IL VARO DELLA NUOVA AZIONE CATTOLICA
1. LA COSTITUZIONE DELLA GIUNTA CENTRALE
«Essendo urgente, specialmente di fronte agli ultimi avvenimenti, provvedere alla nuova costituzione dell’Azione Cattolica, e non essendo possibile regolare in tutti i suoi dettagli la costituzione stessa che in base alla esperienza pratica, potrà trovare il suo assetto definitivo, si crederebbe opportuno lanciare senz’altro l’annunzio della nuova organizzazione in base alle linee generali di cui sopra. La Giunta Centrale dell’Azione Cattolica dovrà, come suo primo compito, studiare le varie questioni di dettaglio, specialmente quelle relative ai Segretariati, ai rapporti colle organizzazioni economiche, che in molte diocesi fanno capo alle Giunte Diocesane ed agli Ecc.mi Vescovi etc, e preparare un Regolamento da sottoporsi poi per l’approvazione alla Santa Sede»1.
In questo modo Paolo Pericoli concludeva le sue osservazioni sul progetto di riordinamento prospettato dalla Santa Sede. Non si poteva più attendere oltre: era un invito a passare dalle parole ai fatti, a porre fine alla lunga fase di preparazione dietro le quinte per annunciare pubblicamente l’avvio della riforma. Non bisognava preoccuparsi del fatto che i nuovi ordinamenti non fossero pronti e necessitassero ancora di un’accurata elaborazione: sarebbe stato sufficiente mettere in moto il tutto, costituire il nuovo organo direttivo affidando ad esso il compito di proseguire l’opera e di portarla a compimento a tempo debito, sotto il vigile sguardo dell’autorità ecclesiastica.
Ma da dove scaturiva questo imperativo, questa certezza che fosse ormai giunta l’ora di agire? Il riferimento agli «ultimi avvenimenti» non lascia dubbi circa le cause dell’urgenza: il motivo che rendeva improcrastinabile il varo della nuova Azione Cattolica era la salita al governo di Benito Mussolini. Si aveva la percezione di essere dinanzi ad una svolta politica rilevante, dagli esiti
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Osservazioni di Paolo Pericoli allo schema riassuntivo di rimaneggiamento dell’Azione Cattolica Italiana, s.d., in ASV, Segreteria di Stato, 1923, rub. 52F, fasc. 1.
imprevedibili, non paragonabile ai vari mutamenti governativi dell’ultimo periodo: il fascismo era un fenomeno contraddittorio, estraneo alla tradizione della democrazia parlamentare e potenzialmente sovversivo, ma che si proponeva come forza di conservazione e di ricostruzione nazionale, cercando di ottenere così i più ampi consensi. Cosa dovevano aspettarsi i cattolici dalla sua ascesa al potere? Certo, abbandonato l’originario anti-clericalismo, Mussolini cercava di guadagnarsi la benevolenza della Chiesa promettendo di usarle speciali riguardi e professandosi ossequiente verso la tradizione religiosa del Paese; d’altra parte, lì dove il movimento cattolico era più fiorente si era scatenata da tempo la violenza fascista, in una serie interminabile di attacchi e violenze contro sedi e membri del Partito Popolare, delle istituzioni economico-professionali bianche, e anche delle associazioni cattoliche - in primis della Società della Gioventù - ritenute, spesso non senza motivo, strettamente legate al popolarismo e fiere oppositrici del fascismo. Sarebbe terminata, adesso, questa ondata persecutoria, o piuttosto si sarebbe intensificata, fino all’annientamento delle fila del cattolicesimo organizzato? Di fronte a un futuro incerto, occorreva adoperarsi per garantire rapidamente all’Azione Cattolica una posizione di forza da cui far sentire la propria voce, tanto per tutelare la vita delle associazioni ad essa aderenti, quanto per incidere nella vita della nazione facendosi portavoce delle aspirazioni dei cattolici. In caso contrario, si avvertiva il serio pericolo che l’intero movimento cattolico, finalmente giunto a maturità e proiettato verso una più diretta presenza nella sfera pubblica, fosse invece travolto dalla nuova temperie storica, dall’aspro conflitto politico e sociale che travagliava il Paese. Tale preoccupazione, largamente condivisa tra i dirigenti dell’Azione Cattolica e nelle sfere ecclesiastiche, spingeva quindi ad accelerare i tempi della riforma e, come si vedrà, ne avrebbe in seguito condizionato il corso.
