Law Directive, SLD).

La commissione europea ha annunciato lo slittamento del recepimento di suddetta disciplina; offrendo alle aziende finanziarie, istituti di credito e fondi d’investimento un maggior tempo (un anno), per prepararsi alle nuove regole di mercato relative ai diversi strumenti finanziari oggi esistenti.

La direttiva, nota con l’acronimo inglese MiFID 2, entrerà in vigore il 3 gennaio 2018. La scadenza entro dell’entrata in vigore è stata spostata per prendere in considerazione le eccezionali difficoltà di applicazione delle regole a cui devono fare fronte i regolatori, così come i partecipanti al mercato12.

Avendo fin qui descritto “l’excursus” normativo che ha avuto la disciplina sui mercati, gli ambiti di applicazione e i punti centrali della nuova disciplina, vediamo adesso quale saranno gli impatti della MiFID sugli strumenti oggetto del lavoro, cioè l’impatto che direttiva avrà sugli ETF e sui fondi d’investimento.

L’introduzione di nuove norme volte a favorire una maggiore trasparenza nei confronti dei risparmiatori, porterà l’attività dei promotori finanziari a cambiare significativamente, in particolare con l’applicazione della MiFID 2, che dal

11 www.advisoronline.it

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primo gennaio 2018 si appresterà a cambiare il modo di fare consulenza finanziaria in Italia.

Uno degli ambiti che maggiormente verrà modificato è quello lego alle “remunerazioni dei consulenti”, infatti, a seguito dell’introduzione della consulenza su base indipendente, pagata a parcella dal cliente, sarà richiesta, al consulente, una maggiore preparazione per offrire un servizio di consulenza al passo con le novità di mercato. Anche in contesti di consulenza non indipendente, il livello qualitativo del servizio dovrà necessariamente aumentare, corredando il servizio di consulenza con tutta una serie di altri servizi che abbiamo valenza su tutto il patrimonio del cliente.

La normativa comunitaria MiFID 2, obbligherà le imprese di investimento a dichiarare preventivamente che tipo di consulenza intendono prestare, se di carattere distributivo oppure fornita in modo indipendente. In Italia, il modello della consulenza finanziaria indipendente (remunerata esclusivamente a parcella) non è una novità, era di fatto già fornita dai consulenti c.d. fee-only, professionisti autonomi che non sono legati ad alcun intermediario. Il Governo ha recentemente deciso di cambiare il la denominazione dei professionisti fee-only da “consulenti finanziari indipendenti” a “consulenti finanziari in regime di esenzione”, creando non poca confusione nei consumatori che dovranno decidere a quale professionista affidarsi13.

Il percorso disegnato dalla direttiva europea auspica ad una consulenza che offre un servizio sempre più “personalizzato” e “specializzato”, in cui il meccanismo di remunerazione, previsto per il prestatore del servizio è in via esclusiva quello a parcella, come già avviene nei paesi anglosassoni. Un’sistema si fatto prevederà, inoltre, una chiara esplicitazione di tutti i costi a carico del cliente, il modello di consulenza generica, remunerato solo da front fee e management fee14, è destinato a scomparire15. In ragione della disciplina comunitaria e della

13 Massimiliano volpi, Consulente finanziario: le sfide della MiFID 2 per i professionisti del futuro,

gennaio 2016

14 Front fee e management fee sono rispettivamente: provvigioni di ingresso e provvigioni di gestione 15Cfr. L. Maino, Co-Fondatore e Membro del Consiglio Direttivo di NAFOP

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trasparenza, che professa di portare operatività sui mercati finanziari, c’è da dire che gli operatori finanziari dovranno prestare una maggiore attenzione ai costi diretti e indiretti applicati alla clientela. La direttiva MiFID 2 prevederà, infatti, che il consulente fornisca maggiori indicazioni sui costi, sia nel caso in cui la consulenza venga pagata direttamente dal cliente (c.d. indipendente), sia nel caso in cui venga retribuita tramite commissioni caricate sul prodotto.

Il mercato europeo, al momento, si presenta molto frammettano a livello regionale, l’arrivo della MiFID 2 determinerà un importante spinta in termini di volumi. La distribuzione di prodotti finanziari in Europa del sud è strettamente nelle mani di Banche e reti di consulenti ed intermediari che hanno poco interesse a promuovere gli ETF, il divieto di commissioni per i consulenti finanziari indipendenti, che introdurrà la MiFID 2 nel 2018, incoraggerà tali soggetti a far maggiore uso di questi strumenti.

La maggiore trasparenza, infine, è volta a rendere più competitivo lo scenario di mercato.

