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LE PROPOSTE DI RIFORMA DEI DIRIGENTI DELL’AZIONE CATTOLICA Nello stesso arco di tempo in cui l’opinione pubblica cattolica, sulle pagine dei quotidiani, s

UNA LUNGA GESTAZIONE

4. LE PROPOSTE DI RIFORMA DEI DIRIGENTI DELL’AZIONE CATTOLICA Nello stesso arco di tempo in cui l’opinione pubblica cattolica, sulle pagine dei quotidiani, s

accalorava nel dibattito intorno allo stato e alle necessità dell’Azione Cattolica, pervenivano a mons. Pizzardo le opinioni e le proposte dei suoi dirigenti in merito ad una possibile riforma.

Si è già accennato ad un esposto, commissionato a Luigi Colombo dalla Giunta Direttiva, che avrebbe dovuto essere discusso in un’adunanza e infine presentato alla Santa Sede: benché la cosa non fosse portata felicemente a termine a causa dell’esplosione dei contrasti in seno alla Giunta, il testo venne effettivamente redatto e inviato ai vari dirigenti alla fine di luglio. Se ne conserva copia solo nell’archivio dell’Azione Cattolica83, ma con ogni probabilità, pur senza una previa discussione collettiva, esso giunse anche negli uffici della Segreteria di Stato84. Il lungo e interessante scritto costituisce il primo esempio della lucidità di vedute e della chiarezza d’intenti che avrebbero caratterizzato in seguito tutto l’operato di un personaggio pur tanto discusso, quale fu il primo presidente della nuova Azione Cattolica Italiana.

Innanzitutto, per rendere ragione dello «stato di incertezza» in cui si trovava l’Azione Cattolica, egli si dilungava in un’ampia premessa, in cui individuava gli elementi di novità intercorsi nella storia del movimento cattolico, additandone la portata dirompente e le inevitabili conseguenze.

In primis affrontava senz’altro la questione del distacco dell’azione politica ed economica, ma presentandola in termini nuovi, con una maggiore consapevolezza delle ricadute sull’azione cattolica propriamente detta:

«L’Azione Cattolica in Italia nel periodo successivo alla guerra ha rinunciato alla diretta partecipazione alla vita pubblica italiana, ritenendo che le naturali competizioni e le significarLe che io torno inderogabilmente a ripresentarle, e per le ragioni già espresse nella precedente mia lettera e per penosi incidenti avvenuti in seguito a un mio articolo dettato dal vivo desiderio di riveder rifiorire l’Azione Cattolica e che invero provocò le più ingiustificate e offensive recriminazioni di alcuno dei capi del nostro movimento. In tale accusa potei costatare essere non solo l’opera mia ma altresì della Giunta Direttiva completamente svalutata e misconosciuta, per quanto con tutta abnegazione e attività per due ben lunghi anni ci siamo sforzati di risollevare l’azione cattolica dal completo abbandono in cui era stata lasciata, specialmente in ciò che si riferisce alla organizzazione degli adulti, la più difficile e ingrata, per quanto la più importante e proficua».

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Progetto Colombo per la riorganizzazione dell’Azione Cattolica, inviato ai membri della Giunta Direttiva il 25 luglio 1922, in ASACI, UP, b. 41, fasc. 1, doc. 17.

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Sappiamo infatti che nel mese di agosto la marchesa Patrizi stava preparando le sue osservazioni sul «progetto Colombo», per inviarle a mons. Pizzardo. Cf. lettera della marchesa Patrizi a mons. Pizzardo del 12 agosto 1922 in ASACI, UP, b. 44, fasc. 9, doc. 197. Inoltre, un altro pro-memoria custodito negli archivi vaticani, scritto da Mario Riccobaldi del Bava, fa riferimento implicito a quello di Colombo.

responsabilità sugli atteggiamenti collettivi dei cattolici sia nella vita politica e amministrativa e nella vita economico-sociale della nazione fossero di competenza di partiti e di organizzazioni piuttosto che dell’organizzazione ufficiale dei cattolici, subordinata disciplinarmente all’Autorità Ecclesiastica. Questo primo fatto ha modificato profondamente la sfera di attività dell’Azione Cattolica».

Senza indugiare in vagheggiamenti nostalgici dei tempi andati, né dare adito a sterili polemiche, si presentava l’accaduto come un evento necessario, mostrando come il perdurare di una dipendenza dell’azione politica dei laici dall’autorità ecclesiastica fosse in realtà uno sconveniente unicum sul piano internazionale. D’altra parte, con estremo realismo si prendeva atto che l’avvenuto distacco aveva sottratto una considerevole e vistosa parte di attività all’Azione Cattolica e che era quindi necessaria una ridefinizione del suo campo operativo.