Pericoli accennava poi ad un’altra ragione per procedere con sollecitudine all’avvio del processo di riordinamento: solo l’«esperienza pratica» poteva portare alla migliore definizione dei nuovi statuti e regolamenti, che sarebbero risultati inadeguati e artificiosi se progettati interamente a tavolino senza il vivo confronto con la realtà. La cosa avrebbe inoltre avuto il sapore di un’imposizione dall’alto e sarebbe stata difficilmente accettata dalla base dei cattolici organizzati, come ammoniva Luigi Colombo in un suo pro-memoria inviato a mons. Pizzardo:
«Non basta inquadrare teoricamente un determinato ordinamento: bisogna preoccuparsi di predisporre quelle condizioni di ambiente, che ne assicurino la migliore attuazione. Mi sembra quindi che, stabilite le direttive volute dalla S. Sede, la traduzione di esse in norme positive meglio avverrebbe anche col concorso di persone abituate a vivere la vita pratica dell’azione cattolica e in grado, con la loro posizione nelle più importanti diocesi, di esercitare preventivamente una benefica influenza diretta ad abituare le organizzazioni cattoliche ai nuovi criteri, e ad accettare questi non semplicemente come ordine dell’Autorità, ma anche come norme di efficace necessaria disciplina»2.
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Osservazioni di Luigi Colombo allo schema riassuntivo di rimaneggiamento dell’Azione Cattolica Italiana, 31 ottobre 1922, in ASV, Segreteria di Stato, 1923, rub. 52F, fasc. 1.
Creare le «condizioni d’ambiente» perché la nuova Azione Cattolica fosse accolta con soddisfazione da tutti era un obiettivo arduo in un momento in cui, come si è visto, nello stesso tessuto cattolico si manifestavano divergenze d’opinione, non senza punte polemiche; d’altra parte, era l’unico modo perché le innovazioni proposte non rimanessero lettera morta. Col suo pragmatismo, Colombo osservava che, una volta stabiliti dall’autorità ecclesiastica i criteri che dovevano informare l’azione, occorreva muoversi in due direzioni: da un lato, coinvolgere nella declinazione concreta di tali direttive persone immerse nella realtà viva dell’organizzazione, dall’altro, sfruttare l’autorevolezza delle medesime per fare opera di persuasione presso la base cattolica, nelle diocesi. Tale proposta si traduceva in pratica nella stessa soluzione additata da Pericoli: procedere subito alla nomina della Giunta Centrale, riconoscerle l’alta funzione di organo coordinatore, direttivo e rappresentativo dell’intera Azione Cattolica, investire i suoi membri del compito di portare avanti il processo di riforma facendosi interpreti della volontà della Santa Sede.
