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COSTITUZIONE l MATERIALE 2

Nel documento Sisifo 9 (pagine 40-44)

di Umberto Romagnoli il Pubblichiamo la relazione di . V Umberto Romagnoli al \ Convegno, organizzato < dall'Istituto Gramsci Piemontese

e dalla Camera del lavoro di Torino, su «Costituzione ' e Sindacato», tenutosi il *

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• ualcuno, all'inizio, ha • i / m manifestato il timore

M che un'occasione come questa si prestasse al h rischio di celebrazioni [s apologetiche.

3 Credo che per due motivi p questo rischio oggi non si q può presentare, e già ne E abbiamo avuto qualche >a segnale significativo e E autorevole. Due motivi: uno b di carattere generale e uno b di carattere più specifico. A Motivo di carattere generale: n mi par di capire che stiamo v vivendo in un clima di » .«vedovanza» costituzionale. < Non conosco documento che ¡2 sia stato in questi ultimi b dieci anni più dissacrato, :! laicizzato, secolarizzato della } Costituzione italiana. Tanto à è vero che Ugo Rescigno ci ri ha invitato a considerare o come Costituzione solo p quella vivente. Cosi, di una b delle norme che erano la 0 causa numero uno dei d brividi, dei fremiti di 3 commozione d'antan, il >2 secondo comma dell'articolo £ 3 della Costituzione, quello 3 che designa un modello di a società più giusta ed li impegna la Repubblica a 1 realizzarlo nel lungo, il lunghissimo periodo, dice J Ugo Rescigno: «È passato .1 tanto tempo che è inutile 3 considerarlo come scritto...». 1 Io non giungerei a questo 5 punto, perché non è vero: ci 2 sono casi in cui il secondo 0 comma dell'articolo 3, che 3 contiene il nucleo «duro» o j il «filo rosso» della ) Costituzione, serve per g giustificare la costituzionalità i>,; di leggi ordinarie, a 3 cominciare dallo stesso 2 Statuto dei Lavoratori che - — dice Ugo Rescigno — è j ^un punto di non ritorno. 1 ¡11 motivo più specifico, più 1 legato al tema che hanno 3 Ì proposto gli organizzatori di D Ì questo incontro, per cui oggi i ¿non corriamo il rischio 3 | dell'afilogetica è che in i J materia sindacale non c'è né i j una Costituzione di cui 3 ¡celebrare l'attuazione né una ) ; Costituzione da attuare. Ciò 1 inon significa che si debba 5 aprire la caccia all'errore o 3 al colpevole. Significa invece, 2 semplicemente e soltanto, 3 .'che il rapporto tra sindacato 3 e Costituzione è stato ed è 1 ¡tuttora un rapporto I 'turbolento, come succede i spesso tra soggetti che ? stentano a capirsi.

^ indacato e Costituzione, insomma, sono davvero una strana coppia. Basti pensare che, ad una valutazione globale di carattere retrospettivo, bisognerebbe concludere in questo senso: i padri costituenti — e Vittorio Foa, che è un padre costituente, testimonierà se quello che sto per dire è vero oppure no, in base a un giudizio di

storia vissuta — affrontarono la questione sindacale senza prevederne, se non in piccola parte, gli sviluppi più significativi. Ciononostante — qui sta il punto — riuscirono se non proprio ad orientarli per lo meno a non contrastarli. Se questo consuntivo vi sembra paradossale, avete ragione. Ma non è il solo paradosso (poi paradosso cosa vuol dire? paradosso secondo la logica, ma non secondo la storia) che abbia accompagnato l'esperienza applicativa della Costituzione italiana; casomai è quello che riassume tutti i paradossi, grandi e piccini, che hanno costellato il diritto sindacale del dopo-Costituzione.

La verità è che l'inattuazione costituzionale in materia sindacale ha permesso al sindacato di riappropriarsi del ruolo protagonista che durante la fase costituente non potè svolgere in direzione della rifondazione della società italiana. Scrisse Piero Calamandrei una celebre frase: «Per compensare le forze di sinistra della rivoluzione mancata, le forze di destra non si opposero ad accogliere, nella Costituzione, una rivoluzione promessa». Si dà il caso che la sinistra costituente non pensava neanche lontanamente che avrebbe trovato un continuatore nel sindacato del dopo-Costituzione. Documenti alla mano si direbbe che la sinistra costituente pensava al sindacato nell'ottica propria della cultura sindacale precorporativa. Un sindacato che non deve essere attrezzato per intraprendere un lungo viaggio attraverso le istituzioni del potere pubblico e del potere politico; un sindacato a cui basta avere l'investitura per agire come rappresentante legale della categoria rientrante nella sua giurisdizione, per poter stipulare contratti collettivi valevoli per tutti, iscritti e non iscritti.

uesto mi pare che fosse il nucleo a centrale della cultura

sindacale del personale politico che scrisse quelle poche, scarne norme riguardanti il ruolo del sindacato.

E la cosa buffa è che — buffa sta per curiosa, non voglio essere irrispettoso, sia ben chiaro — la sinistra costituente non pensava al sindacato come continuatore di una istanza proiettata verso la rivoluzione promessa, sebbene essa medesima avesse predisposto proprio per il sindacato gli strumenti per proseguire il

cammino della rivoluzione promessa sul terreno della legalità.