In secondo luogo, Colombo si soffermava sulla tendenza alla specializzazione che nell’ultimo periodo aveva segnato lo sviluppo del movimento cattolico: emblematico era il caso del fiorire della Gioventù maschile e femminile, ma anche dell’Opera per la Buona Stampa, dell’Università Cattolica e di molti altri istituti aventi finalità specifiche. Di per sé il fenomeno era un positivo indice di progresso, ma poneva il serio problema del coordinamento tra le varie iniziative: era da tutti lamentato l’imperversare del particolarismo e la «sfiducia nell’avvenire dell’azione generale dei cattolici italiani». Si imponeva la necessità di tornare all’unità, pur nel rispetto delle autonomie85.

In terzo luogo, l’allora presidente della Giunta milanese constatava l’inadeguatezza dell’organizzazione degli adulti e l’incapacità dell’Unione Popolare di adempiere alle sue funzioni, in parte anche a causa dei frequenti cambiamenti statutari che ne avevano reso accidentato il cammino, precludendole la possibilità di suscitare una sentita adesione tra i cattolici.

Dinanzi a un quadro siffatto si prospettava l’esigenza di una riforma che desse un assetto disciplinato e unitario alle forze cattoliche, per consentir loro di incidere più efficacemente sulla vita pubblica:

«la questione fondamentale che bisogna affrontare per risolvere questo stato di disagio consiste, secondo me, nel ritrovare la linea direttiva di un nuovo ordinamento generale dell’Azione Cattolica Italiana, il quale tenga conto delle condizioni presenti, non distrugga minimamente ciò che è stata valida e opportuna conquista di questo periodo, ma tragga da una sincera collaborazione di tutti e da una sentita disciplina verso direttive comuni la ragione per un forte rifiorire dell’azione cattolica generale».

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Cf. Progetto Colombo per la riorganizzazione dell’Azione Cattolica, cit.: «È necessario insistere nel favorire che i diversi organismi dell’Azione Cattolica continuino la loro opera specializzata, rispettandone la reciproca autonomia anche a scopo di emulazione tra di esse. […] La divisione del lavoro raggiunge però buoni risultati quando essa sia disposta entro le linee di un unico disegno e quando risponda ad attività specializzate che collaborino ad un’unica attività generale».

Niente tinte fosche, dunque. Colombo non amava parlare di crisi o di decadenza dell’Azione Cattolica, ma era totalmente proteso verso l’adozione di misure pratiche ed efficaci che dessero nuovo slancio a un movimento già ricco di frutti.

La seconda parte del documento è interamente dedicata a tali proposte concrete, che ruotano intorno a due principali nodi: da un lato, la costituzione di un’organizzazione per adulti che, soppiantando l’Unione Popolare, divenisse il terzo cospicuo ramo dell’Azione Cattolica; dall’altro, la creazione di un nuovo centro direttivo che costituisse «l’organizzazione generale dei cattolici italiani», dirigendo e coordinando tutte le forze cattoliche. Le due nuove creazioni si configuravano come realtà totalmente indipendenti: in altri termini, «il Consiglio direttivo dell’organizzazione degli adulti», affermava Colombo, «non deve avere nessuna preminenza sulle altre organizzazioni». Si abbandonava così quell’impianto dell’Unione Popolare, strenuamente difeso da Pietromarchi, che prevedeva il convergere delle due funzioni in un unico organismo.

Una simile soluzione, come abbiamo già visto, era caldeggiata anche dalla Società della Gioventù Cattolica e dall’Unione Femminile, e fu prospettata in termini analoghi nei pro-memoria in merito alla riforma preparati dalle loro rispettive presidenze. Il progetto elaborato da Luigi Colombo non fu infatti l’unico ad essere prospettato: negli archivi vaticani sono custoditi svariati altri testi redatti da dirigenti dell’Azione Cattolica, il più delle volte interpellati direttamente dalla Santa Sede. Proprio sulla base di questi esposti - accuratamente visionati, confrontati, di volta in volta scremati o integrati - essa avrebbe in seguito provveduto a costruire la piattaforma di lancio della nuova Azione Cattolica. Non sempre è possibile identificarne i rispettivi autori, ma nella maggior parte dei casi sono membri della Giunta Direttiva - è il caso di Paolo Pericoli, della marchesa Patrizi, del conte Pietromarchi - o funzionari dell’Ufficio Centrale - quali Mario Riccobaldi del Bava e Augusto Grossi Gondi. Si tratta di un ricco ed inedito materiale documentario che, pur vertendo sempre sul tema delle necessità dell’Azione Cattolica, presenta contenuti e toni decisamente diversi da quello reperito sulla stampa quotidiana, caratterizzato dalla veemenza polemica delle querelle giornalistica. In questo caso si tratta piuttosto di un dibattito interno, a porte chiuse, poco incline alle disquisizioni teoriche o alle affermazioni di principio, e tutto volto a individuare e a dare risposta alle concrete esigenze del momento. Benché non manchi in alcuni casi qualche accento polemico, rivelatore del disagio e delle contrapposizioni presenti in seno al corpo dirigente, è l’impianto schematico e asciutto a caratterizzare quasi tutti questi testi, che presentano in modo sintetico i provvedimenti ritenuti necessari, scendendo nel dettaglio tecnico dell’ordinamento dell’organizzazione.