Così, il 30 novembre 1922 l’Osservatore Romano annunciò la costituzione della nuova Giunta Centrale, la cui composizione rispettava pienamente i criteri esposti nel progetto inviato ai vescovi: erano nominati membri de iure i presidenti delle varie organizzazioni maschili e femminili - Camillo Corsanego per la Gioventù Cattolica, Augusto Ciriaci per la costituenda Federazione degli Uomini Cattolici, Nello Palmieri per la FUCI, la marchesa Maddalena Patrizi per l’Unione Femminile, accompagnata dalle presidenti delle tre sezioni: Armida Barelli per la Gioventù, Emma Lombardi Vallauri per l’Unione Donne, Maria Carena per le Universitarie Cattoliche - e ad essi si aggiungevano, per diretta volontà del pontefice, l’ex-presidente dell’Unione Popolare conte Bartolomeo Pietromarchi, il presidente emerito della Gioventù Cattolica Paolo Pericoli e Luigi Colombo, presidente della Giunta Diocesana di Milano, il quale veniva incaricato di provvedere alla convocazione della prima adunanza3. Pochi giorni dopo, questi veniva ufficialmente nominato Presidente della Giunta Centrale4: a volerlo a capo dell’Azione Cattolica Italiana era stato lo stesso papa Ratti, che nel breve periodo del suo episcopato ambrosiano aveva avuto modo di apprezzarne a tal punto le qualità da ritenerlo un fidato collaboratore per l’attuazione dei suoi disegni pastorali. Colombo accettò l’incarico con devota obbedienza al pontefice, non senza prima richiedere, però, che gli fosse concesso di conservare il prezioso aiuto di mons. Roveda, già segretario della Giunta Nell’incipit del pro-memoria, Colombo si dichiarava ad ogni modo «pienamente consenziente» al progetto prospettato, almeno nelle sue grandi linee, «per la convinzione che esso risponda al grado di evoluzione storica attualmente raggiunto dall’azione cattolica e alle necessità del momento attuale».
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Il testo del comunicato è riportato in A. M. Cavagna (a cura di), Pio XI e l’Azione Cattolica, cit., p. 424.
Negli archivi vaticani si conserva la minuta della lettera inviata ai membri della Giunta Centrale per la comunicazione della nomina il 27 novembre 1922, e la risposta di alcuni di loro. Cf. ASV, Segreteria di Stato, 1923, rub. 324, fasc. 3.
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Nell’archivio dell’Azione Cattolica si conserva la lettera inviata dalla Segreteria di Stato a Luigi Colombo il 27 novembre, in cui si preannunciava la sua nomina a Presidente, resa poi di pubblico dominio il 10 dicembre dall’Osservatore Romano. Cf. ASACI, UP, b. 41, fasc. 1, doc. 21.
milanese, che da lì a poco si trasferì a Roma per assumere l’incarico di Segretario Generale della Giunta Centrale5. La sua presenza nella capitale, dove sarebbe stato in frequente contatto con mons. Pizzardo - nominato ufficialmente Assistente Ecclesiastico della Giunta solo più tardi, ma che nella pratica fin dal primo momento ne ricoprì il ruolo6 - avrebbe garantito lo stretto collegamento con la Santa Sede del nuovo presidente dell’Azione Cattolica, costretto per motivi familiari e professionali a mantenere la residenza a Milano7. Pizzardo, Roveda, Colombo: fin dagli albori della riforma si stabiliva così quel nucleo ristretto di dirigenza che avrebbe recepito in modo immediato le direttive di Pio XI, cercando di trasfonderle, dal centro alla periferia, in tutto il corpo dell’Azione Cattolica.
Proprio mons. Pizzardo aprì la prima adunanza della Giunta Centrale - convocata a Roma il 13 dicembre 1922 - sottolineando fin dall’inizio che il pontefice si preoccupava della nuova Azione Cattolica con speciale sollecitudine. Seguì un discorso del nuovo presidente, cui l’Osservatore Romano non tralasciò di fare eco, consacrandolo come l’atto di apertura di una «impresa generosa»8 che avrebbe richiamato all’opera tutti i cattolici. Benché Colombo avesse affermato che il suo indirizzo non aveva carattere programmatico - perché il programma della nuova Azione Cattolica non era da definire, ma si poneva in stretta linea di continuità con la tradizione del pensiero sociale cristiano - alla testata vaticana non sfuggì il suo «profondo significato spirituale e pratico», che risuonava come «appello e chiarificazione» insieme.