Ha già ricordato Ugo Rescigno gli strumenti essenziali per cadenzare, orientare la lotta sindacale, per poter attuare la rivoluzione promessa compatibilmente con le condizioni storiche: garanzia della libertà sindacale, la meno blasonata di tutte le libertà, la meno ricca di tradizioni, la più proletaria (diciamolo pure, perché nelle costituzioni

liberal-democratiche dell'800 mica si parla di quella sindacale) e il riconoscimento del diritto di sciopero, del diritto al conflitto collettivo. Questi due strumenti rappresentano la matrice giuridica originaria dei poteri contestativi, o contro poteri, più disomogenei all'assetto della società rifiutata dalla stessa carta costituzionale. Sì, perché noi italiani abbiamo questa fortuna; come diceva Ugo Rescigno: «Abbiamo un buon documento costituzionale». Io aggiungo che è buono perché la Costituzione è sincera, esibisce un'immagine dissociata della società italiana, afferma che tutti sono eguali di fronte alla legge e subito dopo dice che non è vero; dice, anzi, che l'assetto costituito della società italiana è caratterizzato da una diseguaglianza sostanziale, di fatto, causata da motivi di ordine economico e sociale, e impegna la Repubblica a rimuovere questi ostacoli. E il modello di società prefigurata è appunto quel modello di società ove non sussistono più, perché rimossi, gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto le libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana — cito testualmente la norma — e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione economica, politica e sociale del paese. Questo era l'obiettivo, la rivoluzione promessa.

otto questo profilo, ^ f c allora, può sostenersi

che l'esperienza sindacale, benché situata al di fuori dello schema prefabbricato della costituzione formale, e cioè malgrado l'inattuazione dell'art. 39 che pure riguarda specificatamente il sindacato, si è sviluppata non contro quel modello, anzi! Per poterne essere un utente in tutta la sua pienezza e autenticità, il sindacato ha dovuto agire come fattore di cambiamento sul piano della costituzione materiale. La politicità dell'azione sindacale

in Italia nasce così: per l'impossibilità di limitarsi ad abitare nell'edificio costituzionale, e dunque per la necessità di completarne la costruzione.

Questo spiega tante cose. Spiega anzitutto perché il sindacato italiano non si sia mai accontentato di una rappresentanza di tipo negoziale, ed abbia cercato, e alla fine ottenuto, una legittimazione molto più vasta, di tipo politico-istituzionale, slegata dal principio associativo, e fondata più su un regime più consociativo che conflittuale tra i sindacati. L'unità sindacale si spiega così; la federazione sindacale unitaria era il granaio, per così dire, o voleva essere il granaio delle legittimazioni politico-istituzionali di tutte le sue componenti; per legittimare la politica delle riforme di struttura che giustificò l'origine stessa della federazione sindacale unitaria.

• 1 sindacato italiano aspira ad essere il più rappresentativo possibile, non solo un buon rappresentante negoziale. La formula è carica di ambiguità. Ciò nonostante la formula della maggiore rappresentatività come equivalente di legittimazione politico-istituzionale del sindacato, piace ai

sindacalisti. E non solo per i vantaggi concreti che nell'immediato può procurare — il sindacato maggiormente rappresentativo è per ciò solo parcheggiato nell'area del privilegio legale — ma anche perché soddisfa un'antica aspirazione del

sindacato. In base al diritto comune dei contratti e dei gruppi il sindacato rappresenta solo gli iscritti. Viceversa il diritto speciale dei sindacati maggiormente rappresentativi consente ai medesimi di agire in nome di intere collettività. Sotto questo profilo è ravvisabile un elemento di continuità tra il sistema legale della maggiore rappresentatività e il sistema costituzionale dei sindacati registrati. In entrambi i casi il sindacato vede riconosciuta la legittimità della sua vocazione ego-altruistica, solidaristica. Anzi, il sistema legale vigente è più duttile quanto ai criteri per misurare la genuinità della sua pretesa. Non si tratta più soltanto di legittimare il sindacato a stipulare un contratto di lavoro per una categoria; si tratta di appoggiare movimenti di riforma; si tratta di proporre e promuovere cambiamenti radicali nei rapporti sociali e nei luoghi di produzione. Si tratta quindi, appunto, di continuare a impugnare la bandiera della rivoluzione promessa.

X k ero la storia, l'astuzia della storia, a volte sa essere perversa! E ai sindacati del

dopo-Costituzione è capitato quel che di solito capita alle giovani generazioni: i giovani credono di essere diversi, nel senso di migliori, rispetto ai padri, e di avere le carte in regola per rifare da cima a fondo la società senza il peccato del compromesso. Ma anche i giovani, però, diventano padri e,

inevitabilmente, peccatori. Così il sindacato del dopo-Costituzione ha creduto di essere migliore dei padri costituenti, ha percorso un itinerario tutto suo che lui stesso, di testa sua, giorno dopo giorno ha tracciato. A ben vedere, però, si è ritrovato, dopo questo lungo e contorto itinerario, in un luogo che non è molto distante da quello che pensavano i padri costituenti. Dopo tutto costoro, pur rifiutando in maggioranza l'idea di un sindacato domestico se non proprio addomesticato — anche se qualcuno lo sognava, a dir la verità, ma era in minoranza — accarezzavano l'idea di una integrazione del sindacato nelle strutture dello Stato-ordinamento, mediante leggi contenenti concessioni che fossero anche controlli. Pensavano ad un sindacato istituzionalizzato come lo potevano pensare i giuristi democratici del periodo prefascista. Pensavano a un sindacato destinato a fare contratti, a esercitare un potere contrattuale assimilabile ad un potere legislativo decentrato; pensavano a un sindacato che esprimesse pareri in materia di lavoro, al Governo e alle Camere; pensavano ai sindacati nel Cnel.

È successo che la dimensione istituzionale del sindacato attuale non solo c'è, ma è più corposa, è più ricca, è plurifunzionale, ma è costosa; più costosa per il sindacato e per lo Stato.

Jacques Tardi: «Adieu Brindavoine»

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SCHEDE

E PRESENTAZIONI

Nel documento Sisifo 9 (pagine 40-44)

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