Lasciando ad altra sede la possibilità di analizzare i singoli documenti nella loro peculiarità, se ne darà di seguito una visione sincronica, cercando di individuare anche in questo caso i punti di

convergenza e le opinioni discrepanti, e mettendo a confronto i risultati di questa indagine con quanto emerso nell’analisi del più vasto dibattito che contemporaneamente infervorava il mondo intellettuale cattolico.

Dall’insieme dei testi risulta incontrovertibile quanto già constatato a proposito dell’istanza motrice della riflessione sul riordinamento dell’Azione Cattolica: tutto partiva da un’esigenza di unità, dal desiderio di creare un compatto e organico esercito che, al di sopra delle divisioni partitiche e d’opinione, potesse incidere in modo significativo nella vita del paese. Una volontà di penetrazione massiccia che va compresa alla luce delle grandi trasformazioni del primo dopoguerra: la rapida transizione verso una società di massa, i fermenti di rinnovamento e le ansie palingenetiche, il definitivo ingresso a pieno titolo dei cattolici nella vita pubblica.

Ma mentre questa esigenza di unità sulle pagine dei giornali portava alla ribalta il tema dei rapporti tra azione politica ed economica ed azione cattolica propriamente detta, negli esposti dei dirigenti tale punto era affrontato solo secondariamente, e la riflessione si incentrava in genere su due questioni interne alla stessa Azione Cattolica, già emerse nella presentazione del progetto di Luigi Colombo: l’organizzazione degli adulti e la creazione di un nuovo centro direttivo.

4.1 L’organizzazione degli adulti

Prima di presentare le concrete modalità di reclutamento degli adulti prospettate nei diversi documenti, non sembra inutile una premessa: qui si discute non del se, ma del come gli adulti vadano irreggimentati nell’Azione Cattolica. La prima questione, ancora dibattuta dall’opinione pubblica, qui appare già risolta. Per i dirigenti dell’organizzazione, non vi era alcun dubbio sull’obiettivo da perseguire: tutti i fedeli, a maggior ragione se impegnati attivamente in altre istituzioni aconfessionali ma di ispirazione cristiana, avrebbero dovuto appartenere all’Azione Cattolica, per ricevervi un’adeguata formazione morale e religiosa, ma anche per portarvi il loro contributo di attività. Essa non era infatti pensata e voluta come un’istituzione accanto alle altre, una possibilità tra tante alternative, ma come l’unica organizzazione ufficiale dei cattolici, il luogo dell’unità dove tutti erano chiamati a convergere e a lavorare congiuntamente.

Di fronte all’esodo seguito alla nascita del Partito Popolare e delle tre confederazioni autonome, la cosa era stata ribadita a più riprese, e già sotto Benedetto XV la militanza nell’Azione Cattolica era stata definita un «sacro dovere». La parola pontificia, come anche la forza di una convinzione ormai maturata da tempo in seno all’organizzazione, non lasciava adito a diverse interpretazioni, e appariva ormai come un fondamento acquisito su cui non era necessario discutere. Qualcuno si faceva piuttosto interprete dell’esigenza di inculcare questo concetto nel popolo dei fedeli e -

particolare significativo - innanzitutto nel clero, spesso indifferente verso l’Azione Cattolica, e troppo attivamente partecipe di preoccupazioni di ben altra natura:

«Mi permetto poi di richiamare l’attenzione della Santa Sede sopra la necessità di far intendere al Clero, specialmente Parrocchiale come sia urgente che esso si dedichi alla formazione delle coscienze nell’ambito dell’azione cattolica che non [sic] alla formazione di nuclei politici poiché, purtroppo, spesso impera un concetto opposto»86.