In particolare, esso veniva ad inserirsi nel vivo del dibattito sull’Azione Cattolica e pronunciava una parola decisiva sulla sua natura e missione, riaffermandone perentoriamente la vocazione pubblica. Infatti, Colombo, dopo aver affermato che l’Azione Cattolica era una «una realtà concreta, viva e vitale», ne additava la «funzione specifica nella vita nazionale»:
«Noi intendiamo, con l’Azione Cattolica, preparare i singoli e le collettività ad attuare integralmente i principi cattolici sia nella vita individuale che in quella famigliare e in quella sociale».
Un programma senza dubbio molto ampio, che in questa formulazione generica veniva a sovrapporsi a quello di tanti altri «aggruppamenti politici, economici, culturali, professionali» che
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La nomina di mons. Roveda è del febbraio 1923. Egli sostituì Mario Riccobaldi del Bava, già segretario dell’Ufficio Centrale dell’Unione Popolare di Bartolomeo Pietromarchi. Il retroscena della sua nomina è stato ricostruito da Mario Casella, e raccontato dallo stesso Colombo in alcune memorie sul periodo della sua presidenza redatte molti anni dopo. Cf. A. Majo, L’Azione Cattolica Italiana dal 1919 al 1926. - Memorie inedite dell’avv. Luigi Colombo (I parte), in “Civiltà Ambrosiana” 3 (1986), 6, p. 410; Cf. anche M. Casella, Nuovi documenti sull’Azione Cattolica all’inizio del pontificato di Pio XI, cit., p. 280.
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Mons. Pizzardo fu nominato assistente ecclesiastico della Giunta Centrale il 10 ottobre 1923 - dopo l’approvazione pontificia dei nuovi statuti dell’ACI - dietro richiesta di Luigi Colombo, che ricordava esplicitamente l’aiuto da questi prestato all’attività della Giunta fin dagli esordi. Cf. lettera di Luigi Colombo a Pio XI del 5 ottobre 1923, in ASV, Segreteria di Stato, 1923, rub. 324, fasc. 3.
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Cf. A. Majo, L’Azione Cattolica Italiana dal 1919 al 1926 (I parte), cit., p. 410.
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G. Dalla Torre, Azione Cattolica, in “L’Osservatore Romano”, 16 dicembre 1923. Da questo articolo sono tratte le citazioni del discorso di Colombo presenti nel paragrafo. Anche il resto della stampa cattolica diede spazio alla prima adunanza della Giunta Centrale, riportando, tra l’altro, ampi stralci del discorso del Presidente.
già miravano all’attuazione del pensiero cristiano nei diversi ambiti. Qual era dunque il compito specifico dell’Azione Cattolica? Il presidente lo definiva in due significativi passaggi:
«Noi vogliamo che il programma cattolico si traduca in realtà positiva nelle varie manifestazioni della vita sociale, attraverso la libera feconda iniziativa dei singoli, ispirata rettamente da quegli insegnamenti e da quella formazione religiosa, morale, culturale e sociale, che noi avremo cura di dar loro nelle nostre Associazioni».
Innanzitutto, bisognava fare opera di preparazione individuale, preoccupandosi che in seno alle diverse organizzazioni tutti potessero acquisire quella formazione cristiana integrale che avrebbe informato il loro operare in qualsivoglia ambito e ambiente. Si avocava quindi all’Azione Cattolica il compito prioritario di formazione delle coscienze, sul quale d’altra parte tutti concordavano.
Ben più delicato era, invece, il contenuto del secondo passaggio:
«Qualora però, gravissime circostanze, interessanti l’affermazione e la difesa dei supremi interessi programmatici, lo esigessero, noi saremo pronti a scendere in campo compatti e a imporre direttamente all’opinione pubblica e alle autorità della Nazione i problemi più gravi che ci stanno a cuore, per vederne trionfare le soluzioni, che idealmente scaturiscono dal prezioso patrimonio della dottrina cattolica».