Per quanto riguarda la consulenza remunerata a parcella, possiamo certamente ipotizzare che la clientela più evoluta comincerà ad avvicinarsi a questo nuovo canale, dapprima veicolati dai consulenti indipendenti e dai mezzi di stampa e poi, con i cambiamenti attesi nel mercato, anche dai consulenti che appartengono alle reti di distribuzione.

Con il recepimento MiFID 2 non ci si aspetta che il mercato degli ETF subisca un calo nei prezzi, almeno non nel breve periodo, soprattutto per via della crescente popolarità. La direttiva porterà anche maggiore liquidità sul mercato dei prodotti passivi, per via di una spinta verso la trasparenza. Al momento, infatti, non tutti gli ETF devono riportare i propri scambi, con l’applicazione della direttiva, invece, questo sarà necessario. L’effetto della maggiore trasparenza sui volumi e sulle dinamiche di prezzo attirerà nuovi operatori, rendendo quindi il mercato più liquido16.

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1.6. Il portafoglio diversificato e l’investimento consapevole: il profilo rischio/ rendimento

La gestione di portafoglio è un servizio d’investimento, che si estrinseca nella ricerca, da parte del gestore, della combinazione di attività che meglio riflettano le esigenze dell’investitore; ciò richiede in primis una valutazione complessiva di alcuni aspetti quali la propensione al rischio, ed in particolare: le tipologie di rischio, in cosa consiste e quali elementi devono essere considerati per una sua valutazione.

Le tipologie di rischio che solitamente vengono prese in considerazione sono tre:

- rischio di insolvenza dell’emittente (o rischio di controparte) - rischio di mercato

- rischio liquidità

a seconda del caso possiamo riscontrare alcuni segnali che possono fornirci informazioni circa la valutazione di tali rischi, come ad esempio il rating, per il rischio di insolvenza, la variabilità registrata nel tempo dello strumento per il rischio di mercato, e la presenza di strumenti quotati, risulta maggiormente liquidi, per valutare il rischio di liquidità.

Sottoscrivere uno dei prodotti offerti dal mercato, significa depositare parte della propria liquidità per una durata predefinita ricevendo, allo smobilizzo, un valore atteso che speriamo sia maggiore di quello inizialmente investito (la probabilità del risultato dipenderà anche dai rischi associati all’investimento scelto).

Per quanto detto adesso, rientrano altri due aspetti importanti che influenzano la scelta dell’investitore, e cioè i rendimenti attesi ed i consumi dell’investitore. Alcuni di questi obiettivi appena descritti, sono interrelati: la combinazione ottimale dipenderà dalle preferenze dell’investitore, oltre che dalle proprietà intrinseche degli asset.

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La finanza, ed in particolare la gestione del portafoglio, poggia saldamente le basi su due concetti molto importanti, quali quello di rischio e di rendimento17.

Una volta specificati il rischio e il rendimento atteso di ciascuna attività, la moderna teoria finanziaria è in grado di determinare il portafoglio ottimale per l’investitore. Tuttavia, rischio e il rendimento non sono costanti fisiche, i valori storici devono essere identificati da una valutazione su come gli investitori, nel cercare di trarre vantaggio dai rendimenti del passato, possono modificarli nel futuro. Molto spesso, in finanza, un’errata stima delle due variabile deriva da una carenza di dati; vediamo in concreto cosa sono e in che modo vanno calcolati.

I rendimenti vanno a misurare la variazione percentuale dei prezzi in un certo intervallo. La teoria finanziaria trova due diversi modi con cui calcolare i rendimenti.

Il primo approccio prevede il calcolo del rendimento sulla base della capitalizzazione semplice, il rendimento di un generico titolo fra la data t-1 e t sarà dato da:

𝑟𝑡 =𝑝𝑡 + 𝑑𝑡 𝑝𝑡−1 − 1

Dove pt e pt-1 sono i prezzi dei titoli alle date t e t-1 e dt è il cash flow generato

dal titolo fra le due date. La somma (1+ rt) viene anche chiamata fattore di

capitalizzazione. I rendimenti semplici non possono essere generati da una distribuzione normale, perché di fatto, per costruzione 𝑟𝑡 ≥ −1

Una definizione alternativa di rendimento è basata sulla capitalizzazione continua, secondo quale i rendimenti sono dati da:

𝑟̃ = 𝑙𝑛𝑡 𝑝𝑡(𝑝𝑡+ 𝑑𝑡) − 𝑙𝑛𝑝𝑡−1 = ln (1 + 𝑟𝑡)

17J. J. Siegel, Rendimenti finanziari e strategie d’investimento: i titoli azionari nel lungo periodo,

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A differenza del caso precedente, 𝑟̃ non è limitato inferiormente ed è quindi 𝑡 compatibile con l’ipotesi di distribuzione normale18.