È curioso - un segno dei tempi nuovi - che l’ammonimento sull’atteggiamento del clero parta da un dirigente laico; ancor più inconsueto che si tratti di una donna. Sono infatti parole della Marchesa Patrizi, che proseguiva prospettando la necessità di riaffermare la preminenza dell’Azione Cattolica dinanzi a tutte le altre istituzioni di ispirazione cristiana, non ultime quelle aconfessionali che «non profittano delle loro conquiste per incanalarle nel movimento cattolico»:

«Invocherei dal Santo Padre, nel documento che riordinerà l’Azione Cattolica un provvedimento che richiami tutte le associazioni che intendono di lavorare con spirito cattolico al dovere; all’azione comune di incanalare i loro Soci e le loro Socie nell’Azione Cattolica Ufficiale onde non si venga, in pratica a perdere, da questa, delle forze preziose ed ingenti oggi sottratte al fronte unico che intendiamo formare».

Mentre la Patrizi invocava un nuovo intervento d’autorità e chiedeva al papa una dichiarazione di principio, i dirigenti dei rami maschili sembravano più propensi ad additare soluzioni pratiche per risolvere lo spinoso problema degli adulti e colmare così le «evidenti deficienze»87 dell’organizzazione. Nei loro progetti di riforma, dedicavano ampio spazio all’argomento il conte Pietromarchi, Paolo Pericoli, nonché un altro dirigente identificabile forse nella persona di Remo Vigorelli.

Le proposte per un rinnovato slancio nel reclutamento degli adulti erano in realtà tutte in linea con l’indirizzo promosso da più di un anno dalla presidenza dell’Unione Popolare: abbandonare il sistema delle adesioni individuali e dare vita a un organismo di tipo federativo, pronto ad accogliere nel suo seno le diverse realtà associative per adulti già diffuse nel territorio.

Questo l’esordio del primo dei pro-memoria raccolti in un fascicolo degli archivi vaticani: «1°) Poiché l’Unione Popolare, come centro di organizzazione individuale dei cattolici italiani si è dimostrata poco compresa e poco conforme al carattere di questi, si tratterebbe di ritornare al centro federativo delle Associazioni Cattoliche Parrocchiali»88.

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Pro-memoria della Marchesa Patrizi per la riforma dell’Azione Cattolica, s.d., in AES, Italia, Pos. 607 I bis, fasc. 38.

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Così si esprimeva Paolo Pericoli, comparando il fiorente sviluppo della sua Gioventù con la vita stentata dell’Unione Popolare, e auspicando una riorganizzazione del settore maschile che ricalcasse il modello dell’Unione Femminile: «Come abbiamo già detto, occorre provvedere a che la organizzazione maschile ora ricordata, 1) sia completata colmandone le deficienze, che appariscono evidenti; 2) sia coordinata nelle sue diverse branche; 3) abbia un centro direttivo, in cui convergano i capi delle varie organizzazioni di giovani e di uomini. 4) abbia un nome rispondente a ciò che essa è, e che sia tale da impedire confusioni ed equivoci che sono certamente dannosi». Dal 1° Pro-memoria di Paolo Pericoli, s.d. (databile all’inizio del maggio 1922), in AES, Italia, Pos. 607 I bis, fasc. 38.

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Si trattava di una riedizione dei Comitati Parrocchiali delle vecchia Opera dei Congressi, aderenti nuovamente ad un unico centro federativo e quindi convergenti in un’organizzazione unitaria che avrebbe ricalcato a livello centrale e periferico l’ordinamento degli altri grandi rami dell’Azione Cattolica89. Questi gruppi parrocchiali avrebbero potuto configurarsi e denominarsi in modo diverso secondo le consuetudini e le necessità dei luoghi: leghe dei padri di famiglia, circoli o altro ancora. Ma esattamente a quali realtà ci si riferiva? Quale tipo di associazioni potevano o dovevano aderire alla nuova federazione? Senza dubbio quelle aventi finalità specifiche di apostolato religioso, morale e sociale, sicuro e tradizionale appannaggio dell’Azione Cattolica:

«Lo scopo di queste associazioni di adulti dovrebbe essere oltre alla propaganda religiosa, anche la tutela e difesa della moralità nell’ambito della Parrocchia, l’azione per la scuola, la manifestazione pubblica dei diritti dei padri di famiglia, le opere di carità e beneficenza cattoliche, scuole serali, e popolari, azione contro la bestemmia ed il turpiloquio, ecc.»90

Insomma, tutto quel vasto campo di attività, delineato dalla lettera di Gasparri del maggio 1921, in cui i laici erano chiamati ad affiancare i loro pastori per «poterli coadiuvare in quell’Apostolato Laico che è nelle più antiche e illustri tradizioni della Chiesa e che tanto giova, come a formar l’individuo che lo esercita, così alla rigenerazione dell’intera società»91.