Era la riaffermazione del ruolo pubblico dell’Azione Cattolica, intesa come “braccio sociale” della religione, chiamata a intervenire per informare cristianamente non solo le singole coscienze, ma l’intero tessuto della società. Tale funzione non era venuta meno, come alcuni ritenevano, con la nascita del Partito Popolare, ma rimaneva prerogativa dell’Azione Cattolica che, pur collocandosi al di sopra e al di fuori dei partiti, si arrogava dunque un ruolo propriamente “politico”: in quanto direttamente legata all’autorità ecclesiastica, si proponeva infatti come l’unica legittima interprete del pensiero cristiano nella polis, nonché l’unica rappresentante ufficiale dell’insieme dei cattolici, chiamati a convergere in unità nelle sue fila. Se questi concetti, pur controversi, erano stati a più riprese ribaditi da autorevoli esponenti del cattolicesimo militante (si pensi agli articoli in proposito di un Dalla Torre o di un Martire), nelle affermazioni di Colombo c’era però un inserto rilevante: oltre all’influenza esercitata dall’Azione Cattolica sull’opinione pubblica, si faceva riferimento esplicito alla possibilità di un suo rapporto diretto con le «autorità della nazione». Qualora fosse richiesto da «gravissime circostanze», ove fosse in gioco «l’affermazione e la difesa dei supremi interessi programmatici» dei cattolici, essa se ne sarebbe fatta portavoce presso i governanti del Paese9. È indubbio che questa affermazione rivestiva, nel particolare momento storico in cui veniva
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Si noti come questa affermazione - dettata dalle necessità dell’ora, e probabilmente voluta da Pio XI - si discosti dalle idee che lo stesso Colombo aveva espresso intorno e all’ambito di attività dell’Azione Cattolica e dei partiti nel suo primo memoriale, dove aveva attribuito alla prima compiti di studio, elaborazione e diffusione delle direttive ideali, nonché il vaglio delle diverse soluzioni pratiche alla luce della dottrina cristiana, ma aveva riservato solo ai secondi «l’attività pratica diretta ad imporre il problema per la risoluzione agli organismi pubblici dello Stato» e «il lavorare perché questo problema sia totalmente o parzialmente risolto entro le circostanze del momento». Cf. progetto Colombo per la riorganizzazione dell’Azione Cattolica, cit.
pronunciata, un preciso significato: forte di questa premessa, il presidente Colombo avrebbe immediatamente levato la voce, a nome di tutti i cattolici, «affinché cessino le contese fraterne, e soprattutto non si ripetano le offese al nostro clero e alle nostre associazioni». Da questo momento, la Giunta Centrale avrebbe assunto, quasi come primo mandato, la tutela delle organizzazioni di Azione Cattolica dinanzi agli organi dello Stato; e tanto i vescovi quanto le Giunte Diocesane, nell’atto stesso in cui si comunicava loro la nascita del nuovo organo centrale, sarebbero stati invitati a segnalare direttamente ad esso i casi di violenze, astenendosi da azioni locali di protesta10.
Se la riaffermazione della vocazione pubblica dell’Azione Cattolica costituì l’aspetto morale del discorso di Colombo, seguirono poi indicazioni altrettanto importanti di ordine pratico, relative al riordinamento dell’organizzazione in senso unitario. Il presidente chiarì che lo scopo della riforma voluta dal pontefice era la massima valorizzazione delle forze cattoliche, raggiungibile solo riunendole in unità organica, compatta e disciplinata: questo non avrebbe comportato una limitazione delle autonomie delle singole associazioni, ma il loro migliore coordinamento attraverso la costituzione dei nuovi organi - la Giunta Centrale, le Giunte Diocesane e i Consigli parrocchiali - ai quali, ai vari livelli di giurisdizione, sarebbero state deferite le questioni di interesse generale11. Dichiarata sciolta l’Unione Popolare, la Giunta Centrale - che ne ereditava la funzione direttiva12 - assumeva quindi il compito di elaborare, sulla base di tali principi ordinatori, i nuovi statuti, dai quali si attendeva una vigorosa ripresa dell’Azione Cattolica in Italia:
«Stabiliti nettamente i quadri di queste varie unità organiche, noi avremo predisposto un ordinamento agile ed efficace, che risulterà uno strumento perfezionato e adatto per utilizzare tutte le nostre forze organizzate e per servirsene ottimamente come una sapiente rete di distribuzione della feconda energia di bene, emanante dalla perenne sorgente di verità, che è la Chiesa».