Passiamo, infine, ad analizzare la seconda variabile, ovvero il rischio.

In finanza, il rischio è la potenzialità che l'investimento scelto non produca i risultati previsti. Si potrebbero di conseguenza realizzare guadagni inferiori alle aspettative, ma anche perdere una parte o la totalità dei fondi impiegati, se non addirittura una cifra superiore.

Inizialmente potremmo chiederci quale sia il vero Il rischio di un investimento finanziario, diciamo che grossomodo vent’anni fa, tale elemento era fortemente legato a quella che possiamo definire la volatilità degli strumenti, cioè alle variazioni quotidiane di prezzo degli asset, tralasciando una variabile che si può ritenere sia il vero rischio di investimento finanziario, ovvero la presenza di eventi estremi (shock di mercato), i c.d. cigni neri19, che rendono giustizia al

concetto di rischio di investimento.

Una volta chiarito il concetto di rischio finanziario, passiamo ad occuparci di una sua misurazione da parte dell’investitore (o chi per lui seleziona i prodotti da acquistare).

Misurare il rischio significa andare a valutare il livello di rischio che si può realisticamente assumere, una volta valutato il rischio, si può procedere al calcolo della somma che si vuole impegnare nei vari investimenti. Ogni forma di investimento implica un proprio livello di rischio, per cui un “portafoglio bilanciato” dovrebbe essere strutturato come una piramide, la c.d. piramide del rischio d’investimento, dove alla base troviamo la maggior parte degli investimenti con basso rischio e ritorni più affidabili, nel corpo centrale troviamo, invece, investimento a medio rischio che garantiscono un ritorno stabile ma anche una buona potenzialità di rivalutazione (sono più rischiosi di quelli che stanno alla base, ma dovrebbero risultare relativamente sicuri). Infine,

18Molti modelli matematico-statistici per la misurazione del rischio presuppongono l’ipotesi di

normalità dei rendimenti (come il VaR) anche se per molti aspetti tale ipotesi risulta poco realistica.

19 Cigno Nero: La metafora cigno nero è entrata nel lessico finanziario nel 2007 per segnalare un

evento di elevata intensità che si verifica raramente e che di fatto non può essere ignorato se si vuole superare la soglia del lungo termine

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al vertice della piramide, a questo punto troviamo gli investimenti più rischiosi, l’investitore in questa porzione dovrà investire solo somme che potrà permettersi di perdere senza incorrere in gravi dissesti finanziari. Infine, dopo aver quantificato il rischio degli investimenti presenti sul mercato, bisogna anche valutarne la gestione all’interno del portafoglio, qui entra in gioco il concetto di gestione del rischio.

Gestire il rischio20 significa mettere in atto tutti gli accorgimenti necessari a

controllare i fattori di incertezza legati a un’attività e a limitare gli effetti di potenziali eventi avversi. L’impiego del risparmio ha come obiettivo l’ottenimento del massimo rendimento, quindi, la gestione del rischio di un portafoglio finanziario sarà volta a limitare il verificarsi degli eventi negativi (downside-risk) e minimizzare il loro impatto sul nostro investimento, cercando infine, di non ostacolare l’impatto di eventi positivi (upside-risk).

Possiamo concludere infine, che queste analisi consentono di definire una banda di oscillazione ideale del portafoglio il c.d. profilo rischio-rendimento, consentendo di stabilire le azioni da intraprendere nel caso in cui il suo valore oscilli oltre la soglia prevista.

1.7. La gestione attiva e passiva dell’investimento

Un'ulteriore importante distinzione riguarda infine le modalità di gestione, e in particolare la differenza fra la gestione attiva e gestione passiva, con interessanti implicazioni in merito alle performance e ai costi di gestione.

Il fatto di voler effettuare un’analisi comparata tra fondi comuni d’investimento e ETF nasce proprio da questo concetto, si evince infatti, che nel primo caso siamo di fronte ad una gestione attiva, mentre nel secondo ad una gestione passiva; ciò tende a delineare aspetti differenti che impattano principalmente sui costi di gestione.

20 www.Assogestione.it+

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Ci occuperemo di analizzare l’impatto sui costi e sulle performance degli strumenti a seconda di quale tipologia di gestione si utilizza nel secondo e nel terzo capitolo. A conclusione del primo capitolo descriveremo brevemente cosa intendiamo per gestione passiva e gestione attiva delineandone alcuni aspetti generali.

Oggi sono diversi i canali di distribuzioni attraverso i quali si può avere accesso ai prodotti del risparmio gestito (azioni, obbligazioni, materie prime, ecc.), una volta scelto l’asset class nella quale investire, si deve operare un’altra scelta, e cioè scegliere se optare per uno strumento a gestione attiva oppure a gestione passiva.