Se fin qui il consenso era unanime, i vari progetti presentavano approcci diversi alle altre tipologie di associazioni per adulti, attive nelle parrocchie o in circoscrizioni territoriali più ampie. Innanzitutto, le realtà con finalità prevalentemente religiose, quali l’Apostolato della Preghiera, i terziari, o le innumerevoli Confraternite che prosperavano nel Meridione. Mentre secondo alcuni i comitati per adulti dell’Azione Cattolica si ponevano accanto a queste istituzioni, che pure dovevano trovare rappresentanza nel Consiglio Parrocchiale, secondo altri tutte le associazioni esistenti, non escluse quelle «con carattere prettamente religioso», dovevano essere iscritte «d’ufficio» alla nuova Federazione92. Era questo ad esempio il parere di Paolo Pericoli che, forte della logica inclusiva che aveva favorito il rapido sviluppo della Gioventù, immaginava una formula analoga per l’organizzazione degli adulti. Con tale desiderio di onnicomprensività, auspicava la creazione di circoli di adulti di ogni genere e tipo, aventi bacini di reclutamento e finalità diverse:

«Si provveda sollecitamente ovunque alla formazione di circoli di adulti. Questi potrebbero essere parrocchiali, Interparrocchiali, o cittadini; potrebbero essere di professionisti e d’impiegati di operai di contadini e misti, ed avere scopi specifici diversi, fra cui principalissimo quello, per i circoli di operai e di contadini, di favorire la cultura

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Cf. Progetto Colombo per la riorganizzazione dell’Azione Cattolica, cit.: «Bisogna […] costituire l’organizzazione nazionale delle opere degli adulti, con carattere semplicemente federativo, e con un’organizzazione diocesana e nazionale corrispondente a quella degli altri grandi due rami dell’Azione Cattolica».

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Pro-memoria ms anonimo (forse di Remo Vigorelli), cit.

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Progetto Pietromarchi, 3 ottobre 1922, in ASV, Segreteria di Stato, 1923, rub. 52F, fasc. 1. Tra i vari documenti, è quello che fornisce la definizione più accurata delle svariate declinazioni dell’apostolato laico.

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religiosa e la vita cristiana degli organizzati nelle nostre confederazioni bianche, che per la loro natura difficilmente possono farlo»93.

Come emerge dal testo, Pericoli pensava principalmente ad associazioni su base professionale. Una simile idea era condivisa e ulteriormente sviluppata da Pietromarchi che, ancora corrucciato per l’autonomia delle istituzioni economiche, riteneva indispensabile per il successo dell’iniziativa che all’interno dei circoli si potesse perseguire anche la tutela dei propri interessi lavorativi.

Consapevole delle difficoltà di attirare gli adulti nell’Azione Cattolica e un po’ scettico sul successo dell’impresa, rimaneva fermamente convinto della necessità di garantire ai potenziali soci qualche tornaconto non solo spirituale, qualcosa di più allettante della mera prospettiva di un arricchimento interiore. Per lo stesso motivo, mutuando il modello della Gioventù, accennava persino all’opportunità di circoli a carattere sportivo o ricreativo. Così, mentre per i più zelanti era aperta la strada dell’azione parrocchiale nei comitati e nelle leghe dei padri di famiglia, tutti gli altri avrebbero potuto trovare un circolo in grado di soddisfare le loro personali esigenze, e di stringerli al contempo in unità intorno ai pastori della Chiesa:

«Ogni forma può esser buona, purché rispondente al fine della formazione individuale, del progresso spirituale, specialmente per la azione vigilante e continua di buoni e zelanti Assistenti Ecclesiastici e di esperte e cristiane presidenze»94.

Tanto Pericoli quanto Pietromarchi, animati dalla volontà di raccogliere veramente in unità tutti i fedeli cattolici, si muovevano quindi in una prospettiva fortemente inclusiva, che implicitamente comportava un’idea molto ampia dell’ambito operativo dell’Azione Cattolica, in un certo senso articolato su due registri eventualmente scindibili: quello primario della formazione cristiana delle coscienze degli iscritti - e dunque un’Azione Cattolica intesa come centro di cultura religiosa, sul modello della originaria Unione Popolare95 - e quello dell’apostolato collettivo, nelle sue diverse declinazioni - e quindi un impegno nella promozione di opere concrete, sia nell’ambito della parrocchia, sia di portata più ampia, tali da incidere in modo significativo nella vita del paese.

Non sorprende che il punto dove Pietromarchi e Pericoli divergevano fosse invece nel modo di