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Così recitava la prima circolare di Colombo alle Presidenze delle Giunte Diocesane, del 20 dicembre 1922: «L’Azione Cattolica ha il diritto di esercitare la sua alta missione nella piena tutela della sua integrità. La Giunta Centrale intende difendere questo diritto, contro chiunque lo colpisca. Allo scopo di avere elementi necessari per questo superiore compito e di valutare in tutta la sua importanza e con ferma prudenza le circostanze meritevoli del nostro valido interessamento, invito le Giunte Diocesane a segnalare direttamente alla Giunta Centrale in Roma con precisa documentazione tutti quei fatti, che contengano violazione della incolumità delle Associazioni cattoliche. Si evitino le azioni locali e sporadiche di protesta: esse non fanno, spesso, che inacerbire situazioni già gravi. Invece, tutte le proteste e le informazioni relative alla minacciata libertà di vita e di riunione delle nostre organizzazioni, siano inviate sollecitamente al centro. Si attendano dalla Giunta Centrale le istruzioni e gli schiarimenti. Io mi auguro di poter presto tranquillizzare le nostre istituzioni e i nostri associati, e confido che la Protezione Divina e il senno degli uomini eviteranno alla patria nostra l’onta e il disastro di un folle perpetuarsi di odi e di lotte». In “Gioventù Italica”, gennaio 1923. Cf. anche la lettera del card. Gasparri agli ordinari d’Italia (circolare 11516) del 17 dicembre 1922, in ASV, Segreteria di Stato, 1923, rub. 52F, fasc. 1.
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Sempre nella prima circolare alle Presidenze delle Giunte Diocesane, si leggeva: «Il riordinamento della nostra azione cattolica avrà per base il riconoscimento di tutte le buone iniziative cattoliche, il rispetto della loro autonomia, che è condizione necessaria per mantenerle vigorose e feconde di bene; ma, al tempo stesso, il loro collegamento programmatico e pratico per la migliore utilizzazione delle loro energie e per i supremi interessi della Chiesa e del Popolo italiano. Simbolo e strumento di questa superiore unità nella varietà delle forze e delle iniziative saranno la Giunta Centrale al centro, le Giunte diocesane nelle diocesi, i Consigli parrocchiali nelle parrocchie».
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La funzione di inquadramento degli adulti veniva invece attribuita alla costituenda Federazione Italiana Uomini Cattolici.
All’indicazione del servizio ecclesiale prestato dall’Azione Cattolica seguiva, in chiusura, l’immancabile riferimento al papa, alla necessità di diffondere la sua parola in mezzo al popolo e di fare opera di pacificazione, attuando l’invito da lui recentemente espresso in occasione del Concistoro Segreto: Pax Christi in regno Christi.
Pochi giorni dopo, con la pubblicazione della Ubi Arcano, la prima enciclica di Pio XI, questa espressione fu eretta a motto pontificale: di fronte al terribile scenario del dopoguerra - caratterizzato dal persistere delle tensioni internazionali, dall’inasprirsi della lotta di classe e dei conflitti politici nei singoli Paesi, dalla dissoluzione morale della famiglia e dei singoli, dal diffondersi di un bieco materialismo -, il papa additava come unico vero rimedio il ritorno a Dio degli individui e della società, l’instaurarsi di quel regno di Cristo da cui solo poteva scaturire la pace. In questa prospettiva di restaurazione cristiana era fondamentale, nella sfera sia pubblica che