Investire su un prodotto che punta sulla gestione attivo significa in sostanza scommettere sulla capacità di chi ne ha in mano la gestione, di battere il benchmark di riferimento. Tale gestione, consente una certa discrezionalità a chi la esercita, nell’ambito del rispetto della normativa e dell’etica professionale, e nei limiti del mandato affidatogli. Il gestore, infatti, possiede un minimo di libertà d’azione spostando gli impieghi da certe azioni ad altre, secondo le sue aspettative, cercando di migliorare la performance e non discostarsi in modo significativo dal benchmark di riferimento.

Investire su un prodotto che punta, invece, sulla gestione passiva significa per il gestore attenersi strettamente alle indicazioni del cliente. Il caso più rigido si ha nel deposito di titoli in amministrazione.La gestione passiva è una strategia di investimento con la quale il gestore di un portafoglio minimizza le proprie decisioni al fine di minimizzare i costi di transazione e l'imposizione fiscale sui guadagni in conto capitale, in questo caso il gestore struttura la composizione del portafoglio in modo da creare una “copia” del benchmark di riferimento senza modifiche, di regola in maniera automatica mediante software. Tipica gestione istituzionalmente passiva è quella degli ETF, le cui azioni rispecchiano un portafoglio la cui composizione è uguale a quella dell’indice-benchmark sottostante.

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Tale approccio è più comune nella gestione dei portafogli azionari, attraverso la creazione dei cosiddetti fondi indice, che replicano l'andamento di un indice azionario.

Il concetto di gestione passiva si fonda su due elementi della teoria della finanza: - l'ipotesi di mercato efficiente, secondo la quale il prezzo di mercato di equilibrio riflette pienamente e perfettamente l'informazione disponibile e, perciò, secondo l'interpretazione più diffusa, è impossibile "battere il mercato", cioè realizzare una performance migliore di quella del mercato nel suo complesso;

-il problema agente/principale, che insorge dalla asimmetria informativa e dal divario di competenze, che non permette all'investitore (principale) di monitorare adeguatamente l'attività del gestore a cui affida il proprio patrimonio (agente).

Uno dei principali vantaggi della gestione passiva è legato al minor numero di operazioni di compravendita di attività finanziarie, eseguite dal gestore nell'unità di tempo. Questo riduce i costi di transazione, permettendo di minimizzare le commissioni richieste ai sottoscrittori. Di conseguenza, a parità di rendimento della gestione, la minore entità delle commissioni permette di avere una performance netta superiore.

Un secondo vantaggio è legato al fatto che la minore frequenza delle compravendite permette, in alcuni casi e in alcuni regimi fiscali, di rinviare la tassazione dei guadagni in conto capitale, che vengono rilevati nel momento in cui le attività finanziarie sono cedute, come differenza fra il prezzo di acquisto e quello di vendita

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CAPITOLO 2

GLI EXCHANGE TRADED FUNDS

2.1. Cosa sono gli Exchange Traded Funds 2.1.1. Caratteri peculiari

Tuttavia gli ETF non hanno solo vantaggi, distinguiamo pertanto vantaggi e svantaggi di un loro utilizzo21:

VANTAGGI:

- assenza del rischio gestore, non si rischia che il fondo vada male con il mercato che va bene

- costo minore rispetto ad un fondo (il costo del fondo e 2.0% - 2.5% annuo contro lo 0.25% dell’ETF)

SVANTAGGI:

- assenza di protezione da parte del gestore (i modelli trend following22

superano questo inconveniente)

- gli ETF non consentono di compensare le minusvalenze pregresse le caratteristiche degli ETF che rendono tale strumento cosi apprezzato dagli investitori retail ed istituzionali, sono riconducibili a:

la loro semplicità, gli ETF di fatto sono strumenti passivi il cui obiettivo d’investimento è quello di replicare le performance dell’indice benchmark a cui fanno riferimento. Operativamente, grazie alla negoziazione in tempo reale in Borsa gli ETF possono essere acquistati e venduti come se fossero delle azioni tramite la propria banca/broker.

21Degregori & Partners, Investire in ETF, edizione R.E.I,2016

22 Si tratta infatti di una strategia basata sull’analisi tecnica dei prezzi di mercato, nei mercati finanziari,

i trader e gli investitori utilizzano una strategia credendo che i prezzi si muoveranno tendenzialmente in rialzo o al ribasso periodicamente. I traders, quindi, cercano di trarre vantaggio da questi trend di mercato osservando la direzione in un determinato momento al fine di capire quando è il momento di comprare e vendere in base a questa convinzione.

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